ARMANDO ASCATIGNO

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Armando Ascatigno è uno scrittore-autore di grande creatività e fantasia che oggi, tramite il sito www.ascatigno.it (www.ascatigno.it) propone romanzi, racconti, narrativa, articoli, opere, libri, scritti e sceneggiature sul Web.



LA RAGAZZA DI PIETRA (Romanzo)

LA RAGAZZA DI PIETRA
(C) ARMANDO ASCATIGNO
TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Questa è un’opera di fantasia.
Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.
Tutti i diritti sono riservati.



CAPITOLO PRIMO


Verso le cinque, del tredici Gennaio del duemila e uno, un brivido intenso e squassante svegliò Donatella da un sogno da incubo.
La giovane tremava e non riuscì a comprendere se si trattasse di freddo oppure di un febbrone in arrivo, forse di quella influenza che aveva colpito quasi tutto il gruppo di amici e compagni di classe, dell’ultimo anno del liceo classico Dante Alighieri.
All’improvviso Donatella sentì un fuoco salirle dai piedi fino al collo e poi al volto ed un violento mal di testa entrarle nel cervello prendendo il posto dell’incubo che aveva appena sognato, in una particolare forma di delirio.
In un barlume di coscienza la ragazza fu sicura che avrebbe dovuto combattere l’influenza, subito da sola, con l’aiuto delle poche cognizioni di medicina che conosceva e barcollando, coprendosi con una seconda coperta che sempre teneva ai piedi del letto dopo aver acceso la luce della stanza dove aveva il letto, si diresse in cucina decidendo di prendere due aspirine effervescenti con vitamina C.
Un grammo di aspirina, pensò Donatella, avrebbe fatto abbastanza bene almeno per alleviarle un poco e il dolore al collo, che raggiungeva come un trapano sia la base cranica che gli occhi, e la febbre.
Più tardi avrebbe pensato cosa altro fare e subito si rimise sotto le bianche lenzuola.
Dentro il letto Donatella cominciò a ragionare nel modo razionale che le era proprio da quando da piccola, a soli quattro anni, aveva perduto il padre un ottimo professore di latino e greco.


Era cresciuta con la mamma, senza fratelli né sorelle ed aveva sempre dovuto arrangiarsi, in ogni momento importante della vita, perché sua madre era costretta a lavorare di notte facendo la cameriera di un importante ristorante di Trieste, frequentato soltanto da importanti VIP dell’industria, dello spettacolo e degli affari mentre di giorno era stanchissima per essere in grado di affrontare anche i problemi esistenziali della figlia.
Donatella, come tutti gli adolescenti, era stracolma di pensieri che avrebbe voluto confidare a qualcuno e che invece doveva sbrigliare da sola e risolvere con l’unico aiuto di cui poteva fidarsi che poi non era altro che il ragionamento ed una buona dose di buon senso.
Valeria non aveva che un pensiero fisso: avrebbe venduto l’anima al diavolo per vedere la figlia laureata in lettere e riuscire così ad ottenere quel posto di professoressa in greco e latino che era stato del marito, ucciso innocentemente durante una rapina, preso in mezzo tra le pallottole della Polizia e quelle dei banditi.
Al processo era riuscita ad ottenere un risarcimento, come parte civile, che lei avrebbe girato a Donatella integralmente quando sua figlia fosse diventata maggiorenne.
Valeria aveva imparato a vivere con il suo non lucroso lavoro e con quella modesta pensione di reversibilità del marito.
Lavorando sodo come colf nelle case di ricchi commercianti, aveva fatto crescere alla meno peggio Donatella fino ad allora, rifiutandosi di vendere l’appartamento che il suo Luigi aveva avuto in eredità dai genitori.
Erano stati guai grossi quando Donatella era stata molto piccola ed aveva cominciato a frequentare le scuole elementari.
Valeria doveva ringraziare la sorella di suo marito se aveva potuto crescerla con un minimo di assistenza e senza ricorrere ad altre persone nell’accudirla al mattino, sia aiutandola a vestirsi per portarla alla scuola, sia accompagnandola di nuovo a casa alla fine delle lezioni.
La cognata Flavia era una matura donna e viveva ad un solo isolato di distanza dall’appartamento di Valeria e di Donatella e si era dedicata alla nipotina con tutto l’amore di una vera zia e di una mamma mancata, con il rammarico di non avere potuto avere dei figli suoi.
Mamma e figlia potevano però considerarsi due persone fortunate nell’avere superato il momento più difficile della loro vita senza traumi importanti, che avessero minato lo spirito combattivo di entrambe.
Si amavano, l’una e l’altra, di un sentimento profondo e fortificato dalle avversità che, in qualsiasi occasione vivevano in simbiosi.


Donatella cominciò a sudare per effetto dell’aspirina ma rimase sotto le coperte almeno per una altra ora fino all’arrivo della mamma alle sei e mezzo.
Valeria entrò in silenzio nella stanza della figlia a piedi scalzi per non disturbarla, avendo visto la luce stranamente accesa perché di sabato le lezioni iniziavano alle nove di mattina.
Non si era allarmata conoscendo quanto fosse diligente sua figlia e pensò che stesse ripassando qualche materia, probabilmente scientifica, nelle quali era un po’ più debole rispetto a quelle letterarie dove era sicuramente la migliore della classe.
Appena la vide entrare, Donatella buttò all’aria tutte le coperte e madida di sudore e pallida chiese.
- Mamma che ora sono?-
Nel dire queste parole era saltata in piedi.
- Sono in ritardo per la scuola, oggi mi devono interrogare in chimica e non so niente!-
Valeria aveva nel frattempo osservato e scrutato con attenzione la ragazza ancora diciassettenne alta più di un metro e settantadue.
- Che sei impazzita di colpo? Donatella guardati allo specchio che aspetto orrendo ti ritrovi questa mattina. Sembra che tu sia uscita da una sauna tanto sei bagnata di sudore e poi quel viso…che ti è successo! -
- Mamma,- esclamò la giovane bionda, dagli occhi verdi, azzurro mare, normalmente pieni di luce.
- Mi sono svegliata alle cinque con un febbrone da cavallo ma adesso mi sento bene, mi faccio una doccia e mi vesto in un attimo e poi corro a scuola. -
Valeria riguardò la figlia, l’abbracciò affettuosamente ed affermò con una vena di ironia.
- Non scherziamo con le cose serie, tu oggi e domani rimarrai a letto e chiameremo il dottore per una visita di controllo, che è tanto tempo che non fai. -
Donatella osservò sua madre stanca per la nottata passata al lavoro e la implorò.
- Hai ragione, faremo quello che hai detto, resterò a letto per due giorni ma non chiamare il dottore. E’ assurdo per una semplice influenza. -
- Piuttosto vattene a dormire, stai morendo di sonno, penserò io a svegliarti prima di pranzo quando avrò finito di cucinare almeno questo me lo devi concedere. -
Valeria annui e dopo un bacio Donatella si rimise a letto a pensare.


L’ultimo anno di liceo aveva portato molte variazioni nella vita di quella bella diciassettenne.
La più importante era stata la presenza in classe di due compagni nuovi provenienti uno da Vittorio Veneto e l’altro da Roma e mentre il primo si chiamava Roberto ed era un tipo alto e biondo, allegro, sempre pronto allo scherzo e con poca voglia di studiare, l’altro di nome Fabio era veramente un ragazzo strano, alto un tantino di più di Donatella, con dei bei capelli neri ondulati e sempre in ordine e con due occhi dal colore castano scuro che avevano il potere di penetrare lo sguardo di chiunque parlasse con lui.
Apparentemente timido ma soprattutto dotato di una notevole intelligenza che cercava di nascondere adeguandosi quando poteva agli altri alunni, era un vero fenomeno in tutte le materie.
Ovviamente la fama di essere il primo della classe non gli aveva portato molta simpatia tra gli studenti, anzi per quanto facesse di tutto per non fare pesare ai compagni sia maschi che femmine la sua superiore preparazione, non era riuscito a diventare amico di nessuno.
Aveva fatto lega soltanto con Donatella perché lei stessa aveva desiderato averlo come amico.
In fondo quel giovanotto romano di un anno e mezzo più anziano di lei, che sembrava di trovarsi in imbarazzo con tutti anche perché non riusciva a dire una sola parola in dialetto triestino, figlio di un famoso Pubblico Ministero trasferitosi nella città giuliana da pochi mesi, aveva fatto breccia senza saperlo nel suo cuore.
Tutto era avvenuto un mese dopo l’inizio delle lezioni.
Una sera si erano incontrati per caso a Piazza Oberdan, a due passi dal Tribunale, mentre lui si stava recando dal padre.
Si era fermato appena si era accorto di Donatella, uscita di casa per comprare un paio di scarpe nuove in via Carducci, non lontano da via Giulia dove lei abitava dalla nascita.
Le aveva semplicemente detto sorridendole, con quella voce dai toni profondi che tutti conoscevano quando veniva interrogato, che la sorpresa di incontrarla era stata più che piacevole.
Per uno come lui di poche parole, capace soltanto di guardare negli occhi le ragazze senza proferire alcuna parola, era già un miracolo l’averla salutata così gentilmente e con in più un sorriso accattivante.
Donatella aveva sempre sperato in cuor suo che un giorno o l’altro egli le dicesse qualcosa di carino perché quel giovanotto la incuriosiva ed anche le piaceva parecchio.
Così era capitato che quella sera Fabio si era offerto di accompagnarla nel negozio di scarpe e che poi avessero fatto a piedi la strada fino al portone di casa di Donatella ed interessandosi di lei, le avesse proposto di vedersi più spesso al di fuori da scuola.
Tutte le premure di Fabio erano state una vera sorpresa.
E quando aveva sentito che quel ragazzo, impacciato, l’aveva salutata con un caldo “buona notte” gli aveva porto le morbide labbra e si erano baciati sulla bocca a lungo e teneramente.
L’attrazione che provava nei confronti del figlio del magistrato non era a conoscenza di nessuno ma tutti avevano capito che lei gradiva di essere accompagnata a casa, alla fine delle lezioni, soltanto da Fabio.
Donatella non si era confidata su questo argomento nemmeno con la sua cara mamma e solo Patrizia, la sua migliore amica, era stata informata che lei si era presa una cotta per Fabio.
Anche a Patrizia però non aveva detto che, durante il mese di novembre e dicembre, lei e Fabio avevano avuto rapporti ben più intimi dei baci dei primi tempi, in un appartamentino preso in affitto dal giovane romano alla periferia della città nel rione di San Giovanni dove si vedevano regolarmente, almeno un paio di volte la settimana di mattina, quando a scuola c’erano le lezioni di pomeriggio.


Era stata una domenica di metà Novembre, al ballo organizzato dal Liceo, che Fabio aveva detto, stringendo tra le braccia la vita sottile di Donatella, che non poteva più fare a meno di lei.
- Ascoltami ti prego - le aveva sussurrato nello orecchio sinistro accarezzandola e baciandole il collo, -sono innamorato pazzamente di te e non posso più fare a meno della tua presenza. -
- Non faccio che pensarti dalla mattina alla sera, amore mio, -aveva continuato con voce suadente e ferma, -non puoi dirmi di no .-
- Tu sei tutto per me, dolce e preziosa e tanto bella che nessuno ti dovrà mai toccare all’infuori di me. -
Donatella era rimasta incantata. Sapeva che Fabio non viveva con la madre separata dal padre e che stava a Roma con un altro uomo.
Molte volte aveva pensato, in passato, che Fabio difficilmente avrebbe potuto resistere in quella situazione senza un bacio e senza una carezza di donna.
Anche il suo carattere introverso poteva riconoscersi in quel trauma psicologico che si trascinava da quando aveva soltanto sei anni, cioè da quando era stato affidato al padre.
Però pur portandolo sempre con sé nelle varie sedi di lavoro, non aveva potuto dargli che le briciole dell’amore che solo una madre sa dare ad un figlio.
Donatella aveva imparato ad amarlo con tutta se stessa ma non avrebbe mai immaginato la proposta che poi Fabio le aveva fatto, quella di vedersi regolarmente nell’appartamentino preso in affitto lontano da occhi indiscreti.
Era stata tentata di rispondergli di no, che non era possibile, che non voleva diventare la sua amante.
Ma poi, guardandogli quelli occhi speciali, quel sorriso amaro e sentendo le sue mani fredde che tenevano strette le sue, gli disse.
- Ricordati che sono vergine, io verrò ma tu giurami che non mi farai mai piangere e soffrire. -


I loro incontri erano stati il massimo godimento che Donatella potesse sognare.
Egli si comportava da perfetto gentiluomo.ed a letto facevano di tutto e di più ma non il sesso, nel senso classico della parola tanto che Donatella, eccitata da tutto quel fuoco che egli le somministrava con il contagocce facendola impazzire di desiderio, era arrivata alla conclusione che Fabio avrebbe dovuto concretizzare il tutto in un vero e profondo amplesso..
Fabio era un vero maestro di petting e di erotismo e spesso le diceva che la voleva conservare vergine per tutto il tempo che lei avesse desiderato
Tutto Donatella avrebbe potuto sopportare da parte di Fabio meno quella frase che, in un certo senso, dimostrava un lato oscuro del suo carattere alquanto ambiguo e che mai avrebbe sospettato.
Perché le aveva detto una carognata simile proprio nel momento in cui lei si era sentita pronta al grande passo, di dargli tutta se stessa?
Perché non le aveva ripetuto di amarla con tutta la sua anima ed il suo cuore, come faceva all’inizio della loro relazione o forse non era evidente che quel modo di rapportarsi dei loro corpi, per una ragazza come Donatella tutta pulizia morale ma anche donna sessualmente matura, c’era qualcosa di offensivo se poi egli avesse preteso un semaforo verde che certamente non gli avrebbe mai dato, ma solo fatto capire che desiderava?
E lei, che si era concessa a tutti i suoi giochi erotici, cosa avrebbe dovuto fare di più per fargli capire che l’aveva scelto tra mille come il suo unico amore?
O forse dubitava, una volta che si fosse concessa totalmente, della sua fedeltà, ragionando come un bambino viziato e dalla personalità contorta e dalla maturità ancora incompleta?
Mai sarebbero uscite dalla sua bocca quelle parole che Fabio desiderava sentirsi dire, non gli avrebbe per nulla al mondo detto,” prenditi la mia verginità”!
Donatella si sentiva una ragazza del tutto normale ed anche se si era concessa ai suoi capricci, era logico che lo aveva fatto per aiutarlo e per dirgli soltanto quello che mai sarebbe uscito dalla sua bocca.
Nei sogni che faceva in via Giulia nella sua casa e nella sua stanza, spesso lo vedeva riderle in faccia e schernirla, come se avesse voluto violentarla con i suoi atteggiamenti irriguardosi e come se il suo corpo non fosse altro, per lui, che uno strumento di un gioco che conduceva alla stessa maniera di un sadico domatore.
Così era successo pure quella mattina alle cinque del tredici Gennaio, quando assieme ai brividi violenti che l’avevano svegliata, l’incubo nel dormiveglia era stato proprio Fabio che la frustava con una verga di cuoio sputandole in faccia.
Per tutta la mattina, anche quando la febbre era quasi scomparsa, aveva continuato a pensare a Fabio ed il risultato era stato che si era ripromessa di non andare mai più da lui.






CAPITOLO SECONDO





Lunedì, quindici Gennaio, Donatella dopo aver passato sia il sabato che la domenica a casa soprattutto per fare contenta Valeria e per farle capire di essere rimasta ancora la figliola saggia ed ubbidiente di sempre, ben coperta da un cappottino di lana rosso pesante a causa dei refoli di Bora che avevano portato la temperatura verso lo zero, si presentò in classe con un bel raffreddore che le aveva fatto diventare il bel nasino paonazzo.
Aveva anche qualche colpo di tosse, quando entrando in aula, andò difilata dal professore di matematica per scusarsi che non si sarebbe presentata per l’interrogazione programmata per quel giorno a causa dell’influenza di cui egli poteva constatare i sintomi.
A dire il vero il professore Forrantelli, dopo aver osservato il volto e gli occhi rossi della ragazza le aveva fatto capire che sarebbe stato meglio se fosse rimasta a casa almeno per altri tre giorni, in modo da non contagiare anche quei pochi che non avevano avuto ancora quell’infezione virale e per guarire completamente.
Donatella lo aveva guardato in modo supplichevole ed il suo professore, che ben conosceva le condizioni della sua famiglia, l’aveva accettata relegandola in fondo all’aula in un posto isolato da tutti gli altri compagni.
Forrantelli aveva pensato che almeno lì in classe poteva stare al caldo perché gli avevano detto che a casa la mamma di Donatella, per risparmiare, accendeva i termosifoni soltanto quando il freddo raggiungeva valori intorno allo zero.
In realtà Donatella era andata a scuola per vedere Fabio e per annunciargli tutto quanto aveva deciso di dirgli riguardo alla sua volontà di non recarsi mai più nell’appartamentino di San Giovanni.
Fabio però quel lunedì era arrivato tardi, al suono della campanella e non avevano potuto nemmeno salutarsi come avveniva sempre da quando i due si erano messi insieme.
Soltanto alla fine della terza ora di lezioni, durante la pausa prima delle due ultime ore, Fabio si era avvicinato alla giovane ma Donatella gli aveva semplicemente detto quanto si era ripromessa di annunciargli.
Fabio era rimasto senza parole e solo il suo sguardo aveva lanciato dardi di fuoco e la piega amara della bocca aveva dimostrato ampiamente il suo disappunto.
Donatella era tornata subito al suo banco senza continuare a parlare e senza cercarlo con lo sguardo.
Era evidente il malumore dei due ed in particolare quello di Donatella che si era sentita tradita gravemente proprio da colui nel quale aveva riposto mille speranze.
Fabio invece, dopo aver dato un ultimo sguardo pieno di rancore verso colei che fino alla settimana passata era stata al suo completo dominio, si era alzato immediatamente dal banco ed avvicinatosi al professore Negri di italiano aveva parlottato con quello dopo di che, preso il suo paltò e la sua cartella, era sparito oltre la porta dell’aula.


Alle tredici e trenta quando squillò il campanello della fine delle lezioni, Patrizia prese sotto braccio Donatella e la invitò a mangiare un tramezzino Le due amiche si sedettero ad un tavolino del Bar di fronte alla scuola e la moraccia di Patrizia, con i capelli lunghi raccolti in una lunga treccia, chiese.
- Cosa ti è successo oggi con Fabio, praticamente non vi siete nemmeno guardati in faccia anche se ti ho visto, per un momento, parlare con lui durante la ricreazione, concitatamente? -
Donatella guardò gli occhi neri di Patrizia che mostravano una grande curiosità di conoscere il motivo di quello strano modo di agire dell’amica del cuore. La fissò attentamente ed a sua volta chiese.
- Dimmi per quale motivo ti dovrei dire cose che a me fanno male solo a pensarle? -
Sospirò profondamente e continuò.
- Vedi Patrizia, ho un profondo dolore a causa di Fabio ma non penso che sia venuto il momento di parlartene, forse lo farò più in là quando avrò riflettuto meglio su lui e su di me. -
Avesse avuto una tenaglia, Patrizia avrebbe preso la lingua di Donatella per farla parlare.
Anche a lei Fabio piaceva molto fin dal primo momento che era entrato nella loro classe e forse stava sperando che il flirt tra quello e la sua amica fosse arrivato alla fine, probabilmente per farsi avanti e conquistarlo con tutte le moine che aveva nel proprio repertorio.
A Donatella non aveva mai fatto cenno di quanto la invidiasse per aver fatto breccia nel cuore del misterioso ragazzo romano e né Donatella l’aveva mai sospettato.
Comunque finiti i tramezzini e bevuto due cappuccini le due ragazze si salutarono senza dirsi altro
Patrizia era una ragazza che, al contrario di Donatella, in passato era stata più smaliziata e più interessata al fascino dell’altro sesso.
Aveva un anno di più dell’amica ed era diventata maggiorenne nel febbraio dell’anno precedente mentre Donatella avrebbe compiuto i diciotto anni soltanto dopo l’esame di maturità.
La differenza di età non era solo anagrafica ma una vera e propria differenza sia dello sviluppo fisico sia del modo di affrontare la vita che considerava alla stessa stregua del motto oraziano del “carpe diem .
Di una bellezza aggressiva già a sedici anni aveva avuto le prime esperienze di flirt con un paio di spasimanti durante l’estate al mare di Lignano, dove i genitori possedevano una villetta vicinissima alla spiaggia.
Poi in montagna aveva pensato che la verginità fosse soltanto un Tabù di un altro secolo e senza pensarci toppo aveva preso la decisione che, da quel momento, avrebbe fatto sesso con i più gagliardi giovanotti che le fossero venuti a tiro, usando tutte le precauzioni del caso.
Era come se l’operazione “sesso ma sicurezza” la riservasse soltanto in vacanza perché a Trieste non si sognava nemmeno di avere un ragazzo.
Così, per quanto molto amica di Donatella, aveva nascosto a lei ed a tutte le altre amiche, forse per un barlume di pudore, tutto ciò che aveva combinato negli ultimi due anni ed anzi al liceo passava per una ragazza molto seria anche se tutti la consideravano un buon partito eventualmente da sposare.
Era molto procace e le sue curve erano sulla bocca non solo di ogni studente del liceo classico ma anche di quelli che la conoscevano alle feste da ballo che sapeva organizzare con maestria.
Patrizia era di famiglia benestante e figlia unica ed il regalo avuto alla maggiore età era stato un vettura di piccola cilindrata ma dotata di ogni optional possibile.
A scuola arrivava in macchina ogni mattina tra l’invidia di tutti i ragazzi ma a lei non importava nulla di quello che gli altri potevano dire di lei.
Per Donatella provava sinceramente un grande affetto e la considerava come una sorella minore ma più in gamba di lei in tutti i sensi, cominciando da quanto fosse bravissima al liceo e continuando ammirandola, perché conosceva perfettamente quanti sacrifici avessero fatto, Valeria e Donatella stessa, per studiare con i pochi mezzi economici che madre e figlia avevano.
Tra l’altro, Donatella era stata sempre generosa con lei facendole copiare moltissime volte i compiti in classe di latino e greco ed aiutandola, quando qualche volta cadeva in depressione senza motivo.
Perché proprio la fragilità del suo subcosciente era il principale problema per Patrizia, vissuta dalla nascita sotto le ali della protezione del padre e della madre.


Il fatto che Fabio se ne fosse uscito alla fine della terza ora, senza un minimo cenno di saluto a Donatella e nemmeno senza un qualsiasi segno di stare poco bene, l’aveva convinta che il rapporto con Donatella fosse arrivato alla rottura completa.
L’amica non aveva confermato il suo sospetto ma Patrizia ne era convinta.
Testarda aveva deciso che avrebbe, da sola, saputo scoprire tutto ed il modo migliore per arrivare dritta alla diagnosi, sarebbe stato quello di parlare con Fabio e ciò si era proposta di fare subito, quello stesso pomeriggio.
- Caro Fabio. -aveva detto dopo aver sentito al telefono la sua voce caratteristica con quella leggera inflessione romanesca, che la faceva sembrare ancora più distinguibile da quella degli altri compagni di scuola, -sono Patrizia, mi hai riconosciuto? Ti sto telefonando per chiederti una cortesia. Che ne diresti se ti chiedessi di provare se la mia utilitaria ha bisogno dell’opera di un meccanico, so che hai un buon orecchio per i motori, ti prego non dirmi di no! -
Patrizia aveva pronunciato quelle frasi con la massima velocità di cui era capace per non farsi interrompere, poi sospirò volutamente per farsi sentire e per fargli capire che sarebbe stata molto felice se lui avesse accettato il suo invito.
Dall’altro capo del telefono sentì che Fabio aveva chiuso una porta sbattendola ed ebbe il timore che avrebbe risposto picche alla sua inusuale richiesta che, tra l’altro, aveva tutto il sapore di una colossale e poco credibile balla inventata apposta per vederlo.
- Certamente, -rispose, prendendola di contro balzo, Fabio che aveva capito la trappola di quell’invito, -quando ci vediamo e dove? -
- Vediamoci alla rotonda del Boschetto sopra viale Venti Settembre, alle quattro di oggi pomeriggio, conosci il posto? -
Fabio che non solo sapeva perfettamente dove Patrizia voleva vederlo ma anche che quel posto era il punto dove tutti i “morosi”, di quella zona di Trieste prendevano appuntamento con le loro ragazze, rispose.
- Per caso lo hai detto a Donatella? -
- Non sono mica pazza, - rispose subito Patrizia,-questa è una questione che deve rimanere segreta tra me e te, mi raccomando. Allora, sai dove è il posto? -
Alla domanda Fabio esclamò.
- Ci vediamo là alle quattro in punto. -


Un bel tramonto invernale, anche se la giornata era stata particolarmente fredda a causa della bora che aveva cessato di soffiare solo da poco tempo, stava dando delle strane ombre rossastre agli alberi del Boschetto.
Era passata già un ora da quando Patrizia e Fabio si erano incontrati e mentre la giovane aveva continuato a fingere di essere preoccupata per il motore della sua macchina, Fabio, dopo essere stato al gioco facendo la mossa di ascoltare il motore dell’utilitaria e rassicurando la compagna di classe che quello girava perfettamente, aveva cominciato a parlare di Donatella.
Patrizia gli aveva subito detto che non voleva impicciarsi dei fatti loro, anche perché Donatella era sempre stata la sua migliore amica, ma allo stesso tempo non aveva fatto nulla perché il giovanotto romano smettesse di raccontarle la sua versione riguardo i rapporti che si erano guastati irrimediabilmente tra lui e la bella biondina.
Aveva concluso che non se la sentiva di rovinare Donatella che si era comportata come una gatta in amore permanente e che era meglio finire a quel punto quella relazione che era andata al di là di ogni previsione.
Fabio non aveva fatto parola del suo personale modo di comportarsi, come invece era accaduto, né del suo sadismo divenuto non più frenabile specie negli ultimi tempi.
Patrizia lo aveva ascoltato attentamente ed alla fine gli aveva confessato di essersi innamorata di lui e che non aveva nessuna vergogna nel dichiarargli che, oltre a non aver mai avuto nessun problema di fare sesso, le sarebbe piaciuto andare a letto con lui anche se pretendeva la sua parola d’onore che di questo mai nessuno ne avrebbe saputo niente.
Fabio che aveva capito la cosa, già nel primo pomeriggio durante la telefonata, non aveva atteso altro per poterla invitare nel suo segreto appartamentino.
I due si baciarono appassionatamente per almeno una altra ora mentre la ragazza volle anche che Fabio la toccasse, sotto la gonna senza le mutandine che velocemente si era tolta.
L’appuntamento venne fissato per l’indomani alle tre e mezzo allo stesso posto, dove lei avrebbe lasciato la sua macchina in posteggio per salire su quella di Fabio.






CAPITOLO TERZO





Gli incontri tra Fabio e Patrizia continuarono a ritmo vertiginoso e sempre più passionali fino a metà di Febbraio.
Patrizia era arrivata al punto che non studiava quasi più e Donatella aveva capito che l’amica si era messa con Fabio perché non era più lei e perché sembrava vergognarsi quando si parlavano del più o del meno.
Donatella l’aveva avvisata che, secondo il suo parere, Fabio era posseduto da una forma demoniaca di sadomasochismo e che comunque se Patrizia avesse continuato così non avrebbe superato l’esame di maturità.
Donatella, dal canto suo , era riuscita a dimenticare quel breve periodo di totale schiavitù che aveva vissuto con il giovane figlio del magistrato ed era arrivata al punto di perdonare la sua violenza fisica e verbale considerandolo un malato psichico, probabilmente, curabile se si fosse messo nelle mani di un bravo psichiatra.
Fabio invece era passato, dalla bionda Donatella alla mora Patrizia, senza battere ciglia e ne era soddisfatto.
Egli pensava che le due ragazze avrebbero dovuto ringraziare il loro Dio per aver avuto l’opportunità di stare insieme a lui che sapeva come fare per soddisfare il loro erotismo e che conosceva benissimo le tecniche amatorie per farle arrivare ad una speciale forma di estasi quasi spirituale.
Fabio si considerava un vero superuomo e superdotato dal punto di vista sessuale, inoltre quella specie di pseudo timidezza, che esibiva come un biglietto da visita, era come un’ esca per acchiappare all’amo le donne.
Al liceo aveva continuato ad essere il più capace ed intelligente, senza distinzione tra materie scientifiche o letterarie, anzi pareva che più perdeva tempo con Patrizia più strabiliava in classe e professori e compagni di classe.
Qualche volta raccontava al padre che per lui studiare era un divertimento e che con la memoria che possedeva avrebbe potuto dedicare allo studio anche meno di un’ora al giorno.
Quando, qualche rara volta si faceva un esame di coscienza soprattutto nei riguardi di Donatella, considerava non esemplare la ragazza e non certo lui stesso dal momento che egli non le aveva mai nascosto di sentirsi un individuo freddo e scostante, specie nei momenti nei quali dava libero sfogo alla sua rabbia verso il sesso femminile, memore del comportamento di sua madre che lo aveva abbandonato a se stesso per correre dietro ad un maestro di tennis.
Non era vero che aveva abusato della bella biondina, egli l’aveva amata con tutto il cuore ma al dunque anche lei si era comportata come una puttana, quando negli ultimi incontri voleva essere sverginata.
Ma in fondo al suo cuore il raffronto con Patrizia pendeva tutto dalla parte di Donatella.
Patrizia stava cominciando a stancarlo troppo ripetitiva a letto e poco desiderabile fuori di quello. Non sapeva comunicargli niente altro che le sue esigenze di femmina ma non aveva per lui nessuna frase o gesto che avesse un minimo di sentimento oppure di affetto.
Così quando un giorno era il quattordici, San Valentino, lei non gli aveva detto nemmeno mentendo che lui era il suo amore, l’aveva presa in braccio e buttata fuori casa in un impeto di rabbia incontrollabile.


Nelle giornate seguenti nessuno vide a scuola Patrizia che ogni giorno era assente all’appello.
Donatella inizialmente non diede peso al fatto e non telefonò nemmeno a casa di lei per sapere se fosse ammalata, conoscendo la cattiva abitudine dell’amica di fare spesso sega alla scuola.
Il quarto giorno, quando arrivò a scuola c’era un capannello di studenti in strada tutti intenti a leggere il “Piccolo”.
Donatella si accostò a Roberto e chiese cosa stavano leggendo sul giornale.
Il biondo di Vittorio Veneto esclamò.
- Indovina cosa è successo? -
- Cosa, - rispose Donatella non immaginando neppure lontanamente quanto Roberto stava per dirle.
- Non trovano più Patrizia, la famiglia ne ha denunciato la scomparsa. Dal quattordici sera è sparita dalla circolazione ed hanno trovato la sua macchina chiusa a chiave dalle parti della stazione ferroviaria. -
Donatella era rimasta allibita e cercò con gli occhi Fabio che si era disinteressato della notizia del giornale.
Era il solito Fabio, elegante, con i capelli ondulati ben pettinati e con la solita aria di gentiluomo che sfoderava nelle occasioni più importanti e difficili.
Pochi momenti dopo Fabio disse.
- Ti vedo un po’ preoccupata Donatella ma non ne vale la pena per una piccola puttana come Patrizia. -
Donatella fece un passo in avanti ed improvvisamente gli mollò un manrovescio in piena faccia.
- Non ti permettere mai più, in mia presenza, di parlare così della mia amica proprio tu che sei un lurido bastardo pregno di sadismo. -
Donatella girò sui tacchi e decise “ipso facto” di andare a casa dei genitori di Patrizia.


Il villino dove viveva la famiglia De Angeli si trovava dall’altra parta della città, dalle parti del rione di Sant’Andrea sulla collina che domina il porto e la Città Vecchia, ad un passo dall’Istituto religioso di Notre Dame ed era una casa molto graziosa con un piccolo giardino pieno di alberelli e fiori.
Donatella era stata in passato parecchie volte a casa di Patrizia e conosceva bene la mamma dell’amica la signora Francesca, un tipo bruno con occhi neri, molto somigliante a quelli della figlia.
Suonò il campanello e subito la signora De Angeli, in vestaglia di lana di colore violetto, apparve al cancello con il viso stravolto per il pianto e per l’insonnia di quelli ultimi giorni.
- Donatella, amore mio, entra. Come sono felice di rivederti non lo puoi immaginare. -
Disse tutta affannata e con le lacrime agli occhi.
- Cosa pensi tu, la migliore amica di Patrizia, della sua scomparsa? -
Implorò stringendo Donatella in un forte e commovente abbraccio.
La signora Francesca aveva sperato tanto nella visita di Donatella.
Per lei, la sua bambina, era un angelo e pensava che se avesse avuto dei problemi importanti si sarebbe confidata con Donatella piuttosto che con la mamma per non metterla in apprensione, ora che la sua menopausa era alle porte e le causava alcuni problemi alla pressione arteriosa ed al cuore.
Donatella accarezzò il viso della signora e per un attimo pensò prima a sua madre e poi se avesse dovuto dirle quanto sapeva della Patrizia degli ultimi tempi.
Lasciò passare un buon minuto prima di parlare.
- Cara signora De Angeli non penso che si debba allarmare per Patrizia. Non so perché sia scomparsa e l’unica cosa che posso dirle è che negli ultimi tempi, forse da un mese, non andava troppo bene a scuola credo per problemi di cuore. -
- Problemi di cuore? Con chi e da quanto duravano. Ti prego Donatella pensa a tua mamma se si trovasse nelle mie condizioni, dimmi quello che sai te ne supplico. -
Donatella rimase perplessa se dirle quello che sospettava sui rapporti tra Patrizia e Fabio oppure limitarsi ad un generico “non so precisamente con chi” e lavarsene le mani.
Subito dopo, quando la madre di Patrizia le disse che quelle domande le erano state rivolte dalla Polizia che voleva sapere ogni cosa della figlia, ebbe un ripensamento e le fece il nome di Fabio, dicendole anche che costui era un compagno di classe anzi il primo della classe e figlio di un magistrato che lavorava alla Procura di Trieste.
Donatella si rese subito conto di avere fatto la delatrice ma non se ne era pentita.
Con Fabio aveva un conto ancora non completamente chiuso e quasi provava una certa soddisfazione se la Polizia si fosse rivolta a lui per interrogarlo.
Forse un po’ di scandalo gli avrebbe fatto bene e soprattutto gli avrebbe fatto abbassare le arie di super uomo che si portava continuamente in giro.
Alla mamma di Patrizia non aveva però confidato che Fabio era stato anche il suo ragazzo precedentemente e come lo avesse inquadrato da un punto di vista caratteriale.
La signora De Angeli nell’accomiatare Donatella la ringraziò delle notizie che lei le aveva dato e concluse dicendole che avrebbe raccontato tutto al commissario.


E così i signori De Angeli chiesero al commissario Rozzi, che era stato incaricato di condurre le indagini sulla scomparsa di Patrizia, di poter fare una deposizione per fatti di cui solo allora erano venuti a conoscenza.
Il commissario, la stessa sera della visita di Donatella alla mamma di Patrizia, si recò gentilmente a casa De Angeli e venne informato su quanto Donatella aveva riferito riguardo ad un problema amoroso della giovane scomparsa con il compagno di classe Fabio Pisano, figlio del P.M. Pisano in forza alla Procura di Trieste.
Poi, come una ciliegia tira l’altra, furono interrogati uno dopo l’altro Fabio, Donatella e tutti i compagni di classe di Patrizia oltre che i professori.
Infine venne avvisato, informalmente, anche il Pubblico Ministero Pisano che, su tutte le furie a casa, mise sotto torchio Fabio su i suoi rapporti con la giovane compagna di classe.
Il P.M. ignorava tutto sul figlio ed in particolare che quello avesse a disposizione perfino un appartamentino, al cui affitto provvedeva lo stesso Fabio con pagamento automatico che attingeva i fondi da un conto corrente ben fornito di denaro, per un lascito che i nonni paterni gli avevano regalato, quando padre e figlio si erano trasferiti a Trieste all’inizio dell’estate del duemila e uno.
Al conto corrente era appoggiata anche una carta di credito con la quale Fabio provvedeva a tutti gli acquisti che potevano essergli necessari senza disturbare suo padre, che comunque gli forniva del denaro contante mensilmente, come una paga su cui poteva contare sempre.
- Senti Fabio, -aveva esclamato, non nascondendo al figlio il suo disappunto per i fatti di cui era venuto a conoscenza dalle indagini senza una parola del figlio, -ci eravamo messi d’accordo che potevi fare qualsiasi cosa liberamente senza chiedermi nessun permesso preventivo, ma non che fossi così imbecille da metter su un “pied à terre ” per le tue donne a mia insaputa, ben sapendo che qualsiasi scandalo si può ripercuotere sulla mia carriera. -
Fabio gli aveva risposto molto amareggiato.
- Lo sai papà che non farei mai niente che possa interferire con la tua posizione delicata in Magistratura. Non sono un delinquente che vuole nascondersi e così, come amo la mia libertà personale, ti dico e ti do la mia parola d’onore che io non c’entro assolutamente con la scomparsa di Patrizia con la quale tuttavia ho avuto anche rapporti sessuali. -
- Se non ti ho detto niente della mia vita privata è stato soltanto per non darti altri pensieri, oltre a quelli che normalmente hai, nel dovermi far crescere e poi aiutarmi nel capire, quando sarò laureato, quale sarà la mia strada senza una madre che possa prendersi cura di me. -
I due Pisano, a quel punto, si abbracciarono.
Con la lunga esperienza che possedeva il P.M. credette al figlio che non aveva nessuna colpa se piaceva tanto alle ragazze.






CAPITOLO QUARTO





Altrettanto duro ma anche più drammatico fu lo scontro tra Donatella e mamma Valeria.
Di tutte le esperienze sessuali della figlia diciassettenne, degli incontri con Fabio nel “pied à terre”, dell’odio che Donatella ora provava verso quell’individuo che le aveva fatto perdere la testa, se pure per un breve periodo di tempo, Valeria ignorava ogni cosa fin quando il commissario Rozzi non l’aveva convocata assieme a Donatella perché questa era ancora minorenne.
- Lei vuole farmi credere, signora, che ignorava totalmente quello che combinava sua figlia Donatella con il figlio del Sostituto Procuratore e che non si era accorta che sia sua figlia che la signorina Patrizia giocavano all’amore con lui? -
- Due ragazze con lo stesso uomo! E’ qualcosa di incredibile, se permette.il mio modesto parere. -
- E se le dicessi che non sarebbe molto fantasioso che le due ragazze portavano avanti un menage a tre, cosa penserebbe? -
Valeria si mise a piangere sommessamente e rivolgendosi a Donatella esplose.
- Devi rispondere tu al commissario, tu che sai che vita faccio da anni per farti studiare, sei proprio una ingrata! -
Donatella osservò la madre.
Sia lei che il commissario la avevano profondamente ferita. Sapeva di non essersi comportata bene ma non come Valeria aveva pensato.
Valeria le aveva insegnato ben altro già da quando era bambina, ma quelli episodi erano stati i primi della sua vita che aveva tenuto solo per se, per il semplice motivo che realmente Fabio era stato il suo primo e forse unico amore.
Ma la insinuazione che si fosse comportata come una lussuriosa sbandata e che addirittura lei e Patrizia avessero fatto del sesso in tre con Fabio era il colmo della grettezza del commissario Rozzi.
Si chiedeva se quell’uomo abituato a che fare con dei delinquenti avesse per caso ipotizzato una sua responsabilità nella scomparsa della sua amica.
Non era nemmeno facile spiegare a Valeria il perché le avesse nascosto quello che era avvenuto in quel tempo tra lei e Fabio e come la cosa era finita molto rapidamente insegnandole più di quanto avrebbe potuto imparare in anni di esperienze con altri giovanotti.
- Voglio affermare che nessuno si può permettere di farmi delle basse calunnie sul mio modo di vivere la mia vita privata, -dichiarò con voce alterata da un enorme groppo alla gola la maturanda, -nemmeno lei se non ha delle prove inconfutabili. -
Valeria aveva guardato sua figlia con ammirazione. Era diventata grande e decisa e non si faceva spaventare da nulla.
Pensò che in fondo aveva soltanto fatto all’amore con un giovane che le piaceva e basta.
Anche a Valeria la ipotesi di un menage a tre aveva provocato disgusto profondo e su quella possibile accusa sapeva che mai Donatella si sarebbe comportata in quel modo degno solo di esseri immondi.
Donatella sarebbe rimasta per la sua mamma la più brava e pulita ragazza del mondo e non vedeva l’ora di abbracciarla e baciarla come sempre aveva fatto.
Anche il commissario Rozzi si scusò con la giovane adducendo come norma di polizia, strigliare per bene chi fosse chiamato per spontanee dichiarazioni.ed aggiunse alla madre di Donatella i complimenti per avere una figliola determinata e molto intelligente.


Lo stesso Roberto quello di Vittorio Veneto, il ragazzo che aveva fatto il paio con Fabio Pisano come nuovo acquisto della classe all’ inizio dell’anno, venne invitato a dire la sua riguardo alla scomparsa di Patrizia De Angeli.
Il biondo simpaticone prese l’invito della Polizia con il suo solito carattere allegro e di buon tempone ma anche piuttosto superficiale.
Davanti al commissario si comportò da perfetto menefreghista affermando che con Patrizia all’inizio dell’anno aveva avuto una semplice relazione sessuale, che non era una novità per nessuno che Patrizia era di larghi costumi e che l’ultima volta che l’aveva vista era stato il tredici Febbraio ed in quella occasione la ragazza gli aveva detto di essersi infatuata di un tale del liceo Dante Alighieri senza specificare chi fosse.
Il commissario era rimasto stupefatto della disinvoltura del giovane e della sua assoluta indifferenza riguardo a ciò che potesse essere capitato alla bella mora, compagna di classe.
Roberto, durante il fiume di parole che aveva pronunciato, aveva però detto una cosa che ebbe il potere di suscitare l’interesse del Rozzi quando aveva fatto il nome di un professore del Francesco Petrarca che aveva spesso visto in compagnia di Patrizia quasi tutte le domeniche nella chiesa di Sant’Antonio Nuovo alla messa delle nove.
Si trattava del professore di storia e filosofia dell’altro famoso liceo classico di Trieste ubicato in viale Venti Settembre, un uomo sulla sessantina dai capelli castani che abitava dalle parti della stazione dei pullman a due passi da quella ferroviaria e che sembrava facesse lezioni private alla giovane e del quale non conosceva il cognome ma che disse essere leggermente claudicante
Nemmeno Donatella conosceva questo fatto e quando le fu chiesto di confermare la cosa, cadde dalle nuvole.


Fu un gioco da ragazzi scoprire il nome del professore e dove abitasse.
Il professore Giacomo Kleber era di origine austriaca ma italiano da parte della madre e lui stesso si sentiva di etnia italiana fino al midollo.
Era un tipo tarchiato, con i capelli brizzolati e con un paio di occhiali da miope dalle lenti spesse che lo facevano apparire più anziano della sua età e molto taciturno.
Le indagini sul professore furono discrete ma accuratissime.
In pochi giorni la Polizia era riuscita a conoscere vita, morte e miracoli su quell’insegnante e si venne a sapere soltanto che alcuni anni prima era stato denunciato per pedofilia, accusa caduta dopo un dibattito in tribunale per insufficienza di prove.
L’accusa aveva promosso appello che era finito in una bolla di sapone con l’assoluzione del Kleber per non aver commesso il fatto.
A questo punto, dopo una perquisizione nella sua abitazione, le indagini sulla scomparsa di Patrizia segnarono un rallentamento continuando solo quelle di routine, come avveniva in tutti i casi di scomparse di persone dove tutte le ipotesi potevano avere valore o nessuna importanza.


Che la famiglia De Angeli fosse più che benestante era di dominio pubblico ma che Patrizia fosse addirittura ricca non lo sospettava nessuno.
Fu merito di Fabio di scoprirlo.
Fabio parlando col padre riuscì a convincerlo di ordinare al gruppo dei finanzieri, che si interessavano delle indagini patrimoniali di fare delle ricerche in proposito.
Così venne scoperto che la bella Patrizia possedeva un conto corrente con più di duecento milioni su una banca di Tarvisio,al confine con l’Austria e che un paio di giorni prima della sua scomparsa aveva fatto un prelievo di ottanta milioni.
Ciò era avvenuto di lunedì e precisamente l’undici febbraio verso le tre e venti, dieci minuti prima della chiusura degli sportelli.
La guardia di finanza aveva dedotto che la ragazza, quel giorno, appena terminate le lezioni al liceo si era recata a Tarvisio
Godendo di una libertà assoluta nemmeno la madre ed il padre erano a conoscenza né di quel denaro né del conto corrente a lei intestato.
L’esame accurato degli estratti conto mise in evidenza dei versamenti senza scadenze fisse, fatti in contanti da Patrizia stessa, ogni volta molto consistenti.
Da dove provenisse tutto quel contante era un mistero per tutti, sia per chi aveva promosso le indagini sia per la famiglia, ignara di una doppia vita di Patrizia.
Tra marito e moglie ci fu un violento litigio perché ognuno accusava l’altro di aver permesso alla figlia una libertà esagerata e nessun controllo di come conducesse la propria vita.
Soltanto la signora De Angeli, qualche volta si era lamentata con la figlia del fatto che non si sapeva mai dove si trovasse e di giorno e di notte.
Patrizia si era fatta delle sonore risate ed aveva affermato.
- Vuoi forse che segua gli americani che se ne vanno di casa appena maggiorenni e che poi la famiglia ignori addirittura in che Stato, dalla California alla Florida, si trovino i figli? -
La signora De Angeli aveva fatto buon viso alla domanda della figlia ed aveva pensato che sarebbe stato meglio che le cose fossero rimaste in quel modo, perlomeno l’avrebbe potuta vedere di tanto in tanto se fosse rimasta a Trieste.
Quella figlia era stata sempre un pensiero fisso.
Non aveva recepito gli insegnamenti di colei che l’aveva messa al mondo ed in più non era mai stata in grado di avere una certa influenza su di lei e tanto era la sua sudditanza verso Patrizia che a nessuno si era confidata disprezzando pure il marito, sempre maggiormente preso dalle sue attività commerciali, per potere perdere tempo appresso alla figlia.
Anche al commissario Rozzi aveva nascosto tutto quanto della strana vita della figliola ed a lui aveva espresso unicamente il suo dolore di mamma.


Ai primi di marzo nessuno più parlava della scomparsa della giovane studentessa e soltanto il padre di Fabio proseguiva, con la caparbietà tipica dell’uomo, a raccogliere tutte le notizie che polizia e guardia di finanza accumulavano sul suo tavolo.
Tutto era diventato “Top Secret” ed anche Fabio ignorava quanto venisse lentamente ad accumularsi sul conto di colei che aveva trattato come una sgualdrina da quattro soldi.
Fabio, in un rigurgito di pentimento, capiva che la prima ad odiarlo era Donatella e se ne addolorava pensando che colei che era stata la sua bella biondina aveva in effetti mille ragioni da vendere sul suo conto.
Fabio aveva riflettuto a lungo sul perché si fosse comportato in quella barbara maniera proprio con una ragazza che quando si era messa con lui era un vero angelo di comportamento e di purezza.
Sapeva molto bene di avere un carattere non raccomandabile, ma perché prendersela con Donatella che era stata l’unica persona che si era fidata di lui in modo estremamente innocente ed offrendogli probabilmente una occasione unica per cambiare definitivamente il modo di essere e di pensare sulle donne e su tutto il mondo che considerava ostile e brutale?
Fabio si sentiva un gran figlio di puttana ma non riusciva ad interpretare il proprio modo di essere senza potere distinguere tra il bene ed il male e tra ciò che distingue un vero uomo da una bestia.
Egli era conscio di essere psicologicamente tarato dalla propria infanzia ed adolescenza ed aveva deciso di rivolgersi, in piena volontà e coscienza, ad uno psicoterapeuta di Trieste che era considerato il migliore della città giuliana.
Cosi facendo aveva, inconsciamente, dato ragione a Donatella quando quella si era convinta che avesse bisogno di cure per guarire dal bailamme delle proprie cognizioni civili sballate fino dalle fondamenta.






CAPITOLO QUINTO





Quella mattina di Marzo, dopo una nevicata che era durata tutta la notte, nel caldo del letto dell’albergo dove era ospite ormai da quasi quindici giorni, Patrizia si era strofinata gli occhi con voluttà quando, guardando fuori la finestra alle otto di mattina, aveva visto il Cristallo tutto bianco di neve immacolata.
Una grande commozione colse la giovane nell’osservare il panorama tutto intorno.
Guardando verso Cortina, gli abeti sembravano giganti vestiti di un manto pesante di un candore spettacolare ed in alto le vette seghettate delle Tofane imbiancate fino a valle.
Pareva un palcoscenico dalle tinte irreali creato da un artista del valore di Zeffirelli.
Patrizia pensò che valeva la pena di essere viva e giovane e che quanto era successo, dopo la sua fuga da Trieste ed i pericoli passati, non fossero nulla di fronte a tanta meraviglia.
Della scuola, della famiglia, di Fabio e di Donatella, della vergogna di essere esattamente il contrario di quanto tutti l’avevano considerata, non le importava assolutamente nulla.
Nessuno di loro aveva capito chi in realtà fosse la vera Patrizia, una creatura libera ed indipendente, che avrebbe fatto della sua vita esattamente quello che già da bambina aveva programmato senza remore morali e tanto meno pentimenti di sorta.


Era più di un anno che aveva programmato ogni cosa da quando aveva conosciuto, a Lignano, Ludovico, il soprannome del proprietario dei più grandi Casinò del nord della Slovenia.
Questi inizialmente era stato il suo amante segreto e le aveva detto che l’avrebbe sposata appena avesse finito il liceo.
Lud era l’uomo più affascinante del mondo.
Sempre abbronzato ed aitante come un vero atleta, aveva un sorriso meraviglioso ed una bocca dalle labbra carnose solo da baciare mentre gli occhi verdi, erano grandi e pieni di espressioni che cambiavano con estrema facilità ogni qual volta un pensiero gli attraversava il cervello.
Per la bella Patrizia era come un libro aperto e nei periodi che stavano insieme egli non vedeva né voleva vedere nessuna altra donna.
Dopo la prima estate di frequentazioni saltuarie con Patrizia le aveva detto.
- Amore mio, non ti devi sorprendere di quanto sto per chiederti. Io ho bisogno di un grande piacere da parte tua. -
- Si tratta di venire alle grotte di Postumia quando avrai tempo con la tua utilitaria. Farai un viaggio ogni tanto ed ogni volta dovrai portare in Italia un pacco nel bagagliaio che contiene armi. -
- Ti fornirò un permesso dell’Istituto Geologico di Lubiana ed un documento che sei una studiosa di geologia. Al confine non ci saranno controlli perché i doganieri sono uomini miei, tutti comprati e che risultano sul mio libro paga. -
Patrizia era rimasta perplessa ma non aveva fatto commenti, soltanto aveva chiesto.
- Dimmi Lud, perché dovrei farlo? Cosa ci guadagno oltre alla tua amicizia e gratitudine? -
- Ogni tanto ti darò diversi milioni. Tu aprirai su un conto corrente, oggi stesso a Tarvisio, i soldi in contanti li verserai tu stessa. Poi tutte le volte che ci vedremo ti darò parecchio denaro sempre in contanti ovviamente in euro quando sarà il momento e cioè dal primo gennaio del duemila e due. -


Le prime volte che Patrizia aveva fatto da corriere per Lud, quando si avvicinava al confine, le prendeva un forte batticuore al pensiero che potessero scoprire il pacco contenente armi ma poi, con l’abitudine e con il suo sorriso di brava ragazza, aveva acquisito tutta la sicurezza che si addiceva a quel compito in se assai pericoloso.
Nel periodo di tempo in cui era stata con Fabio aveva sospeso ogni viaggio in Slovenia ma nel gennaio aveva avvisato Lud che quello era un momento importante per lei, dovendosi preparare per l’esame di maturità.
Lo aveva pregato di non mandarle più, fino all’estate al fermo posta, nessuna comunicazione riguardante il traffico e che nel frattempo avesse provveduto diversamente anche perché a Lignano non sarebbe andata fino alla fine di Luglio.
Lud le aveva risposto che non era importante questa sua iniziativa ma la pregava di non dimenticarsi di lui che ormai l’amava più di ogni cosa al mondo ed anzi che era contento per lei in quanto le cose si erano alquanto ingarbugliate, a causa dei severi controlli iniziati da poco tempo, per la paura di nuovi attentati terroristici possibili anche in Italia.
Lud le aveva giurato, prima che Patrizia accettasse l’incarico offertole, che quanto lei avrebbe introdotto da Postumia non era roba pericolosa.
Si trattava di revolver per uso commerciale a prezzi molto più bassi del mercato italiano e che tale esportazione di contrabbando gli faceva guadagnare un mucchio di soldi, perché riforniva amici commercianti del nord Italia ed armaioli che si dilettavano nel fornire molti negozianti di revolver per uso di difesa personale.
Ancora Patrizia non aveva nemmeno telefonato a casa.
Si vergognava di parlare con la madre e soprattutto darle spiegazioni per la sua improvvisa scomparsa.
All’albergo Dolomiti vicino al Passo delle Tre Croci si trovava bene e perfettamente a suo agio e voleva prendersi ancora del tempo per meditare su quello che avrebbe fatto da quel momento in poi.
Aveva comprato una vettura quasi nuova da uno di Auronzo dove era stata alcuni giorni prima di stabilirsi più in alto verso Misurina.
L’auto era una Alfa 145 che sebbene un po’ incidentata le era costata soltanto quindici milioni di lire ma aveva un motore da favola ed era provvista di condizionatore e di catene da neve.
Con quella aveva fatto parecchi giri anche lunghi.
Aveva ammirato le Tre Cime di Lavareto, il lago di Misurina e poi in val Pusteria, San Candido e Dobbiaco con l’omonimo lago, una vera gemma, da dove si poteva ammirare la Croda Rossa.
In particolare era stata ammagliata dal lago di Braies e da tutte le cabinovie e seggiovie della zona intorno a Cortina a partire da quella del passo Falzarego e del Pordoi per non parlare della cabinovia al di sopra di Canazei da dove si poteva rimanere incantati dalla bellezza della Marmolada.
Patrizia si era abbronzata a quei raggi di sole ad alta quota ma non aveva voluto sciare nemmeno un poco memore della frattura che a tredici anni si era procurata proprio sciando a Sappada.


Gli occhi di Patrizia si spalancarono di meraviglia e di stupore quando, al tavolo accanto del ristorante, vide la faccia inconfondibile di Fabio in compagnia di una giovane con addosso un morbido maglione verde pisello.
Era una donna tra i venticinque ed i trenta anni, più alta di lei almeno di dieci centimetri.
Sembrava una modella oppure una attrice, non mancava di classe ed oltre a questa esibiva un bracciale d’ oro bianco tempestato di smeraldi.
Gli sguardi di Fabio e Patrizia si incrociarono e mentre Patrizia fece finta di non riconoscerlo, il ragazzo romano dopo avere chiesto scusa alla sua ospite, alzandosi in piedi si accostò al tavolo della sua compagna di scuola ed esclamò.
- Finalmente ti ho ritrovata bella pupa ed a pensare che quasi stavo per piangerti morta! -
- Lo sai che sei splendida così abbronzata, ti ricordavo stralunata ed assatanata e non ti nascondo che mi hai ridato la voglia di vivere e di ridere! -
Patrizia era rimasta muta e comprensibilmente sentì le gambe cederle anche se era rimasta a sedere.
Mentre lei rivedeva come una serie di rapidi fotogrammi le ultime immagini della sua storia con Fabio, quello riprese imperterrito.
- Non credere che abbia cambiato idea sul tuo conto perché non solo sei una sgualdrina senza cuore ma hai agito, scomparendo e creando un vero finimondo tra tutti noi che avevamo avuto la sfortuna di conoscerti, da perfetta puttana irresponsabile e vigliacca anche nei confronti dei tuoi genitori. -
Sentendo quel diluvio di improperi e di volgarità Patrizia, che aveva ricominciato a sentire scorrere il sangue lungo il corpo, in un attimo si alzò in piedi e con tutta la forza che possedeva gli allentò una solenne sberla.
Subito dopo corse nella sua camera e buttatasi sul letto cominciò a singhiozzare violentemente finché sfinita cadde in un sonno pieno di incubi.






CAPITOLO SESTO





Alle cinque e trenta del giorno successivo Patrizia si svegliò di soprassalto.
Aveva sognato tutta la notte Fabio sghignazzante che la scherniva con cento atteggiamenti diversi e con una infinità di parole dure, ricordandole il casino che aveva combinato e la fine che avrebbe fatto davanti al tribunale di Trieste, dove sarebbe stata condannata per traffico d’armi oltre alla vergogna dei suoi genitori che non l’avrebbero mai perdonata.
Quanto aveva impulsivamente fatto, quel quattordici Febbraio come reazione alle parole ed alla brusca ed inaspettata azione violenta del giovane amante romano, era ormai scritto sul suo libro nero.
Nessuna contromossa sarebbe stata sufficiente per mettere una pietra sopra il suo recente passato e Fabio, come un abile giocatore di scacchi, l’aveva inchiodata facendole perdere la Regina e quindi la partita.
Patrizia lo aveva sottovalutato. La sua permalosità di bambino aveva preso il sopravvento sulla sua intelligenza e lei non aveva capito che altro avrebbe dovuto essere il modo di agire di una Patrizia che in fatto di psicologia poteva dargli dei numeri.
Che importanza poteva avere quel rifiuto di uomo ad una come lei, ormai maestra dell’anima maschile ed esperta nel fare perdere la testa a qualsiasi uomo?
Non occorreva sparire, come aveva fatto, per una banalità simile; sarebbe stato mille volte meglio ignorarlo anche se l’umiliazione ancora le bruciava dentro
Se avesse veramente voluto allontanarsi dal liceo e da Trieste per un periodo sarebbe stato sufficiente dirlo alla madre perché le cose girassero in un altro e molto più favorevole modo.
Ma il vero motivo della sua sorprendente e non premeditata azione sconsiderata era stata in realtà la vendetta allo sgarbo di lui.
Era pur sempre una donna anche se esperta e giovane e bella.
Patrizia avrebbe desiderato rovinarlo proprio in quello a cui Fabio più teneva: la reputazione che in fondo considerava sacra.
Avrebbe voluto che lo accusassero di violenza sessuale con tutte le conseguenze penali del caso, anche per il motivo che, unico tassello non scoperto dalla polizia e da tutti gli altri investigatori, era stato un biglietto da lei lasciato nella Panda dove accusava Fabio di essere uno stupratore selvaggio.
Perché non avessero trovato quel biglietto che lei aveva lasciato in mezzo ai suoi libri era un mistero forse una distrazione dei primi poliziotti accorsi per aprire lo sportello della sua macchina.
Di questo era certa dal momento che Fabio la sera precedente non aveva detto nulla a riguardo.


Alle sei in punto Patrizia pagò il conto dell’albergo e con le sue due valigie salì sulla 145 e velocemente puntò su Milano prendendo per Pieve di Cadore e di seguito la Superstrada per Mestre.
Quando fu all’altezza di Vittorio Veneto, Patrizia non potè fare a meno di pensare al suo compagno di classe Roberto.
Quella città l’aveva da sempre tenuta nel cuore.
All’età di dodici anni il suo primo amore era stato proprio un ragazzo di quel posto che aveva incontrato sugli sci a Corvara
Lo aveva rivisto l’anno successivo quando a Sappada si era fratturata ed avrebbe pagato, non sapeva quanto, per vedere come era diventato dopo tutti quelli anni.
Prima di Vittorio Veneto aveva solo rallentato, poi in un attimo si disse “ma guarda un poco che mi passa nella mente in un momento come questo, non cambio mai”
Superata la barriera di Venezia, anche se la nebbia non permetteva più una velocità di crociera sufficientemente elevata, riuscì ad arrivare a Bologna alle dieci.
Patrizia si fermò al primo Auto Grill che vide sulla corsia nord dell’ Auto Strada del Sole per prendersi un cappuccino e fare benzina e dopo soltanto due ore e mezzo, quando la nebbia si era ormai diradata, arrivò al casello di Melegnano prendendo immediatamente la tangenziale ovest.
Impiegò pochissimo per giungere con la A8 a Gallarate dove, dopo aver trovato una Auto Rivendita cedette la 145 ad un prezzo stracciato di dieci milioni e preso un taxi si fece accompagnare alla Malpensa dove acquistò un biglietto per Londra su un aereo in partenza alle quattordici e trenta.
Non vi fu nessuna difficoltà al Chek-In quando esibì il passaporto.
Patrizia aveva ancora mezz’ ora di attesa prima dell’imbarco. Si accomodò su una poltroncina della sala dei passeggeri in partenza ed ebbe un violento desiderio di sentire una voce amica che le parlasse in italiano.
Comprò una carta telefonica di diecimila lire e fece il numero di Donatella.
- Sei tu Donatella? -Chiese alla risposta solita “pronto chi parla”.
E senza che l’amica del cuore dicesse alcunché, continuò.
- Amore mio, non potevo andarmene senza salutarti e dirti che ti voglio bene e senza farti stare preoccupata perché sto bene e non mi è successo nulla di grave. -
Donatella fece un sospirone che attraversò come una saetta la linea telefonica.
- Patrizia, perché te ne sei andata così in silenzio. Sapessi cosa è successo dopo che te ne sei andata. Mi manchi tanto e mi sembra che io abbia perso una parte di me stessa. -
- Se hai agito in quella maniera assurda e non degna della tua intelligenza, ne avrai avuto un motivo molto importante. -
Patrizia, senza freno, si mise a piangere e senza pudore raccontò a Donatella il motivo che l’aveva spinta a sparire dalla circolazione senza avvisare nemmeno i genitori.
Le disse di Fabio e che si vergognava per averla tradita senza avvisarla su cosa stesse combinando.
Subito dopo la implorò di non dire a nessuno della telefonata e di avvisare la sua mamma di averla sentita da una località che aveva giurato di non potere riferire ma che godeva di ottima salute e che non doveva preoccuparsi per lei che prima o poi l’avrebbe contattata.
Dopo un attimo concluse, smentendosi.
- Sto partendo per l’Inghilterra, giurami che manterrai il mio segreto e vedrai che ci rivedremo presto perché in ogni caso già soffro di nostalgia per non essere vicina a te. -
Patrizia non aggiunse altro e dopo aver salutato l’amica e ringraziata, per tutto quello che avrebbe fatto per lei senza metterla in altri guai, chiuse la cornetta.
Sapeva bene che poteva fidarsi ciecamente di Donatella e che avrebbe fatto di tutto per farla venire da lei in Inghilterra.
L’aereo stava per partire.
Patrizia pensò.
- Chissà quando potrò ritornare in Italia ed essere felice! -


Patrizia avrebbe compiuto i diciannove anni e mezzo ad Agosto nel periodo che Donatella sarebbe divenuta maggiorenne e dopo l’esame di maturità che Patrizia non avrebbe più dato.
Donatella pensò queste cose dopo la telefonata dell’amica mentre quella si trovava già in volo verso Londra.
La telefonata dall’aeroporto aveva avuto un duplice effetto sulla diciassettenne di via Giulia.
Da un lato aveva provocato in lei un profondo rammarico, anche se avesse tenuto fede a quanto promesso, dall’altro si era sentita sollevata da un peso insopportabile che poi era quello di non doverla più immaginare morta ma di saperla viva, libera ed in piena salute.
Voleva tanto bene a Patrizia e per quanto l’avesse fatta soffrire con quella assenza senza darle nessuna notizia di se, pensò intensamente incrociando le dita delle mani in segno di augurio,” che tu abbia buona fortuna amica mia”.
Patrizia le aveva pure raccontato dell’incontro con Fabio.
Donatella consolidò ancora di più la convinzione che il giovane romano doveva ancora crescere molto per diventare un vero uomo.
Ricordava bene quanto l’avesse amato ed il suo non era stato un amore giocoso adolescenziale piuttosto l’impatto, che prima o poi avrebbe dovuto avere, con il fenomeno psicologico che ogni giovane donna incontra da ragazza con l’altro sesso.
Donatella sapeva che era anche colpa sua se le cose erano andate male.
Proprio lei, che si considerava una ottima psicologa, aveva sbagliato considerando la personalità di Fabio, forte e debole allo stesso tempo, nello accettare invece che un amore romantico la sua proposta di andare a letto con lui.
Adesso sì, comprendeva di non aver saputo attendere sufficientemente per quella esperienza che poi l’aveva umiliata.
Cosa avrebbe potuto desiderare di più se non uno scambio di dolci promesse e di semplici baci una ragazza che ancora non aveva avuto nessuno da amare?
E d'altronde anche se si fosse comportata diversamente perché avrebbe dovuto avere un così repentino ripensamento ed odiarlo a quel modo?
Fabio non l’aveva costretta e lei era stata libera di decidere se accettarlo oppure non volerlo.
L’immaturità, l’avere fatto un passo più lungo della gamba, dirgli di volere rimanere vergine e poi volere perdere la sua verginità con lui, che le aveva promesso il contrario, offendersi e sperare che Fabio non fosse in grado di resisterle, questo certamente era stato il segno evidente che una cosa è il desiderio ed un'altra, ben più importante la determinazione di quello che vuoi realmente dalla vita.
Almeno Patrizia sapeva cosa fare. Prendeva le sue precauzioni ed agiva di conseguenza e non si chiedeva se quello o quell’altro potessero essere gli uomini della sua vita.
La deduzione a quel punto era di facile soluzione.
Tra lei e Patrizia risultava evidente che Donatella era rimasta ancora una bambina di altri tempi con tutti i dubbi e le perplessità della sua età ed il conseguente frutto di una educazione tradizionalista che e la mamma e la zia le avevano impartita e dalla quale non era ancora in grado di staccarsi.
Su Fabio aveva pensato cose terribili. L’aveva considerato un anormale psicopatico quando , in realtà, era soltanto il risultato di una vita difficile da sopportarsi per evidenti traumi psicologici infantili.
Che fosse un superdotato lo si vedeva non solo a scuola ma anche dalla confessione che una settimana prima, ora che Donatella si era decisa di scambiare qualche parola con lui, le aveva fatto di recarsi un paio di volte la settimana da uno psicoterapeuta.
Egli ancora aveva degli scatti non frenabili, come aveva dimostrato a Patrizia in montagna e come la sua amica le aveva raccontato al telefono, ma Donatella sapeva che quel ragazzo sarebbe stato importante nella sua vita, forse più in là negli anni.


Sabato di pomeriggio, il sette Aprile, squillò il campanello a casa di Donatella.
Lei andò ad aprire la porta e vide Fabio con un gran mazzo di rose rosse sorridente.
Il viso di Donatella mostrò contemporaneamente sorpresa e piacere.
I suoi occhi, in quel momento di un incantevole colore verde azzurro, non sapevano se esprimere una o l’altra delle due sensazioni che aveva provato nel vedere Fabio un po’impacciato e sorridente ma serio.
Infine disse, -mi fa piacere che per la prima volta mi fai un omaggio floreale anche se, non ti nascondo, non me lo aspettavo. -
Subito dopo, Donatella gli fece un cenno di sorriso e poi proseguì.
- Cosa vuoi manifestare con queste bellissime rose rosse, forse che non ti sei dimenticato di me oppure vuoi che ti perdoni per avermi fatto soffrire tanto?
Fabio le passò le dita delle mani, con una lieve carezza, tra i biondi capelli morbidi ed un po’ ondulati ed avvicinandosi, si inginocchiò davanti alla ragazza e semplicemente disse, -perdonami sono un imbecille ed ancora di più lo ero quando mi hai lasciato. -
Si sedettero sull’unico tappeto persiano della sala da pranzo, di fronte al televisore, a gambe incrociate.
Era un vecchio Kirman, con al centro un medaglione polilobato ripetuto in quarti agli angoli e con figure di alberi fioriti, ricordo del papà di Donatella che lei stessa puliva accuratamente tutti i giorni e venerava come un cimelio e dove spesso si sdraiava a meditare.
Aveva invitato Fabio a mettersi vicino a lei ma prima aveva riempito d’acqua un bel vaso di cristallo, che troneggiava sul tavolo accanto al televisore e dove c’erano parecchie fotografie di suo padre con lei in braccio piccolina e biondissima, e dove aveva posto le rose.
- Sono contenta che tu sia venuto a casa mia ed è la prima volta che lo fai. Se ti fa piacere domani, domenica, ti invito a pranzo e così conoscerai mia mamma. -
- Desidero che tu la conosca perché il Signore mi ha tolto mio padre ma mi ha compensato con una mamma eccezionale che si è sacrificata alla morte per farmi crescere e studiare .-
Fabio guardò gli occhi di Donatella, accennando col capo ad un sì. Aveva capito che la giovane era ancora innamorata di lui ma che aveva deciso di agire molto diversamente da prima.
Infatti lei disse.
- Vedi Fabio non ti ho dimenticato anche se mi sono sforzata di farlo. Ti voglio molto bene ma desidero, se lo vorrai, iniziare una nuova vita con te molto diversa da quella che entrambi ricordiamo con amarezza, perché avrò bisogno soprattutto di un uomo che mi protegga. -
Fabio le si accostò ancora più vicino, prese le belle mani di Donatella e le baciò con infinita tenerezza.
Pensò che quella biondina probabilmente sarebbe diventata sua moglie dopo che tutti e due si fossero laureati.







CAPITOLO SETTIMO





A Luglio i due giovani superarono con il massimo della votazione l’esame di maturità e la gioia contenuta di Fabio fu invece esplosiva in Donatella.
Avevano preparato l’esame insieme studiando alternativamente una volta da Donatella ed una altra da Fabio, dalla mattina alla sera, con un impegno straordinariamente serio per due persone già molto pronte e sicure in tutte le materie.
Donatella aveva finalmente conosciuto il padre di Fabio, un uomo tutto di un pezzo e molto preparato nel campo giuridico sul quale intratteneva i due studenti, aprendo loro gli occhi su materie legali che, pur non avendo nulla a che fare con l’esame in programma , avevano il potere di insegnare loro e la logica e la sintesi del ragionamento.
Poteva apparire un tantino burbero ma invece era una pasta d’ uomo che, pure severo nel modo di agire, amava il figlio esageratamente quasi fosse non solo il papà ma anche quella madre che quello non aveva mai avuto.
Lo consigliava ma al tempo stesso sapeva ascoltarlo, tanto che Donatella lo aveva cominciato ad ammirare specialmente da quando egli le aveva detto alla presenza di Fabio.
- Figliola, conosco la tua storia e quanto hai lottato finora per lo scopo che ti eri prefissata ma da questo momento, avendo constatato “de visu” il tuo ed il suo affetto e probabilmente l’amore che avete entrambi negli occhi, desidero che tu abbia in me un amico cui potersi i rivolgere in ogni caso o bisogno.
- Ho saputo da Fabio che tua mamma, non appena diverrai maggiorenne e questo il dieci Agosto, ti consegnerà il denaro che ha ricevuto come risarcimento per la morte di tuo padre. Aveva osservato la giovane coppia, abbracciata davanti a se, con commozione.
Fabio e Donatella erano splendidi e ben accoppiati sia fisicamente che spiritualmente e gli pareva che ciò che mancava all’uno, l’altra lo possedesse.
La dolcezza di lei era tangibile e riusciva a smussare finalmente quegli angoli del carattere del figlio che egli non aveva saputo penetrare.
Quella biondina dagli occhi di sognatrice gli piaceva e così dichiarò.
- Puoi farne ciò che vuoi ma, se desideri un mio spassionato consiglio, tienili ben stretti quei soldi. So che nella vita succedono molti imprevisti e bisogna essere pronti ad affrontarli. -
Il papà di Fabio osservò il figlio come per averne il consenso e vedendolo commosso proseguì.
- Ai tuoi studi universitari provvederò io, se me lo permetterai e questo devi considerarlo soltanto un mio modesto regalo per il tuo esame di maturità. Non posso considerarmi tuo padre ma so che egli approva quanto desidero fare per te perché, se fosse ancora in vita, lo farebbe lui stesso. -
Donatella non riuscì a frenare i singhiozzi che le erano saliti dalla gola e in attimo di slancio affettivo per quell’uomo, lo abbracciò con tutto l’impeto della sua gioventù, pensando al suo povero papà.


Il Magistrato Mario Pisano era un uomo che accendeva la fantasia delle donne, sia di quelle con cui lavorava giornalmente che di tutte le altre, per lo stile ed il carisma che gli derivava dall’aspetto asciutto e dai capelli brizzolati precocemente nonché dagli occhi, che apparivano ancora più grandi per la miopia che si portava appresso da quando era adolescente.
Più tardi, sia durante l’Università che in seguito quando era stato nominato pretore prima a Rieti e poi a Roma, quella era peggiorata notevolmente tanto da costringerlo a portare lenti più spesse.
A Trieste aveva compiuto cinquanta anni ed era incredibile la mole di lavoro che doveva sbrigare anche se, per mera fortuna, non aveva bisogno di portare occhiali da presbite per leggere e questo grazie alla sua miopia.
Era un notevole psicologo ed un ottimo parlatore ed era stato proprio lui quello che aveva insistito con Donatella per conoscerne la madre.
Così anche Valeria lo aveva frequentato saltuariamente negli ultimi tempi, quando, accompagnando talvolta Donatella nella di lui abitazione, per essere premurosamente vicina a quel Fabio che ormai sua figlia chiamava il suo fidanzato, accettava volentieri anche degli inviti a pranzo - specie nelle domeniche -fatti con estrema cortesia dal Magistrato.
Alla fine, ne era rimasta affascinata.
Il dottore Pisano, come lo chiamava, non le aveva fatto nemmeno lontanamente sentire la differenza di classe sociale e si era comportato come un vecchio amico, premuroso ed attento alle sue esigenze di mamma e di donna.
Da quando le era morto il suo Luigi in quella maledetta sparatoria aveva pensato solo a lavorare ed a far crescere la figlia con sani principi.
Però il lavoro non le aveva tolto l’avvenenza di quando era giovane ed ancora adesso, a quarantacinque anni, chiunque di sesso maschile che la conoscesse tentava di corteggiarla mentre allo stesso tempo provava una forte ammirazione e simpatia nei suoi riguardi.
Non aveva mai avuto alcun uomo a cui appoggiarsi o da amare anche se, rimanendo vedova a soli trenta anni, le erano girati attorno decine di bellimbusti attratti in particolare oltre che dalla sua dalla sua bellezza molto più appariscente di quella di Donatella cui assomigliava come una goccia d’acqua, anche e soprattutto dai suoi modi cortesi e gentili di agire.
Fu in una domenica che il dottor Pisano le dichiarò il suo amore.
Sarà stato il caldo di quella giornata di luglio o meglio la luna piena di quella serata che, mentre i ragazzi si trovavano nello studio di Fabio provvisto di aria condizionata a riguardare la letteratura greca, sul balcone di casa Pisano, Valeria e Mario si confidarono l’uno all’altra riguardo la solitudine che entrambi vivevano come un calice amaro.
Mario non volle entrare nel merito del proprio divorzio mentre manifestava a Valeria quanto fosse duro e difficile non avere nessuna persona a cui confidare i propri pensieri e le proprie ansie che anche un magistrato, alla pari di chiunque, sente per fortuna non molto spesso.
Era il lavoro continuo che gli dava una mano per dimenticare anche i problemi più impellenti e le tristezze più struggenti o le cose più semplici e quotidiane.
Mentre Valeria lo ascoltava pensò che in ultima analisi Mario Pisano era un poveruomo.
Solo e con un ragazzo ormai avviato a diventare uomo cosa poteva aspettarsi senza una donna accanto che sapesse consolarlo nei momenti più delicati?
Valeria guardò la luna bianchissima nel cielo stellato, sentì le ginocchia tremolanti e delicatamente si fece baciare da Mario sulla bocca.
Valeria rimase stupita e subito dopo rispose a quel bacio con un altro bacio più appassionato.


Una settimana dopo l’uscita dei quadri con gli esiti dell’esame di maturità cadeva l’anniversario della nascita di Donatella.
Era diventata maggiorenne, quel traguardo importante del passaggio da adolescente ad adulta che aveva sognato tanto negli ultimi mesi e pur non dandovi eccessiva importanza, aveva sentito intorno a se un grande calore, come se tutti le volessero bene e fossero felicii per lei.
Tutti i compagni di classe la vollero festeggiare ed i regali fioccarono come mai aveva visto durante gli anni del liceo.
Valeria e Donatella vollero offrire a tutta la classe ed ad altri amici e parenti un grande rinfresco, in una sala riservata del Caffè degli Specchi, al quale parteciparono in primo luogo Fabio e suo padre.
Donatella era radiosa, non più pallida ma abbronzata dai primi bagni di mare e di sole che insieme a Fabio aveva fatto a Sistiana ed il verde azzurro dei suoi occhi, non più stanchi dalle nottate passate sui libri, splendevano di felicità nella considerazione che molti dei suoi compagni di classe avevano posticipato le partenze per le vacanze di qualche giorno per starle vicino.
Tutti erano stati promossi e tutti erano stati dichiarati maturi, magari con il minimo della votazione, ad eccezione di Patrizia che da mesi non si era più vista al liceo.
Anche lei, però, non si era dimenticata della sua più cara amica.
Il giorno prima Donatella aveva ricevuto un gran pacco da Londra ed una .lunga lettera contenente tre “nontiscordardimé”.
Nel pacco Patrizia aveva messo il suo regalo: un grande orsacchiotto di peluche ed un orologio classico d’oro molto elegante con piccoli brillanti attorno alla cassa piatta ma compatta.
Patrizia si era fatta sentire un paio di volte al telefono, precedentemente e le aveva raccontato come viveva a Londra e dove lavorava.
Era stata scelta tra più di cento ragazze come indossatrice da una casa di moda e le sfilate avvenivano molto spesso oltre che a Londra anche in molta altre città del Galles e della Scozia,
Guadagnava molto bene e si poteva permettere adesso una vita quasi lussuosa con un compagno italiano, proprietario di un famoso Atelier, con il quale conviveva da un paio di mesi.
Le aveva anche detto di essere innamorata veramente di quell’uomo elegante e sobrio ed allo stesso tempo di classe e che la sua carriera di modella sarebbe stata luminosa.
Donatella l’aveva conforta raccontandogli che non c’erano più indagini sul suo conto e che soltanto la Finanza voleva sapere da lei come avesse guadagnato quei duecento milioni che avevano trovato sul suo conto corrente.
Patrizia non se ne era più preoccupata ed aveva risposto a Donatella che aveva in mente una spiegazione plausibile anche se per il momento non aveva alcuna intenzione di tornare in Italia.
Si era però molto meravigliata del fatto che Fabio era diventato un altro ragazzo e che Donatella cominciava a stimarlo.
Ma ancora di più si era stupita quando Donatella le aveva detto che il rispetto e la tenerezza che lei provava ora per Fabio era da lui condiviso pienamente e che anche il papà di Fabio era dell’avviso che Donatella fosse l’amica ideale per quel figlio fino allora piuttosto scorbutico.
Anzi il magistrato le aveva manifestato di provare una grande stima per lei, mostrandole affetto e dicendole di volerle bene e considerandola quasi una figlia acquisita.
Non si erano confidate su altre cose ma si erano ripromesse di vedersi, probabilmente in Inghilterra,. dove lei sarebbe andata per un periodo, prima di iscriversi a Trieste a Giurisprudenza.


Alla festa per Donatella il dottore Mario Pisano aveva annunciato che Valeria sarebbe diventata sua moglie tra breve ed aveva regalato a Valeria un brillante di più di un carato, bianchissimo e purissimo che infilò al dito della donna che avrebbe fatto da madre anche per Fabio.
Valeria era stata contrariata all’inizio riguardo quella sorpresa che aveva tenuto segreta anche a Donatella ma quando vide, sia Fabio che sua figlia contenti per quell’annuncio, raggiunse il settimo cielo per la felicità che stava provando e volle fare un brindisi a Fabio ed a Donatella per gli esiti degli esami e per i diciotto ani di sua figlia sorridendo senza pensieri tristi, come da anni non era più capace di fare, al suo futuro marito.
Anche se di questo non si parlò fu evidente a tutti che in seguito i due giovani avrebbero anche loro pensato al loro matrimonio.
Ci furono grandi applausi, baci ed abbracci.
Ognuno volle manifestare la sua serenità e la propria gioia.
Finalmente una bella notizia dopo un anno di sudore e di pensieri non certo allegri con quello che era successo a Patrizia.
La “ragazza di pietra”, così era soprannominata da sempre la bellissima Patrizia , aveva lasciato un vuoto incolmabile, seppure un ricordo stranamente affascinante per il modo diverso, da tutti gli altri non così audaci né coraggiosi, di determinare il proprio destino..








CAPITOLO OTTAVO





Quando Donatella entrò in possesso del denaro che il giudice aveva assegnato a lei ed a Valeria, quale compenso che l’avvocato di parte civile aveva chiesto ed ottenuto per la morte di Luigi nella rapina dove suo padre aveva perduto la vita e che sua mamma le aveva destinato al compimento dei diciotto anni, la somma risultò ancora più alta di quanto Valeria avesse immaginato.
Il vincolo bancario aveva prodotto in quindici anni il raddoppio del capitale investito. Si trattava di quattrocento milioni, lira più o meno che Donatella pensò di dividere con la mamma stabilendo in centocinquanta milioni la parte destinata a Valeria.
Davanti al notaio Donatella dettò la sua volontà, mentre Valeria si schernì asserendo di non volere nulla di quel denaro.
Non ci fu niente da fare.
Donatella affermò che quei soldi rappresentavano solo delle briciole per tutto quello che la mamma aveva fatto per lei e soltanto per accontentarla avrebbe tenuto il resto per se allo scopo di non pesare più, almeno per gli studi universitari, sul bilancio familiare.
Il futuro marito di Valeria non volle intervenire in quella disputa tra madre e figlia osservando tuttavia che avrebbe comunque mantenuto la sua promessa di considerare Donatella come la sua seconda figliola e che all’Università avrebbe provveduto lui come si conveniva ad un padre.
Aveva esclamato rivolgendosi a Donatella.
- Tieniti almeno una parte di quei soldi per dopo la Laurea in Legge, vedrai tu stessa come serviranno! -
Sorridendo aveva aggiunto. -Adesso tu e Fabio dovete farvi un bel viaggio ed andare all’estero per farvi una idea del mondo fuori da Trieste. -
Mario intuiva il desiderio dei due giovani di starsene un poco da soli e così sarebbero stati veramente premiati dell’ottimo esito del loro esame di Maturità.
Ma una cosa non sapeva che il desiderio di Donatella e Fabio era di sperimentare cosa sarebbe successo quando si fossero ritrovati, soli ed innamorati, dopo le esperienze che avevano avuto nei mesi di Novembre e Dicembre dell’anno precedente , finite in una bolla di sapone e che avevano portato ad un odioso distacco dei due.
Tutto il programma sarebbe andato in porto dopo il matrimonio con Valeria che era stato fissato per il quindici Agosto.
I due sposi sarebbero partiti per un viaggio di nozze negli Stati Uniti, rimanendo prima tre settimane a New York e dintorni poi altre due in California mentre i due giovani sarebbero partiti per una altra destinazione, che avrebbero deciso di comune accordo.
Su questo punto ci fu una diversità di opinione.
Mentre Donatella avrebbe desiderato andare in Inghilterra, Fabio, che non aveva piacere di rivedere Patrizia, cercò di farle cambiare idea proponendo un viaggio in Spagna dove avrebbero potuto anche fare dei bagni di mare possibilmente a Palma di Maiorca.
Alla fine decisero un compromesso. Sarebbero andati prima a Londra per due settimane e poi sarebbero volati a Barcellona da dove avrebbero preso un traghetto per Maiorca.
Il matrimonio di Valeria e di Mario avvenne al Municipio dal momento che Mario era divorziato e fu una cerimonia emotivamente intensa ma molto privata.
Oltre ai testimoni ci furono una dozzina di invitati tra i quali la cognata di Valeria, Flavia che aveva aiutato Valeria quando Donatella era ancora una bimbetta.
Flavia che ormai era diventata una vecchia signora fu la più felice di tutti per il bene che sempre aveva avuto nei confronti di Valeria e questa, senza vergognarsi per nulla, si era molto commossa quando il vice sindaco le chiese se volesse sposare Mario.
Donatella ,vestita di un bel completo azzurro, le fu accanto facendole sentire fisicamente quanto l’amasse ed anche per farsi perdonare di averla delusa nella convinzione che quella figliola seguendo la carriera del suo povero papà, si sarebbe iscritta a lettere.
- Mamma,- le aveva sussurrato in un momento di estrema sincerità,- non me la sento di fare la professoressa e preferisco studiare Legge che mi potrà dare molte più possibilità di lavoro. -
Valeria rispose alla figlia.
- Devi fare quello che desideri e non darti pena per me che sono già felice che il compito prefissatomi, di condurti per mano all’Università, lo ho eseguito felicemente. -


Donatella conosceva il numero del cellulare di Patrizia e benché lo avesse fatto diverse volte quello risultava sempre o chiuso o non raggiungibile.
La giovane alla fine si era spazientita e lo aveva detto a Fabio.
- Vedi che ho ragione io, -disse il ragazzo alla bionda fidanzatina, -Patrizia è una persona non affidabile, credo che immaginasse che tu le avresti telefonato.
Quella è un tipo anaffettivo ed anche se si è ricordata del tuo compleanno non puoi fidarti di lei. -
- Non credo che tu abbia ragione, -rispose Donatella con un po’ di broncio dipinto sul viso, -certamente avrà le sue ragioni nel tenere chiuso il suo telefonino e speriamo che non si sia messa una altra volta nei guai. -
- Certo che è rimasta un bel tipo, -affermò dopo una piccola pausa Fabio ridendo. -
- Ti sta proprio sullo stomaco a quanto sembra. Non è che ti piace ancora come quando è stata la tua amante? -
A questa domanda diretta pronunciata con voce melliflua, Fabio rispose rapidamente.
- Donatella non cominciare a farmi la gelosa. Per me quella donna, quella ragazza solo sesso e niente cuore è morta e sepolta. Non mi meraviglierei che si sta facendo la collezione di tutti gli uomini che contano a Londra. -
Donatella, con un gesto istintivo gli tappò la bocca con una mano.
- Sei cattivo nei suoi confronti caro amico mio e se continui ad offenderla mi arrabbio sul serio. -
Donatella era diventata come una miccia pronta ad esplodere.
Era diventata rossa in faccia proprio lei, con quel bell’ incarnato pallido, mentre pensava a quante volte il suo Fabio avesse fatto all’amore con Patrizia.
Forse aveva avuto ragione Fabio quando le aveva ripetutamente detto di dimenticarsi di Patrizia, come aveva fatto lui, che con quella splendida ragazza aveva passato momenti erotici che era meglio non rivangare.
Certamente Patrizia era molto più appetitosa di lei con quella carne tosta ben distribuita in ogni angolo del corpo, senza parlare del seno scultoreo, che da solo era in grado di inebetire qualsiasi uomo dotato di ormoni.
Fabio capì al volo quanto stava passando per la testa di Donatella e per rabbonirla si avvicino alla sua amata e le disse.
- Non darti pena Donatella io amo ed amerò soltanto te nella mia vita.Tu sei unica, tu sei il mio sogno, la mia fata e la mia principessa. -
Poi concluse baciandola appassionatamente con una citazione erudita ma comune “Non ti curar di loro ma guarda e passa”.


Donatella riuscì comunque a portare Fabio a Londra.
Era sta un po’ in dubbio se accontentare Fabio ed andare subito in Spagna oppure rivedere Patrizia e se quella avesse ancora qualche rimembranza del periodo in cui era stata l’amante del suo uomo.
Era riuscita finalmente a parlare con la sua amica telefonando una sera molto tardi.
- Ti do una buona notizia, -aveva iniziato allegramente a dirle, -vengo a Londra con Fabio tra due giorni. Saremo all’aeroporto di Heathrow alle sei di pomeriggio di sabato 18 Agosto con un volo della Virginia proveniente da Roma. -
- Con Fabio chiese, - incuriosita e sorpresa, -perché proprio con Fabio? -
- Te lo avevo già detto, -rispose Donatella, -che io e Fabio ci siamo avvicinati, ma forse non hai creduto che le cose fossero davvero molto serie, ti posso anche dire adesso che mia madre e suo padre si sono sposati il quindici Agosto.
- Non ti ho spiegato i particolari soltanto perché non ne ho avuto l’occasione. Il tuo cellulare è sempre spento, come mai? -
- Ah il mio cellulare …hai ragione. Dove lavoro vogliono che lo tenga non attivo e poi non ho molti amici qui che mi cercano. -
La voce di Patrizia si era fatta fredda e non aveva manifestato, come invece Donatella si aspettava, nessun motto di gioia o tanto meno di curiosità.
La prima cosa che passò nella mente di Donatella fu che a Patrizia non importava niente di vederla e tanto meno assieme a Fabio.
Forse non se la passava troppo bene così sola all’Estero e forse non era vero che fosse diventata quella modella importante come le aveva detto precedentemente al telefono.
Non era da Patrizia comportarsi in quel modo abulico, piuttosto sarebbe stato più normale se lei si fosse fatta una bella risata. Quindi domandò.
- Come va con il tuo fidanzato italiano? Sei sempre innamorata di lui? -
- Ma ché, mi prendi per una stupida. Quello voleva soltanto possedermi come faceva con tutte le altre modelle! Lo ho mandato al diavolo però… e questo mi è costato caro, perché da quel momento non mi ha fatto più lavorare con lui ed oggi mi arrangio e faccio la modella solo per pittori, scultori e fotografi di moda. -
- Sono finiti i tempi belli quando guadagnavo cifre da sogno. Mi devo accontentare di quello che passa il convento e pian piano mi sto mangiando tutti i soldi che ero riuscita a mettere da parte. -
Donatella aveva visto giusto e chissà quante altre cose non le aveva voluto dirle!
- Non devi preoccuparti , -disse Donatella con slancio, -a Trieste hai una mamma ed un papà e se vuoi, puoi tornare tranquillamente qui. -
- Nemmeno morta, - le rispose Patrizia, -non mi va di vivere con i miei, pensa che non ho mai telefonato a casa da quando sono a Londra. -
Donatella pensò in un attimo che la ragazza con cui aveva vissuto tanti anni di scuola non esisteva più e che la situazione psicologica di Patrizia era più grave di ogni più pessimistica previsione.
Lei e Fabio sarebbero comunque andati a Londra per cercare di rinsavirla
Partirono il giorno dopo per Roma, dormirono in un albergo vicino all’aeroporto Leonardo da Vinci, l’Hilton e la mattina successiva presero il volo per Londra.























CAPITOLO NONO





Patrizia si fece trovare a Heathrow. Era sempre una stupenda ragazza forse più bella di prima, un poco sciupata in volto ma sempre dalle forme sensuali e scultoree.
Donatella le si buttò tra le braccia e le due giovani donne si baciarono con tutta la foga della loro gioventù.
- Che bella sorpresa mi hai fatto! -Commentò radiosa Patrizia.
- E’ bello rivederti mia biondissima amica. Ti vedo abbronzata mentre io, anche se siamo ad Agosto, ho visto il sole soltanto tre o quattro volte. -
- Se non mi vedi bianchissima è perché ho fatto un po’ di UVA in palestra e qualche bagno a Sistiana. -
Fabio era rimasto in disparte, non aveva voluto interferire con i saluti delle due giovani donne.
Fu curioso e sorprendente vedere Patrizia andargli incontro e baciarlo affettuosamente, come se non fosse successo nulla quella sera, al ristorante in montagna.
Fabio fece buon viso a cattivo gioco ed anche lui diede un cinque a Patrizia sorridendo.
Immediatamente dopo Patrizia esclamò.
- Che diavolo ci fai anche tu a Londra! Allora è vero che tra voi due è ritornato il sereno, -sorrise ammiccando.
Fabio non commentò e fu Donatella che disse.
- Sì e proprio così mia cara Patrizia, ci siamo fidanzati. -
Così dicendo mostrò il piccolo anello che portava al dito. Era un anello d’oro bianco con un bel rubino al centro.
Patrizia disse soltanto.
- Congratulazioni amici e figli maschi. -
I tre continuarono a chiacchierare in attesa dei bagagli, di esami, di pettegolezzi sui compagni di classe, di progetti per il futuro.
Anche Patrizia sembrava spensierata, ma uno sguardo attento avrebbe visto un notevole disappunto nella “ragazza di pietra”ed anzi una espressione di odio, solo mascherato da una specie di smorfia calatale sul viso, come se volesse inviare a Fabio un messaggio apparentemente amichevole ma in realtà carico di minacce.
Gli occhi come carboni ardenti palesavano una invidia infinita nei confronti di Donatella e mentre fissava Fabio evitava lo sguardo della biondina.


Andarono a cena in un ristorante alla moda tra i giovani inglesi a Saho dopo aver prenotato due singole, al The Lagham Hilton in Lamberth Street.
Mentre cenavano, Patrizia pensò che forse le cose non erano andate avanti tanto, così come aveva raccontato Donatella che aveva chiamato Fabio il suo fidanzato,
Forse il loro era solo un amorino da giovincelli e non certo quello che lei avrebbe potuto dare a Fabio con tutta la passione che ancora le bruciava dentro. Lo avrebbe scoperto facilmente alla prima occasione, parola di Patrizia.
Donatella fu molto carina con Patrizia. Le disse di non fare la cocciuta e che se aveva perduto un anno di scuola, giocandosi la Maturità, questo non significava che doveva rinunciarvi.
Il prossimo anno avrebbe potuto facilmente recuperare se fosse tornata a Trieste.
Anche Fabio non fu da meno.
Le disse di aver saputo dal padre che essendo maggiorenne poteva tranquillamente raccontare una frottola alla Finanza e per esempio dire che il denaro, depositato sul conto corrente di Tarvisio, era frutto di diverse vincite all’ippodromo di Monte Bello nelle corse al trotto, tanto si sapeva in giro che lei frequentava quel posto nel tempo libero.
Nessuno avrebbe indagato su come si fosse procurata i soldi da giocare, sapendo tutta Trieste che era la figlia unica di un grosso commerciante molto ricco e di manica larga con lei.
Né Fabio né Patrizia accennarono minimamente al periodo in cui lei era stata di casa nell’appartamentino di Fabio e così Donatella si rincuorò essendo sicura che quello era ormai acqua passata.
Patrizia a cena terminata disse.
- Vi accompagno io all’albergo, mi fa molto piacere rendermi utile. -
Volle anche conoscere il programma che i due avevano stabilito per i giorni successivi e così seppe che Donatella sarebbe dovuta andare a Cambridge per salutare una sua amica di infanzia che, in quel periodo, frequentava quel prestigioso College per ottenere un Diploma di specializzazione in Economia e Finanza.
- Dopodomani, -le disse, -fate un giro per Londra ai Musei, che a me non interessano e così potrai fare da guida a Fabio che ha deciso di non venire a Cambridge perché il posto non gli piace, mentre vuole vedere Londra. -
A Patrizia, la notizia fece sobbalzare il cuore.
Avrebbe visto finalmente Fabio da sola e senza sotterfugi, avrebbe toccato con mano, se Fabio fosse veramente innamorato di Donatella.
I tre giovani si diedero appuntamento per l’indomani per cenare nuovamente insieme.


Se Donatella avesse potuto immaginare quale piega avrebbe preso il suo soggiorno a causa della visita a Sonia, che si era ripromessa di andare a trovare una volta a Londra, non sarebbe mai andata in Inghilterra.
Quando partì per Cambridge, Fabio e Patrizia l’accompagnarono alla stazione ferroviaria di Victoria Station.
Era una giornata uggiosa ed una fitta pioggerella aveva bagnato l’asfalto di tutta Londra e della campagna circostante.
Sonia era al secondo ed ultimo anno del corso di specializzazione dopo la laurea in Economia e Commercio presa a Trieste.
Aveva solo venticinque anni ma se li portava maluccio.
Piuttosto bassa di statura, rossa di capelli e grassottella aveva due gambe sottili che la facevano sembrare anche più grassa di quanto fosse.
Un leggero strabismo le rovinava l’unica cosa bella della sua persona cioè gli occhi, dolcissimi e dal colore grigio cupo eccezionalmente espressivi.
Erano due anni che non si vedevano, solo periodiche cartoline facevano da tramite tra le due amiche così diverse per età ed aspetto fisico, ma il desiderio di incontrarla era stato per Donatella impulsivo ed anche irrazionale.
Dopo il breve tratto fino alla sua destinazione al College, Donatella fu sul punto di tornare subito a Londra.
Si era chiesta.
- Sono diventata matta o l’aria inglese mi ha fatto sragionare? Va bene la fiducia ma l’ avere messo Patrizia accanto a Fabio,servendola su un piatto tutto d’oro, è da irresponsabile. -
Poi aveva pensato che la gelosia è una vera malattia ed il segno di una estrema debolezza.
Si era detta fra sé e sé, -calmati Donatella, non comportarti da idiota. Fabio adesso ti ama e non ci sarà barba di donna capace di portartelo via. -
Aveva pranzato con Sonia al College e questa le aveva fatto mille feste, parlandole poi dell’importanza di quel Diploma che le avrebbe facilitato l’assunzione alle Assicurazioni Generali in un posto di responsabilità.
Le aveva pure detto che non vedeva l’ora di tornare in Italia, il più bel Paese del mondo e che quando sarebbe ritornata, avrebbero fatto una gran festa a Duino dove abitavano i suoi.
Sonia non era ricca e veniva da una famiglia di pescatori.Il corso in Inghilterra l’aveva ottenuto con una borsa di studio, senza pesare su i suoi genitori che già pensionati tiravano avanti con quella bottega di pesce a Barcola.
Amava il mare ed il suo più grande desiderio era quello di farsi un giro del golfo su una barca a motore ed una bella nuotata dalle parti del Castello di Miramare.
Donatella le disse di ammirarla per la sua capacità nello studio e per quella semplicità che traspariva da ogni sua parola.
Le raccontò, come ad una sorella, tutto della sua vita, di Fabio e di Valeria e si salutarono che erano già le diciotto alla Stazione.


Durante il viaggio di ritorno a Londra, Donatella avvertì, come una premonizione, che qualcosa di inconsueto era accaduto in sua assenza e se inizialmente il pensiero, andava e veniva come fosse soltanto una idea balzana, pochi istanti più tardi cominciò a sentirsi male come se il cuore le scoppiasse nel petto
Avvertiva una mancanza di forze associata a tachicardia ed un senso di oppressione nella zona cardiaca del torace.
Aveva alcune pillole di valeriana nella borsetta, ne prese tre insieme con un sorso d’acqua minerale che si era portata appresso e solo allora sentì che il disturbo cardiocircolatorio aveva allentato la presa.
Alla Stazione, però, non c’era nessuno che la attendeva né Fabio né tanto meno Patrizia.
Attese mezz’ora ed alla fine decise di prendere un taxi e di andare allo Hotel di Lamberth Street, sempre più agitata e con un doloroso presentimento.
Alla Reception chiese se il signor Fabio Pisano fosse in albergo e quando il responsabile rispose che non si era visto per tutto il giorno, mostrandole la chiave della stanza al suo posto, si lasciò andare sulla poltrona di pelle della Hall, sfinita
La prima idea che le attraversò il cervello fu la più semplice.
Fabio le aveva fatto le corna con Patrizia.
Quella ragazza insensibile aveva gettato l’esca e lui aveva abboccato come un pesce stupido.
Pensò, -Patrizia non è cambiata per niente. Cosa può importarle se io impazzisco di dolore, strappandomi Fabio ed il suo amore. -
L’aveva sempre giustificata, difesa ed a modo suo protetta ma era stato uno sforzo inutile.
Non si sentiva ferita dal tradimento di Fabio ma dalla cattiveria di Patrizia, dal suo cuore insensibile, dall’uso del corpo come freddo strumento erotico, dall’indifferenza morale che traboccava sotto quelle forme di femmina che ragionava soltanto con il proprio sesso infischiandosene di qualsiasi critica che caso mai irrideva, fredda, non di pietra come era il suo soprannome, ma di bronzo come certamente aveva il cuore.
Cosa sarebbe successo a lei se Fabio si fosse comportato, durante una sua breve assenza, come Donatella era sicura che fosse successo?
La vergogna l’avrebbe annientata e la propria vergogna avrebbe contagiato anche Valeria ed il papà di Fabio.
Con che faccia si sarebbe presentata agli amici e quanto avrebbe sofferto per le loro risatine?
La verginella, pudica e sensibile, la Donatella colma di fascino tradita dalla sua stessa ex amica!
Ma forse era tutta colpa sua che aveva creduto all’educazione della mamma, donna di altri tempi ed a quella religiosa, che le era stata impartita, nei primi anni di vita dalle suore dove aveva frequentato l’asilo e le elementari.
Nemmeno a Londra, per due notti consecutive aveva voluto dormire con Fabio.
Chi mai aveva creduto di essere se in passato aveva fatto “petting” con Fabio ed anzi si era offesa con lui che aveva mantenuto la parola data di non sverginarla?
Donatella credeva, in quel momento, di avere sbagliato tutto nel modo di comportarsi con l’uomo che profondamente aveva amato e che ancora sentiva di amare con tutto la sua anima pulita e con il suo cuore di ragazza per bene.
Aveva avuto una ultima idea e non certamente di rendergli pan per focaccia, ma di andarsene via da Londra raggiungendo Valeria e Mario in America dove stavano facendoli loro viaggio di nozze.
Alla fine di tutta quella bufera, era già mezzanotte, decise.
Sarebbe rimasta a Londra ancora per due giorni, giusto il tempo per avere il visto sul passaporto dall’Ambasciata americana, poi, se entro mercoledì sera, ventidue, non avesse avuto più notizie di Fabio sarebbe partita per New York, dove avrebbe raccontato tutto al papà di Fabio spiegandogli che il figlio si era volatilizzato con Patrizia.






CAPITOLO DECIMO





In effetti in quel maledetto lunedì, Patrizia e Fabio dopo avere, alle nove in punto, accompagnato Donatella a Victoria Station tornarono al centro e fecero un giro a piedi a Piccadilly Circus e mentre la pioggia era aumentata di intensità si rifugiarono dentro il vicino Mc Donald.
Patrizia era tutta zuppa d’acqua e quel vestitino di seta di color ocra pallido completamente bagnato, le si era attaccato sul corpo come una seconda pelle facendo intravedere il seno impertinente.
Fabio che era in giacca e pantaloni sembrava meno madido di pioggia ma in realtà anche lui era bagnato e le chiese.
- E adesso cosa vogliamo fare, allora è proprio vero che a Londra bisogna portarsi appresso l’ombrello? -
- Me ne sono dimenticata, -rispose sorridendo Patrizia, -vuol dire che andremo da qualche parte a comprarci qualcosa da metterci addosso. Qui c’è Oxford Street, una strada piena di negozi. Vuol dire che andremo a prenderci dei vestiti nuovi. -
Patrizia rise di nuovo ed i due dopo qualche minuto furono in un negozio che vendeva di tutto riguardo l’abbigliamento.
Lei scelse una elegante gonna a pieghe di colore azzurro chiaro ed una giacchetta di cotone misto a lino. Lui un paio di blu jeans grigio azzurro ed una giacca di tela sul verde.
Si cambiarono subito nei camerini e dopo aver pagato uscirono sulla strada che un pallido sole, in quel momento, stava tentando di asciugare.
Patrizia disse.
- Fabio, chi ce la fa fare di prendere altra acqua per andare ai musei, non è meglio che io ti faccia vedere il quartiere dove abito. Non è niente di speciale ma almeno lì potremo farci una doccia e nello stesso tempo i nostri vestiti si asciugheranno. -
A Fabio venne in mente Donatella, ormai giunta a Cambridge ed ebbe un attimo di esitazione.
Perché Patrizia non aveva portato l’ombrello e non gli aveva detto subito di provvedere anche lui?
E perchè voleva portarlo a casa sua quando il suo albergo era certamente più vicino?
Poi pensò di essere malfidato. Fino a quel momento Patrizia non aveva fatto nessuna avance e non credeva assolutamente che lei volesse sedurlo dopo quanto aveva saputo da Donatella di loro due.
Accettò l’invito per pigrizia, gli era passata la voglia di girare per Londra con quel tempo per visitare Musei.
Presero un taxi, lei disse in inglese una località che a Fabio parve molto periferica e giunsero ad un Residence senza portineria.
Patrizia tirò fuori dalla borsetta una chiave e senza prendere l’ascensore, al primo piano, entrarono in un appartamento discretamente arredato con sala e cucina, camera da letto e bagno provvisto di doccia.
Appena entrati, Patrizia si spogliò nuda come mamma l’aveva fatta davanti a Fabio e lo invitò a fare lo stesso.
Prese i vestiti bagnati sia suoi che di Fabio dalle buste in cui le commesse di Oxford Street li avevano riposti e li stese su uno stenditoio della sala in un angolo.
Guardò Fabio che non si era mosso e disse.
- Allora che aspetti per spogliarti, faremo la doccia insieme e non mi dire che ti vergogni. -
- Tu mi passerai il bagno schiuma sulla schiena ed io lo farò a te, sei contento? -
Fabio aveva sospettato qualcosa ma mai una proposta simile da parte di Patrizia .Questa non gli diede il tempo di rispondere e lo supplicò.
- Fabio non dirmi che per te è un problema farmi passare tre ore d’incanto. Sarà l’ultima volta che faremo sesso insieme. Se tu sapessi quante volte lo ho sognato! -
La semplicità con cui Patrizia gli esibiva la propria bellezza senza veli, il suo corpo dalle forme perfette, le parole che un momento prima gli aveva detto, stavano provocando in Fabio una duplice tentazione.
Da un lato lei lo stava provocando e scientemente apriva in lui una ferita che toccava la sua virilità sentendo già tra le mani quelle carni lisce, così appetitose e voluttuose, dall’altro se ne vergognava come un traditore nei confronti di Donatella ed anche della parola d’onore che aveva dato alla sua fidanzata di esserle fedele per sempre.
L’impudicizia di Patrizia aveva rasentato però la volgarità, ed in secondo, senza volerle fare del male, sentì una molla del suo io che si ribellava.
Fabio aveva pensato di punirla in qualche modo, magari con una frase, ma l’azione che conseguì fu invece brutale.
Fabio le si avventò addosso e prese a schiaffeggiarla con inaudita violenza, poi non soddisfatto prese un nastro adesivo che si trovava sul divano e le tappò la bocca.
Patrizia svenne per il dolore poi diventò bianca ed immobile.
Fabio cadde sfinito sul divano. Non aveva più un briciolo di forza ed il cuore pulsava violentemente nel petto.
Capogiri ed un mal di testa pulsante, come se il cervello gli stesse per esplodere, lo martellavano.
Fabio pensò di avere ucciso Patrizia e non aveva il coraggio di avvicinarsi a quel corpo nudo per ascoltare se il cuore pulsasse ancora.
Cinque minuti più tardi raccolti i panni bagnati di lei ed i suoi e messili nelle buste del negozio, fuggì chiudendo la porta di quel luogo maledetto, cominciando a girovagare senza sapere né dove trovarsi né dove andare.


Verso le due dopo mezzanotte, Donatella, che non era riuscita a chiudere occhio nemmeno per un minuto, sobbalzò sentendo squillare il telefono della sua stanza.
- Donatella, amore mio, sapessi cosa mi è successo, -sentì dall’altro capo della cornetta Fabio agitatissimo, -non posso parlare. Devi vestirti e raggiungermi con un taxi a Pccadilly Circus dove mi trovo, esattamente sotto il monumento. -
Donatella non chiese altro e confermò che sarebbe giunta lì appena possibile data l’ora impossibile anche per trovare un taxi.
Volutamente mantenne la calma e mentre si vestiva pensò che doveva trattarsi di qualcosa veramente seria se Fabio non era venuto all’albergo.
Solo una cosa le alleggerì il peso che sentiva sul cuore: Fabio non era svanito nel nulla come in modo pessimistico aveva temuto.
Donatella uscita dal Hotel, dopo essersi fatta raggiunger da un taxi chiamato dalla Reception, pensò subito di avere commesso un errore.
Se Fabio non era venuto in albergo significava che non voleva essere rintracciabile da quella gente e immediatamente chiese al conducente del taxi di condurla nei pressi del Royal Albert Hall nelle vicinanze del quale salì su un altro taxi per raggiungere Fabio a Piccadilly Circuìs.
La notte era serena, il cielo scuro e stellato e non si vedeva nemmeno una nuvola, guardando verso il Tamigi.
Fabio era lì ad aspettarla. Le si buttò tra le braccia tremante e sudato.Si capiva che aveva bevuto.
Disse, -credo di avere ucciso Patrizia. Non volevo ma l’ira ha avuto il sopravvento. -
Si sedette su un gradino del monumento, gettandovisi come un corpo morto.
Donatella rimase impietrita, nemmeno una goccia di saliva le bagnava la lingua, guardò il volto di Fabio.
Era rigato di pianto che silenziosamente usciva copioso dagli occhi,
Ebbe soltanto la forza di chiedere, -Ne sei sicuro oppure hai sognato?
Quando sentì da Fabio che forse Patrizia non era sicuramente morta. urlò.
- Sei un vero idiota, dove sta Patrizia? -
- Non conosco il posto ma deve essere dalle parti del rione di Brick Lane. Sono venuto da là con il Metro e vi saprei ritornare. -
- Andiamo subito da lei, forse è solo svenuta. -
Esclamò di un fiato Donatella.
Prese sottobraccio Fabio e lo trascinò verso la stazione del Metro.


A quell’ora il Metro non era più in funzione.
Donatella chiese ad un solitario passante se ci fosse un Night Bus per Brick Lane e quello le indicò come fare, cambiando il Bus ad un certo punto. Questo l’avrebbe portata nel Rione desiderato.
Giunti a destinazione Donatella e Fabio cominciarono ad andare a piedi verso il punto dove Fabio ricordava esservi il Residence di Patrizia e durante il percorso Fabio raccontò alla sua fidanzata cosa fosse successo a casa di Patrizia.
Donatella non udiva nemmeno il racconto di Fabio. Pensava soltanto alla povera Patrizia così disperata e pazza da non discernere il bene dal male e nello stesso tempo pregava Dio di salvarle la vita.
Finalmente Fabio indicò, nel buio della notte, il Residence.
Erano le quattro e mezza quando i due entrarono nel portone.
Fecero le poche scale di corsa e bussarono alla porta con tutta la violenza in loro possesso.
Dopo alcuni minuti che sembrarono una eternità sentirono dentro la stanza una persona che si trascinava verso la porta di ingresso.
Di colpo la porta si aprì e videro Patrizia, dall’aspetto cadaverico, che in ginocchio pareva un fantasma ma viva.
Non aveva un filo di forza.
Donatella si chinò su di lei e senza parlare cominciò a massaggiarle quell’inutile, bellissimo corpo ignudo, con tutta l’energia che ancora le era rimasta.
Un grande senso di pietà illuminava il volto stanco di Donatella mentre si stringeva a Patrizia in un abbraccio fraterno e dolcissimo.
Quello che Fabio aveva fatto era esecrabile, ma aveva agito così per il suo amore verso la bionda fidanzata, come se la volesse difendere dagli assalti del demonio.
Ciò che aveva cercato Patrizia invece, non era altro che mettere quiete per un momento, alla disperazione per una vita che stava spegnendosi nel disordine di una inutile ricerca della felicità e solo nelle esigenze della carne, senza badare allo spirito che tutto avrebbe nobilitato.
Donatella si sentiva una povera giovane donna con cui il fato aveva voluto giocare da quando era bambina, ma allo stesso tempo era orgogliosa per come aveva vissuto fino allora, senza odio ma con tenero amore nei confronti di ogni persona.
Sia Fabio che Patrizia avrebbero imparato qualcosa da lei.






CAPITOLO UNDICESIMO





Mentre Donatella continuava a massaggiare il corpo di Patrizia, intirizzito dall’immobilità e dal fresco di quella notte di Agosto inoltrato di Londra, che per ore era stato abbandonato a se stesso determinandole una pessima circolazione sanguigna, Fabio si era dato da fare ai fornelli della piccola cucina per preparare un caffè bollente e per cercare nella camera da letto delle coperte, adatte a riscaldare Patrizia ancora in evidente stato di confusione mentale e di grave astenia fisica.
Ci vollero alcune ore per fare riprendere Patrizia ma alla fine stremati i due soccorritori videro che Patrizia aveva ripreso e conoscenza ed un minimo di energia.
Seduti accanto al letto, dove l’avevano adagiata, Fabio e Donatella si guardarono muti negli occhi e fu in quel momento che Patrizia riuscì a bisbigliare con voce esile ed afona.
- Grazie amici, senza di voi sarei morta, anche se lo meritavo mi sarebbe dispiaciuto. -
Fabio capì che Patrizia gli aveva perdonato quella violenza gratuita anche se meritata. Egli si sentiva come un genitore che dopo avere picchiato un figlio se ne pente amaramente e se ne duole con il cuore in frantumi.
Fabio a ventanni suonati aveva imparato la lezione che la vita gli aveva dato come un avvertimento e senza bisogno di nessuna controprova, mai più avrebbe reagito a qualsiasi emozione o sopruso con la violenza.
Patrizia aveva finalmente capito che altre erano le cose importanti per essere rispettata da tutte le persone che avesse avvicinato ed il suo corpo ed il suo istinto passionale dovevano trovare altre strade, per ottenere quanto le era mancato da sempre per realizzarsi appieno, mettendo in primo piano i sentimenti profondi e non gli istinti primitivi..
Donatella aveva ringraziato la Vergine Santa per averla protetta in quel momento, il più tremendo della propria esistenza, come se Patrizia fosse una sorella, un figliolo prodigo tornato in grembo alla sua famiglia.


Patrizia volle che Donatella e Fabio si mettessero sotto le coperte vicini a lei stretti per scambiarsi il calore dei loro corpi in un intreccio infantile ma sacro. Tutti e tre erano dei bravi ragazzi, soltanto storditi ed impreparati ad affrontare la vita che avevano capito essere, non una competizione, ma un banco di insegnamento di regole e di moralità
Tutti e tre avevano superato il vero esame di Maturità, quello che veramente ti fa crescere.
Tutti sapevano che quello era stato il momento della vera amicizia, dell’abnegazione e del perdono ed erano finalmente felici.
Dormirono profondamente fino a mezzogiorno come tre bambini con l’anima pulita e come se tutto fosse stato sol un sogno
Quando si svegliarono Patrizia disse che aveva deciso di tornare a Trieste a Settembre e che avrebbe ripetuto l’ultimo anno del liceo tanto adesso si sentiva veramente degna di superare il proprio esame per poi frequentare all’Università la Facoltà di Psicologia.
Donatella baciò Patrizia e Fabio l’abbraccio con tenerezza.
Si prepararono per uscire e quando furono pronti Patrizia accompagnò i due fidanzati al Lagham Hilton.
Lei doveva andare a lavorare alle due del pomeriggio e così si salutarono a presto perché Donatella e Fabio avevano deciso di volare a Barcellona.


Le due settimane che passarono in Spagna furono una vera luna di miele per Donatella e Fabio.
Le giornate di Barcellona erano splendide, calde, corroboranti per la coppia dei giovani fidanzati ed i rapporti sessuali vennero naturali e perfettamente in sincronia.
Donatella aveva capito che il suo uomo l’adorava e che sarebbe stato pronto anche a dare la vita per lei.
La riempiva di baci e di fiori ed a letto si amavano oltre che con gli atti anche con le parole che si dicevano in continuazione come se quelle fossero il dolce dopo un pranzo prelibato.
Non c’era momento che non fossero abbracciati ed in strada tutti capivano che vivevano l’uno per l’altra, con tutte le carezze che si davano con tenerezza e con sorrisi intriganti.
A Palma di Maiorca avevano affittato un Bungalow a due passi dal mare e mangiavano praticamente solo pese e frutti di mare.
Fabio le offriva in continuazione ostriche ed aragoste dicendole che erano afrodisiache in modo tale che sarebbe stata lei a volerlo sempre di più.
Non era vero, ma Donatella gli reggeva il gioco dicendogli che non lo accontentava più, poi sorridendo gli faceva capire che era esausta e che sarebbe ritornata a Trieste distrutta e pronta per una forte cura ricostituente e forse pure per una trasfusione.
Donatella scherzava con Fabio. Non era mai stata così bene come in quelle giornate, anzi si sentiva in perfetta forma e con la testa e con il fisico.
Si era addirittura ingrassata di un paio di chili e quando si metteva il due pezzi Fabio la prendeva in giro dicendole che adesso il suo culetto era diventato un mandolino, pronto per essere suonato da uno come lui che sapeva usare quasi tutti gli strumenti a corda.
Fabio l’accontentava pure nei piccoli capricci come quello di portarla ogni sera in un locale a farle sentire e vedere il flamenco, dove si faceva anche servire una supercoppa di gelato con doppia panna.
Con l’abbronzatura che aveva preso ed i capelli biondissimi, merito del sole spagnolo e delle giornate splendide e caldissime, era diventata più famosa, tra i Bungalow, di una top model anche lei ospite del Villaggio turistico.
Tra l’altro Donatella era una ottima nuotatrice ed era veloce a rana più di Fabio che non riusciva a starle dietro.
Il nuoto le aveva migliorato il tono ed il trofismo muscolare delle gambe che si erano tornite ancora di più mentre le caviglie si erano ulteriormente assottigliate.
Fabio stava diventando geloso della bellezza di Donatella che veniva ammirata palesemente da tutti gli uomini del Villaggio.
Il sei Settembre Fabio le disse.
- Dolcezza mia, mi sembra che sia ora di finire i bagordi e di tornare a Trieste, che ne dici? -
- Sentimi Fabio ti devo chiedere un ultimo piacere.Vorrei passare qualche giorno a New York, è un desiderio che mi porto appresso da ragazzina. Chissà se i nostri genitori si trovano ancora lì, dobbiamo telefonare sul satellitare di tuo padre. -
Nessuno rispose alle numerose chiamate, ma Donatella insistette..
I passaporti ed i visti erano a posto per tutti e due e così, venerdì sette settembre, presero l’aereo della United Airlines per Boston, essendo completamente pieno quello per New York.
Il volo fu meraviglioso ed a Boston trovarono un cielo limpido e pieno di stelle.Erano le ventidue e trenta, ora locale.


Donatella e Fabio vollero riguadagnare subito le sei ore di fuso orario tra l’Europa e la costa orientale degli Stati Uniti con una lunga dormita in un comodo Hotel con vista sul mare, rimanendo nella città del Massachusetts.
Dormirono tanto, almeno dieci ore di fila, anche perché così avrebbero smaltito subito la stanchezza delle lunghe giornate di mare, di nuoto e d’amore di Maiorca.
Così si svegliarono soltanto alle undici di mattino dell’otto settembre con una giornata altrettanto bella
Donatella si stiracchiò nel grande letto matrimoniale, Fabio era già in piedi e stava facendosi la barba nel bagno con la porta spalancata.
- Fabio che ora è ? -chiese con una voce ancora impastata di sonno.
- Sono già le undici e mezza, ora di Boston, pigrona, le cinque e mezza di pomeriggio spagnole.
Donatella supplicò.
- Un bacio ed un caffè, amore! -
- Già fatto, il caffè sta sul tuo comodino. Lo ho fatto portare su dal Bar ma assieme al caffè, che dovrebbe essere acqua sporca.una spremuta di pompelmi e dei toast con prosciutto e formaggio. Tra un minuto arriverà anche il bacio appena avrò finito di farmi la barba. -
Donatella si alzò di scatto e corse da Fabio.
- Come ti permetti di non darmi il bacio del buongiorno prima di ogni altra cosa. -Replicò con il viso imbronciato.
- Non è per caso che ti sei già saziato di me? -
- Non te lo puoi permettere amico bello…sorrise ed adesso ne voglio tripla dose. -
Posò le labbra sulla bocca di Fabio e si baciarono appassionatamente.
Donatella bevve un sorso di caffè ed immediatamente dopo trangugiò tutto il succo di pompelmo poi commentò.
- Certo questi americani non sanno nemmeno lontanamente cosa sia un buon caffè, dovrebbero venire da noi in via Carducci alla torrefazione per gustarlo come si deve. -
A quel punto incrociate le gambe mentre era rimasta seduta sul letto disse.
- Mi è venuta una bella idea. Sai cosa faremo? Rimarremo a Boston ancora fino a lunedì sera e quindi invece di prendere l’aereo oppure il treno faremo una romantica gita a New York per mare di notte con queste belle giornate che ci hanno accolto. Ho saputo ieri che c’è una nave passeggeri, piccolina ma con ogni confort e cabine che parte da Boston alla mezzanotte ed attracca vicino allo West Side sull’ Hudson River verso le otto oppure verso le nove, non mi ricordo bene. Vorrei essere una turista speciale che veda Manhattan ed i suoi grattacieli non da terra ma dall’acqua. -
Fabio la squadrò dubbioso e brontolò.
- Questo è un altro dei tuoi capricci, ma lo sai quanto tempo perdiamo così.
Saremo a New York il mattino dell’undici e così dovremo tornare in Italia già sabato quindici. Non vedremo quasi niente della grande mela! -
Fabio guardò gli occhi di Donatella limpidi e sereni come non li aveva mai visti e capì che non poteva dirle di no ..
Si buttò anche lui sul letto ed esclamò.
- Va bene ancora una volta hai vinto tu, angelo mio. -
Le accarezzò i capelli e decisero di passare quei due giorni e mezzo a Boston dove sarebbero andati a visitare l’Università di Harward ed il prestigioso Massachusetts Institute of Technology ed anche nella baia la penisola centrale, quella chiamata Tremont con i suoi tre rialti collinosi dove fu il primo nucleo di Boston, puritano ed in gran parte irlandese.


A Boston, Donatella e Fabio fecero i bagagli dopo cena di lunedì, dieci Settembre.
Avevano passato nella capitale del Massachusetts due giorni pieni di soddisfazioni per avere conosciuto una meravigliosa città con i suoi tre fiumi e quella baia così interessante e protetta da qualsiasi possibile mareggiata.
L’imbarcazione che avevano scelto era elegante e dotata di cabine letto piccole ma piene di ogni confort.
In coperta c’erano molti posti a sedere sia all’aria aperta che protetti ed in quella notte senza vento e limpida parecchia gente aveva preferito rimanere di sopra a respirare l’aria salubre dell’oceano Atlantico.
Anche i due italiani rimasero in coperta fino all’una di notte a guardare il cielo trapunto di stelle, mentre Donatella incantata aveva sussurrato a Fabio.
- Pensa a quanto è bello godere qui dell’incantesimo della creazione di nostro Signore e quanto invece possano essere cattivi gli uomini che non seguono i suoi comandamenti. -
Fabio volle stringere quella creatura che pensava di non meritare per la sua purezza d’animo e per la dolcezza di ogni sua espressione, mentre lui non era stato e non era certamente uno stinco di santo.
Fabio però in quel momento si ripromise di diventare molto più buono e generoso di quanto non fosse mai stato e ciò era soltanto merito di lei che avrebbe sposato e con la quale avrebbe avuto dei figli, non appena si fossero laureati.
Il loro amore lo avrebbe sbandierato a chiunque, la loro felicità non sarebbe mai rimasta nascosta ed infine avrebbero da subito, una volta tornati a Trieste, condiviso lo stesso tetto e la stessa camera da letto.
Fabio seguiva una legge fisica quella del “tutto o niente” e non l’avrebbe mai trascurata per nulla al mondo.
Con questi pensieri si misero a letto.
Alle sette e mezzo si sarebbero alzati ed avrebbero fatto colazione di sopra per godere della bellezza di New York dal mare.






CAPITOLO DODICESIMO




Alle sette e tre quarti I due fidanzati si affacciarono sul ponte del piroscafo quando la nave era ormai in prossimità di New York tra Brooklyn e Jersey City.
Non c’era né nebbia né foschia a disturbare l’incredibile panorama dei grattacieli dal Greenwich Village al quartiere finanziario.
Quello era il Downtown di tanti films visti da Donatella e da Fabio a Trieste, quell’altro era l’Empire State Building più centrale e meno elevato delle Twin Towers del Word Trade Center.
Ma ovunque girassero lo sguardo i due italiani, solo meravigliosi edifici e tanta vastità colpiva i loro occhi quasi increduli.
I due giovani si strinsero per le mani, come se da un lato, fossero affascinati da tutta quella magnificenza mentre dall’altro, spaventati.
Quella era l’America della loro adolescenza, la vera America di quel popolo cosmopolita ma unito, sotto una sola bandiera.
Anche se Boston era sembrata una città americana, perché pure lì tutto era gigantesco, la Grande Mela meritava l’appellativo colossale di capitale del mondo.
Mentre Donatella e Fabio continuavano a commentare con tutto l’entusiasmo dei loro giovani cuori, all’improvviso un grande boato giunse alle loro orecchie e contemporaneamente una enorme nuvola di fumo e polvere si sollevò nel punto dove prima avevano visto le Twin Towers.
La loro nave si trovava ancora nel mezzo ed all’imboccatura dell’ Hudson River ma le grida ed il panico della gente era palpabile e tragico, sommandosi alle urla delle sirene degli automezzi dei pompieri e della polizia.
Donatella era passata in un attimo dall’estasi al terrore.
Fabio, pur controllandosi, era spaventatissimo.
La nube di polvere e fumo era diventata una enorme colonna.
Di lì a poco un secondo boato ferì l’aria ed una grande confusione, mista a mille e mille grida che coprivano gli altri rumori, prese il sopravvento su tutto mentre dalla nave si cominciarono a vedere mucchi di persone sporche e coperte di terra che fuggivano verso i moli di fronte.
Il comandante dell’imbarcazione si portò verso la terra ferma e fece imbarcare un centinaio di persone allucinate per la paura e che non avevano più nulla di umano.
Poi fece “indietro tutta” e si portò dall’altra parte dell’ Hudson sulla costa del New Jersey.
Tutto questo avveniva mentre la televisione di bordo, attraverso la CNN, mostrava in diretta quello che era avvenuto come in un film di fantascienza.
Due aerei di linea si erano infilati a distanza di minuti nella due torri gemelle e poco dopo tutto il complesso era crollato al suolo mietendo migliaia di morti anche fra i soccorritori.
L’impatto era stato preciso, aveva interessato i piani alti ed il secondo aereo era entrato da un lato ed uscito dall’altro.


Quando la nave attraccò nel pressi dell’aeroporto di Newark dopo che tutti ebbero saputo che si era trattato di una azione terroristica, come continuava a ripetere la CNN, il terrore non risparmiò nessuno di tutta quella gente che non gioiva affatto di essere tra i sopravvissuti.
Donatella era svenuta e ci volle tutta l’abilità di Fabio per farla riprendere.
La prima cosa che, con un filo di voce, disse a Fabio fu di tentare di telefonare ai loro genitori sul telefono satellitare.
Passarono diverse ore per potere comunicare con Valeria e Mario mentre sempre dalla Tv seppero che altri due aerei di linea si erano schiantati uno sul Pentagono e l’altro, che eroicamente i passeggeri avevano fatto deviare prima della Casa Bianca, in piena campagna.
Valeria aveva voluto sentire la voce di Donatella dall’altro capo del telefono.
- Figlia mia , angelo mio devi farti forza. Mi ha raccontato tutto Fabio e che avete assistito a quella carneficina da vicino. Prega il Signore per quelli che non sanno ciò che fanno e vedrai che ti darà la forza di superare questo momento.Noi per fortuna ci troviamo da due giorni alle cascate del Niagara ed abbiamo saputo dalla CNN ma non immaginavamo che voi foste a New Jork -
Poi concluse dicendo che si sarebbero rivisti a Trieste .
- Voi partite più presto possibile, magari da Philadelphia, noi torneremo in Italia da Chicago. -
L’aveva salutata dichiarando che sentiva, nel cuore, che tutto sarebbe stato OK e che ogni cosa sarebbe tornata ad essere piena di gioia.


Rimasero a Philadelphia ancora per due giorni in un piccolo albergo a sette piani, perché Donatella nel panico più completo aveva giurato che in vita sua non sarebbe mai più andata in un grattacielo,cosa che aveva invece fatto a Boston.
La giovane piangeva continuamente e altrettanto in continuazione guardava la televisione che non faceva altro di parlare del disastro, causato da gruppi integralisti islamici, che avevano voluto dimostrare al mondo come si potevano colpire gli Stati Uniti nel cuore dei centri di potere pur credendosi gli americani immuni da qualsiasi attacco nemico sul loro territorio.
Donatella, che di politica non si era mai interessata, singhiozzava per tutti i morti che quei pazzi avevano causato.
Tantissimi italiani ed italo americani erano morti nei due grattacieli colpiti e crollati e tra questi centinaia di pompieri e giovanissimi che lavoravano lì dentro. Ma non solo. Tantissime etnie erano rappresentate in mezzo a tutti quei morti.
Ciò che faceva impazzire Donatella era proprio questo fatto.
Se ce l’avevano con gli americani cosa centravano gli altri? Perché l’odio poteva sconfinare nella più bieca bestialità?
A queste domande non c’era risposta se non quella che le suggeriva Fabio.
Tutti gli uomini avrebbero dovuto essere come San Francesco ed amare e benedire ogni essere vivente, oltre tutto quello che Dio aveva donato agli uomini, nessuno escluso.
Solo quando Fabio le parlava in quel modo, Donatella si sentiva più calma e rinfrancata. Lei e Fabio avrebbero per primi dato l’esempio, non sapeva ancora come, ma era sicura che questo sarebbe avvenuto.


Nei giorni seguenti nessuno voleva più prendere l’aereo.
Questi volavano quasi vuoti per la grande paura della gente di volare dopo quanto era successo ai quattro aeroplani dell’aviazione civile dirottati dai terroristi.
- So che una cosa del genere non potrà più succedere almeno per un certo periodo di tempo, -disse Donatella a Fabio, il giorno prima della partenza per l’Italia, -ma poi cosa m’importa. Se dobbiamo morire così giovani sarà meglio morire insieme. -
A quella frase Fabio non riuscì a fare a meno di sorridere per la prima volta dopo la tragedia.
Aveva anche detto a Donatella che lei era la sua santa protettrice perché, forse, se avessero preso un aereo da Boston quella mattina dell’undici settembre di mattino presto, forse sarebbero capitati su uno di quelli aerei di terroristi e sarebbero morti.
Quello che gli era parso un capriccio di Donatella, il viaggio sul piroscafo, era stata una grandiosa idea e comunque come una premonizione che solo il suo angelo, il suo amore avrebbe potuto avere.
Avevano prenotato due posti per Roma senza problemi su un volo di linea della Compagnia di Bandiera Italiana.
Avevano avuto anche uno sconto sul prezzo del biglietto perché il volo non era diretto da Philadelphia a Roma ma avrebbero fatto scalo a New York, al Kennedy.
La sera prima Donatella, che usciva per la prima volta dal Hotel, volle che Fabio l’accompagnasse in una chiesa cattolica.
Lì sia lei che Fabio si confessarono e comunicarono, dopo avere intensamente pregato per tutti i morti delle Twin Towers ma anche per quelli dei quattro aerei compresi i terroristi.
Il volo con il 747 fu talmente calmo e rilassante che Donatella, che aveva per precauzione preso un tranquillante, dormì per tutto il viaggio come una bambina innocente sazia di latte materno e di stanchezza.
A Roma il sedici Settembre, di domenica, andarono a San Pietro ed ebbero la benedizione del Papa “ Urbe et Orbi ”.
La sera stessa presero l’intercity per Trieste ed arrivarono nella città giuliana l’indomani mattina alle otto in punto.






CAPITOLO TREDICESIMO





Patrizia era stata di parola.
Alla fine di Settembre era tornata a Trieste. Dell’esilio voluto a Londra ne aveva avuto le tasche piene.
Aveva chiesto scusa ai genitori per l’atto inconsulto di essere sparita, come una ladra, dalla famiglia e si era iscritta per ripetere l’ultimo anno del liceo classico al Francesco Petrarca anzi chè al Dante.
Si era fatta viva, per una deposizione spontanea, dal commissario Rozzi ed aveva spiegato sia il motivo della sua fuga da Trieste che l’esistenza del famoso conto corrente a Tarvisio.
Si era inventata un amore non corrisposto con un uomo sposato, di cui si era rifiutata di fare il nome per il primo motivo, associandolo alla necessità per lei di perfezionarsi nella lingua inglese, riguardo alla sua permanenza a Londra ed aveva tirato in mezzo il suo vizio del gioco all’ Ippodromo di Montebello, per il secondo, con numerose vincite cospicue che aveva voluto tenere segrete ma disponibili sul conto corrente fuori Trieste, da dove aveva attinto il denaro necessario per il viaggio e per i primi tempi della sua presenza a Londra, dove comunque aveva lavorato.
Il funzionario di Polizia aveva accettato le sue spiegazioni senza contestarle niente anche perché non c’era stata nessuna denuncia a suo carico ad eccezione di quella dei genitori nel momento che lei, per giunta maggiorenne, aveva scelto di andarsene da casa.
L’altro motivo era ininfluente perché la giovane era ricca di famiglia ed avrebbe potuto anche dire che quei versamenti erano quanto il padre le versava per le sue necessità e che lui felice, per il ritorno della figlia, certamente non avrebbe contraddetto.
Patrizia dunque aveva sistemato tutte le faccende rimaste in sospeso positivamente e la lezione di Londra l’aveva fatta diventare mansueta ed orgogliosa di avere dei veri amici, quasi dei fratelli, in Donatella e Fabio.
Patrizia aveva fatto volontariamente non uno ma due passi indietro.
Il primo era stato quello di farsi un profondo atto di autocritica, mai più essere una mangia uomini, una specie di maga Circe.
L’amore, quello sì, sarebbe stato lo scopo della sua vita. Anche lei, come Donatella, l’avrebbe trovato semplice, pulito ed eterno.
Il secondo invece sarebbe stato quello di scrollarsi d’addosso quella maledetta nomina di “ragazza di pietra” che la perseguitava da quando aveva compiuto i sedici anni.
I ragazzi e le ragazze avevano fatto bene di affibbiarle quello pseudonimo..
Non aveva mai avuto un motto di generosità per nessuno e mai aveva aiutato chiunque si fosse rivolto a lei per essere consolato o per averne un semplice e disinteressato aiuto.
Patrizia aveva capito finalmente che la vita doveva essere vissuta per la felicità di tutti e con altruismo, non egoisticamente come era stato il suo modo di essere da sempre.
Colei che le aveva dato questo insegnamento era stata proprio Donatella, più giovane di lei di quasi due anni e contro la quale aveva perpetrato il più grande peccato che una donna possa compiere, quello di tradirne l’amicizia.
Ancora non conosceva i nuovi compagni di classe e di scuola ma con sicurezza sarebbe stata una altra Patrizia.


Nella villetta dei genitori, Patrizia era padrona assoluta di due camere con vista sul giardino una delle quali era la camera da letto, spaziosa e comoda con un grande armadio dove teneva gelosamente tutti i suoi vestiti compresi quelli di quando era bambina e signorinella, riposti in un grande scatolone sul piano rialzato dello stesso.
Non aveva voluto disfarsene poiché ne era gelosa e contemporaneamente aveva fatto una specie di voto.
Sua figlia, se mai ne avesse avuta una, li avrebbe indossati per farle ricordare in ogni momento che la sua mamma da bambina e poi almeno fino alle scuole medie era stata una semplice fanciulla, bella e cara.
Più di una volta si era chiesta se veramente avesse mai avuto tutte le rotelle del cervello in ordine ma la risposta, per quanto ovvia, era stata che quell’idea pazza le avrebbe portato fortuna.
Le sarebbe servita per ricordarle che un giorno o l’altro avrebbe dovuto sposarsi ed avere dei figli.
Certo che pensare ad una figlia non poteva fare di lei una miracolata nel senso più stretto del significato perché avrebbe concluso, con la nascita di un pargoletto, proprio quanto di più temesse riguardo alla libertà di pensare ed agire come meglio le fosse andato a genio.
Né tutto quanto si era ripromessa di essere, dopo gli insegnamenti ed i buoni propositi acquisiti da Donatella ed anche da Fabio, avrebbero potuto mutare il nodo cruciale della sua vita.
Sarebbe rimasta, da quel momento in poi, una brava ragazza senza tuttavia rinunciare al suo carattere libero e pieno di vita, spensierato ed un po’ irriguardoso rispetto a quanto la gente era abituata ad attribuire alle buone maniere, come se queste fossero indice di fantasia, intelligenza, creatività o purezza d’animo.
Per esempio, la cosa che più la mandava in bestia era la reazione dei vicini quando metteva i suoi C D, tenendoli ad altissimo volume.
Che ci poteva fare se la musica o le canzoni le voleva sentire a palla?
D’altro canto aveva predisposto l’altra stanza, come una sala da incisione insonorizzata, con tutte le apparecchiature mixer del caso e spesso anche lei cantava a squarcia gola con un microfono che da solo le era costato un milione e mezzo.
E meno male che viveva in una villetta…con dei vicini appena un po’ rompiscatole! Cosa sarebbe potuto accadere se avesse occupato un appartamento in un condominio in città?
Questo pensiero ne portava subito un altro. Il suo futuro marito doveva essere assolutamente molto ricco per darle come casa, non un cuore ed una capanna, ma una villa molto più grande di quella dei genitori.
Comunque per il momento avrebbe sopportato i rimbrotti dei vicini con un certo menefreghismo, ma non avrebbe mai smesso le proprie abitudini specialmente quelle inerenti la musica ed il canto.


La classe di Patrizia era composta da nove studentesse e da altrettanti maschi.
Il primo giorno di lezioni, la professoressa di latino e greco dal nome piacevole, si chiamava Anna Lisa Bianchi, ma dall’aspetto alquanto senile deformata da una cifosi dorsale molto pronunciata, si presentò alla classe con un discorsetto breve ma incisivo, come se il tempo per lei si fosse fermato almeno a quaranta anni prima.
- Ragazzi, sceglietevi i posti che vi sono più simpatici e ricordatevi che dovete essere molto disciplinati. Per me è la stessa cosa se nei banchi vi piace coesistere tra maschi e femmine, però vi avviso che sarò inflessibile, giusta e severa nel giudicare il vostro modo di vestire che dovrà essere sempre sobrio, il vostro atteggiamento che dovrà essere consono nel rispetto della scuola che frequentate, il vostro profitto che sarà all’altezza del nome che questo liceo ha nella storia di Trieste, da dove sono usciti sempre elementi di primo piano nella classe dirigenziale del Paese. -
Fece una pausa, sorrise a modo suo con una specie di ghigno demoniaco e continuò.
- Vedo con curiosità quattro volti nuovi, due maschi e due femmine. Desidero che vi presentiate alla classe e vorrei cominciare con quella ragazza mora del terzo banco a sinistra rispetto alla cattedra. -
Patrizia non se lo aspettava ma rapidamente ed educatamente disse.
- Ripeto l’anno, provengo dal “Dante”, sono stata cinque mesi pieni in Inghilterra, conosco bene l’inglese e male il greco.-
Una sonora risata esplose nell’aula subito sedata dalla professoressa che esclamò.
- Per questa volta ve la faccio passare liscia ma vi avviso che, se vi permetterete di comportavi in classe in questo modo, sarete immediatamente sospesi dalle lezioni per tre giorni ed avrete un voto in meno, qualsiasi fosse il vostro profitto, sia in latino che in greco.-
Patrizia pensò. - Ma guarda cosa mi doveva capitare! Una specie di mummia all’antica, sta a vedere che la Maturità non la prendo nemmeno quest’anno! -
La compagna di banco le sussurrò, -non ti preoccupare, è più fumo che arrosto, anzi ti accorgerai che è un pezzo di pane. -
Patrizia rimase impassibile e quella ricominciò.
- Le interrogazioni saranno programmate da voi. Ogni giorno interrogherò uno di voi come volontario, se no si presenterà ne sceglierò uno a caso. Cercate di organizzarvi perché i miei voti vanno dal meno uno al più dieci.
I compiti in classe avranno una cadenza settimanale e dureranno due ore.
Spero di essermi fatta capire e già domani ci deve essere un volontario in orale sulla vita e le opere di Catullo. Colui o colei che si presenterà parlerà liberamente senza alcuna mia interferenza per trenta minuti. -
Dopo Patrizia toccò agli altri tre nuovi allievi a presentarsi e tra i due maschi, Patrizia notò un certo Danilo che qualche volta aveva visto , negli anni addietro, nella piscina da lei frequentata.
Era un giovane atleta alto almeno un metro ed ottantacinque, dalle spalle larghe e dal torace tutto muscoli. Non si erano mai presentati ma una cosa non era sfuggita a Patrizia, a quello non interessavano le ragazze ma le donne mature di età e preferibilmente sposate.
Danilo non era antipatico, anzi amava divertirsi con qualsiasi scherzo con le compagne di classe, tuttavia non degnava nemmeno di uno sguardo di curiosità né le loro gambe né i fianchi e nemmeno il seno che alcune di esse avevano veramente interessante.
Una di queste, Paola se lo mangiava con gli occhi e se avesse potuto, nell’immaginifico gioco dei sogni, se lo sarebbe divorato pezzo per pezzo.
Si era messa nel suo banco e standole accanto, di tanto in tanto, lo sfiorava con le mani e con i fianchi facendo finta di niente.
A Danilo piaceva quel gioco infantile finchè un giorno, seriamente le aveva detto nel quarto d’ora di riposo tra le lezioni.
- Paola sei una gran bella figliola ma non fai per me. Non scherziamo con le cose serie, tu hai la bocca che ancora odora di latte materno ed io non sono in vena di giocare con te al medico e paziente. -
Paola si era risentita moltissimo per quella frase e con la scusa di essere un po’ miope si era fatta cambiare di posto, andando a finire solitaria al primo banco, l’unico ancora libero davanti alla cattedra e sotto gli occhi dei professori.
Tutta la classe aveva capito l’antifona e ciascuno commentò, a modo suo, il fatto mentre Danilo se la rideva sotto i baffi.


Patrizia invece con tutta l’esperienza che si ritrovava sulle spalle, da quel momento, divenne l’inseparabile amica di Paola, appena diciottenne, consigliandola di non dare seguito a quella simpatia perché nemmeno lei,con tutto quello che aveva passato e con tutta l’esperienza acquisita in fatto di uomini, non si sarebbe, mai e poi mai, messa con un tipo simile che considerava assai pericoloso per la sua nuova e giovanissima amica.
Patrizia si era assunta il compito di psicologa ed in parte, le aveva raccontato qualcosa delle sue vicissitudini e di quanto fosse cambiata per merito di Donatella, che aveva additato come se fosse la sua sorella gemella ed a cui doveva tutto della metamorfosi della sua vita.
Le raccontò anche di Fabio e come adesso quei due vivessero con amore, rispetto reciproco ed affetto misto ad abnegazione.
Paola aveva imparato ad ascoltare Patrizia ed ad ammirare il coraggio che aveva avuto e dal momento che lei abitava dalle parti di Patrizia, quasi sempre studiavano insieme e si aiutavano quando o l’una o l’altra aveva bisogno di essere sostenuta.
Tra l’altro Patrizia aveva scoperto che Paola aveva una bellissima voce e così l’aveva spinta a studiare canto con un maestro, amico di famiglia e gratuitamente per i favori che questo uomo doveva a suo padre.
Alle lezioni andavano insieme due volte la settimana e così Patrizia, come se fosse un uomo, era diventata il Pigmalione di Paola, quello scultore mitologico innamorato della sua statua cui Afrodite aveva dato vita, tanto che gia sognava di quando l’avrebbe lanciata nel mondo del canto.
Paola era un brunetta dagli occhi verdi castani, alta più o meno come Patrizia ma con due labbra carnose a forma di cuore che erano sempre atteggiate a sorriso.
La sua voce era da contralto con una “pasta” particolarmente adatta ad interpretare canzoni e fraseggi blues.
Aveva un timbro atipico, piacevole e molto morbido, ma allo stesso tempo grintoso e pieno di temperamento.
Tra l’altro il maestro di canto aveva notato in lei una perfetta e naturale impostazione sia a livello di diaframma che a livello di sincronia nella respirazione.
Mai una sbavatura, mai nemmeno un piccolo tentennamento… il canto le usciva fluido e potente tanto che il maestro era diventato entusiasta di quella nuova allieva, prevedendo per lei grandi successi in campo artistico.
Patrizia ne era felice ed aveva pensato che sarebbe diventata addirittura una stella con lei manager e con contratti da favola.






CAPITOLO QUATTORDICESIMO





Quando Donatella si svegliò, il quattordici Ottobre dell’anno 2002, si ricordò che quel giorno doveva sostenere l’ultimo esame del primo anno di Legge.
Fabio, che le dormiva acconto, l’aveva superato una settimana prima ottenendo come al solito un bel trenta.
Era passato un anno da quando avevano deciso di vivere insieme al piano di sopra rispetto ai rispettivi genitori.
Valeria, d’accordo con Donatella aveva venduto l’appartamento di via Giulia e mentre lei si era trasferita a casa del marito, Donatella e Fabio, con quei soldi ed altri di Fabio e di Mario, avevano potuto comprare quel grande appartamento che era libero e per loro due, ideale.
Valeria avrebbe continuato a fare la mamma, questa volta di due figli e non solo di Donatella, che avrebbe potuto studiare libera da impegni casalinghi e nello stesso tempo dedicarsi al suo Fabio, completamente, nel tempo libero che era però risicato dal momento che Fabio era subito stato ammesso ad un corso propedeutico riguardante i sistemi legislativi europei.
Fabio e Donatella avevano a lungo discusso se sposarsi subito oppure a Laurea ottenuta.
Entrambi si erano trovati d’accordo sul principio che ormai non era più così importante dimostrare agli altri la loro storia d’amore né di ufficializzarla in chiesa.
Erano così giovani che avrebbero potuto tranquillamente attendere qualche anno ancora.
Non era necessario sbandierare agli altri il loro attaccamento, era così chiaro che i due vivevano l’uno per l’altra e che la loro unione sarebbe rimasta sempre inattaccabile e sempre più felice, che nemmeno un cieco avrebbe avuto dei dubbi a proposito.
In quel periodo di tempo che si erano presi fino al matrimonio avrebbero dedicato ogni loro sforzo al futuro lavoro che si auguravano brillante e denso di soddisfazioni.
Di progetti ne facevano tanti.
Quando sarebbe arrivato il momento mentre Fabio, avrebbe tentato di vincere il concorso per diventare magistrato, Donatella si sarebbe dedicata all’infanzia, cercando di essere un bravo avvocato dei minori.
L’unico problema che si poneva nel futuro, sarebbe stato quello delle sedi di lavoro.
Non era un problema da poco.
Loro due sapevano quanto potesse essere difficile lavorare nella stessa sede ma Donatella già aveva promesso, che dei due quella che avrebbe rinunciato ad un incarico lontano da Fabio, sarebbe stata lei che in quel caso avrebbe deciso di allontanarsi da Trieste.
Ormai tutti i conoscenti li avevano soprannominati “gli sposini” e così si consideravano sia Donatella che Fabio.
Avevano preso tutte le precauzioni possibili per non avere figli con grande scandalo di Valeria che avrebbe voluto subito un nipotino.
Donatella aveva cercato di spiegare alla mamma come questo suo desiderio avrebbe dovuto essere procrastinato, anche se Valeria si era scandalizzata alle spiegazioni tecniche della figlia che candidamente le aveva spiegato tutti i metodi contraccettivi.


Anche Mario e Valeria filavano in perfetta armonia.
Si vedeva che Mario aveva molto sofferto per il tradimento della mamma di Fabio.
Si era comportata come una donna falsa e malvagia, non consona al ruolo di moglie di un magistrato e mentre lui rispettandola, la credeva l’angelo della casa e pensava di essere l’unico uomo della sua vita, lei era diventata infida ed arrogante, specie nei momenti intimi che evitava con mille scuse o con mille bugie, trascinate per quasi un anno.
E non le era mai importato un fico secco di avere un bambino, bello ed intelligente, senza dedicargli mai una sola giornata della sua vita.
La separazione, per colpa, era stato un gioco da ragazzi particolarmente quando aveva deciso di abbandonare il tetto coniugale.
L’affidamento di Fabio al padre, era stato automatico ed aveva reso felice Mario anche se ciò gli aveva aumentato le sue responsabilità in modo esponenziale.
Per il piccolo Fabio la mancanza in casa della mamma era stata vissuta in modo traumatico anche se una psicologa aveva tentato di alleggerirgli quella profonda ferita.
Quelle poche volte che la sua ex moglie passava insieme al figlio non erano per Fabio sufficienti a riscaldargli il cuore, tanto che ben presto egli si era rifiutato di vederla e lo aveva detto a chiare lettere
- Quella, -aveva gridato, -non è più la mia mamma ma una donna qualsiasi. Non le voglio più bene ed anzi la odio. -
Non c’era stato verso di farlo tornare indietro nella sua decisione e così madre e figlio non avevano passato più nemmeno un’ora insieme.
Valeria aveva saputo tutto da Mario ed anche quanto egli non avesse mai confidato a nessuno riguardo a certi particolari assai scabrosi della sua ex..
Valeria aveva stentato a credere che Mario avesse potuto sopportare gli inganni ed i tradimenti di quella per un così lungo periodo soltanto per amore di Fabio.
Mario con lei era l’uomo più tenero, più caldo e più rispettoso oltre che amico che mai avesse conosciuto dopo il papà di Donatella.
Lei aveva imparato ad amarlo con tutti i sentimenti e con tutto il cuore di una donna per tanto tempo vissuta nella solitudine e responsabilizzata totalmente da Donatella.
I due sposi attempati avevano pensato anche alla possibilità di avere un loro figlio. Valeria era ancora in grado di rimanere incinta ma ben presto sarebbe entrata nel periodo climaterico e poi in menopausa.
Per questo motivo avevano consultato il migliore ginecologo di Trieste e questi dopo avere visitato la donna aveva concluso.
- Cara signora Pisano, lei ha ancora la quasi certezza di diventare mamma per la seconda volta, comunque mi voglio raccomandare che, nel caso decidesse in questo senso, dovrà effettuare diversi accertamenti e contemporaneamente ricorrere alle mie cure e farsi seguire continuamente durante la gravidanza. -
Mario era rimasto felice per le conclusioni del medico, avrebbe tanto desiderato un figlio da quella donna non solo ancora tanto affascinante ma pure così dolce e materna.
Valeria invece, pur desiderando di dare un figlio a Mario, aveva pensato che a sessantaquattro anni quel figlio ne avrebbe avuto soltanto quindici e che, per quanto si sentisse al momento in piena forma fisica, forse a quell’epoca non sarebbe stata più in grado di seguirlo come aveva fatto con Donatella.
Moglie e marito avevano concluso di affidarsi al fato e che sarebbe accaduto quello che Dio avesse voluto.
Così, il mese dopo, Valeria era già in gravidanza.


Valeria venne sottoposta a tutti i più sofisticati accertamenti con le più moderne tecniche diagnostiche e mentre lei risultò negativa a qualsiasi difetto genetico, il suo feto presentava una alterazione della mappa cromosomica che mise in allarme il suo ginecologo.
- Signori, -disse ai coniugi Pisano, -purtroppo esiste un serio pericolo che venga alla luce una creatura anormale. Non siamo in grado ad oggi di decifrare il problema, ma questo esiste sicuramente. Si tratta di un gene, attualmente sotto studio che potrebbe provocare delle anomalie, sulla cui entità e qualità non possiamo oggi pronunciarci con sicurezza. -
Il medico guardò i volti di Valeria e di Mario, erano pallidi e spaventati.
Quindi chiese.
- Sapendo che ciascuno di voi ha avuto un figlio, vi domando se i vostri figli presentino anche minime anomalie riferibili a qualche organo o apparato o riguardo a comportamenti che esulino dalle più conosciute patologie psichiatriche. -
Valeria rispose immediatamente che Donatella non aveva mai manifestato nulla di anomalo, mentre Mario era rimasto perplesso. Poi dichiarò.
- Quello che posso dire con sicurezza è che mio figlio fisicamente è sanissimo, ha una salute di ferro ed è pure un bel ragazzo. -
Mario rifletté un tantino e quindi aggiunse.
- Fabio è considerato molto intelligente ed ha una memoria eccezionale. Durante il Liceo è stato sempre il primo della classe ed adesso studia legge all’Università con una media di trenta e due lodi. Però è stato per un periodo della sua infanzia seguito, dopo il mio divorzio, da una psicologa che alla fine si era rifiutato di frequentare. -
- La cosa, dopo qualche mia insistenza, è stata accettata da me pensando che il problema fosse soltanto una reazione normalissima dovuta alla definitiva assenza di una madre nella sua vita. Non credo che oggi abbia comportamenti anomali nella sfera affettiva o sessuale e tale affermazione può essere confermata dalla mamma di Donatella sua attuale compagna. -
Mario era tuttavia rimasto turbato pensando che lui quel figlio non lo poteva conoscere a fondo.
Anche la storia con Patrizia, di cui era stato soltanto in parte informato,era stata interpretata da Mario come una scappatella senza significato e non certo degna di essere segnalata al ginecologo che faceva il suo mestiere, non certo il prete nel confessionale.
Anche Valeria non sapeva niente di quanto fosse accaduto a Londra tra lui e Patrizia e che quella ragazza aveva rischiato la vita.
Solo Donatella conosceva ogni particolare ma non era il caso di farle delle domande su Fabio, troppo radiosa era in quel periodo la sua felicità di vivere con Fabio.
Mai Valeria avrebbe turbato la vita di Donatella, rivangando cose ormai passate e probabilmente rimosse dalla sua coscienza.
Avrebbe seguito il consiglio del medico ed accettato qualsiasi fosse stata la sua decisione.






CAPITOLO QUINDICESIMO





Valeria e Mario chiesero al professore Tradi un breve periodo di tempo per prendere una decisione riguardo all’aborto terapeutico che costui aveva consigliato alla coppia.
Egli aveva tirato in ballo anche l’età della donna per convincerli a non proseguire la gravidanza.
Se fosse nato un bambino bisognoso di cure o malformato, per loro due, sarebbe stata una grave disgrazia perché quel figlio, una volta nato, aveva tutti i diritti di essere protetto e sottoposto ad ogni genere di terapie.
Comunque l’ultima decisione sarebbe spettata ai genitori che avrebbero potuto bypassare il consiglio del ginecologo assumendosene ogni responsabilità.
Quelle due settimane di tempo furono un calvario soprattutto per Valeria che era trattenuta anche dalle sue convinzioni religiose e che in ogni caso sapeva che quella era l’ultima occasione per ridivenire mamma.
Ma fu proprio un ragionamento di Mario che la convinse ad abortire.
- Non ti preoccupare, Valeria, anche se noi decidessimo per l’aborto avrai ugualmente un altro figlio perché ne adotteremo uno abbandonato dai suoi genitori. Non penso che, il seguire il pensiero di quel luminare, sia un errore di fronte alla possibilità di procreare un povero essere che non ha nessuna colpa se nascesse in condizioni di gravi deficit fisici o psichici. -
Valeria e Mario non dissero nulla a Donatella ed a Fabio i quali nemmeno sapevano che Valeria fosse rimasta incinta.
Così, quando la donna si ricoverò per l’intervento, seppero soltanto che Valeria doveva fare un semplice raschiamento uterino.
Tre giorni dopo i coniugi Pisano si recarono in chiesa, si confessarono, ebbero l’assoluzione e poi si comunicarono.
Si sentirono sollevati ambedue per le parole del giovane parroco che disse loro di non avere fatto nessun peccato mortale per avere seguito il consiglio del ginecologo che, se aveva deciso così, sapeva perfettamente cosa diceva.


Fabio e Donatella avevano iniziato a seguire tutte le lezioni del secondo anno del corso di Laurea in Giurisprudenza sempre assieme e con molta diligenza,
Tutti i professori ormai conoscevano quella coppietta e li guardavano con molta simpatia per la loro assiduità ed anche perché formavano insieme un bel quadretto, lei bionda e dall’incarnato pallido, lui bruno di carnagione e dai capelli scuri sempre ben pettinato e vestito sportivamente ma elegante ed educato, quando chiedeva spiegazioni su qualche particolare delle lezioni.
Donatella, con quelli occhi verdi azzurri sempre attenti, sembrava la più dolce delle ragazze ed era la più invidiata tra le molte studentesse della Facoltà, dal momento che soltanto a lei era permesso di fare l’assistente volontaria in un paio di cattedre, tra cui quella importante di Diritto Privato.
Il professore Fenelli dirigeva quella Cattedra.
Era un uomo molto simpatico e dal carattere allegro, alto e biondo con un paio di occhiali da presbite che però non riuscivano a mascherarne gli occhi, grandi, espressivi ed intelligenti.
Al professore Fenelli la giovane studentessa piaceva non solo per la sua indiscussa preparazione ma anche fisicamente e pure Fabio si era accorto degli sguardi che quello lanciava alla sua ragazza. .
Donatella si mostrava molto lusingata per la stima che il giovane professore di Privato le dimostrava affidandole incarichi importanti e di responsabilità e non le passava, nemmeno per un attimo per la testa, il pensiero che quell’uomo, non ancora quarantenne, potesse avere altre idee sul suo conto.
E mentre nel tardo pomeriggio Fabio seguiva il corso propedeutico riguardante le varie leggi, dissimili e diverse rispetto alla legislatura italiana nella Unione Europea, Donatella faceva anche lei tardi nello studio riservato al professore Fenelli, dove ad una certa ora, rimanevano loro due soli ad interessarsi di varie pubblicazioni scientifiche riguardanti argomenti innovativi e nuove disposizioni di legge sul Diritto Privato.
Il professore le aveva fatto una proposta.
Se lei avesse continuato così diligentemente ad aiutarlo nelle sue ricerche, avrebbe messo il suo nome sulle pubblicazioni, come collaboratrice delle stesse e questo avrebbe comportato una pianificazione per la sua carriera, una volta laureata, tale che in un breve periodo avrebbe potuto prendere la libera docenza.
Donatella in un primo momento aveva pensato che quelle fossero soltanto chiacchiere per tenersela buona e per prospettarle una vita diversa da quella che lei stessa aveva pensato dopo la Laurea ma quando vide, dopo un mese soltanto, il suo nome stampato accanto a quello di Fenelli sulla copertina di una pubblicazione su “Innovazioni del Diritto Privato nella Famiglia”, cominciò a credere seriamente alla prospettiva della libera docenza.
Fabio fino a quel punto aveva approvato quanto Donatella stava facendo.
Essere l’assistente volontaria di un professore molto conosciuto come Fenelli, già al secondo anno del corso di Laurea, era cosa assolutamente lodevole e degna di ammirazione.
Quando però Donatella gli raccontò dei progetti del professore riguardo la sua futura carriera, Fabio andò su tutte le furie.
Era una serata di metà dicembre, una di quelle serate che a Trieste si preferisce passare al calduccio di casa al riparo della bora che soffiava, in certi momenti, a più di cento chilometri l’ora.
Erano tornati a casa verso le ventuno, con le orecchie ed il naso congelati e non vedevano l’ora di sdraiarsi sul divano davanti al caminetto di marmo rosso pieno di legna che bruciava allegramente.
Donatella aveva cominciato a parlare.
- Fabio, guarda questa pubblicazione ed il suo frontespizio e dimmi se non mi merito un grosso ed appassionato bacio. -
Fabio, a cui Donatella non aveva anticipato la sorpresa, guardò con attenzione la copertina dello scritto e scoppiò in una sonora risata.
- Ma guarda cosa mi tocca vedere e leggere: il nome della mia donna stampato da quel deficiente di Fenelli. Ma ti sembra possibile che tu al secondo anno devi essere trattata come una laureata oppure come una che ha già in mano la specializzazione? -
Donatella, che invece si aspettava le lodi di Fabio e che stava già buttandosi tra le sue braccia, rimase come di sasso e gli occhi le si inumidirono silenziosamente di lacrime che cominciarono a scendere lentamente sulle sue guance arrossate dal freddo.
Fabio continuò. -Non è che il porco ha cominciato a metterti le mani addosso? -
- Io gli spacco la faccia a quel farabutto! -Urlò con tutto il fiato che possedeva.
Donatella non era riuscita a dire mezza parola tanto era rimasta ferita ed offesa dalle supposizioni di Fabio.
Un grosso nodo le stringeva la gola.
Come aveva potuto il suo Fabio ferirla offendendola così profondamente senza un minimo di autocontrollo.
Era la prima volta, da quando vivevano insieme in attesa del matrimonio, che si comportava in quel modo assurdo e dispregiativo, senza nemmeno averle fatto proferire una parola e colpendola anche nel suo amor proprio, perché lei si era tanto sacrificata ed impegnata per quella pubblicazione che in pratica era quasi completamente farina del suo sacco.
Donatella si alzò dal divano e si chiuse a chiave nella camera da letto.


Donatella aveva continuato a piangere nel grande letto matrimoniale, sola e delusa del suo compagno e come in un filmato aveva rivissuto gli insulti che Fabio, tanto tempo prima, le aveva rivolto nel suo appartamentino a San Giovanni portando a termine la prima storia d’amore di quella fragile Donatella del Liceo.
Di quell’episodio aveva rimosso ogni cosa, attribuendosene in parte la responsabilità, ma ora nuovamente lo aveva rivisto aggressivo ed ironico, cattivo, come un essere senza cuore e senza alcuna delicatezza nei suoi riguardi quasi per punirla di essere stata ingenua con il suo Maestro di Privato.
Ma anche se Fenelli l’avesse ingannata prospettandole la carriera di libera docente, come aveva potuto Fabio insinuare delle avance di quello che se ci fossero state lei gli avrebbe immediatamente riferito.
Allora Fabio non la conosceva o faceva finta di non conoscerla!
Avrebbe potuto essere anche un’altra cosa, anzi Donatella si augurava che fosse così
L’invidia di Fabio nei suoi riguardi.
Fabio era certamente più preparato di lei in ogni campo che riguardasse lo studio ed allora avrebbe potuto anche capire quella frase che ancora le rintronava nel cervello e la stava facendo impazzire di dolore: “ti sei fatta mettere le mani addosso da quel porco”.
Ma perché offenderla gratuitamente e volgarmente?
Quando aveva cominciato a dubitare della sua lealtà e del suo infinito amore nei suoi riguardi? Oppure era lui che non l’aveva mai amata e che l’aveva voluta, soltanto per farle dimenticare quanto vile fosse stato con Patrizia a Londra?
Nel turbinio dei pensieri che le si affacciavano nella mente, Donatella, alle due di notte decise che così incerta e piena di rabbia non sarebbe rimasta più nemmeno per un minuto.Avrebbe chiarito subito i fatti con Fabio.
Aprì la porta della camera ed entrò nel salotto, dove ancora bruciavano nel camino i pochi residui della legna che ardeva prepotente dalle nove della sera precedente.


I due lampadari della sala erano ancora accesi. Fabio giaceva assopito sul divano con la pubblicazione di Donatella tra le mani quando questa, camminando a piedi nudi in silenzio sul grande tappeto, gli si avvicinò.
Fabio era ancora completamente vestito come quando erano entrati in casa, la testa appoggiata sul bracciolo del divano, gli occhi chiusi con le lunghe ciglia ricurve, i tratti del viso distesi come quelli di un bambino, lo facevano apparire anche più bello di quanto in realtà fosse.
Donatella, in camicia da notte tremante come una foglia al vento freddo, lo scosse violentemente e mentre quello aveva appena sollevato le palpebre, disse con voce ferma.
- Adesso mi spieghi perché stai con me. Se veramente mi ami e se possiamo ancora vivere insieme come prima, perché io ho bisogno di certezze e di un uomo che non solo mi desidera e che abbia unicamente per me tutto l’amore che mi può dare ma anche tutto il rispetto che desidero avere.
A Fabio, che pareva di sognare vedendo la sua Donatella vicina, spuntò un sorriso tra le labbra e dopo qualche secondo rispose.
- Perdonami, tesoro, non volevo offenderti. Sono troppo geloso di te per pensare che un altro uomo possa non dico toccarti ma nemmeno sfiorarti. Senza di te morirei di crepacuore. Io non solo ti amo e ti adoro ma ti venero con tutta l’anima e con tutto il mio povero cuore di ragazzo pazzo per un Angelo del Paradiso. -
Aggiunse con la voce che tremava di emozione, -ho visto il professore guardarti con troppo interesse e nessuno al mondo potrà mai sfiorarti oppure abusare del proprio potere con te. Tu sei solo mia e solo io potrò accarezzarti, baciarti e soprattutto rispettarti come meriti. -
Per Donatella tutte le parole di Fabio erano state musica celestiale.
Dunque Fabio era veramente innocente e sinceramente dispiaciuto per quanto le aveva detto la sera prima.
Nessuna sua precedente supposizione era allora reale ma solo congetture nate da un momento d’ira che lei mai aveva vissuto. Era soltanto gelosia e paura di perderla.
Donatella si gettò nelle braccia di Fabio e questi, prendendola in braccio, la portò a letto dove fecero all’amore fino allo sfinimento totale.






CAPITOLO SEDICESIMO





Fabio si era raccomandato con Donatella di continuare il suo lavoro di ricercatrice come collaboratrice del direttore di cattedra di Diritto Privato.
Le aveva fatto una sola raccomandazione, chiedendole ancora una volta perdono per quanto in un momento di delirio di gelosia le aveva detto la sera prima.
- Da oggi in poi, ti prego, di raccontarmi tutto ciò che ti possa capitare nel vivere alcune ore al giorno a contatto di gomito con Fenelli. Penso che mi sia utile per analizzare il carattere dell’uomo e così curarmi l’ansia della gelosia che ha fatto capolino nel mio inconscio in modo talmente repentino ed inaspettato da vergognarmene. -
Donatella lo baciò appassionatamente prima di uscire di casa.
- Non devi preoccuparti per me. So cosa devo fare nel caso si presentasse un qualsiasi pericolo, ma io credo che non succederà mai. Fenelli ti conosce e sa che tu esisti per me e sei il mio unico amore. -
La mattina era fredda ma non c’era più quel vento gelido della sera prima.
L’Alfa era pronta in garage come ogni giorno alla stessa ora, secondo le disposizioni di Fabio, all’uomo addetto alla custodia delle macchine.
Mentre la 146 aveva cominciato la salita per raggiungere l’Università si trovò di fronte, improvvisamente in senso contrario, la Sportiva del professore Fenelli che prendendo una curva in discesa a forte velocità aveva sbandato scivolando su una lastra di ghiaccio ed invadendo la corsia opposta.
Le due automobili non riuscirono ad evitare un frontale violento.
Il professore rimase incastrato tra le lamiere perdendo conoscenza, mentre Donatella e Fabio ebbero solo delle modeste contusioni escoriate.
Fenelli, dopo l’intervento dei pompieri venne portato in Ospedale dove gli venne diagnosticata una imponente emorragia interna dovuta alla rottura della milza con conseguente grave stato anemico.
Anche Fabio e Donatella vennero portati nello stesso Ospedale, per le medicazioni del caso, ma quando essi seppero che c’era una folle bisogno di sangue del gruppo 0 Rh negativo per salvare la vita di Fenelli, Fabio che aveva sentito parlare di quella urgente necessità si era offerto di donargli il suo sangue proprio di quel raro gruppo.
Dopo l’intervento di splenectomia, con l’aiuto fondamentale del sangue di Fabio, Fenelli venne dimesso dieci giorni prima Natale.
I due giovani, incolpevoli, per l’incidente si erano recati ogni giorno al capezzale del Direttore di Cattedra ed alla fine erano diventati amici di Fenelli che non la finiva più di ringraziare Fabio per la sua generosità.
Quello non aveva nessun parente o amico intimo a Trieste e così il giorno di Natale fu invitato, ormai guarito ed in forma, a casa di Mario e Valeria.
Fabio e Donatella, fecero gli onori di casa al benvenuto e gli auguri di Buon Natale.
Fenelli portò due cesti di fiori,uno per Valeria e l’altro per la sua affascinante figliola.
Fabio aveva cambiato parere sul professore.
Lo vedeva sotto un altro profilo, smarrito anche se sempre sorridente, come se fosse un pesce fuor d’acqua, lui, toscano solo come un cane a Trieste e gli propose, d’accordo con Donatella, di andare a passare il Capodanno sulla neve in montagna dove avrebbe ripreso completamente serenità e forze.
Anche se non avesse sciato, passare una settimana a Sappada sarebbe stata una cosa gradevole e salutare in compagnia di quei giovani pieni di vita.
Così, il ventisette Dicembre, partirono tutti e tre insieme per Sappada.


Sembrava che il destino avesse preso gusto a ripetersi.
Come due anni prima sulle Dolomiti, per caso, Fabio incontrò in un negozio Patrizia, di cui da molto aveva perduto le tracce, questa volta in compagnia di una bella ragazza bruna dalle labbra carnose e molto appariscenti di nome Paola che non conosceva affatto.
Patrizia salutò Fabio come si fa con un vecchio amico calorosamente e gli presentò Paola.
Donatella era rimasta in Albergo perché quella mattina aveva preso a nevicare fittamente ed era rimasta a letto al calduccio dicendo a Fabio che poteva andare tranquillamente a farsi un giretto per quella bella cittadina che non aveva mai visto.
Fabio era uscito con il professore ed anche questo ebbe la gradita occasione di conoscere quelle due studentesse liceali una più affascinante dell’altra.
Dopo i convenevoli tra i quattro Patrizia, dopo aver chiesto di Donatella venendo a sapere che non si erano ancora sposati ma che vivevano insieme e che Donatella era lì a Sappada in Albergo, annunciò ai due che aveva il piacere di presentare loro la nuova stella del blues, Paola Turan e che lei stessa era la sua manager e che si trovavano a Sappada per alcuni concerti tra la Carnia e le Dolomiti.
Patrizia li invitò al concerto che sarebbe avvenuto quella sera stessa mentre Paola aveva notato il bel aspetto del professore ed il suo viso interessante ed intelligente.
Paola era orgogliosa che al suo debutto ci sarebbe stato un docente universitario, che tra l’altro non era un vecchio bacucco ma un giovane che dimostrava meno dei trentanove anni che aveva dichiarati con un accattivante sorriso.
Patrizia si raccomandò con Fabio di portare anche la bella fidanzata e che gli prometteva quattro posti in prima fila.
Il concerto si sarebbe svolto nel più grande Hotel della splendida Sappada, dopo cena verso le dieci, in una vasta sala con i posti tutti già prenotati.
Patrizia aveva provveduto al lancio pubblicitario ed erano stati invitati diversi giornalisti ed esperti del canto.
Se avessero voluto avrebbero potuto, dopo il concerto brindare insieme e fare uno spuntino insieme in quello stesso Hotel, prima di andarsene a letto.
Quando Fabio raccontò a Donatella dell’incontro con Patrizia e di una certa Paola Turan, una sua scoperta nel canto blues e dell’invito per la sera, Donatella, allegra ed anche sorpresa esclamò.
- Certo è che Patrizia rappresenta una forza della natura. E’ veramente un tipo sempre in ebollizione, una ne pensa e cento ne fa. Le auguro che oltre a prendersi finalmente il Diploma di Maturità sia anche diventata una scopritrice di talenti. Questo è proprio quello che probabilmente più le si addice, povera amica mia sempre in movimento per dare uno scopo alla sua vita e per essere felice. -
Per un momento si immerse nei suoi pensieri.
- Mi ricordo quanto amasse le canzoni e della sua saletta piena di CD ed ancora dei suoi nastri dove incideva canzoni cantate da lei stessa anche se non molto intonate! Come siamo diverse. Io potrei essere al suo confronto una ragazza degli anni settanta e quasi me ne dispiace. Poi penso a te e sono contenta di essere così come mi conosci e credo che anche tu ne sia felice. Quando saremo sposati ti darò molti figli maschi e femmine belli come non li puoi nemmeno immaginare. -
Fabio le accarezzò i bei riccioli biondi che erano il risultato di una permanente appena fatta, le accarezzò il collo diafano e le disse.
- Non ti cambierei con nessuna altra donna, tu sei unica. -


Il concerto di Paola, accompagnata da un pianista negro specialista di blues, fu un grande successo.
Ogni brano cantato, quasi fosse una professionista con anni di esperienza, era seguito da applausi scroscianti e da grida di soddisfazione da parte soprattutto degli ascoltatori più giovani.
Patrizia aveva avuto ragione.
Aveva scoperto un vero talento musicale, una ragazza del duemila che interpretava il blues come se si fosse trattata di una negra di New Orleans con un fraseggio eccezionale e mettendo, dentro a tutti i brani, il cuore della gente di colore associandola ad una voce incredibilmente potente e calda e soavemente dolcissima.
Alla fine Donatella aveva gli occhi lucidi e si congratulò, lodando, sia la giovanissima cantante sia Patrizia che non stava più nella pelle dalla felicità.
Paola non avrebbe mai pensato che potesse trasmettere tanta emozione e commozione con le sue interpretazioni, né che le congratulazioni fioccassero anche da agguerriti critici ed esperti di case discografiche che fecero la fila per invitarla a provini in molte città del nord.
Fu Patrizia De Angeli che autorevolmente prese in mano la situazione diventata, ad un certo punto, caotica.
- Signori, la mia cantante dovrà ancora esibirsi in questi giorni, -come è spiegato nel programma dettagliato che vi è stato consegnato all’entrata-, in diverse altre famose località montane.Vi ringraziamo per gli apprezzamenti ma ritengo che sia troppo presto, anche dopo queste lodi, di parlare di provini. -
- Paola Turan continuerà a perfezionarsi e solo alla fine della Primavera faremo una conferenza stampa per formulare le nostre intenzioni. Intanto potete scrivere sui vostri giornali tutto quello che credete su questa nuova artista che si farà conoscere a fondo durante la prossima Estate. -
Patrizia aveva fatto tre semplici calcoli.
Il primo era mettere in chiaro che l’attività artistica di Paola dipendeva solo da lei e contemporaneamente voleva una forte pubblicità su Paola, subito, lasciando un velo di mistero sulla giovane amica.
Il secondo era di ordine didattico. Era molto meglio che Paola studiasse anche con altri maestri senza abbandonare il primo.
Il terzo la riguardava personalmente.
Non avrebbero, né lei né Paola, abbandonato il Liceo e questa volta tutte e due avrebbero preso il Diploma prima di buttarsi professionalmente ad essere “l’alter ego” della sicura nuova stella del canto.


Patrizia volle assolutamente brindare con Donatella e Fabio ed il loro amico , il professore Fenelli, al successo della sua protetta Paola invitandoli ad una cenetta intima in un saloncino riservato dell’Hotel, dove mangiarono soltanto del pesce di primissima qualità quale spigole ed aragoste, con l’assaggio di ostriche freschissime del nord Europa.
Vennero stappate due bottiglie di Don Perignon del ‘82 e risate e buon umore condirono quello spuntino tra le domande dei tre invitati e le risposte di Paola e Patrizia, che progettavano con mille ipotesi tutte piene di speranza il loro futuro.
Alla fine della cena mentre Paola Turan disse di volersi ritirare nella sua camera per riposare, Patrizia propose ai tre ospiti di portarla al loro Hotel per completare l’avvenimento con un buon bicchiere di Martell ed un caffè.
Il professore Fenelli accettò immediatamente la proposta.
Era raro che passasse una così piacevole serata e sentendosi fisicamente in ordine ed in forma, l’idea di Patrizia gli parve ottima.
Donatella e Fabio sorrisero pure loro vedendo Patrizia talmente euforica che sembrava avesse bevuto più delle due sole coppe di Champagne che le avevano servito.
Non volevano comportarsi sgarbatamente con lei e prendendo le due auto quella di Fabio, nella quale entrò lo stesso Fabio e Donatella e quella di Patrizia con il professore, fecero i i cinque chilometri che li separavano dal loro Albergo.
Donatella disse di essere stanca e prese soltanto una mezza tazzina di caffè, corretto da qualche goccia di Sambuca.
Poi diede un bacio a Patrizia e salutando Fabio esclamò. -
- Non fare troppo tardi e già l’una e mezza, domani dobbiamo sciare. -
Donatella fece un saluto con la mano al professore Fenelli ed andò a letto.
I due uomini e Patrizia rimasero al bar dell’Albergo mentre la ragazza continuava a farsi versare diversi cognac uno dopo l’altro.
Dopo mezzora, Fabio le propose di smettere di bere e si offrì di riaccompagnarla al Hotel dove probabilmente Paola già dormiva.
Patrizia avrebbe potuto lasciare l’auto al parcheggio dell’albergo e lui avrebbe preso nuovamente la propria vettura per accompagnarla.
L’indomani qualcuno del Hotel sarebbe venuto a prendere la sua macchina e così lei non avrebbe corso nessun pericolo dato che tra poco non si sarebbe retta più in piedi a causa dell’alcool.
Fabio impiegò più di un quarto d’ora per convincere Patrizia.
Alla fine lei disse.
- Va bene Fabio lo faccio per farti dormire in santa pace. Sarebbe un bel guaio se mi sfracellassi proprio qui a Sappada, un bel guaio per te e Donatella. Vi rovinerei la vacanza. -
Così continuando a ridere Patrizia diede il braccio a Fabio ed i due salirono sulla sua macchina.
Il professore dopo aver salutato cordialmente Patrizia ringraziandola per la bella serata passata insieme salì le scale a piedi perché anche lui si sentiva leggermente alticcio per tutto l’alcool trangugiato e voleva smaltirlo senza prendere l’ascensore fino al quinto piano dove aveva la sua camera.
Giunto al terzo piano Fenelli cominciò a sentirsi male.
La testa gli girava vorticosamente ed in un attimo pensò che aveva molto esagerato e per l’alcool e per l’aragosta e le ostriche mangiate abbondantemente.
Si ricordò di colpo che in quel piano c’era la camera di Fabio e Donatella, la numero cinquantacinque. Aveva assoluto bisogno di aiuto ed in un attimo si trovò davanti alla camera dei due fidanzati.
Bussò alla porta chiusa a chiave dall’interno e dopo poco vide Donatella in babydoll rosso aprirgli l’uscio assonnata ma ancora sveglia, bellissima e seminuda.
Donatella,che aveva creduto di trovarsi di fronte Fabio, cacciò un urlo mentre aveva riconosciuto il professore che , bianco come un morto ed in un bagno di sudore, si era gettato su di lei per non cadere per terra.
Si trovarono tutti e due sul letto mentre Donatella, cercando di divincolarsi dalla stretta svenne per la paura.
La porta della camera rimase semiaperta, il professore a sua volta sembrava morto sopra la bella ragazza discinta.
Dopo quindici minuti, Fabio entrò nella stanza.
Non riuscì a capire cosa fosse successo ma immaginò che Fenelli avesse tentato di violentare Donatella e che lei avesse tentato di difendersi.
Il sangue gli bollì nelle vene e colmo d’ira prese il primo oggetto che gli capitò tra le mani, un piccolo portafiori di cristallo, con il quale e ripetutamente colpì al capo ed al corpo Fenelli finchè non lo vide in un bagno di sangue allentare la presa su Donatella.
Fabio prese Donatella svenuta tra le braccia, le mise addosso una vestaglia e la portò giù nella Hall dell’albergo.
Disse al portiere di chiamare immediatamente la Polizia ed un medico e che in camera sua c’era un uomo gravemente ferito.
Con dell’acqua fredda cercò di far rinvenire la ragazza e dopo parecchio tempo Donatella riprese i sensi ma non la memoria.
Lo shock era stato molto forte per la giovane donna e mentre due medici si stavano impegnando per farla riprendere da una specie di catalessi che l’aveva colpita e che la rendeva rigida, come una statua di ghiaccio, un’ambulanza a sirene spiegate portava il professore Fenelli al più vicino Ospedale della zona.
Nello stesso tempo era anche arrivata una macchina della Polizia con un tenente ed un paio di agenti che avendo constatato la gravità della situazione chiesero, via radio, l’aiuto di un altro equipaggio accompagnato da uno specialista della Scientifica.
Donatella era stata sistemata su un lettino della portineria.
Aveva gli occhi aperti, sbarrati e fissi davanti a se. Gli arti inferiori non riuscivano a piegarsi sulle ginocchia ed avevano assunto l’aspetto di due tronchi.
Non diceva nulla era ammutolita e solo le mani cercavano quelle di Fabio che si era seduto vicino a lei e che le stringeva accarezzandole.
Il capitano della Mobile, che era sopraggiunto con la seconda volante, intanto aveva cominciato ad interrogare Fabio che aveva raccontato tutto l’accaduto con precisione e nei minimi particolari non cercando nessuna scusa per ciò che aveva fatto.
L’ uomo della Mobile aveva concluso.
- Signor Pisano, lei sa che dovrebbe essere messo in stato di fermo? Ho conosciuto suo padre, un vero galantuomo ed un Magistrato di rara onestà e bravura. Viste le condizioni della signorina penso che sia meglio che lei resti con la sua fidanzata. Mi faccia parlare al telefono con suo padre. Se il signor Pubblico Ministero garantirà per la sua persona, potremmo trovare un compromesso che soddisfi la Legge, senza levare alla signorina Donatella l’unica persona che in questo momento accetta, vicina a se. -
Fabio svegliò suo padre e passò il telefono al Capitano.
Questo parlò a lungo col Magistrato ed infine Fabio potè rimanere con Donatella ma a disposizione.






CAPITOLO DICIASSETTESIMO





Al professor Fenelli vennero riscontrate tre ferite lacero contuse al cuoio capelluto, la frattura del setto nasale, numerose contusioni ed ematomi alle spalle ed al torace ed uno stato di commozione cerebrale di media entità nonché un tasso alcolico ematico molto alto.
La prognosi fu di quaranta giorni salvo complicazioni il che implicava la denuncia, senza querela di parte, all’ Autorità giudiziaria.
A Donatella oltre a contusioni su tutto il corpo ed ad alcuni ematomi fu diagnosticata amnesia retrograda ed anterograda, stato confusionale e shock psicogeno con paresi funzionale degli arti inferiori di origine emozionale per tentata violenza carnale, con prognosi di sessanta giorni salvo complicazioni.
Un mese e mezzo più tardi sia Fenelli che Donatella erano guariti.
Tuttavia il Giudice delle indagini preliminari fissò la data del processo per la fine di Maggio 2003, volendo stabilire se le lesioni al professore fossero state tali da potere implicare, per Fabio, anche il tentato omicidio preterintenzionale
Fabio era rimasto per tutto il tempo fino alla guarigione definitiva di Donatella accanto alla sua fidanzata e non aveva più né frequentato l’Ateneo né sostenuto alcun esame.
Chiarite come fossero andate le cose, le parti avrebbero voluto non dare luogo a procedere, ma proprio il padre di Fabio volle che si celebrasse il processo.
Il caso venne derubricato a lesioni, per Fabio, per legittima difesa di altra persona incapace momentaneamente di difendersi da sola e cancellata l’imputazione per Fenelli di tentata violenza carnale.
Per il professore rimase l’imputazione di molestia e lesioni gravi su un soggetto del quale era stato profanato il proprio domicilio con l’aggravante di avere agito in stato di ubriachezza.
Le parti vollero patteggiare la pena che fu di sei mesi per Fabio e di nove mesi per Fenelli, con la condizionale e la non menzione.
Quella maledetta vacanza a Sappada l’avrebbero ricordata entrambi gli imputati che malgrado ciò rimasero buoni amici.
I guai peggiori colpirono però il professore Fenelli che dovette allontanarsi da Trieste per il giudizio disciplinare del Corpo Accademico e spostarsi ad Urbino all’Università per Stranieri.


Se Donatella era guarita completamente era stato merito esclusivo di Fabio che con dolcezza infinita e con le sue tenere carezze era riuscito a sciogliere quel nodo al cervello che l’aveva ridotta ad una bambola fragile di porcellana.
All’inizio ci aveva provato Valeria ed una psicologa ma con esiti negativi.
Donatella voleva accanto a se soltanto Fabio e lui aveva capito che solo la sua dedizione a quella creatura avrebbe fatto il miracolo di rendergli la sua splendida, unica e speciale compagna come era sempre stata scattante, piena di vita e così appetitosa.
Quando ciò avvenne loro due si buttarono sui libri e riuscirono a preparare tutti gli esami che avevano programmato per la sessione estiva.
Altri due esami li avrebbero fatti a novembre terminando così il biennio.
La vita ricominciava ad essere gioiosa e divertente come era logico per due giovani che, oltre ad amarsi perdutamente, avevano il diritto di vivere la loro esistenza spensieratamente e senza problemi, specie se questi derivavano da altra gente.
Donatella evitava anche i contatti con Patrizia per non farsi immischiare in fatti non suoi e di Paola a cui comunque augurava un grande successo come cantante.
Sia Patrizia che Paola comunque non stavano perdendo il loro tempo in amenità, studiando energicamente per il Diploma di Maturità Classica e con assiduità frequentando una Band di solisti di jazz, scoperti ancora una volta dalla signorina Patrizia De Angeli, che aveva cominciato a farsi conoscere nel mondo dello spettacolo ed in quello dei cantanti di musica moderna pop, anche di genere diverso da quello abituale di Paola.
Questa era diventata molto conosciuta anche tra i critici musicali, tanto che anche il Piccolo di Trieste era stato autorizzato da Patrizia a dedicarle un servizio fotografico ed una intervista.
Paola non faceva nulla senza l’autorizzazione di Patrizia.
Anche i rapporti con i giovani ammiratori erano filtrati da Patrizia e quando una mattina in classe, Danilo sorridendo, aveva chiesto alla diciottenne brunetta un autografo, Patrizia aveva riso di cuore ed aveva chiesto.
- Danilo non vuoi mica arricchirti con gli autografi della nostra compagna che tra un anno varranno almeno dieci euro l’uno? -
Poi aveva aggiunto.
- Senti bello, non fare gli occhi da triglia. Paola ha ben altro per la testa che perdere tempo con te. Ci vediamo amico e la prossima volta dalle del “lei”….e buona fortuna con le tue matrone! -
Un giorno prese Paola sotto braccio e le disse.
- Finora i nostri rapporti sono stati sulla parola, ma adesso devo dirti che se desideri che io continui ad interessarmi della tua carriera dobbiamo firmare un contratto davanti ad un notaio. -
- Mi fido ciecamente di te, quindi se mi dici che è meglio stendere un contratto ti credo e faremo come vuoi tu. -
Due giorni dopo le due giovani si presentarono da un notaio e legalizzarono i loro rapporti.
Patrizia de Angeli diveniva da quel momento il factotum della diciottenne cantante.
Qualsiasi contratto sarebbe stato siglato da Patrizia e così i rapporti pubblicitari e quelli con i Media nonché quelli con le case discografiche e televisivi.
A Paola sarebbe spettato il sessanta per cento del guadagno netto, a Patrizia il quaranta.
Per festeggiare l’avvenimento Patrizia volle fare un bel regalo all’amica e le comprò un paio di orecchini di brillanti molto costosi ma anche molto raffinati.
Paola felice, baciò Patrizia e si confidò.
- Tu sei colei a cui devo tutto, se un giorno sarò famosa e speriamo ricca, non dimenticherò mai quanto hai fatto e farai per me che credevo il canto solo un hobby, da tenere per me come solo divertimento. -
- Adesso capisco che sono nata per trasmettere agli altri tutte le mie più profonde e segrete emozioni con la mia voce. Soltanto quando mi immergo nel blues e nello jazz puro sento che la mia anima ed il mio cuore si liberano di tutta la carica emotiva che posseggo e che mai riuscirei ad esprimere altrimenti! -
- Mi ero presa una cotta allucinante, due anni fa, per un ragazzo dolce e con sentimenti talmente limpidi nei miei riguardi che non mi facevano più nemmeno dormire. Lo ho perduto, perché non ho saputo aprirgli il mio cuore con parole che sapessero dirgli tutta la passione e tutto l’amore che sentivo. Adesso sono sicura che non mi avrebbe mai lasciato se avessi cantato per lui, come faccio adesso, perdendomi nel sentimento che ora so di poter dare ad ogni persona che mi ascolta. Povera Paola fatti forza e non piangere più. -
Era la prima volta che Paola confidava a Patrizia un segreto che teneva gelosamente per se stessa e questo fatto fece pensare alla “ragazza di pietra”che sarebbe stata per sempre, oltre che una amica, anche la sua fedele e sincera compagna di tutte le sensazioni che avrebbe da quel momento in poi, percepito o che avrebbero potuto farla soffrire o ferirla.
Patrizia pensò anche che non tutte le donne possedevano quella energia e forza granitica che invece lei capiva di avere.
Lei sapeva anche di non avere bisogno di nessun sostegno che l’aiutasse nei momenti difficili, come era purtroppo accaduto, nel suo passato e sicuramente si sarebbero ripetuti più avanti nella sua vita.
Paola non rappresentava solo un buon investimento ma l’avrebbe pure migliorata come donna allo stesso modo di Donatella cui andava il merito, se ancora non si era abbruttita nella sua presunzione e megalomania.


- Quanto mi sei mancata, -esclamò Sonia tornata da poco tempo da Cambridge con il suo Master in tasca andando a trovare Donatella in una serata calda dei primi di Giugno.
- Ho saputo che sei stata male questo inverno, anzi parecchio male, non è vero? -
Donatella che in quel momento si sentiva benissimo e bella come un fiore in Primavera, non volle entrare in tutti i particolari del dopo Sappada.
- Sì qualcosa ho avuto ma niente di grave, ora mi sento in forma perfetta e continuo a migliorare. Per questa Estate faremo delle belle gite in barca, anche Fabio ne ha comprata una e tu sarai nostra ospite. -
Donatella era sicura che Sonia sapesse per filo e per segno tutto su ciò che era accaduto a lei ed a Fabio a Sappada e poi delle conseguenze di quel brevissimo soggiorno in montagna, ma non volle rivangare tutto quel periodo doloroso a Sonia, alla quale riconosceva una illuminata intelligenza ed un modo di comportarsi molto inglese con la caratteristica di non farsi i fatti degli altri se questi non lo desiderano.
Invece le due amiche parlarono di tanti altri argomenti interessanti e molto diversi dal privato, ma tali che fecero bene a tutte e due riportando nei loro cuori l’allegria e la gioia di rivedersi e di stare un paio di ore insieme.
Sonia era stata molto carina portandole una magnifica bambola scozzese e dei cioccolatini che disse di consegnare a Valeria, quella sera fuori casa in compagnia di Mario.
Era anche molto entusiasta per avere fatto un colloquio con esito positivo alle Assicurazioni Generali proprio il giorno prima e sperava di essere assunta con un’ottima qualifica.
Il sacrificio che aveva fatto, per quei due anni passati a Cambridge, non era stato inutile anzi era convinta che proprio il Master ottenuto le avesse aperto la strada.
Dopo il dieci Luglio si sarebbero sentite al telefono per vedere di passare qualche giorno insieme nella barca di Fabio.






CAPITOLO DICIOTTESIMO





La giornata era giunta al tramonto.
Enormi cumulonembi occupavano il cielo ad oriente facendo presagire piogge torrenziali mentre stranamente l’aria era calma quasi ferma.
Donatella infagottata in un cappotto grigio perla entrò nel Palazzo di Giustizia di Trieste dalla porta che permetteva l’accesso solo agli avvocati ed ai magistrati.
Salì a piedi due rampe di scale e si trovò nella sala destinata ai penalisti per vestire la toga e presentarsi nell’aula della Corte d’Assise, dietro la quale erano riuniti dal mattino i Giurati che probabilmente avrebbero emesso il loro Giudizio solo a notte inoltrata.
In quel momento scoppiò un terribile temporale, quasi una tempesta, con saette e tuoni che potevano contarsi a centinaia mentre una pioggia violenta ed un vento terrificante facevano a gara per far sembrare quel luogo l’anticamera dell’inferno.
Donatella pensò a suo figlio così piccolo e così pauroso che aveva affidato alla nonna ed ebbe timore che Claudio stesse piangendo implorando Valeria di portarlo dalla mamma.
Claudio era nato tre anni prima. Era un bambino bello e forte e somigliava a suo padre Fabio come una goccia d’acqua.
Donatella era tranquilla.
Aveva fatto tutto il possibile per vincere quella causa indiziaria ma si era trovata di fronte al Pubblico Ministero più inflessibile e più duro che mai avesse affrontato, suo suocero Mario, il quale nella sua arringa accusatoria aveva chiesto il massimo della pena: l’ergastolo, per l’efferatezza del duplice omicidio premeditato e per la crudeltà con la quale il suo assistito lo avrebbe eseguito, negando anche qualsiasi attenuante per la mancanza di pentimento e respingendo la perizia psichiatrica che lei aveva tentato di far passare, in alternativa all’assoluzione per non avere commesso il fatto , nella quale si affermava che in ogni caso l’imputato non era perseguibile perché di personalità schizofrenica.


Donatella aveva fatto carriera velocemente.
Laureata con 110 e lode a soli ventuno anni, ne avrebbe compiuto ventidue un mese dopo, aveva voluto percorrere la carriera di penalista e dopo sei anni di continuo studio e di concorsi vinti, si poteva fregiare di quel titolo divenendo una delle più giovani penaliste d’Italia.
Fabio invece stava percorrendo ancora la carriera del padre, ma per farlo d’accordo con Donatella, aveva procrastinato il matrimonio a causa dei continui spostamenti di sede dove veniva destinato.
Donatella, però, aveva voluto subito un figlio appena stravinto l’ultimo concorso per il semplice motivo che voleva essere una mamma giovane.
Aveva parlato chiaramente con Fabio.
- So di essere in torto, a suo tempo aveva promesso che in caso di tuoi spostamenti di sede sarei stata comunque sempre accanto a te, ma questo significherebbe per me la fine della mia carriera e questo mi sembra una vera assurdità ora che sono una penalista. -
- Metterò su uno studio a Trieste e mi farò una clientela, con le cause che vincerò,degna di Perry Mason. -
- Dammi un figlio e questo sarà il ponte che ci terrà uniti. Tu verrai a Trieste ogni volta che avrai un paio di giorni di tempo libero a vedere tuo figlio ed a fare all’amore con me. -
- Siamo come due siamesi e nessuno ci potrà separare! -
Fabio disse di essere d’accordo. Si sarebbero sposati appena lui fosse diventato Sostituto Procuratore .
Intanto erano già passati tre anni dalla nascita di Claudio ed ancora non si erano sposati.
Fabio aveva riconosciuto il bambino ma adesso Claudio cominciava a risentire la mancanza del papà.
Mario stava tentando di ottenere l’OK per un concorso straordinario che assegnasse alla sua Procura, ormai era Procuratore Capo, un nuovo Sostituto che sarebbe stato Fabio se il concorso fosse stato bandito.
Mario aveva saputo che era solo questione di pochi mesi e poi tutto sarebbe stato fatto.
Intanto lui si era dovuto sobbarcare ad un eccesso di lavoro straordinario e questo fatto, pur non desiderandolo, l’aveva posto di fronte a Donatella avvocato difensore, in una causa importante in cui i due si erano scontrati senza esclusione di colpi su quel duplice omicidio che era successo a Monfalcone e che Donatella voleva assolutamente non perdere perché convinta che il processo si reggeva solo su indizi fiacchi e non sufficienti.


Quando alle ventidue rientrò la Corte, il Presidente lesse la Sentenza, mentre l’uragano che si era abbattuto sulla città si stava esaurendo.
La Corte d’Assise di Trieste, stabilito che l’imputato era colpevole per tutte le imputazioni e rigettando la perizia psichiatrica della difesa e non concedendo nessuna attenuante, lo condannò all’ergastolo con sei mesi di isolamento diurno e notturno oltre che a tutte le pene accessorie ed al pagamento delle spese di giudizio oltre ad un risarcimento alle famiglie delle vittime pari a due milioni di euro.
Quell’uomo, condannato alla morte civile, guardò Donatella pietosamente mentre lei era diventata di gesso, quasi annichilita dalla durezza della pena ma ancora in grado di dirgli.
- Non ti preoccupare, andremo in Appello e smantelleremo lì questa vergognosa sentenza. -
Il giovane avvocato aveva perduto la battaglia contro quel mastino di Mario ma gliela avrebbe fatto pagare a caro prezzo.
Si sentiva affranta ma non umiliata e tornando a casa rifletté a lungo sul significato di quella sconfitta, sulla ottusità di chi aveva condotto le indagini e sulla ignoranza di quella Giuria che non aveva voluto sentire ragioni pur di vendicarsi e comunque avere un colpevole, sul quale scaricare le proprie angosce di cittadini colmi di paure personali ed in ogni caso, desiderosa di dare uno qualsiasi in pasto all’opinione pubblica.
Si era chiesta dove fosse andata la norma dei testi monumentali del Diritto che in mille modi recitavano, “ in dubbio pro reo”.
A cosa era servito studiare tanto e vedere poi come si potevano manipolare i fatti all’unico scopo di sentirsi un Giustiziere e basta, senza curarsi se la verità fosse stata raggiunta e se la Giustizia avesse trionfato in ogni caso e fosse veramente uguale per tutti?
Donatella aveva finalmente capito che non poteva fare tutto da sola e che aveva la necessità di assumere un Detective che indagasse per conto suo e di uno Studio Legale Associato con altri avvocati che avrebbe, con un grande sacrificio economico, immediatamente costituito.
Era stata troppo presuntuosa finora e si era illusa, dopo le ventuno cause vinte, di essere imbattibile.
Donatella amava troppo l’assoluto.
Sia nell’amore, sia nella verità, sia nel dolore che viveva come cosa propria ed ancora nella vita, nello studio e nella ricerca affannosa del motivo essenziale della nascita e della morte.
Lei donna, con quell’unica esperienza vissuta con il suo Fabio, conosceva o credeva di conoscere ogni sfaccettatura dell’uomo.
Donatella non aveva dubbi, l’uomo era più debole della donna, più fragile cominciando da Fabio e da Mario per finire all’ultimo pensionato che un giorno aveva incontrato a San Giusto, nel piazzale monumentale dove aveva portato suo figlio in una bella giornata di sole.
Quello aveva affannosamente tentato di attaccare bottone con la biondissima signora scherzando con il bambino.
- Che bel figliolo, signora, lo faccia crescere forte, .-disse, -e quando dico forte non intendo pieno di muscoli oppure un campione in qualche attività sportiva ma penso alla forza dell’anima e della mente. -
- Sapesse come passo le mie giornate! Ho soltanto sessanta anni ma sono ridotto come un vecchio decrepito senza più nessun interesse nella vita. Vengo quasi ogni giorno a San Giusto per vedere e possibilmente parlare con qualcuno, magari un turista e non certo per chiedergli l’elemosina. Dove abito da quaranta anni, in un grosso condominio a San Giacomo, non ho un amico, un conoscente con cui scambiare quattro chiacchiere e pure ci vediamo ogni giorno da sempre. Le uniche parole , senza senso, sono “buon giorno” oppure “buona sera” e poi il vuoto più totale. -
Donatella si era fermata volentieri osservando il volto rugoso ma franco e lo sguardo aperto di quell’uomo brizzolato ma ancora saldo sulle gambe, delizioso quando usava parole in gergo triestino, che non voleva niente da lei se non il gusto di scambiare qualche frase, non convenzionale, ma che discuteva sulla solitudine e sul significato della sua esistenza ora che, rimasto vedovo e senza un figlio, non capiva perché avesse dovuto campare ancora.
Era evidente come fosse caduto in depressione perché avvicinatosi un po’ di più al bambino per una carezza, Donatella aveva sentito l’odore di vino uscirgli col fiato da quella bocca ed era soltanto mattina.
Poi una serie di flash le passarono per la mente.
Molti clienti erano uomini, colpevoli oppure innocenti, che avevano più bisogno di qualcuno che ascoltasse della loro vita prima ancora di una penalista.
Aveva anche osservato come la maggioranza di questi, se aveva infranto la legge, l’aveva fatto non per un motivo egoistico ma per necessità vitali della famiglia e solo questo fatto dimostrava a sufficienza la loro fragilità, nei momenti più difficili della vita, in cui ognuno aveva cercato una scorciatoia invece di sacrificarsi ancora di più in un qualsiasi lavoro come invece avrebbe fatto una donna.
Fabio, anche lui così intelligente e con una tempra di ferro, nell’ultimo loro incontro quindici giorni prima aveva cominciato a dare segni di cedimento.
Le aveva detto.
- Non so come farò a resistere ancora lontano da te e dal bambino. Se lo avessi immaginato prima, avrei fatto anch’io l’avvocato, magari nel Civile.
Fare il magistrato comporta troppi sacrifici che si scaricano sulla famiglia e la mia famiglia sei tu e Claudio. -
Donatella lo aveva coccolato come se anche lui fosse suo figlio, ma Fabio aveva continuato.
- Intanto il tempo passa e dimmi tu chi me lo restituirà più. -
Ancora di più Donatella si convinse della assoluta superiorità della donna, che non solo aveva avuto il compito universale di fare figli ma anche quello di fare da mamma a tutti gli uomini.






CAPITOLO DICIANNOVESIMO





Patrizia De Angeli era diventata stramilionaria in euro.
Non viveva più a Trieste ma a Milano dove aveva creato una formidabile Multinazionale Discografica, in grado di vendere i suoi prodotti non solo in Europa ma in tutto il mondo in particolare in Estremo Oriente e in America, Stati Uniti e Canada compresi.
Era riuscita a mettere sotto contratto oltre che Paola, la più grande solista di jazz e di blues degli ultimi venti anni, anche i migliori complessi e cantanti europei.
Era nata per fare grandi cose ma che potesse sfondare in un campo infido e difficile, come quello da lei scelto, non l’avrebbe immaginato nessuno.
C’erano voluti molti soldi per impiantare ed organizzare l’Azienda ma lei aveva avuto il naso di reinvestire subito il denaro che aveva guadagnato con Paola, approfittando della rendita vitalizia che suo padre le aveva lasciato alla sua morte avvenuta dopo due anni dal debutto della sua amica.
Aveva convinto Paola di entrare nella Società che aveva creato dal nulla resistendo alle offerte fattele per cedere i diritti sulla stessa Paola e non erano cifre di poco conto.
Aveva impiegato alcuni anni per farsi conoscere a livello internazionale ma quando vi riuscì ebbe la soddisfazione di trasformare l’Azienda in una Società per Azioni quotata in Borsa e fu allora che arrivarono tanti soldi, pur mantenendo Patrizia il cinquantuno per cento della Società da sola nelle sue capaci mani.
Era fredda anzi gelida negli affari, ma sempre allegra ed una grande simpaticona con i suoi collaboratori e con i nuovi amici che si era fatta a Milano ed in altre numerose città italiane.
Aveva voluto tornare a Londra da padrona indiscussa e da donna invidiata non solo per concludere altri grossi affari ma anche per far vedere, a quelli che aveva conosciuto a ventanni, chi fosse la vera Patrizia De Angeli.
La bellezza di Patrizia era rimasta intatta, non aveva voluto sposarsi perché non aveva mai incontrato il grande amore ed anche per il motivo che di uomini ne aveva fatto il pieno sotto i trenta ed aveva cominciato ad averne la nausea.
Erano quasi tutti così fatui e così prevedibili che preferiva ad essi, ora che aveva superato la trentina, gli animali e soprattutto la sua vecchia e mai spenta passione per i cavalli.
Ne aveva comprati in Inghilterra una mezza dozzina, tutti puledri puro sangue, e li teneva in una scuderia nella campagna inglese sotto la guida di un grande allevatore irlandese di nome Robert, dando a questo carta bianca per farli correre nelle gare di galoppo che si svolgevano in Europa.
L’unica cosa che era cambiata era stata che aveva preferito il galoppo al trotto, dove erano molto più rare le combine e gli imbrogli, memore delle fregature prese a Trieste all’ippodromo di Montebello, quando già lo frequentava come scommettitrice non ancora diciottenne.
Aveva pensato che i cavalli fossero meglio degli uomini e più generosi anche quando non erano dei grandi campioni.
Di Robert si fidava. Era un uomo tutto di un pezzo, anche se aveva superato i sessanta anni, dal carattere forte come il suo ma onesto, anzi vergognosamente onesto.
Robet era stato prima un grande fantino poi un grandissimo allenatore ed aveva una sola passione ed una speranza, di poter scoprire prima o poi il campione con la “c” maiuscola.
Lo pagava bene anche se meno del suo valore ma Patrizia gli aveva promesso, che se avesse scoperto il Campione gli avrebbe regalato una scuderia, con dieci puledri purosangue.
Così “ la Ragazza di Pietra” trattava tutti i propri collaboratori ed ognuno le era fedele e si sentiva legato a lei più se avessero ricevuto stipendi molto più alti e premi di produzione stratosferici.
Si stabiliva una gerarchia: chi produceva di più, più aveva interesse di lavorare per la stupenda mora di Trieste.


L’unico ricordo che la legava ancora alla sua città, dove era nata, era Donatella e Fabio.
Ogni tanto si faceva sentire al telefono con Donatella da cui aveva saputo tutti i particolari di lei e di Fabio.
Nell’ultima telefonata Donatella, in modo del tutto inconsueto, si era decisa di aprire il suo cuore con Patrizia e le aveva detto che Fabio in quel momento si trovava a Roma per il concorso di Procuratore. finalmente indetto e che poi sarebbe tornato a Trieste, dove era già pronto per lui il posto di Sostituto Procuratore, accanto al padre Mario ancora sulla breccia ed ancora lontano dal pensionamento.
Patrizia sapeva del figliolo, Claudio e del fatto che Donatella non era ancora sposata con Fabio.
A Claudio aveva inviato un bellissimo regalo ed un biglietto in cui era scritto “dalla più cara amica di mamma, auguri per i tuoi tre anni”.
Patrizia aveva avuto una grande tentazione, le sarebbe piaciuto rivedere Fabio a Roma.
In fondo Fabio era stato l’unico uomo che, adesso, capiva di avere veramente amato.
Patrizia ebbe un lungo travaglio interno, sentendosi imprigionata da quella idea che non la smetteva più di penetrare sempre più profondamente nell’anima ma, al tempo stesso, provava orrore per quella remota possibilità di tradire con una azione irrazionale, la fiducia che Donatella le aveva ancora una volta dimostrato parlandole al telefono di quanto Fabio fosse, in quel periodo, particolarmente vulnerabile per la vita che era costretto a condurre.
Donatella non aveva dubbi sulle sofferenze del suo uomo e le aveva confessato che temeva di vederselo sparire dalla propria esistenza, anche se la cosa le sembrava inverosimile per l’esistenza di Claudio, quel figlio che entrambi avevano voluto.
Patrizia non riusciva a capire perché ancora si sentisse attratta da Fabio e perché ancora non aveva il coraggio di confidarsi con la sua amica.
Non si sentiva una donna mendace, era cresciuta ormai e la vita le aveva insegnato mille cose che non conosceva certamente a ventanni e tanto meno un essere debole incapace di resistere ad un capriccio quasi infantile.
Ora non le dava più fastidio il ricordare come la chiamavano a Trieste prendendola in giro.
Sì, era forte come la pietra ma di questo sapeva di potersene vantare perché non c’era cosa che non potesse dominare.
Aveva anche pensato che se tutto si fosse ridotto ad una semplice curiosità adolescenziale sarebbe stato molto meglio per tutti, che lei fosse andata a Trieste per rivederlo in un fine settimana, accanto alla sua Donatella.
Vedendolo nel suo ambiente familiare, avrebbe subito capito se la crisi di Fabio fosse soltanto dovuta alla lontananza dalla famiglia oppure avesse un significato più profondo e riguardasse gli impegni che si era assunto con Donatella e con il figlio.
Patrizia aveva dedotto che era inutile andarsi a cacciare in un dedalo dove una volta entrata le sarebbe stato impossibile districarsi.
Però era arrivata al punto che nel dormi veglia sentisse la presenza di Fabio come reale,.il calore del suo corpo vicino al suo, l’odore che non aveva mai potuto dimenticare e si era preoccupata talmente che aveva pensato di mettersi in Analisi da uno psicoterapeuta.


Più passavano i giorni più impellente sentiva il bisogno di vedere Fabio ed all’Analista non pensò più nemmeno per una volta.
Patrizia aveva molti conoscenti a Roma e prima di muoversi fece un giro di telefonate tra gli impiegati e i funzionari del Palazzo di Giustizia a Piazzale Clodio, ai quali si rivolgeva saltuariamente per pratiche inerenti a documenti che alcune volte le servivano per la sua Società.
A costoro aveva chiesto di inviarle a Milano, via Fax, l’indirizzo romano del magistrato Fabio Pisano.
Venne a sapere che Fabio viveva in un piccolo albergo del quartiere Prati il più vicino al Palazzo di Giustizia e solo allora decise di prendere il primo aereo del pomeriggio per Roma, prenotando per il lunedì successivo.
Sarebbe arrivata nella Capitale alle sedici ed una macchina con autista l’avrebbe attesa al Terminal.
Si ricordò pure di prenotare una camera in un altro albergo in Prati, abbastanza vicino a quello di Fabio ed appena arrivata pensò che avrebbe agito con semplicità presentandosi a Fabio, verso le sette e mezzo di sera nell’albergo che lo ospitava, chiedendo di lui alla Reception ed attendendolo nella Hall.
L’intenzione era quella di passare semplicemente una serata con lui sondandone lo stato d’animo.
Soltanto dopo averlo analizzato, avrebbe ideato altre mosse per vedere se Fabio si ricordasse di lei piacevolmente oppure se non la pensasse più.
Patrizia sarebbe stata molto soft e non aveva nessuna voglia di sedurlo come invece aveva fatto tanti anni prima a Londra. Tutto sarebbe dipeso da Fabio, liberamente.
Lei poteva solo ricordargli che un uomo come lui non doveva vivere una vita così sacrificata e subirne conseguenze fisiche e psichiche.
Avrebbe desiderato che Fabio si fosse stretto a lei in un sogno d’amore che avrebbe dato pure a lei un pizzico di felicità.
Egli avrebbe potuto anche rimanere con Donatella e sposarla, mentre lei si sarebbe accontentata di diventare la sua amante segreta.
Il triangolo tra lei Donatella e Fabio non l’avrebbe infastidita, l’importante era che lui dividesse tra lei e Donatella la sua potenza sessuale condita da un briciolo d’amore.


Fabio si presentò nella Hall dell’albergo alle venti in punto chiedendo alla Reception se qualcuno lo avesse cercato.
Era molto stanco e l’abbigliamento che indossava pareva facesse il paio con il suo volto incupito .e sonnolento.
Era tornato a Roma da Trieste quella stessa mattina, viaggiando in treno, di notte e non aveva dormito che per qualche sprazzo di tempo.
Fabio vestiva di scuro portandosi appresso un impermeabile grigio verde che piegato sul braccio destro sembrava più che un impermeabile uno straccio. I pantaloni erano spiegazzati, le scarpe non troppo lucidate e la cravatta aveva un orribile colore arancione.
Gli occhi poi, quei bellissimi occhi che in passato erano stati sempre luminosi, erano scavati come se fosse convalescente da una malattia ed i capelli non erano più composti ed ondulati come Patrizia li ricordava.
Sembrava assai più anziano della sua età reale e qualche filo bianco faceva capolino nella sua chioma.
Il direttore dell’albergo gli indicò una poltrona della Hall dicendogli.
- Signor Dottore, c’è una persona che ha cercato di lei e che è qui da circa mezzora seduta su quella poltrona sulla destra. E’ una signora che dice di essere una sua amica. -
Fabio si giro verso la direzione indicata ma vide soltanto, oltre la spalliera della poltrona, una testa di donna dalla chioma nera che pareva essere uscita in quel momento da un parrucchiere.
La donna si voltò sentendosi osservata e con grande meraviglia, Fabio incrociò il suo sguardo mentre Patrizia, alzandosi in piedi, era rimasta a sua volta a bocca aperta per il fatto che aveva appena riconosciuto in quel tipo, l’uomo con cui era stata tante volte a letto, quando facevano insieme l’ultimo anno di liceo.
Patrizia aveva immaginato che Fabio fosse sì cambiato ma non come lo stava vedendo in quel momento, un uomo diverso, quasi non fosse quel brillante laureato in legge che stava per diventare un Pubblico Ministero, cioè una persona di cui ognuno avrebbe avuto un certo timore reverenziale ed ancora quasi suo coetaneo.
Il cuore di Patrizia stava accelerando quando Fabio le rivolse la parola dopo averla salutata con una stretta di mano, fredda quasi gelida.
- Guarda chi si rivede dopo tanti anni! -
Esclamò con l’unica cosa che non si era modificata, la voce sempre la stessa, sempre leggermente ironica, ma ancora dal timbro piacevole e con quella leggera inflessione romanesca.
- Sei sempre una bella figliola, gli anni per te non passano mai. -
Sembrò riflettere per un attimo, poi aggiunse.
- Hai bisogno di qualche favore da me? -
Il tono della sua voce era diventato improvvisamente sarcastico, arrogante, quasi sprezzante.
Patrizia pensò che aveva ragione Donatella quando le aveva confidato che Fabio stava attraversando un momentaccio, una crisi profonda e di colpo riacquistò il suo proverbiale modo di fare e di agire.
- Passavo per Roma per i miei affari ed ho pensato che ti avrebbe fatto piacere rivedere una tua vecchia amica…, il tuo indirizzo me lo ha dato un amico del Pazzo di Giustizia. -
Sbrigativamente aveva risposto sia alla sua offensiva domanda sia al tono che aveva usato nel parlarle e nello stesso tempo non le passò nemmeno lontanamente per la testa di accennargli la verità riguardo alla sua visita.
Patrizia si era pentita di essersi comportata in un modo non coerente alla sua natura, quasi fosse una educanda rimbecillita da un sogno che non poteva essere realtà.
Proprio lei che aveva saputo e voluto essere quella donna invidiata da mezzo mondo si era abbassata, cedendo per un attimo a sentimenti adolescenziali, ad un punto vergognosamente idiota pensando di potere fare qualcosa di utile per Fabio.
Freddamente rifletté che Donatella era una povera disgraziata nell’amare e nel diventare la sposa di un individuo simile.
Fabio poteva cucinarsi tranquillamente nel suo brodo di uomo distrutto dalla sua megalomania e dalla depressione che balzava fuori da lui come un anguilla in poca acqua.
Non avrebbe mosso nemmeno un dito per aiutarlo a risolvere le sue frustrazioni e contrariamente a ciò che aveva programmato, dopo una cenetta in una trattoria lì vicina, gli disse che aveva la serata già impegnata con altri amici di Roma.
Patrizia salutò cortesemente Fabio, gli fece gli auguri per il concorso e disse di salutarle Donatella ed il piccolo Claudio.
Alle nove del mattino del giorno successivo partì per Milano levandosi dalla testa per sempre Fabio.






CAPITOLO VENTESIMO





Dopo l’incontro fortemente voluto, da parte di Patrizia con Fabio, cominciò per la donna un periodo pieno di guai che durò per anni.
Paola Turan la sua amica e cantante di punta, dopo essere rimasta ferita gravemente in un incidente stradale, dovette rimanere fuori dal giro dei concerti e da quello discografico per due anni con un grave danno economico per la Società per Azioni di Patrizia, con perdite per i titoli di oltre il venticinque per cento.
Molti azionisti vendettero al ribasso e per quanto Patrizia cercasse di comprare lei stessa quelle azioni, arrivò rapidamente il momento di una profonda crisi di cassa con le Banche, che premevano su di lei per rientrare dalle sofferenze, bloccandole i fidi oppure aumentando a dismisura i tassi.
Patrizia, per fare fronte agli impegni con gli Istituti di Credito, fu costretta a vendere quanto, con certosina pazienza e con grande preveggenza, avesse accumulato di proprietà immobiliari e di partecipazioni azionarie in Fondi Comuni Bilanciati con salate emorragie di denaro, dal momento che i Fondi erano stati programmati per un lungo periodo di tempo.
A mala pena riuscì a non fare fallire la Società, anche se i guadagni che aveva dalle altre fonti del suo giro riuscivano con notevole difficoltà a coprire gli scoperti bancari..
A Patrizia era rimasta una unica possibilità : quella di vendere la sua creatura al miglior offerente e così fece perdendo in un unico colpo quanto aveva costruito in più di dodici anni di lavoro.
L’unica cosa che non perse del tutto fu la scuderia in Inghilterra vendendo all’amico Robert il cinquanta per cento della stessa ad un prezzo talmente modesto e tale che Robert non avrebbe voluto accettare.
Patrizia per amore dei cavalli non aveva voluto privarsene del tutto mantenendo allo stesso tempo la sua parola con Robert, per il lavoro e per la abilità che costui aveva avuto nello scoprire ed allevare almeno tre Campioni di Galoppo.
Patrizia era riuscita anche a non vendere la casa villino dei suoi genitori, ora di sua proprietà, dopo la morte anche di sua madre per un ictus.
La “Ragazza di Pietra”era tornata ad essere una semplice donna che aveva un unico scopo nella sua vita, quello di lavorare come direttrice del grande negozio del padre, venduto anche quello e del quale sarebbe rimasta per tutta la vita, per contratto, la responsabile commerciale.
Lei aveva fatto spallucce, infine, alla catastrofe cadutale addosso ed era tornata a vivere a Trieste con l’unico diversivo rispetto agli anni giovanili di non avere nemmeno uno straccio di uomo ai suoi piedi ed andando di tanto in tanto a Londra a vedere ed ad appassionarsi alle galoppate dei suoi cavalli in comproprietà invece che all’ippodromo di Montebello.
Tutto ora era rimasto come quando andava al Liceo, a Trieste, che pareva una città fossilizzata nei ricordi del passato remoto, con le nuove poche generazioni di giovani che andavano a fare i bagni a Barcola oppure a Sistiana anzi che a Miramare d’estate ed a riempire le poche sale da ballo che resistevano ai nuovi tempi, così diversi dai suoi, di inverno, durante il quale era rimasta solo una cosa identica: la gelida bora che proveniva dal nord est dei Balcani.
Patrizia avrebbe potuto tranquillamente diventare, nel tempo, una vecchia ed impenitente zitella se non fosse accaduto un fatto nuovo ed inaspettato.


In seguito ad una denuncia falsa, da parte di uno spasimante che lei aveva mandato al diavolo, di truffa aggravata da strozzinaggio, fu indagata proprio da Fabio Pisano che, dopo avere vinto il concorso per Procuratore, era ritornato a Trieste due anni prima di lei, come aggiunto e sostituto Pubblico Ministero accanto al padre Mario che sarebbe andato in pensione tra meno di due anni
Non aveva più visto Fabio da quando, in un momento di pura follia, si era precipitata a Roma quel lunedì di fine ottobre di cinque anni prima.
Patrizia aveva qualche volta incontrato Donatella, ormai sposata felicemente con Fabio, ma non l’aveva mai frequentata pur dicendole di tutte le vicissitudini degli ultimissimi anni.
Si era però ricordata dei compleanni di suo figlio Claudio ormai di otto anni, al quale aveva sempre mandato un regalino in quelle occasioni.
Donatella aveva creato uno Studio Legale, al centro della città a piazza Goldoni associandovi altri tre avvocati, una donna e due uomini, di cui uno si interessava di penale e gli alti due delle cause civili.
Il primo era molto giovane, aveva solo trenta sei anni ed era già patrocinante in Cassazione.
Era uno di quei pochi avvocati che Donatella ammirava, sia per la sua profonda preparazione nel campo della Procedura Penale, sia per l’eleganza del suo eloquio sempre forbito e penetrante.
Si chiamava Marcello Manfredi ed era uno spilungone alto quasi un metro e novanta, appassionato di pallacanestro e biondo come Donatella.
Si erano messi insieme quando Donatella aveva fatto ricorso in Appello, nella causa in Corte d’Assise che lei aveva perduto in primo grado e che era costato l’ergastolo all’imputato, essendo Pubblico Ministero il suo futuro suocero Mario.
Avevano assunto un ex tenente dei carabinieri dei reparti speciali dell’Arma, che aveva dato le dimissioni dalla stessa, per divenire un formidabile investigatore privato e che aveva cercato, in modo certosino, le prove della non responsabilità del condannato per il duplice omicidio.
L’assoluzione in appello fu il risultato della collaborazione dei tre e fu festeggiata come si doveva anche da Mario, che si era attenuto strettamente a tutto il lavoro della Polizia, dimostratosi superficiale, inadeguato e completamente fuori della Procedura Penale.
L’alibi riferito dall’imputato, ebbe il sostegno non di uno ma di tre testimoni non sentiti dalla Polizia per negligenza e così erano iniziati i successi del trio del nuovo Studio Legale, diretto dalla figlia di Valeria.
Il marito di Valeria aveva ammesso onestamente, in privato, il suo errore per non avere tenuto conto di quanto Donatella aveva sostenuto in primo grado e tutto si risolse in gloria con grande evidenza dei Media.


Quando Patrizia ricevette, come un fulmine a cielo sereno, l’avviso di garanzia per la denuncia di quell’uomo che voleva vendicarsi per essere stato respinto da lei, pensò subito di farsi assistere da Donatella.
Fece una telefonata e fissò un appuntamento per il giorno successivo.
Patrizia era soltanto infastidita per quel fatto non certo spaventata e si era ripromessa di fare una contro denuncia contro quell’uomo per calunnia.
Prima però doveva sistemare il problema poi avrebbe chiesto i danni materiali e morali per quell’accusa falsa e disgustosa.
Quel tizio l’aveva molestata più volte ma egli non sapeva che Patrizia era una donna molto intelligente ed in ogni caso navigata nel marasma dei fatti della vita e quindi ignorava che lei avesse registrato le sue telefonate minatorie e chiaramente ricattatorie.
Così, quando si presentò nello Studio di Donatella, ebbe la gradita sorpresa di trovare lì veramente una amica che l’accolse col sorriso sulle labbra.
Ciao Patrizia, -le disse dandole una pacca sulle spalle, -se sapessi che piacere mi ha fatto, rivedendoti. Sei sempre la stessa bellissima Patrizia di sempre, come mai da queste parti pensavo che prima o poi saresti venuta a casa mia, per conoscere mio figlio… -
Aggiunse, -qui non siamo a casa, non è che per caso hai bisogno di un consiglio legale? -
Patrizia che era rimasta in piedi, osservando quanto professionale era diventata Donatella, le si avvicinò e l’abbracciò con calore.
- Hai perfettamente ragione, Donatella, sono in torto marcio ma ho un attenuante. In questi ultimi anni ho passato un sacco di guai nella mia attività di ex responsabile della Società per Azioni di cui ero titolare e che ora non possiedo più. Ci vorrebbe un romanzo per raccontarti tutto, non è questo il momento di tediarti con le mie vicissitudini. -
Patrizia ebbe per un attimo timore che Fabio non le avesse raccontato del loro incontro a Roma e pensò di girare l’ostacolo.
- Come sta adesso Fabio, gli è passata la crisi di cui mi raccontasti al telefono? -
- Altro che, mi ha raccontato che quando lo vedesti a Roma era ridotto maluccio, è vero? -
Patrizia aveva saputo dalla bocca di Donatella della sua visita a Fabio.
- Certo Donatella, stava proprio giù di corda, del resto come mi avevi raccontato al telefono. Ero andata a Roma per affari e mi era saltato in testa di salutarlo, a Palazzo di Giustizia avevo molti amici ed uno di questi mi diede l’indirizzo, volevo fargli una sorpresa. -
- Purtroppo siamo stati insieme soltanto un paio di ore per una cenetta in una trattoria e poi sono dovuta scappare via per gli appuntamenti di lavoro che avevo in quella stessa serata. -
Patrizia era riuscita a sapere ciò che le interessava.
I rapporti tra Fabio e Donatella erano improntati sulla sincerità.
Fabio le aveva raccontato della sua visita a Roma e Donatella non aveva fatto nessun dramma, anzi sembrava contenta.
Certo, se avesse potuto sapere cosa le era frullato nel cervello prima di partire da Milano per Roma, non l’avrebbe accolta cosi carinamente!
Patrizia tirò un sospiro di sollievo.
Poteva iniziare a dirle il motivo della sua visita ed in seguito sarebbe andata a casa di Donatella magari per un pranzo, per conoscere Claudio e per ossequiare la signora Pisano .cioè Valeria.
Già, pensò, adesso di signore Pisano ce ne erano due, Valeria e la stessa Donatella ma tutto pareva funzionare divinamente.
- Veniamo al motivo della mia visita, -disse Patrizia imbronciata, -si tratta di un incarico che ti voglio conferire per difendermi da una accusa ingiusta e falsa. -
Raccontò tutto a Donatella nei minimi particolari e quando ebbe finito di parlare, Donatella le disse.
- Andremo insieme da Fabio perché l’avviso di garanzia proviene dal suo Ufficio -


Mentre Patrizia e Donatella stavano sul punto di prendere l’appuntamento per la mattina successiva per andare insieme in Procura, entrò nella stanza dove Donatella lavorava, Marcello. che disse.
- Scusami Donatella se disturbo, ma ho bisogno urgentemente di un fascicolo che ho messo sulla tua scrivania. -
Fece il giro della scrivania e guardò Patrizia.
Rimase con il fascicolo in mano ed esclamò.
- Ma guarda un po’ cosa mi nascondi, Donatella, tu hai una cliente simile e non me lo hai mai detto. -
Proruppe in una fragorosa risata e senza aggiungere altro si presentò a Patrizia.
- Sono l’avvocato Marcello Manfredi, socio della nostra Donatella. Complimenti, signora, era tanto che non vedevo una donna della sua bellezza fascinosa e della sua classe. Adesso devo correre, ma se Donatella vorrà ci vedremo in una altra occasione. -
L’avvocato Manfredi fece un leggero baciamano a Patrizia ed in un secondo fu fuori dello studio di Donatella.
- Hai fulminato Marcello, cara Patrizia, non è tipo da sbilanciarsi facilmente davanti ad una donna e ti garantisco che sono in tante che lo vorrebbero conquistare corteggiandolo. -
Il commento di Patrizia fu immediato.
- E’ davvero un superfusto, gradevole e molto appetitoso. -
Le due donne si salutarono e l’indomani alle dieci si sarebbero viste in Procura davanti all’ufficio di Fabio.
Nel ritornare a casa, Patrizia ebbe il tempo di fantasticare su Marcello Manfredi.
Era un tipo assai appariscente ma lei non l’aveva mai visto in città.
Non le sarebbe dispiaciuto se Donatella le avesse dato una seconda occasione per conoscerlo meglio. Per il momento aveva altre cose da sbrigare e molto più importanti di un uomo che però aveva fatto colpo nella sua fervida immaginazione.






CAPITOLO VENTUNESIMO





Quando Donatella e Patrizia entrarono nell’ufficio di Fabio, egli le accolse con un sguardo che la diceva lunga sulla sua estrema curiosità, mista a vera meraviglia ad ascoltarle.
Donatella aveva voluto fargli una sorpresa.
Gli aveva detto che per questioni di lavoro si sarebbero visti quella mattina da lui ma non gli aveva spiegato il perché e di cosa si trattasse.
Fabio non si era sorpreso più di tanto a casa, alla richiesta della moglie.
Quando si erano sposati avevano fatto un patto.
A casa mai avrebbero parlato di lavoro e questo, non per la delicatezza delle rispettive professioni, ma soltanto perché avevano stabilito che i problemi giudiziari non avrebbe mai interferito sul loro privato.
E mentre egli si era sorpreso nel vedere Donatella insieme a Patrizia, quest’ ultima era rimasta incredibilmente stupefatta nell’osservare come Fabio apparisse adesso tutto il contrario del Fabio che aveva incontrato a Roma prima dell’esame di concorso a Procuratore.
Sereno, tranquillo, disponibile, ben curato nell’aspetto ed elegantemente vestito, Fabio benevolmente fece accomodare sua moglie e Patrizia di fronte a lui su due comode sedie e molto professionalmente chiese il perché di quella visita inattesa.
Ignorava dell’avviso di garanzia inviato a Patrizia dal suo Ufficio ma da un altro sostituto PM, suo collaboratore ma appena arrivato in Procura, che non l’aveva avvisato.
- Ma bravo il mio maritino, - rise Donatella, -ma guarda un po’ come funziona bene l’Ufficio del quale sei titolare. Non sapete nemmeno a chi mandate gli avvisi! Bella figura… -
Fabio era diventato rosso in viso. Sua moglie aveva perfettamente ragione, egli avrebbe dovuto sapere che Patrizia era indagata.
- Mi scuso per il disguido, -disse rivolto alle due donne ma qui in Ufficio c’è un po’ di confusione da quando siamo rimasti in due, io ed il mio collaboratore appena arrivato da una settimana,invece che in tre come dovrebbe essere. -
- Tuttavia essendo io il responsabile, cara moglie, mi hai preso in castagna e non ho parole per rammaricarmene. -
Donatella rise di gusto. Le aveva fatto piacere dargli un bel quattro ma sorvolò.
- Adesso vorrei che tu interrogassi Patrizia che fino a questo momento non ha fatto sentire nemmeno la sua voce. -
Patrizia si era disinteressata totalmente della schermaglia tra Donatella e Fabio come se fosse stata ipnotizzata dal timbro della voce di Fabio che era ritornata a possedere la morbidezza dei tempi passati e quella dolcezza che l’aveva sempre affascinata.
Quando riuscì a svegliarsi dai sogni giovanili, senza fare trasparire nessun accenno di rancore per la definitiva perdita di Fabio, raccontò quello che aveva già detto a Donatella con altrettante dovizie di particolari.
Soltanto quando Fabio la interruppe chiuse la bocca, non prima di avergli detto che a quello gliela voleva fare pagare cara, con una contro denuncia come del resto aveva chiesto a Donatella.
Fabio le aveva spiegato che non doveva preoccuparsi assolutamente dato che lei era stata molto previdente nel registrare le minacce del suo denunciante e sommando a quelle, le altre prove che gli aveva fornito, tutto sarebbe finito con un non luogo a procedere.
A quel punto, avrebbe pensato Donatella al da farsi.
Quando Donatella salutò il marito con un bacio, Patrizia abbraccio Fabio e gli disse.
- Meno male che ho amici importanti come voi. Adesso mi sento meno sola e protetta. Sono felice che la vostra unione vi abbia apportato fama e benessere oltre che amore. -
Donatella prese sotto braccio Patrizia e le due amiche si ritrovarono come quando erano ragazzine senza pensieri alla fine della scuola media.


Il corteggiamento di Marcello Manfredi a Patrizia fu martellante, assiduo e molto romantico.
Quello spilungone biondo aveva molte cartucce da sparare.
Era molto sicuro di se e per quanto fosse assai impegnato col lavoro trovava il tempo per divertirsi e per fare divertire chiunque lo frequentasse.
La sua statura non metteva in imbarazzo nessuno dei suoi amici tanto era senza inibizioni e semplice nelle sue piccole manie, come quella di raccontare barzellette anche molto spinte se si presentava l’occasione di creare un clima allegro quando le cose non filavano per il verso giusto.
Marcello aveva la fama di play boy ma in realtà era molto restio ad allacciare rapporti, con tutte le donne che gli giravano intorno.
Aveva un volto naturalmente aperto al sorriso, ma se era il caso, diveniva serissimo riguardo alle cose importanti della vita o quando si parlava del destino dell’umanità, che adorava tutta con un fuoco che gli saliva dall’anima.
Odiava la politica e per quanto fosse stato battezzato non faceva distinzioni tra le religioni ritenendo, convinto, che ognuno dovesse essere libero di professare quella che più si addicesse alla sua natura.
Faceva suo il motto di Confucio che l’umanità dovesse vivere nell’armonia ma non nella uniformità.
Si infervorava quando si parlava di sport specialmente di Basket o di automobilismo sportivo, tanto che l’unico lusso che si era permesso era stato quello di acquistare una splendida Porche Cabrio.
Con quella auto faceva un figurone e Patrizia aveva cominciato ad amarlo perché era di carattere talmente semplice da essere addirittura prevedibile.
Aveva il gusto del vincente ma in palio ci doveva essere qualcosa di difficile da conquistare, come gli era parsa Patrizia in tutte le sfumature del suo complesso carattere.
Aveva detto a Patrizia di essersi innamorato di lei perché la sua essenza non era quella che lei aveva sempre pensato di essere, forte e freddamente determinata ma, un miscuglio di passionale dolcezza e di fragile debolezza nelle cose di cuore che lei mai avrebbe ammesso.
Egli le aveva sussurrato parole mai sentite, frasi dolcissime sincere e dolci e pur non ignorando che in piccola parte il suo passato, con altrettanta tenerezza, aveva fatto breccia nel suo cuore,ora, non più duro come la pietra.
Soltanto Marcello l’aveva vista così, diversa dalla Patrizia che lei stessa aveva fabbricato forse per difendere la propria fragilità.
Se ne era convinta, facendosi un esame di coscienza.
Quando era stata bambina aveva avuto paura di ogni cosa, ma poi crescendo si era accorta che gli altri la guardavano e si interessavano di lei soltanto per la sua prorompente bellezza e senza pensare ad altro se non di conquistare il suo corpo. Era stato allora che Patrizia si era resa conto di non contare niente per gli altri.
Chi mai si era dato pena di penetrare nei suoi sentimenti e nel suo cuore di adolescente cresciuta in fretta, con tutti i dubbi che l’avevano assalita in tutti quelli anni bui per il suo futuro di donna?
Chi aveva provato a starle accanto disinteressatamente senza volere in cambio qualcosa? Chi aveva cercato di aiutarla a crescere, nemmeno i suoi genitori se ne erano data la pena!
Ora, che si avviava velocemente ad oltrepassare i trentacinque anni, un certo Marcello le aveva detto cose mai sentite da altri colpendo nel segno.
Patrizia, che era parsa indistruttibile prima agli altri e poi a se stessa, era arrivata al punto di avere bisogno di Marcello e non saltuariamente ma ogni giorno, per sentirsi dire soltanto parole e concetti assoluti e velati di sana saggezza, magistralmente pensati e divinamente espressi.
Si era chiesta dolorosamente il perché era stata tanto sfortunata a non incontrare prima, assai prima nella vita, un qualsiasi Marcello che l’avesse amata in quel modo e presa con semplicità facendole sentire cosa fosse realmente l’amore tra un uomo ed una donna.
Tutta la falsità, diretta ad uno scopo preciso ed unico e soltanto qualche rara volta condita da apparente affetto, la facevano soffrire adesso dopo tanti anni.
La soglia della sensibilità si era innalzata unicamente con Marcello, con un uomo dall’intelligenza superiore e dall’anima candida come quella di un bambino.
Patrizia aveva deciso che gli avrebbe detto di sì quando le avrebbe chiesto di sposarlo.
Il suo modo di interpretare fatti e cose l’avevano conquistata in modo definitivo e consegnata tra le sue forti braccia.
Non l’ardore del suo corpo tanto affamato di erotismo, come quando forte e decisa lo usava per sottomettere qualsiasi uomo.


Con l’aiuto di Fabio e Donatella, ai quali ora si sentiva profondamente legata da una amicizia pura ed indistruttibile, aveva ripreso coscienza delle proprie debolezze.
Con l’aiuto di Marcello era finalmente diventata donna anche se ancora sentiva che le mancava qualcosa.
Come tutte le donne innamorate, voleva lasciare un pezzetto di se a Marcello ed era un figlio che sperava avesse tutto del padre e nulla di se.
Si erano sposati da due mesi, testimoni di nozze Fabio e Donatella, mentre a Trieste stava arrivando la Primavera.
Non aveva voluto forzare Marcello ed il matrimonio era stato celebrato in Municipio.
Non aveva nemmeno importanza il matrimonio figuriamoci il luogo dove sarebbe avvenuto.
Patrizia e Marcello fecero il viaggio di nozze e la luna di miele in crociera, nel Mediterraneo e subito, sul mare, Patrizia era rimasta incinta.
I due sposi ne furono felici: il loro primo pargoletto sarebbe stato cittadino del mondo, perché non avrebbero mai potuto stabilire se fosse stato concepito in Egitto piuttosto che in Grecia oppure in Spagna o in Tunisia perché avevano fatto all’amore al minimo, tre volte al giorno.
Tutto era bello, ogni posto un incanto, il cibo squisito. La luna, il sole e le stelle splendenti, ma non era così.
Era la loro felicità che sublimava ogni cosa, il loro amore che trasformava un delfino in qualcosa di sopra naturale, divina, cara nei ricordi che poi avrebbero rivissuto per tutta la vita.
Patrizia aveva soltanto il rimpianto di non avere goduto prima l’estasi d’amore e si rammaricava di avere inutilmente perduto tanto tempo correndo dietro a cose aleatorie e quindi inutilmente vissute.
Marcello non poteva desiderare di più.
Quella donna era un incanto e non solo per quel viso e quel corpo che adesso era suo ma soprattutto per i sentimenti che le vibravano dentro e che immancabilmente gli dimostrava in ogni minuto.
Patrizia sapeva come far ardere di desiderio il suo uomo e ogni volta era come la prima.


Quando, dopo quaranta giorni di crociera, tornarono a Trieste Patrizia disse a Donatella.
- Come potrò mai sdebitarmi con te che mi hai fatto conoscere Marcello? Per la prima volta in vita mia ho conosciuto la felicità ed il figlio, che ho già in grembo, sarà il frutto dell’amore e della nostra fantastica unione. -
Sorrise e come se sognasse continuò.
- Sarete ancora tu e Fabio i padrini al battesimo, come siete stati i testimoni alle mie nozze. Il matrimonio l’abbiamo fatto in Municipio ma Marcello ha capito che mi avrebbe fatto tanto piacere battezzare nostro figlio e proprio ieri mi ha detto che non si sarebbe opposto. -
Era talmente evidente la metamorfosi di Patrizia che Donatella prego il Signore di conservarla sempre così, limpida e pura, quasi fragile come in quel momento.
Il giorno dopo si era incontrata con Marcello che era tornato allo Studio.
Donatella, in privato, aveva chiesto a Marcello se Patrizia fosse stata male in crociera e si era inventata di averla vista un tantino sciupata al suo arrivo a Trieste.
Marcello, sorridendo le aveva risposto che tutto era OK.
Aveva fatto invece un orribile sogno ma a Marcello non ne aveva parlato.
Alcuni giorni prima del loro ritorno, l’aveva sognata pallida e smunta senza che le potesse parlare e più Donatella la scuoteva più Patrizia non rispondeva alle sue domande, rimanendo immobile su una poltrona nera.
Le aveva visto il bel viso rigato di pianto mentre una sorta di nebbia aveva cominciato ad avvolgerle il corpo, iniziando dai piedi e salendo poi fino all’altezza del torace e mentre lei stava sparendo alla sua vista di colpo aveva visto un bagliore sommergerla tutta.
Donatella si era svegliata di soprassalto in un bagno di sudore e non aveva potuto più dormire per la sofferenza di quel sogno..
Donatella non aveva capito niente di quel brutto incubo e se lo era tenuto per se, non parlandone neppure con Fabio.
Era stato come un malefico presentimento tanto che aveva comprato un quotidiano del mattino per sapere se nessuna disgrazia fosse capitata a Trieste nei giorni precedenti.
Poi era arrivata Patrizia radiosa ed abbronzantissima e Donatella si era del tutto dimenticata di quell’incubo, come si era scordata completamente del sogno e dell’incubo che aveva fatto a diciassette anni, il tredici Gennaio del duemila e uno quando aveva avuto, per l’ultima volta in vita sua, quaranta di febbre.



 

VETRINA