ANGELI SENZA ALI (Romanzo)
ANGELI SENZA ALI
(C) 2001 ARMANDO ASCATIGNO
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Questa è un’opera di fantasia.
Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.
Tutti i diritti sono riservati.
PARTE PRIMA
CAPITOLO PRIMO
Simona camminava con passo svelto sotto la pioggia che era cominciata a
scendere violenta dal cielo coperto di cumuli nembi.
La donna era uscita di casa, sopra il bosco, da poco e si era coperta di un’
impermeabile verde scuro pensando che probabilmente quelle prime gocce
d’acqua sarebbero state l’avanguardia di un vero e proprio nubifragio.
Si era coperta la testa con un cappuccio di foggia marinaresca che aveva
trovato nell’armadio della sua camera da letto, buttato in un angolo e che
odiava con tutto il cuore, dal momento che non sarebbe stata la prima volta
che quello le avrebbe rovinato i capelli cui teneva più del viso, niente male
per una trentottenne.
Sembrava un vera cattiveria ed un dispetto che il tempo le faceva ogni qual
volta aveva i capelli in ordine e la sua bella chioma corvina splendeva e
riluceva della crema che la faceva ancora più nera e seducente, mettendo
maggiormente in risalto gli occhi verdi con sfumature bluastre grandi ed
assai espressivi.
Non poteva mancare all’appuntamento col medico che, dietro le sue insistenze,
aveva fissato per le diciotto nello studio del paese a due chilometri dalla
sua villetta.
Simona era una donna semplice, un po’ vanitosa ma molto carina per quel corpo
che tutte le coetanee le invidiavano.
Non sapeva guidare l’automobile nuova un grosso fuoristrada adatto a quel
posto delle Alpi Carniche, che teneva, nel box della villetta a disposizione
di suo marito, un ricco macellaio del posto che andava in giro con una media
cilindrata a gasolio.
Simona pensò che sarebbe stato meglio attraversare il bosco, così comodo per
prendere una scorciatoia che conosceva da quando era bambina e pur sapendo
che mai bisognava stare vicina agli alberi in caso di temporali, non sentendo
tuoni né vedendo fulmini o saette, non cambiò idea e si mise quasi a correre
lungo il percorso.
Il cielo non si era ancora oscurato per la notte e nella penombra tra gli
alti abeti, a mezzo chilometro dalla fine del bosco, Simona sentì la presenza
di una persona che la seguiva da presso.
Un senso di disagio e di paura la prese quando quella figura indistinta la
spinse a terra e senza proferire alcuna parola la prese per la gola e le fece
perdere i sensi.
IL dottor Giacomo Bini sbirciò l’orologio da polso nervosamente.
L’ ultima cliente era uscita da circa dieci minuti e Simona non era ancora
arrivata.
L’orologio segnava le diciotto e trenta.
Il dottor Bini pensò che era molto strano il fatto che Simona non fosse già
lì, era sempre molto puntuale e poi lei aveva molto insistito per essere
visitata in quel tardo pomeriggio.
Gli aveva detto che si trattava di cosa assai urgente e che era ansiosa per
la diagnosi che le avrebbe fatto.
Il medico pensò alle altre tre visite domiciliari che avrebbe dovuto
effettuare prima di tornare a casa.
Aveva promesso alla moglie che sarebbero andati a cena fuori in un grazioso
ristorante, appena inaugurato, dalle parti del lago che si trovava a venti
chilometri dal grosso paese dove viveva ed esercitava.
Bini era un uomo sui quaranta anni, biondiccio, di statura media, di
corporatura atletica e con un volto simpatico sempre sorridente.
Era nato ad Udine ed appena specializzatosi in Medina Interna, aveva pensato
di sposarsi con la sua fidanzata di sempre, la biondissima Marcella figlia di
un noto ginecologo della più famosa città del Friuli e di esercitare la
propria professione nei vari paesi della Carnia con due studi, uno dei quali
a Tolmezzo dove stava aspettando in quel momento Simona.
Il medico, sbuffando, cercò nella sua rubrica telefonica il numero di Simona
e decise all’istante di telefonarle per sapere se la donna avesse avuto dei
contrattempi.
Dopo qualche squillo sentì, dall’altro capo del filo, sollevarsi il
ricevitore e subito dopo il classico rumore di chi interrompe la telefonata
senza proferire nemmeno una parola di risposta alla domanda “ parlo con la
signora Simona?”.
Giacomo Bini rimase molto male dopo quel silenzio e subito dopo riflettette
sugli strani comportamenti della gente talvolta, sebbene raramente,
incredibilmente maleducata.
Ebbe un attimo di esitazione, quindi brontolando tra se e se, decise di
uscire dallo studio e di andare di corsa a fare le sue visite domiciliari.
Erano le diciotto e cinquanta.
Il dottor Bini arrivò a casa alle venti e cinquanta in punto.
- Giacomo, - gli disse la moglie appena lo vide, - è più di un’ora che sta
telefonando un certo Mancini in continuazione. MI sta martellando per sapere,
da me che non c’entro niente, se tu hai visto sua moglie che si chiamerebbe
Simona. Gli ho detto solo e semplicemente di telefonare verso le nove, quindi
aspettati una telefonata a momenti. -
Il medico rimase stupito per quanto Marcella gli aveva raccontato e rispose
alla moglie, elegantissima in un completo di lana amaranto che metteva in
maggiore evidenza la sua chioma biondissima, dandole un bacio di buona sera.
- Simona è la moglie del signor Mancini ed è una mia affezionata cliente.
Avevo un appuntamento con lei alle sei in punto questo pomeriggio ma non si è
vista tanto che mi sono arrabbiato parecchio ed ho telefonato a casa Mancini
prima di uscire dallo studio per le visite domiciliari. Quella cretina non
solo non è venuta da me ma non mi ha nemmeno avvisato del contrattempo.
Prima di andarmene ho pure telefonato a casa sua per sapere se dovevo
annullare l’appuntamento e meraviglia delle meraviglie ho sentito alzare il
ricevitore ed immediatamente chiuderlo senza avere nessuna risposta. -
- Non so proprio che cosa possa volere suo marito da me. Sono stato più che
gentile aspettandola per quasi mezzora ma poi me ne sono andato di corsa.
Oltre alle visite domiciliari, sai bene che dobbiamo andare a cena fuori ed
anzi siamo già in ritardo. -
- Adesso usciamo e che il marito vada lui a cercarsi sua moglie. A questo
punto mi sono seccato. -
Giacomo e Marcella stavano uscendo di casa alle ventuno e dieci quando
squillò il telefono.
Il dottor Bini stava per non rispondere. Ma un attimo dopo, scusandosi con la
moglie e preso da un momento di correttezza professionale, alzò la cornetta
ed esclamò con voce seccata.
- Che diavolo vuole a quest’ora, signore? -.
- Mi scusi signor dottore. Sono il signor Mancini e sono molto preoccupato
per mia moglie, volevo sapere se lei avesse visto Simona, oggi pomeriggio,
sapevo che sarebbe venuta da lei per una visita. -
Il signor Mancini prese fiato e continuò tutto d’un fiato.
- Dottore non so che pensare, mia moglie è sparita e nessuno la ha vista. Ho
paura che le sia capitato qualcosa. Ho fatto un giro di telefonate a tutti i
parenti ed amici ma nessuno la ha né vista né incontrata. -
Giacomo pensò un attimo poi sbrigativamente affermò.
- Per quanto mi riguarda io non la ho vista, anzi sono rimasto oltre l’orario
dell’appuntamento ad aspettarla inutilmente. -
Giacomo osservò la moglie che sbuffava sull’uscio di casa e pensando che la
spiegazione fosse molto più semplice di quanto quell’uomo sospettasse, cercò
di tranquillizzarlo e soltanto all’ultimo gli prospettò di recarsi dai
carabinieri e di denunciare il fatto.
Infine lo pregò di dargli notizie fresche allo studio l’indomani, dove si
sarebbe recato alle quindici.
La serata, sebbene in ritardo rispetto al programma, passò per i due coniugi
piacevolmente tra un piatto e l’altro e nessuno dei due pensò più a Simona
Mancini.
La notte era fonda e non scrosciava più quando Simona riprese i sensi.
Era buio pesto tutto intorno ed un insopportabile tanfo riempiva quel posto
rendendo l’aria irrespirabile.
A tastoni la signora Mancini riuscì a capire che si trovava in una stalla ed
i belati le fecero capire che quella era piena di pecore.
Era legata saldamente ad una branda e poteva muovere soltanto gli avambracci
e la testa.
Non era bendata ma ugualmente non era in grado di vedere nulla attorno alla
sua persona a parte una piccola finestra sulla destra sbarrata da una rete di
ferro che faceva filtrare un minimo di ombre dall’esterno.
Qualcuno l’aveva spogliata nuda e poi coperta con dei sacchi asciutti fino
alla gola, insomma era come se fosse un salame legato pur essendo libera di
muoversi con il capo e le mani.
Simona sentì la necessità urgente di orinare ed a quel punto cominciò ad
urlare.
- Cosa volete farmi farabutti, io non sono una puttana né una bestia come mi
sembra vogliate trattarmi. Non ho mai fatto del male a nessuno, delinquenti e
se mi liberate fareste soltanto del bene a voi stessi. -
- Adesso mi piscio addosso, schifosi individui! -
Simona tese le orecchie ma non udì nessun rumore che le facesse capire se
qualcuno si trovasse nei paraggi.
Disperata fece la pipì e poi cominciò a piangere, senza alcun ritegno,
lacrime salate ed amare fra i singhiozzi che le scuotevano il petto.
Quando, dopo un paio d’ore smise di agitarsi e di piangere cadde in un sonno
pieno di incubi e di mostri che la volevano violentare.
L’alba venne improvvisamente e con essa entrarono nella stalla, svegliandola
completamente, tre individui incappucciati in una maschera che lasciava
intravedere soltanto i loro gelidi occhi.
Il più alto dei tre si avvicinò alla branda e disse.
- Resterai qui nelle nostre mani fino a quando tuo marito, quel porco, non
avrà pagato il debito che ci deve con tutti gli interessi arretrati. Forse
non sai, piccola capra, chi è tuo marito ma noi lo conosciamo bene e sarebbe
il caso che al minimo pagasse per la tua liberazione un milione di euro. Non
esiste maiale più sporco e più disgustoso di lui, ma noi non ti diremo altro
e se proprio lo vorrai sapere glielo dovrai chiedere tu se un giorno ti
lasceremo andare. Adesso berrai del latte e mangerai del pane. Le mani le
puoi muovere e quindi ascolta i nostri consigli senza discutere. -
Quello di statura media, prese una bottiglia di latte e la pose assieme ad
una mezza forma di pane casereccio su un tavolino basso della stessa altezza
della branda.
Quindi in dialetto, sicuramente della zona di Belluno, disse.
- Magna, mona, se no te crepi. -
Un minuto dopo i tre energumeni uscirono fuori dalla stalla assieme a tutte
le pecore e chiusero con chiavistelli il grande portone di legno della
stalla.
Per alcuni minuti, Simona sentì di fuori l’abbaiare di diversi cani ed il
belare delle pecore poi più niente e pensò che per lo meno non era stata
ammazzata.
Mangiò il pane e bevve parecchio latte riflettendo che era meglio nutrirsi in
qualche modo per non perdere le forze e non potè fare a meno di pensare a
Mario.
Non era possibile che suo marito si fosse cacciato in guai così grossi da
spingere quella banda a sequestrarla per farlo pagare una cifra tanto
elevata.
Mario non possedeva nemmeno lontanamente un milione di euro. Se ricordava
bene, l’ultima volta che si era recata in Banca si era fatta fare l’estratto
conto che avevano in comune ed aveva visto che la cifra del saldo arrivava
appena a centomila euro.
Almeno che suo marito non avesse altri depositi bancari o postali di cui
ignorava l’esistenza non avrebbe avuto nessuna possibilità di pagare quella
somma enorme e che se anche avesse ipotecato la loro villa, il negozio ed
anche venduto l’unico capitale di valore in suo possesso cioè la mandria di
bovini, che egli stesso macellava, sarebbe arrivato appena a poco più della
metà di quanto gli avessero richiesto.
Simona pensò che avrebbe dovuto fare qualcosa per scoprire cosa ci fosse
sotto quel assurdo rapimento e che intanto avrebbe fatto finta di collaborare
con i suoi rapitori.
CAPITOLO SECONDO
Mario Mancini rimase con la testa fra le mani per più di mezzora dopo aver
parlato con il medico al telefono.
Amava Simona e mai avrebbe immaginato che il suo agire avesse potuto essere
motivo di pericolo per sua moglie.
Quando aveva riattaccato il ricevitore, sentendo la voce di un uomo un paio
d’ore prima che chiedeva “parlo con la signora Simona”, non aveva nemmeno
lontanamente pensato che quello fosse il dottor Bini preoccupato di non avere
visto Simona per la visita prenotata.
Mario non aveva risposto proprio perché aveva avuto timore di essere stato
contattato dal gruppo dei ricattatori con i quali aveva un conto aperto da
molto tempo ma che mai fino allora si erano permessi di chiamarlo a casa.
Egli si era completamente sbagliato riguardo la telefonata ma, in quei
momenti, non riusciva a cacciarsi fuori dalla testa che la sparizione di
Simona avesse a che fare, in qualche modo, con quelle sanguisughe.
Il dottor Bini gli aveva detto che se non avesse avuto notizie della moglie
avrebbe dovuto rivolgersi ai carabinieri.
Quella era soltanto un’utopia.
Come poteva raccontare alla “Benemerita” quel segreto che si portava appresso
da anni quando si era preso una sbandata per quella donna di Forni di Sotto,
la moglie del più grosso imprenditore della regione che, con la sua libidine
e seduzione tipica di una femmina tutto fuoco, era diventata la sua amante
fissa per tanto interminabile tempo senza che nessuno l’avesse mai
sospettato?
L’estorsione era iniziata da un anno e mezzo ed ancora non riusciva a
comprendere chi avesse filmato in una video cassetta i rapporti erotici che
egli e Susanna avevano compiuto, almeno tre volte la settimana, in quella
Pensione di Pieve di Cadore, dove si vedevano nella massima tranquillità.
Soltanto il padrone della Pensione poteva essere sospettato ma quello era il
suo più caro amico e non era possibile che gli avesse tirato un tiro simile
anche perché Mario Mancini conosceva ed avrebbe potuto documentare alcuni
segreti alla Finanza ben più gravi dei propri giochi sessuali.
Nei primi contatti con quei maledetti, che gli avevano spedito in macelleria
una copia della cassetta, aveva pensato che la cosa sarebbe finita
semplicemente con il pagamento di diecimila euro ed aveva prospettato a
quelli che avrebbe chiuso con altri quarantamila euro nel momento che avesse
avuto in mano la cassetta originale.
Non era così schematica la situazione. Troppo succose apparivano le varie
immagini che possedevano di lui e della rossa Susanna e pure molteplici le
pose che avevano filmato, veramente da film a luci rosse e pornografici,
perché quelli potessero mollare la presa ed accontentarsi di un totale di
cinquantamila euro quando avrebbero potuto mungerlo in eterno.
Mario avrebbe potuto fare due cose quando si era accorto in che mani fosse
capitato.
Avrebbe potuto recarsi subito dai carabinieri a denunciare il fatto, ma
questo modo di agire avrebbe scatenato uno scandalo cui non sarebbe sfuggita
Simona e nemmeno Susanna, con grosse implicazioni sul suo lavoro qualora
anche il marito di Susanna avesse conosciuto di essere stato cornificato
oltre che dalla moglie anche da Mario Mancini.
L’alternativa poteva essere di informare soltanto Simona che avrebbe reagito
in modo non prevedibile fino alla rottura del loro matrimonio.
Simona era già sofferente di depressione e questo era il motivo per cui si
recava spesso dal dottor Bini e conseguentemente avrebbe potuto anche
compiere qualche atto inconsulto.
Mario aveva pensato che infine si sarebbe trovata una via di uscita e quindi
aveva continuato a pagare fino a quando non si trovò in un vicolo cieco,
avendo esaurito tutto il denaro liquido in suo possesso.
Da quel momento, non pagando che piccole somme, era stato avvisato che era
entrato in mora e che sarebbe scattato un tasso usuraio per le cifre
mancanti.
In breve era arrivato a dover pagare oltre trecentomila euro per saldare il
conto ed ogni mese di ritardo comportava un aumento di altre centomila euro
di interessi.
A quel punto Mario aveva pensato di non tirare più fuori nemmeno un euro e si
aspettava una reazione violenta della banda contro se stesso ma mai contro
Simona.
L’indomani di pomeriggio, il dottor Bini, non avendo ricevuto nessuna
comunicazione da parte del signor Mancini riguardo alla moglie né una
eventuale visita di Simona al suo studio, pensò che quella fosse ritornata a
casa e che da grande maleducata non gli avesse nemmeno telefonato per
scusarsi.
L’unica preoccupazione del medico era soltanto quella riguardante la salute
della sua paziente alla quale aveva intenzione di modificare la terapia.
Fino a quel momento, forse aveva avuto la mano troppo leggera nel
prescriverle la cura per quell’ansia depressiva ma in tutta onestà,
riflettendoci sopra in un momento di pausa del suo lavoro, decise che la
prossima volta che l’avesse rivista le avrebbe prescritto dei farmaci molto
più adatti per la depressione che per l’ansia.
Simona aveva cominciato a sentirsi male già da un paio di anni in coincidenza
della morte del suo cane lupo che amava come un figlio ma, passando il tempo,
i primi sintomi erano virati dalla nevrosi iniziale ad una forma psicotica
dove la non stima di se stessa era divenuto il centro del problema.
Tante volte Simona gli aveva confessato che lei sarebbe guarita senza
assumere nessun farmaco se i rapporti con il marito fossero tornati ad essere
quelli passati riferendosi in particolare al fatto che quello la trascurava
soprattutto da un punto di vista sessuale.
Simona si era convinta che egli non la desiderasse più, tanto che i loro
momenti d’amore si erano ridotti al lumicino.
Gli aveva confidato che Mario non le faceva mancare nulla e che era
ugualmente premuroso con lei.
Aveva anche detto che si sentiva brutta e che se anche ancora giovane non
riusciva più a suscitare in lui quella scintilla che fa bello un matrimonio.
Il dottor Bini l’aveva tranquillizzata in parte su un punto : non era
assolutamente possibile che lei credesse di essere brutta ed insignificante
perché tutti le avrebbero ancora fatto la corte e molto probabilmente
avrebbero fatto carte false per starle vicino ed aveva ipotizzato che forse
era invece suo marito colui che potesse presentare dei problemi medici, in
pratica una caduta della sua potenza sessuale.
Simona aveva avuto, dopo quelle parole, una notevole ripresa dell’umore ma
non si era del tutto convinta.
Per il dottor Bini, Simona era rimasta una paziente da seguire attentamente e
da non trascurare assolutamente per nessun motivo.
Più o meno verso le sei di pomeriggio Simona aguzzò la vista vedendo
ricomparire, da un’altra porticina della stalla dove era prigioniera. uno dei
tre che aveva visto al mattino con in mano del formaggio, dell’acqua e del
pane.
Era quello che al mattino non aveva parlato, un giovanotto di meno di trenta
anni che appena entrato si era rivolto con inaspettata gentilezza a Simona.
- Signora capisco che per lei questa avventura deve essere un vero calvario
ma abbia un po’ di pazienza e vedrà che tutto si metterà in ordine. -
Nel dirle queste parole aveva posato il cibo e l’acqua sul tavolino accanto
alla branda ed aveva aggiunto.
-Adesso le levo queste corde ma lei mi deve promettere di non fare nessun
colpo di testa. Là in fondo c’è un rubinetto, lo apra e sia dia una lavata ;
le ho portato una specie di vestaglia di lana, approfitti della mia debolezza
perché non posso sopportare di vedere una bella donna come lei nel luridume.
-
- Dopo che si sarà pulita, sulla vestaglia le metterò dei sacchi come quelli
che indossa ma nuovi e le farò dei nodi con questa corda molto meno stretti
di quelli di adesso in modo che gli altri non si accorgeranno di nulla. -
Simona era rimasta stupita.
Il giovane prese un coltello molto tagliente e la liberò mentre
contemporaneamente disse.
- Faccia pure, prima, i suoi bisogni lì in fondo. Io rimarrò dall’altra parte
della stalla ed ogni giorno a quest’ora tornerò per portale il mangiare e per
farle fare una bella lavata. -
A quel punto Simona fece un piccolo sorriso.
- Giovanotto, ti prometto che non dirò mai a nessuno che tu mi hai dato una
mano ed io te ne sono grata e spero che un giorno ti ricambierò in qualche
maniera e farò in modo di non farti pentire di questa buone azioni. -
Il giovane si voltò dalla parte opposta del rubinetto ponendosi il più
lontano possibile dalla donna, aggiustò la branda ed armeggiò sulla paglia
mettendone una notevole quantità pulita.
A Simona non parve vero potersi lavare ed indossare quella vestaglia pulita.
Prima, aveva fatto pipì in un angolo e defecato poi, si sedette sulla branda
e mangiando, volle conoscere un pochino più a fondo quell’uomo.
- Dimmi, come mai tu sei così diverso dagli altri anche se non mi hai fatto
vedere la tua faccia? -
- Se puoi dirmi qualcosa di questo rapimento, se vuoi darmi un sostegno per
lo meno psicologico, raccontami il motivo fondamentale per cui mio marito
viene considerato un porco da quelli della tua combriccola? -
- Simona, - dichiarò l’uomo gentile col cappuccio, - non so se posso darti
del tu ma facciamo finta che tu accetti la mia proposta.
Vorrei darti del tu perché sarebbe più facile per me dirti certe cose che
probabilmente sarebbe meglio che tu non sapessi. Però a questo punto, visto
che me lo hai chiesto ti dirò i fatti e come tuo marito è rimasto invischiato
in questo pasticcio. -
- Devi sapere che Mario ti ha tradito per anni con la moglie del maggior
commerciante ed imprenditore della Carnia di nome Susanna e che, dei suoi
numerosissimi incontri, la mia banda possiede un sacco di video e per questo
motivo viene ricattato già da un sacco di tempo Adesso, anzi da parecchio
tempo, non vuole più pagare e così il mio capo ha deciso di fargliela pagare
cara con il tuo rapimento in alternativa al milione di euro che ha fissato
come base del riscatto. -
Simona rimase attonita a quelle notizia e piena di rabbia verso suo marito
urlò.
- Potevate ammazzarlo invece di mettermi in mezzo alle sue porcherie! Giuro
che se ne uscirò viva dovrà fare i conti con me che per colpa sua mi sono
ammalata. -
CAPITOLO TERZO
Mario Mancini decise di non denunciare la scomparsa di Simona ma questa sua
presa di posizione presentava grossi problemi di attuazione sia per i
conoscenti del paese dove ognuno conosceva ciascuno ed in pratica sapeva
vita, morte e miracoli dei compaesani sia per lo stesso Mario che non
riusciva più nemmeno a dormire per la preoccupazione della sorte di Simona
che in ogni caso amava e per il pericolo che i carabinieri potessero mettersi
in allarme per qualche soffiata.
Due giorni dopo, nel negozio di macelleria dove era andato come al solito a
lavorare, ricevette una telefonata breve ma molto chiara e precisa.
- Prepara un milione di euro in biglietti da venti se vuoi rivedere viva tua
moglie, pezzo di stronzo e ricordati che non scherziamo. Tra qualche giorno
ti contatteremo noi e non farci perdere la pazienza. -
Mario si aspettava la telefonata ma mai una richiesta simile. Mai avrebbe
potuto racimolare una simile somma e forse nemmeno la metà di quella.
Fu sul punto di rivolgersi al capitano dei carabinieri che conosceva
personalmente ma subito dopo pensò che prima avrebbe voluto sapere se quelli
erano disposti ad abbassare la richiesta e quindi avrebbe atteso la
successiva telefonata mentre nel frattempo avrebbe fatto un po’ di conti.
Nei giorni successivi, Mario si mise a tavolino e considerando tutti i beni
che possedeva compresa la villetta sui quali poteva chiedere alle banche
delle ipoteche, più la vendita del super fuoristrada praticamente nuovo,
sarebbe riuscito a mettere insieme non più di quattrocentomila euro e quella
era la cifra che avrebbe pagato per la liberazione di Simona e per chiudere
per sempre l’avventura con Susanna con la restituzione di tutte le cassette
video in possesso della banda.
Mario pensò cosa avrebbe potuto fare se non si fosse messo d’accordo.ma a
questa domanda non era in grado di rispondere.
Il mattino successivo avvisò in macelleria che non l’avrebbero visto quel
giorno in quanto aveva da fare alcune cose molto urgenti e così trovo il
tempo per consultare il Direttore della sua Banca ad Udine che conosceva da
moltissimi anni e che sapeva bene quanto valessero i suoi beni.
Dopo tre ore di discussioni si misero d’accordo sulla cifra di
quattrocentodiecimila euro che la Banca, previa ipoteca totale su ogni sua
proprietà, gli avrebbe dato eccezionalmente essendo egli un ottimo cliente.
Il Direttore non volle conoscere il motivo della necessità del signor Mancini
di disporre di una così alta cifra in contanti e per di più in biglietti di
piccolo taglio ma volle mettere subito nero su bianco chiamando in Banca il
suo notaio di fiducia.
Verso mezzo giorno e mezzo arrivò il notaio che stese il contratto tra
Mancini e la Banca.
L’indomani si sarebbero riveduti con tutti i documenti in mano ed a Mancini
sarebbero stati consegnato il denaro pattuito in biglietti di piccolo taglio.
Quella notte Mario riuscì a riposare abbastanza tranquillamente, aveva fatto
quanto poteva per la liberazione di sua moglie.
La prigionia di Simona fu la migliore cura per la sua depressione e l’aiuto
era avvenuto inaspettatamente da un uomo di quella banda di delinquenti di
cui era ostaggio, una persona fondamentalmente civile e di animo buono come
si era dimostrato trattandola come un essere umano e non alla stregua di una
bestia.
Dandole appuntamento per il giorno successivo le avevo detto il suo nome.
Aveva detto di chiamarsi Raffaele, di avere trentatre anni, di essere toscano
di origine e di essersi trovato tra quelle persone che praticavano le
estorsioni con metodi violenti, solo per potere guadagnare quel tanto di
denaro che gli avrebbe permesso, un giorno, di aprire nella sua Toscana una
piccola trattoria.
Le aveva confidato di avere il Diploma di ragioniere e che il suo hobby
preferito era proprio quello di cucinare.
Nell’attesa di rivederlo, Simona aveva pianificato quello che avrebbe fatto
nelle giornate successive.
A parte il fatto di aver saputo in maniera inequivocabile che lei era stata
tradita vergognosamente da colui che aveva sposato e mai, nemmeno nei sogni,
cornificato, si era resa conto che Mario era stato la causa di quella
patologia depressiva ansiosa inutilmente combattuta con tutti i farmaci
ingurgitati negli ultimi anni.
Mario non la voleva solo perché era esausto di sesso, altro che per il suo
fisico!
Simona si sentiva come rigenerata dopo le dichiarazioni di Raffaele : come
l’aveva amato ora lo odiava con tutte le sue forze ed avrebbe pagato tutto il
male che le aveva fatto.
Nel cervello si susseguivano idee chiare e precise.
Con l’aiuto di Raffaele lo avrebbe ridotto sul lastrico e gli avrebbe reso
pan per focaccia in fatto di corna.
Sapeva adesso che valeva ancora molto come donna e per convincersi di ciò le
era bastato osservare gli sguardi che Raffaele le aveva lanciato di sfuggita
quando si era denudata per lavarsi.
Il piano per vendicarsi stava prendendo forma nella mente di Simona
dettagliatamente e nella notte, in quella stalla di pecore, divenne così
chiaro anche nei particolari che a Simona parve di averlo già realizzato.
Avrebbe sedotto Raffaele con tutte le arti amatorie possibili, lo avrebbe
trascinato dalla sua parte ed egli sarebbe divenuto il tramite della sua
liberazione attraverso una fuga in qualche posto lontano dove Mario non
l’avrebbe più trovata.
Prima però doveva convincere Raffaele di fregare i compagni incassando lui
stesso il riscatto che, secondo i suoi calcoli, non doveva superare i
quattrocentomila euro.
Mario li avrebbe potuti racimolare ipotecando tutto e di questo ne era sicura
ed allo stesso tempo avrebbe dovuto lavorare tutta la vita per pagare le
ipoteche.
Di quello che gli sarebbe capitato non le importava niente ed anzi sperava
che il resto della banda si sarebbe vendicato contro di lui, magari
pestandolo a sangue, quando avrebbe confessato di non avere più nemmeno un
euro in tasca.
Raffaele si presentò puntualmente il mattino seguente nella baita.
Simona fece finta di dormire profondamente e così Raffaele le si avvicinò con
cautela e cercando di fare meno rumore possibile, le toccò delicatamente i
bei capelli arruffati, accarezzandoli con la massima tenerezza di cui poteva
disporre.
Fu a quel punto che Simona emise un profondo sospiro ed aprì gli occhi,
facendo un sobbalzo con il capo e spalancandoli.
- Meno male che sei arrivato tu, Raffaele, - mormorò con un filo di voce, -
mi sento sporca e mi vergogno di farmi vedere in questo modo da te che in
fondo mi sembri una persona civile. Ti ringrazio per il cibo che mi porti ma
prima, ti prego, fammi lavare tutta e francamente a questo punto non mi
importa niente che tu mi veda come mamma mi ha fatta. -
Raffaele si levò il cappuccio e disse.
- Simona io non so come dirtelo ma devo confessarmi con te. -
- Come hai visto ti faccio vedere il mio volto perché sono sicuro che tu non
mi tradirai mai e se affermo queste cose è chè sono sicuro che tra me e te si
è stabilito un filling amichevole o forse anche qualcosa di più. Tu hai
capito che io sono un giovane in fondo onesto e di cui puoi fidarti tanto
che, se potessi farlo, ti farei fuggire subito dal momento che non sopporto
di vederti così, una signora tanto bella e nello stesso tempo tanto sensibile
ridotta in una condizione fisica e psicologica veramente barbarica. -
Simona guardò il viso di Raffaele e mentre questo la liberava dai nodi che
sebbene non troppo stretti le facevano un gran male, si meravigliò che
Raffaele fosse un uomo con occhi tanto dolci ed un viso assolutamente
regolare, con un bel naso e sopratutto con una bocca perfettamente disegnata
dalle labbra un tantino carnose sempre atteggiate in un sorriso così
spontaneo e delicato che mai avrebbe potuto immaginare in un tipo che, per
farsi dei soldi per una semplice trattoria, aveva potuto mettersi in un guaio
così grosso da rischiare un eventuale ergastolo.
Simona riflettette su Raffaele, era senza dubbio un sempliciotto e lei
sarebbe stata in grado di portarlo dalla sua parte senza dubbio.
Doveva decidere come si sarebbe comportata dopo essersi pulita ed era ancora
in dubbio se permettergli di avere con lei un vero rapporto sessuale o se
fosse stato meglio attizzarlo per bene senza concedersi completamente.
Così, una volta denudata, gli si avvicinò a pochi centimetri e gli disse.
- Raffaele, adesso mi faccio bella e questa volta anche per te. -
- Lascia che decida io su come comportarmi dopo tanto tempo di astinenza
sessuale. Mi sono ammalata per colpa di mio marito e sono ancora molto
depressa per quello che ho saputo da te sulle corna che quell’ infame mi ha
propinato riguardo alla sua relazione con quella donna o se preferisci con
quella cagna di Susanna! -
Simona guardò negli occhi il suo carceriere e li vide brillare di cupidigia.
Lentamente riuscì a lavarsi dalla testa ai piedi e dopo essersi asciugata con
un asciugamano pulito, che Raffaele aveva portato con se, coperta soltanto da
quello si gettò tra le braccia dell’uomo che cominciò a baciarla
appassionatamente prima sulla bocca poi in ogni angolo del corpo.
Sia Raffaele che Simona erano super eccitati quando sentirono tutti e due
all’improvviso, non molto distante dalla baita, i cani abbaiare ed
avvicinarsi.
In quattro e quattro otto Simona si sdraiò sulla branda e si fece legare sui
nuovi sacchi portati da Raffaele, come se non fosse successo niente e lui,
dopo aver messo il pane, il latte ed il formaggio presso la branda, si diede
una rapida aggiustata alla camicia ed ai pantaloni e dopo aver salutato la
bella prigioniera si pose al lato della porta d’entrata ad attendere il
pastore.
CAPITOLO QUARTO
Mentre Mario Mancini riceveva dalla sua Banca la somma pattuita il giorno
prima e metteva in due valigette i biglietti da venti euro richiesti
portandoli poi nella macelleria e ponendoli in una segreta cassaforte la cui
combinazione era a conoscenza unicamente sua, Simona contemporaneamente, dopo
la nuova visita di Raffaele che era stato convinto da lei con tutte le moine
possibili e con una buona dose di attività sessuale di telefonare a Mario
tradendo i compagni della banda, chiedendogli il riscatto e mettendosi
d’accordo sulla cifra di quattrocentomila euro, si era messa a rimuginare sul
dove fuggire con Raffaele e sulle possibilità che lei e Raffaele l’avessero
fatta franca rispetto alle presumibili vendette che gli altri delinquenti
sicuramente avrebbero escogitato.
Il piano era perfetto.
Raffaele avrebbe dimostrato di essere in possesso di Simona dicendogli di un
particolare che nessun altro avrebbe potuto conoscere oppure sapere, cioè di
una voglia di piccole dimensioni all’interno della coscia destra, vicino
all’inguine.
Raffaele avrebbe preso appuntamento con Mario in un luogo sulle montagne di
difficile accesso e si sarebbe fatto consegnare le banconote mettendole in un
grosso zaino.
Avrebbe provveduto a tutte le necessità Simona che si sarebbe allontanata
dalla Baita assieme a lui da dove si sarebbero portati su una forcella nei
pressi del posto in cui Mario si sarebbe sicuramente recato.
Simona aveva previsto anche la possibilità che Mario, non vedendola avrebbe
potuto non consegnargli il denaro e perciò aveva dato a Raffaele uno scritto
sul giornale dello stesso giorno dove aveva scritto “Caro Mario io sto bene,
dagli il denaro ed io in serata sarò a casa con te, ti bacio e ti ringrazio”
Dopo averne discusso, Simona e Raffaele furono d’accordo di andare a piedi su
una seconda forcella, quella della Scodavacca, da dove avrebbero passato le
cime del Cridola , per poi raggiungere Domegge dove avrebbero proseguito in
Autobus verso Vittorio Veneto e da li avrebbero continuato il viaggio in
treno fino a Venezia.
Le uniche cose, cui doveva provvedere Raffaele, erano dei pantaloni da donna
ed un paio di maglioni oltre a delle scarpe da montagna adatte ai piedi di
Simona.
Le giornate erano belle e non c’era neve sul Cridola.
Mario Mancini aderì alla richiesta di Raffaele dopo che questo gli disse
della “voglia” della moglie come particolare inequivocabile ed accettò
l’appuntamento quando Raffaele gli disse che gli avrebbe portato l’indomani
un messaggio autografo di Simona.
Raffaele gli disse pure che non avrebbe mai più rivisto la moglie se egli
avesse portato qualcuno con se o se avesse avvisato la polizia oppure i
carabinieri.
Mentì raccontandogli che sarebbe stato seguito a distanza, da altri uomini
della banda, sin dall’uscita da casa e che quindi non gli conveniva fare
nessuno scherzo perché in quel caso avrebbero ucciso sua moglie.
Mario era rimasto stupito soltanto del fatto che la somma da pagare fosse
stata così ridotta mentre non fu meravigliato per la mancanza della
restituzione dell’originale delle video cassette, tanto sapeva che non
avrebbero potuto chiedergli più soldi, dal momento che era stato categorico
nell’affermare che quella cifra che avrebbe pagato era il massimo che poteva
racimolare.
L’appuntamento era stato fissato per le undici e trenta del giorno successivo
e nessuno dei due uomini sarebbe arrivato in ritardo.
Con gli altri della banda era rimasto d’accordo che in quel giorno sarebbe
rimasto con Simona dalla mattina alla sera per convincerla di scrivere una
lettera al marito, cosa che secondo lui sarebbe stata difficile ad attuarsi.
Così, egli e Simona avrebbero avuto tutto il tempo per fuggire, senza destare
nessun sospetto.
Raffaele comprò, con i pochi soldi che aveva risparmiato, tutto quanto
sarebbe servito per la fuga e due capienti zaini per se stesso ed uno più
piccolo per la donna.
Nascose il tutto in un luogo sicuro vicino alla Baita ed andò a dormire
presto visto la giornata assai impegnativa che avrebbe dovuto affrontare il
giorno dopo con la bella Simona.
Raffaele svegliò Simona alle sei in punto. La giornata di fine giugno si
presentava serena ed il cielo appariva terso e di un bell’azzurro mentre il
sole cominciava ad illuminare i prati verdi intorno alla Baita, trapuntati di
fiori gialli e bianchi con qualche papavero spuntato in mezzo alle margherite
ed ai campanelli di un bel colore giallo ocra.
Appena Simona fu sveglia, Raffaele si chino su di lei e la baciò
appassionatamente, le fece un massaggio alle gambe, ai piedi ed alla schiena
e dopo averla liberata dai nodi, l’aiutò ad alzarsi accompagnandola verso il
lavatoio ed al rubinetto dell’acqua fredda di sorgente. Attese che fosse
vestita degli abiti che egli le aveva comprato e l’aiutò a calzare gli
stivaletti da montagna non prima di averle fatto indossare delle calze di
lana grigie e sufficientemente lunghe da arrivare sotto le sue ginocchia.
La strinse forte tra le braccia, accarezzandole dietro le orecchie e disse
brevemente.
- Qui c’è il Piccolo di Trieste di oggi, devi scrivere a tuo marito quanto
abbiamo concordato ieri, vicino al titolo del giornale-
- Questa è una penna a sfera e ti prego di scrivere con la tua calligrafia in
corsivo e non a stampatello, firma e speriamo che Mario sia all’appuntamento
all’ora prefissata e con i soldi. -
A quel punto Simona non potette fare a meno di chiedergli cosa avesse fatto
con gli altri e se fosse in grado di proseguire da solo fino alla Forcella
dove avevano l’appuntamento perché non sapeva se fosse un buon arrampicatore
ed un altrettanto valido camminatore.
Raffaele le rispose. -
- Non pensare a quei farabutti, devi preoccuparti soltanto per te in quanto,
per quello che mi riguarda, ho fatto la naia con gli alpini e non so invece
se tu, pur essendo di queste parti, avrai la forza di camminare in salita per
tanti chilometri! -
A Simona scappò una risata di cuore.
- Non essere in ansia, sono una alpinista provetta e per merito tuo, che mi
hai nutrito per bene, ho anche una notevole resistenza. -
Alle sei e mezzo uscirono dalla Baita portandosi addosso gli zaini nei quali
non mancava ne l’acqua ne la frutta oltre a diversi panini con prosciutto e
cioccolata.
Dal canto suo Mario era deciso di eseguire tutti gli ordini del tipo che
l’aveva contattato.
Uscì da casa alle cinque con il fuoristrada e giunse rapidamente alla
macelleria. Aprì la cassaforte e raccolse tutto il denaro riposto mettendolo
in un grosso zaino.
Per Mario era una questione d’onore liberare Simona.
Sapeva di averle distrutta la vita con quella relazione con Susanna e che era
responsabile di tutte le pseudo patologie nevrotiche che l’avevano assalita
in quegli ultimi tre anni.
Aveva conosciuto Susanna ad un ricevimento in onore del marito dove erano
state invitate tutte le persone che contavano della Carnia ma mai avrebbe
immaginato che quella donna, di una bellezza splendida, avrebbe potuto
ammagliarlo ed ubriacarlo fino al punto da divenire la sua amante fissa.
Fino allora tutto era proceduto normalmente, con Simona, fin da quando si
erano sposati.
Erano mancati soltanto dei figli per completare la loro unione ma Mario
riconosceva che la moglie era una creatura deliziosa e che l’aveva amato
perdutamente.
Poteva tranquillamente dire di non essere innamorato di Susanna ma soltanto
di non potere fare a meno di lei sessualmente e che più passava il tempo, più
quella era divenuta una femmina tremendamente bollente, senza alcuna remora
nel praticare l’erotismo molto più di una professionista indiana.
Simona era sempre rimasta all’oscuro di tutto e non riusciva a darsi pace
affatto del perché il suo Mario fosse arrivato al punto di non desiderarla
più e che le poche volte che riusciva a stare insieme a lui era perché lei
stessa prendeva l’iniziativa.
Mario era un bell’uomo sulla quarantina. Alto e robusto al tempo stesso,
molto simpatico quando chiacchierava con tutta la gente che conosceva e
brillante con ogni donna cui era solito fare una corte discreta.
Era ricco ed il solo pensiero di Simona lo teneva affettuosamente nel suo
cuore un po’ rude ma pieno di tenerezza per la moglie.
Quando si era accorto di aver esagerato con il tradimento, aveva anche capito
che era troppo tardi per riallacciare il precedente rapporto matrimoniale
fatto soprattutto di tenerezza.
Per questo motivo e forse per pigrizia non aveva fatto uno stop definitivo
con Susanna ma in quel momento avrebbe volentieri dato la vita per sua moglie
e per lo stesso motivo avrebbe portato a quel giovanotto tutto quanto
possedeva unicamente per rivedere la sua Simona.
Forse un giorno Simona l’avrebbe perdonato ma in quel momento la prima cosa
da farsi era liberarla.
Nessuno in paese si era accorto dell’assenza di Simona.
Questo fatto non era una novità date le abitudini della moglie di Mario che
era capace di rimanere anche quindici giorni senza scendere a fare delle
commissioni oppure a comprare qualcosa dal momento che alle provviste ci
pensava sempre Mario come pure ai pagamenti postali delle varie bollette che
arrivavano a casa.
Soltanto il dottor Bini e la moglie gli avevano chiesto sue notizie.
Mario se l’era cavata affermando che Simona, in quel momento, era
completamente presa da un enorme tovaglia di pizzo che stava completando per
il matrimonio di una sua nipote e che rappresentava uno specialissimo regalo
di nozze per questa.
Del resto stava attraversando un buon momento di salute e che anche le sue
fobie erano quasi scomparse.
Due giorni prima aveva incontrato Susanna per caso ed era rimasto allibito
quando quella non gli aveva rivolto nemmeno un semplice saluto. Lo aveva però
sbirciato da lontano con quelli occhi azzurri come per dirgli di aspettare
una sua telefonata e che era impaziente di incontrarlo al solito albergo,
vicino al lago.
Nonostante tutto Mario non riusciva a dimenticare la pelle di Susanna sempre
così morbida, profumata e morbida ed in più la sua passione avvolgente e le
sue dolci carezze.
Avrebbe voluto incontrarla ancora una volta per spiegarle in quale situazione
si fossero messi tutti e due ma non ebbe il coraggio di farle questa
proposta.
Era possibile che un giorno le avrebbe spiegato tutto ma quello non era il
momento adatto, preoccupato come era sia riguardo a Simona sia riguardo al
marito delle sua formosa amante dagli occhi azzurri.
Il marito di Susanna era un uomo che non avrebbe mai digerito il tradimento
della bionda moglie e chissà cosa avrebbe potuto combinare, nei suoi e nei
riguardi di Mario, essendo capace di una violenza che i due amanti nemmeno
lontanamente immaginavano fino ad ucciderli entrambi.
Raffaele raggiunse il luogo dell’appuntamento con Mario già un’ora prima che
il macellaio si trovasse sul posto e questo per scegliere una posizione tale
che egli avrebbe potuto vederlo senza essere visto, mentre costui si
inerpicava sul viottolo.
Da parte sua Simona aveva proseguito verso la Forcella della Scodavacca con
passo svelto che denotava la propria abilità di alpinista.
Era allegra, quasi felice di poter arrampicarsi ghiaioni dopo quella
immobilità forzata nel fienile della Baita ed era certa che Mario sarebbe
giunto lì da solo e con tutti i sodi che aveva detto.
Al mattino Raffaele si era presentato sbarbato ed in tenuta di escursionista
e le era parso davvero un bel ragazzo tale che nessuno avrebbe mai sospettato
a che risma di gente fosse collegato.
Simona lungo il tragitto fatto insieme a lui era stata in silenzio e
meditabonda.
In fin dei conti Mario era suo marito e rubargli quattrocentomila euro le
sembrava una enormità, Pensava che con quella somma avrebbe potuto avere non
una ma mille amanti e che la sua era una vendetta bella e buona per averla
fatta soffrire tanto da ammalarsi di depressione.
Era stato un debole ma lei non se la sentiva di perdonarlo.
Odiava la bionda Susanna più che lui e per questo motivo sarebbe diventata
l’amante di Raffaele e sarebbe scomparsa per sempre lontanissimo, forse
all’Estero.
Lei e Raffaele, benché di età diversa, avrebbero potuto vivere insieme e
godersi la vita ma il problema sarebbe stato quello di comprare delle carte
di identità false oppure dei passaporti.
Ne lei ne Raffaele avevano pensato a questo particolare ma in qualche modo
avrebbero fatto.
Quando giunse il momento di separarsi ognuno per la sua strada, Simona si
rivolse all’uomo e gli disse.
- Raffaele non mi fregare. Quando Mario ti avrà dato i soldi, rimani sul
posto almeno per mezzora e così lo vedrai discendere verso la Carnia. Quando
sarai sicuro che nessuno lo ha seguito procedi verso la Forcella, ci vorrà
un’oretta di marcia ed io mi troverò li ad attenderti. -
- Saremo ricchi e vedrai che a Domegge arriveremo facilmente in meno di tre
ore, quindi verso le sedici e trenta. La strada ed i sentieri li conosco
molto bene e sono tutti in discesa.Avremo il tempo di cambiarci gli abiti e
come semplici turisti prenderemo l’Autobus per Vittorio Veneto. Alla stazione
ferroviaria di quella città prenderemo il treno rapido per Venezia dove
troveremo una Pensione che ci permetta di riposarci senza chiederci
documenti. -
- Il giorno dopo sceglieremo dove andare e prima di tutto dovremo fornirci di
documenti falsi il che non sarà troppo difficile perché so di un posto dalle
parti di Murano dove ho sentito dire che c’è un pescatore, un vero artista,
che ti fa subito per duemila euro un passaporto uguale a quello autentico. -
CAPITOLO SESTO
Quando gli altri componenti della banda si accorsero della fuga di Simona e
di Raffaele e si resero conto che la mora moglie del macellaio e pure
Raffaele, quel figlio di puttana, li avevano fregati e che il malloppo ormai
si era volatilizzato decisero di andare a trovare Mario per rompergli la
testa avendo pensato che anche lui fosse implicato nell’imbroglio.
Lo attesero alla villetta ed appena se lo videro davanti gli si scagliarono
addosso ed a forza di calci e pugni lo ridussero un pezzo di carne da
macello.
Mario non aveva avuto il tempo di dire mezza parola ed una volta a terra
riuscì a fiatare.
- Io ho consegnato tutto il malloppo al vostro amico che mi ha portato un
giornale di oggi con una scrittura di mia moglie e tutti i mie soldi
“quattrocentomila euro” in contanti sono in mano sua ed adesso potete pure
farmi a pezzi ma non possiedo più niente, nemmeno un centesimo. -
Poi, affannato per i colpi ricevuti al torace, ebbe il coraggio di affermare.
- Siete dei dilettanti e vi siete fidati di un Giuda ed io non ho visto mia
moglie nemmeno con il cannocchiale. -
Gli energumeni errano in quattro e quando si resero conto che Mario era per
terra ridotto una vera poltiglia sanguinolenta, gli diedero un ultimo calcio
nelle parti basse e subito dopo urlando a squarciagola cominciarono a
litigare tra loro prendendosela col capo che era stato il più grande fesso
del mondo nel fidarsi di quel maledetto toscano,
Fu il friulano che prese in mano la situazione degenerata.
- Ascoltate, pezzi di merda, dal momento che è chiaro quanto Raffaele ci
abbia messo un zeppa nel sedere vi dico e vi giuro, come è vero che mi chiamo
Beppe, che quel grandissimo figlio di puttana la pagherà cara. -
- Il nostro compito adesso sarà quello di cercarlo ed ammazzarlo come un
porco e poco mi importa se per questa volta abbiamo perso un mucchio di
soldi. Tutti dovranno sapere che non si può fregarmi e passarla liscia. -
- Noi siamo in quattro. Io rimarrò nel Veneto e voi tre vi sparpaglierete per
tutta l’Itala e dovrete ricordarvi che quel figlio di cane è toscano.
Prendetevi ciascuno questi diecimila euro e fate in modo di prenderlo vivo
perché lo voglio ammazzare con le mie stesse mani. -
Decisero di non procedere oltre con Mario, sempre per terra e mezzo morto ed
andandosene lo sfotterono dicendogli.
“Adesso sì che sarai soddisfatto con quella troia di tua moglie che ti ha
reso pan per focaccia”.-
Simona e Raffaele intanto, dopo aver passato la notte in una pensione di
Porto Marghera, stanchi morti tanto da non avere nemmeno pensato di fare del
sesso, alle sette del mattino del giorno dopo si portarono a Murano.
Non fu troppo difficile per i due trovare e contattare il falsario.
Egli disse che avrebbero dovuto tornare alle sei del pomeriggio e nel
frattempo prese alcuni dati somatici di Simona e Raffaele e fece loro delle
fotografie da tessera. Incassò un anticipo di mille euro e chiese ai due di
quale nazionalità avrebbero preferito o voluto essere.
Ambedue, che non conoscevano nemmeno una parola di altre lingue dissero di
desiderare un passaporto italiano, egli doveva solamente cambiare la città e
la data di nascita.
Il falsario promise di anticipare alle cinque del pomeriggio la consegna dei
documenti, previo un arrotondamento di cinquecento euro, per permettere ai
due di prenotare un volo nella stessa serata.
Raffaele tirò fuori altri mille euro ed i due passarono le ore girando per
Murano curiosando tra tutte le botteghe del famoso posto.
All’una andarono a pranzare in una bella trattoria mangiando dell’ottimo
pesce ed alle cinque furono di nuovo dal falsario, saldarono il conto e
quello consegnò i due passaporti, che pur apparendo vecchi, erano
perfettamente contraffatti.
Curiosi impararono a memoria i nuovi nomi.
Simona, era diventata Giulia Zara ed era nata a Trieste. Raffaele era nato a
Pistoia ed era diventato Massimo Rossetti.
Quella sera Simona ed il suo compagno si concessero una notte in uno dei
migliori alberghi di Venezia in una suite splendida di un Hotel a quattro
stelle vicino al “Danieli”, non prima di essere entrati in un grande
magazzino dalle parti di san Marco per comprare vestiti ed indumenti vari
alla moda per tutti e due.
Così vestiti e con un paio di valigie anche esse piene di cose da indossare
almeno per i primi tempi, tra cui scarpe e biancheria intima, si recarono in
una vicina Agenzia di viaggi prenotando per il giorno successivo un volo
diretto per Catania, dove avrebbero deciso in perfetto accordo la
destinazione finale, almeno momentanea, in qualche Nazione rivierasca del
bacino del Mediterraneo.
La suite prenotata aveva un bagno in maioliche rosee ed una vasca da bagno
con idromassaggio tale che tutti e due decisero, dopo una salutare doccia
calda, di fare all’amore in quella vasca con tutta la veemenza in entrambi
repressa da molto tempo.
Raffaele fu dolce ed affettuoso con Simona, lei a sua volta si comportò come
una donna appassionata ed allo stesso tempo riconoscente verso colui che
aveva e che avrebbe, anche in seguito, rischiato la propria vita per una
donna che aveva soltanto conosciuto da pochi giorni e che non conosceva nei
particolari più intimi e privati.
Tutti e due sapevano che non sarebbe stato facile farla franca ma Simona,
come svegliatasi da un lungo letargo, aveva la sensazione di sentirsi
finalmente viva ed importante.
Non poteva, onestamente dire, di essersi innamorata di quel ragazzo ma quel
suo sorriderle soprattutto con gli occhi e quella sua aria di protezione
totale la stordivano e se ne sentiva attratta prepotentemente, in particolare
col cuore che le pulsava violentemente quando egli l’accarezzava e la
baciava.
Si addormentarono stretti l’uno all’altro come due persone che avevano
bisogno assoluto l’uno dell’altro e fecero un sonno profondo senza sogni.
Simona, alias, Giulia si svegliò per prima nel bel letto profumato,
matrimoniale, tra lenzuola candide di lino e voltandosi verso sinistra guardò
con curiosità il volto disteso di Raffaele.
Era veramente un bell’uomo, con quei tratti somatici regolari ma questa volta
sereni e con quelle braccia strette intorno al morbido cuscino di penne
d’oca.
I capelli castani erano ondulati, forse un po’ lunghi, ma nella luce di quel
mattino d’estate sembravano addirittura tendenti al biondo.
Simona si meravigliò di non avere, precedentemente, osservato questo
particolare che conferiva a Raffaele un’ aria da bambino cresciuto troppo in
fretta dal momento che egli aveva appena un accenno di barba come se quella
avesse difficoltà di crescere.
La donna si alzò in silenzio, entrò nell’enorme bagno e si fece una doccia
tiepida stupita di piangere in silenzio, al pensiero di avere abbandonato suo
marito per sempre.
La sua vita era cambiata in pochi giorni ed era stato il tradimento di Mario
che non riusciva ancora a capire.
Un tradimento da parte dell’uomo che aveva sposato, in modo tanto
continuativo ed insolente, tale soltanto da soddisfare la sua natura
animalesca, era stato lontanissimo da ogni suo pensiero anche il più cupo e
pessimistico.
La ferita che aveva subito era stata talmente profonda, trafiggendo
contemporaneamente il suo cuore e la sua anima, che mai avrebbe potuto
sperare di guarirne.
Nella stanza accanto, invece. c’era un altro uomo che le aveva dimostrato di
saperla proteggere e che dormiva il sonno del giusto.
Doveva farsi bella e piacevole solo per lui, perché ciò era il minimo che si
meritasse.
CAPITOLO SETTIMO
- Che fai già in piedi Simona, -esclamò appena aprì gli occhi limpidi e
ristorati dal sonno, -sei splendida questa mattina! -
-.Mi sono data una rinfrescata e mi sono vestita come si addice ad una
signora, -rispose sorniona Simona, contenta che quel giovane avesse notato il
suo aspetto niente male come era certa apparisse. -
- Dimmi che sei felice, -aggiunse Raffaele, questa volta sorridendo e
balzando in un baleno giù dal letto, -lo sai che mi sei mancata tanto durante
il sonno. Mi è mancata la tua figura di donna così dolce e delicata, così
affascinante ed intelligente e posso dirti con tutta la mia anima che sono
stato davvero fortunato nell’incontrarti sul mio cammino. -
- Sono stato sempre un ragazzo umile ma nello stesso tempo orgoglioso di
farmi strada da solo. Certamente non avevo previsto di essere anche un
bandito associandomi a quella gente che mi aveva illuso di guadagnare assieme
a loro denaro non pulito ma non certo sporco di sangue! E se infine sono
riuscito a redimermi questo è solito merito tuo perché da solo non sarei
stato capace. Ho rubato a quel disgraziato di Mario ogni avere ma il fatto
che quel denaro fosse anche in parte tuo, mi ha alleggerito la coscienza ed
oggi mi sento così unito a te che mi sembra quasi di non avergli fatto troppo
danno e di essermi guadagnato, liberandoti da lui, il mio compenso visto
quanto egli sia stato capace di farti del male. -
Il ragionamento di Raffaele era stato un tantino contorto ma in un certo
senso razionale ed anche piuttosto logico.
Il rapporto con Simona non era nato in Raffaele attraverso uno studio fatto a
tavolino ma era stato schietto e sincero fin dal primo momento , anzi se
c’era qualcuno che poteva dire di avere costruito artificialmente una
relazione di simpatia, questa era sicuramente Simona.
Ma adesso Simona non ne era pentita per il semplice fatto che soltanto così
aveva potuto riconquistare la sua dignità umana.
- Sei veramente un uomo eccezionale, - gli disse, - ed io comincio ad amarti.
Prendimi in braccio che ti voglio baciare, accarezzare e darti in questo modo
il mio buon giorno -
Il periodo era di alta stagione, a Taormina, per il mare ed il sole che
attiravano turisti da ogni parte del mondo.
I due erano arrivati a Catania senza problemi. Al check-in di Venezia avevano
sfoderato i passaporti falsi senza battere ciglio e l’unica cosa che li fece
sorridere fu quando si sentirono chiamare con i nuovi nomi : Massimo Rossetti
e Giulia Zara alla Reception del Hotel di Taormina prenotato già da Venezia.
Per quanto i prezzi fossero molto alti potevano essere soddisfatti di avere
potuto trovare una matrimoniale con vista sul mare.
Appena si furono sistemati scesero di nuovo nella Hall e fecero un giro per i
negozi dello stesso Albergo dove vendevano articoli per il mare.
Simona scelse tre costumi da bagno, uno più bello dell’altro, tra i quali un
due pezzi davvero mozzafiato. Si era pesata alla bilancia dello stesso
negozio e fu stupefatta quando vide l’ago della bilancia fermarsi a 53 kg,
non un grammo in meno né uno in più.
Simona capì al volo di trovarsi al peso forma data la statura di un metro e
settantadue centimetri.
Si girò verso Raffaele e gli indicò sul quadrante della bilancia, con enorme
soddisfazione, la cifra che quella segnava.
Raffaele fece cenno ad un applauso muto e felice per Simona cui gli occhi
sfavillavano di contentezza disse.
- Sei una donna perfetta e puoi metterti addosso qualsiasi cosa, anzi ti
consiglio anche di acquistare un paio di vestagliette molto sexy per il dopo
spiaggia e degli zoccoli eleganti ed alla moda, per qualche passeggiata sul
lungomare. -
Simona era felice.
Mai si era sentita così donna come in quel momento con quel giovanotto che
era tutt’occhi unicamente per lei.
Il denaro era stato chiuso in una grande valigetta nella sicura
cassaforte dell’Albergo e chiesero all’impiegato se avessero potuto
prolungare la loro permanenza per una seconda settimana oltre alla prima già
fissata da Venezia.
Alla risposta affermativa di quello risposero che sarebbero rimasti, allora,
per tutto il tempo disponibile.
Per tutti e due quella vacanza era come un vero viaggio di nozze ed erano
perfettamente consci di godersi, giorno dopo giorno, quel periodo estivo che
avrebbe potuto essere l’unico della loro vita.
Il mare era un incanto e Simona godeva del contatto dell’acqua salata come
quando da bambina e da ragazza suo padre e sua madre la portavano per brevi
periodi a Lignano, dove aveva imparato a nuotare.
Raffaele invece pur avendo vissuto tutta la sua infanzia in Toscana non era
capace nemmeno di stare a galla ed era ridicolo con quei bracciali salvagente
che si era comprato.
Ogni giorno affittavano un sandolino e con quello uscivano al largo dove
prendevano il sole non prima di essersi unti di lozioni ad alta protezione.
Simona si levava il reggiseno, anche se microscopico e Raffaele le passava
l’olio solare su tutto il corpo soffermandosi in particolare sulle belle
gambe, facendo ogni cosa per farle capire, con le sue mani robuste ed allo
stesso tempo morbide, che non avrebbe mai fatto alcunché che la potesse
irritare oppure eccitare contro il suo volere.
Simona accettava tutte quei massaggi e tutte quelle carezze invece senza
pudore e pensava quanto stesse diventando importante per lei essere
accarezzata con tanta passione ed affetto da quell’uomo.
Raffaele aveva il dono della misura e del rispetto che manifestava in ogni
occasione come se lei fosse una cosa speciale e preziosa.
Parlavano spesso del futuro, sempre concepito insieme, ma non riuscivano
ancora a trovare un accordo chiaro su dove stabilirsi definitivamente.
Dovevano trovare un posto fuori dall’Italia dove poter vivere sicuri di non
essere trovati dalla banda che sicuramente si era sguinzagliata per prenderli
e probabilmente ucciderli tutti e due.
In quel posto avrebbero dovuto avere un minimo di certezza di poter
intraprendere una attività lavorativa che li ponesse in una condizione di
mantenersi col proprio lavoro, senza attingere al denaro che possedevano, per
campare senza troppi lussi ma almeno dignitosamente.
L’idea di Raffaele era rimasta quella di svolgere un lavoro autonomo che
sarebbe stato quello di aprire un ristorante, suo sogno di sempre.
Simona invece pensava che una simile attività commerciale avrebbe aumentato
il rischio di essere riconosciuti da qualche turista italiano occasionale,
che avesse seguito la loro storia sui media radio televisivi o per lo meno
sui giornali, almeno che non fossero andati a vivere in qualche angolo
sperduto del mondo.
Anche a Taormina Simona, pur felice, viveva quotidianamente nell’ansia che il
marito si fosse rivolto alle Autorità e la prima cosa che aveva fatto era
stata quella di tingersi i capelli, aggiungendo al nero originale delle
striscioline bionde ed in più di comprare un paio di occhiali da sole molto
scuri, tanto da apparire una donna del settore dello spettacolo.
Per fortuna nessuna notizia che potesse riguardare sia lei che Raffaele
veniva riportata, nemmeno in un trafiletto, da nessun giornale né dalla
televisione.
Così, lentamente ma inesorabilmente, passavano i giorni mentre i due
fuggitivi vedevano arrivare la fine della bella vacanza al mare siciliano
senza avere ancora deciso dove andarsene e cosa fare.
Effettivamente esisteva un notevole pericolo dal momento che Mario, conciato
in pessime condizioni dal pestaggio, era stato costretto a ricoverarsi
all’Ospedale di Udine dove dovette raccontare che la causa di tutto quel
mezzo massacro non gli era stata detta e che tutto era stato perpetrato da
persone a lui sconosciute.
Essendo poi stata formulata una prognosi superiore ai trenta giorni
automaticamente era scattata la denuncia di Ufficio, per lesioni gravi,
contro ignoti.
Mario non aveva fatto cenno alla scomparsa della moglie;.gli interessava
soltanto che fosse salva e nulla più, anche se non l’avesse mai più vista.
CAPITOLO OTTAVO
Al dunque, scartarono la possibilità di andarsene a Malta, più per questioni
politiche che per altro, dal momento che pur essendo l’arcipelago uno Stato
indipendente era rimasta nell’ambito” Commonwealth” e per contratto, oneroso
per l’Inghilterra, doveva ospitare un contingente cospicuo militare della
Gran Bretagna, vista la posizione strategica dell’isola e le scarse risorse
economiche del proprio Governo.
Con i cantieri navali quasi vuoti, una volta fonte di lavoro proficuo e con
l’agricoltura in crisi ad eccezione di quella dei carciofi,
destinati per il 90% all’esportazione, restavano all’arcipelago soltanto due
vie di finanziamento.
Quello inglese e per un certo periodo anche russo e quello turistico non
sufficiente però a permettere alla popolazione un tenore di vita di livello
medio alto.
Simona e Raffaele decisero a questo punto di prendere in considerazione la
Spagna, economicamente in espansione e dalle molteplici iniziative sia
industriali che commerciali.
Un peso non indifferente fu anche che a Barcellona, una vera megalopoli,
sarebbe stato più facile mimetizzarsi con la popolazione allegra ed
amichevole e con l’ambiente, ricco di storia e di multiformi attività
lavorative.
Forse in quella città spagnola avrebbero potuto, con molte possibilità di
riuscita, aprire quel ristorante che era rimasto nei sogni di Raffaele.
Oltre alla popolazione, che non si negava ai piaceri della buona tavola, il
turismo era florido e tutta quella gente aveva il culto del divertimento e
della buon cibo, specialmente di notte dove la vita esplodeva insieme
all’amore.
Fu Simona colei che acquistò due biglietti in “Businnes Class” sul volo
dell’indomani per Barcellona.
Quella signora elegante ed anche, in un certo senso misteriosa,
abbronzantissima che si imbarcò con Raffaele su quel volo era la Simona della
Baita, in catene e sporca, rapita dai banditi nemmeno quattro settimane prima
nel bosco, sotto un diluvio di acqua.
Al Terminal di Barcellona vi fu un rapido sbarco di tutti i passeggeri
dell’aereo proveniente dalla città etnea.
Per la maggioranza si trattava di turisti di diverse nazionalità ma
specialmente italiani, americani e giapponesi.
Simona e Raffaele impiegarono una mezzora prima di uscire sul piazzale per
cercare prima e caricare poi i bagagli su un Taxi, dicendo in italiano,
all’autista di portarli in un albergo del centro della città, prenotato già
da Taormina.
Doveva essere un rifugio provvisorio, non di lusso, ma prossimo
sufficientemente alla zona portuale dove si sarebbero spostati una volta
ambientati, ignorando tutto della città famosa, in tutto il mondo.
Avrebbero voluto dimenticare il motivo principale della loro presenza in
Spagna e speravano di avere scelto il posto giusto per iniziare una nuova
vita e per sfuggire definitivamente alla “caccia all’uomo” che entrambi
sapevano essere in atto ormai da diverso tempo.
- Ci siamo nascosti in questo Albergo, cara Simona, ed io sono del parere che
da questo momento dobbiamo tentare di non farci notare almeno per tre mesi e
quindi dobbiamo apparire persone semplici, le più normali possibili. Questo,
da come ho visto, è un Hotel frequentato da gente di passaggio per Barcellona
e distratta da problemi personali molto più importanti che l’osservazione di
due italiani, turisti come tanti altri, che avrebbero scelto la Spagna, per
vacanze brevi ed intense. -
Raffaele fece un passo indietro nella camera loro assegnata, osservò Simona
ed esclamò.
- Da questo istante dovrai cambiare aspetto sia nel viso che nel vestirti.
Prima di tutto devi cambiare il taglio dei capelli ed il colore di quelli. -
Simona fece una smorfia.
- Dunque devo trasformarmi una seconda volta? -
Sorrise e chiese a Raffaele.
- Come mi vuoi? Con i capelli corti oppure con una bella treccia dietro la
nuca, con i capelli rossi o castani e dimmi, amico mio, come mi devo vestire?
-
- Fatti castana e con i capelli corti e mettiti addosso dei blue jeans comuni
e camicette semplici o magliette di qualsiasi colore ma non sgargianti.-
Raffaele si avvicinò ancora di più a Simona, la baciò sulle belle labbra
esclamando.
- Sarai sempre troppo bella per tutti e non devi essere dispiaciuta di non
apparire quella Vamp che fino adesso hai interpretato. -
- Farò tutto quello che mi consigli ma su una cosa non transigo. Tu dovrai
trasformarti come me e diventerai biondo e piuttosto trasandato nei vestiti
perché, non dimenticartelo, quelli cercano in particolare te. Porterai
occhiali da sole anonimi anche se dovesse piovere ed andrai in giro con un
paio di mocassini economici. -
Questa volta entrambi decisero di uscire dal Hotel, verso le sei di
pomeriggio, ognuno per proprio conto per fare “ shopping “ e recarsi presso
due differenti saloni di parrucchiere.
Raffaele aveva avuto l’idea, condivisa anche da Simona, di non farsi vedere
insieme
Il rischio di fare incontri non piacevoli era minimo ma ugualmente i due non
vollero lasciare nulla di intentato.
Diversamente da Taormina avevano lasciato il denaro nella più piccola
cassaforte della camera d’Albergo ripromettendosi di recarsi, l’indomani, in
una Banca spagnola per versare, su due conti correnti, tutte o quasi le
banconote in loro possesso.
L’idea era quella di non portarsi appresso che diecimila euro ciascuno e la
carta di credito che la Banca avrebbe offerto ai due italiani in omaggio.
Per il momento dovevano trasformarsi in due persone dall’aspetto
comune e questa era la priorità assoluta.
Raffaele si sbrigò velocemente ed alle sette e mezzo era già di ritorno nella
camera dell’ Albergo.
Tutto era in ordine ed al suo posto compreso il denaro nella cassaforte.
Non gli restava altro che attendere Simona, che certamente avrebbe fatto
tardi specialmente a causa del Coiffeur e del Visagista che le avrebbero
modificato i connotati e del viso ed il colore ed il taglio dei capelli.
Raffaele era molto curioso di vedere come si fosse trasformata e di
analizzare l’effetto che gli avrebbe fatto in un’altra veste.
Sentiva di essere passato dalla fase prevalentemente sessuale ed erotica
della attrazione per quella donna ad una fase molto più sentimentale e
romantica.
Già quel poco tempo, durante il quale la stava aspettando nella hall, gli
faceva intendere chiaramente che Simona gli mancava come mai avrebbe potuto
immaginare ed era una questione di cuore.
Era come un vuoto che si formava nella sua anima, una tristezza innaturale in
lui, abituato da sempre ad auto gestirsi ed a considerare le donne più un
peso che una gioia.
Seduto su una poltrona di pelle morbida il pensiero si avviluppava su se
stesso continuamente e lo sguardo cadeva senza volerlo sull’orologio da polso
in acciaio che teneva al polso.
Ormai erano le nove e mezzo e l’oscurità, malgrado l’ora legale, era ormai
scesa sulle strade.
Raffaele cominciò a temere che qualcosa fosse successa a Simona.
Consegnò la chiave della camera al portiere dell’Albergo e decise di
aspettare la sua donna in strada, camminando in su ed in giù lungo quel viale
di ippocastani.
Alle dieci e mezza ritornò sui suoi passi, rientrò nella hall e ripresa la
chiave della camera entrò in questa, dopo averla aperta.
Tutto era in disordine e dentro regnava un caos assoluto.
Chiamò Simona entrò nel bagno e la vide riversa per terra in uno stato di
assoluta incoscienza.
Spaventato ed angosciato la prese tra le braccia e la posò sul grande letto
matrimoniale che era tutto in disordine e manomesso. Simona era viva ma non
rispondeva alle continue sollecitazioni del giovane, sembrava drogata.
Raffaele riuscì ad aprirle la bocca ed introdotte due dita nella sua gola
ottenne il vomito che aveva sperato , la mise in piedi e per un ora non fece
altro che schiaffeggiarla facendola camminare nella stanza in continuazione,
Le fece bere del caffè freddo ed amaro, che aveva riposto nel piccolo
frigorifero della camera e finalmente si rese conto di ciò che era accaduto,
sentendo quanto Simona gli raccontava riguardo la serata da lei passata per
le compere e dal coiffeur, ma prima ancora aveva visto socchiusa la
cassaforte e quella assolutamente vuota.
Come se fossero stati seppelliti da una valanga la giovane coppia seduta sul
letto commentò l’accaduto.
Simona non si dava pace per aver accettato un drink da parte di una
giovanissima spagnola che aveva conosciuto dal coiffeur e con la quale era
uscita dal negozio. Affabile e simpatica, aveva detto di chiamarsi Carmencita
e si era presentata come una grande ammiratrice dell’Italia dove, aveva
detto, era stata diverse volte in vacanza.
Carmencita era una ragazza elegante e si era incuriosita per il taglio di
tutti quei bellissimi capelli neri di Simona oltre che per il colore castano
che aveva voluto sostituire a quello nero originale.
Carmencita aveva degli occhi nerissimi meravigliosi ed anche lei si era
aggiustata i capelli dal colore rossiccio ma castano scuro.
La sua silhouette di ragazza di una ventina di anni la facevano apparire come
quella di una studentessa universitaria, bella ed appetitosa con molta
classe.
Parlava italiano con una leggera inflessione spagnola e quando Simona, alle
dieci, disse di essere in ritardo per l’appuntamento con il suo compagno,
esclamò divertita che non poteva lasciarla andare via così senza averle prima
offerto un aperitivo.
Carmencita entrò in una specie di Bar nelle vicinanze dell’Albergo di Simona,
ordino la bevanda e contemporaneamente fece una telefonata con il suo
cellulare.
Parlò brevemente con qualcuno e poi offrì il drink a Simona non prima di
averlo tenuto in mano con la scusa che era troppo ghiacciato per una italiana
certamente non abituata a bere bevande così fredde.
Da quel momento i ricordi di Simona divenivano nebulosi, ricordava soltanto
di essere stata accompagnata in Albergo da quella, oltre che da un ragazzo
sui venticinque anni e che le sue gambe erano piuttosto malferme tanto che,
il giovane amico di Carmencita, l’aveva retta con un braccio sotto l’ascella.
Ricordava inoltre, come in un sogno, che erano entrati dentro l’Hotel da una
entrata secondaria e che la porta della stanza era stata aperta facilmente
con una chiave estratta di tasca da quello che Carmencita chiamava Pablito.
Qui finivano i frammentari ricordi di Simona che a mala pena rammentava di
essere caduta, nel bagno, in un sonno profondo.
Il resto era chiaro.
Quei due avevano fatto un furto con scasso della cassaforte oltre a portasi
via alcuni anellini d’oro ed un braccialetto dello stesso metallo trovati sui
comodini.
Il dilemma era quello di stabilire se Simona fosse capitata per puro caso in
una banda di ladruncoli oppure se quei due spagnoli non fossero emanazioni
della più pericolosa banda cui aveva appartenuto Raffaele.
In ogni caso il sommario del fatto era che, contando il denaro, erano rimasti
nelle mani di Simona e Raffaele appena diciottomila e cinquecento euro con i
quali, sottraendo quanto avrebbero dovuto lasciare nelle mani
dell’albergatore, per qualche giorno di sosta in quel posto e per mangiare,
ne sarebbero rimasti un po’ meno di diciottomila.
Non si poteva nemmeno raccontare quanto successo al Direttore dell’Albergo
che avrebbe preteso una loro denuncia alla locale Polizia, cosa assolutamente
impossibile per i due fuggiaschi italiani per giunta con documenti falsi.
CAPITOLO NONO
In quelle poche ore che Simona e Raffaele riuscirono a riposare, tutti e due
senza parlare, continuarono a pensare in quale guaio si fossero cacciati per
la sbadataggine di Raffaele, che non aveva fatto custodire il denaro nella
cassaforte dell’Albergo e per l’imprudenza di Simona, che si era fatta
abbordare da una furba sconosciuta.
Entrambi però non avevano nessuna intenzione di piangere sul latte versato e
nel silenzio della notte catalana tutti e due, zitti ma abbracciati,
riflettevano su cosa fare l’indomani.
Sapevano soltanto di trovarsi oltre la Piazza di Catalogna nella città nuova
con ampie vie a scacchiera e con tanti Hotel e negozi.
Avevano anche la cognizione che dall’altra parte della grande Piazza c’era il
bel porto con il monumento a Cristoforo Colombo ed il magnifico lungomare ma
oltre a questo ignoravano ogni cosa di Barcellona e dintorni.
Verso l’alba, saranno state le cinque e trenta, Simona decise di alzarsi, si
staccò dall’abbraccio di Raffaele e trepidante cercò, tra le cose che erano
rimaste dei loro bagagli, una cartina dettagliata della città che aveva
acquistato in Sicilia.
Scoprì quanto fosse estesa quella Barcellona ed i suoi dintorni e quante
attività vi si svolgevano tra le quali lei e Raffaele avrebbero potuto
sceglierne una meno ambiziosa di quanto si erano prefissi, ma che ugualmente
avrebbe potuto permettere a loro due di non essere costretti a rinunciare a
quei luoghi che rappresentavano la loro speranza per un futuro migliore.
Simona osservò che sulla cartina, nel sud-ovest del territorio ove scorreva
il fiume Llobregat non molto lontano dalla caratteristica collina Montjuich,
a diversi chilometri dal Faro, erano segnalati immensi vigneti e si ricordò
in un lampo quanto un giorno Raffaele le aveva raccontato delle sue
esperienze lavorative in Toscana proprio in caratteristici vigneti attorno a
Pistoia.
Simona entusiasta, con quelle mutandine bianche ed a seno nudo si buttò
impetuosamente su Raffaele, che ancora sonnecchiava, ed esclamò ridendo di
gusto.
- Forza giovanotto! Non tutto è perduto. Ti ho trovato un lavoro che ti
piacerà. Acquisteremo delle cantine e dei vigneti e quelli ci daranno da
vivere, prima con grandi sacrifici ma in seguito, molto più facilmente. -
- Questa mattina andremo a visitare i paesi lungo il fiume Llobregat e vedrai
che troveremo una piccola Azienda da acquistare oppure da affittare ed un
appartamentino dove poter abitare in santa pace ed in più un lavoro per me in
qualche piccola bottega di manufatti di seta e cotone che qui è scritto, e
gli mise sotto il naso la cartina, abbondano e fanno tutte affari d’oro. -
Raffaele non aveva ancora capito cosa stesse dicendo Simona ma ugualmente si
strinse forte al suo corpo dicendole.
- Faremo tutto ciò che vorrai, diavolo di una seduttrice, -mentre con uno
scatto la capovolse e senza parlare fecero all’amore.
Prima di andarsene per sempre da quella camera che era stata fonte di pesanti
guai economici per i loro sogni, misero in ordine ogni angolo della stanza.
I due giovani spagnoli avevano fatto terra bruciata di ogni cosa asportabile
appartenente ai due italiani e non avevano lasciato nemmeno alcuni foulard
appartenenti a Simona né un rasoio da barba nuovo di Raffaele.
Ma nella meraviglia più assoluta di Raffaele e Simona era loro probabilmente
scivolato sotto il letto, l’unico mazzetto di euro formato da biglietti da
cento, per un totale di cinquantamila euro.
La felicità dei due, già sollevati dalla ricerca dettagliata di Simona sulle
loro possibili vicende future, giunse così al diapason.
Dunque oltre alle ottimistiche previsioni di Simona, che non aveva calcolato
bene la scarsità del denaro rimasto che avevano contato durante la notte,
possedevano in più altri cinquantamila euro con i quali effettivamente
potevano combinare qualcosa di buono.
Pagato il conto, Simona chiese all’autista del taxi, che li doveva portare
fuori città dalle parti dei vigneti del sud ovest, quale fosse la chiesa dei
miracoli per i catalani di Barcellona.
Quello che a mala pena l’aveva capita rispose.
- La Chiesa di Santa Maria del Mar! Signorina. -
L’ordine di Simona fu di portarli in quella Chiesa e di attenderli cinque
minuti.
Voleva pregare e ringraziare la Madonna per averla protetta, poi sarebbero
andati lungo il fiume dove avrebbero cercato di vivere onestamente con il
loro lavoro e magari creare una nuova, solida e bella famiglia.
Ci volle parecchio tempo prima di giungere a destinazione, ma quando furono
in quel territorio capirono che quello sarebbe stato per loro due il novello
“Eden”.
Ogni abitante, contadino oppure commerciante, fu con loro di una gentilezza
estrema e facilmente trovarono in un piccolo Paese, quasi sulle sponde del
fiume molto più a nord ovest del Faro, un appartamentino grazioso ed
ammobiliato con un piccolo giardino che presero in affitto a
quattrocentocinquanta euro al mese. Versarono una caparra ed un anticipo di
duemilacinquecento euro e provvidero immediatamente a comprare federe e
lenzuola nonché asciugamani e tovaglie per i loro bisogni.
Pranzarono in una trattoria dove cominciarono a comunicare con diverse
persone perché sapevano che così sarebbe stato molto più facile imparare la
lingua del posto, ripromettendosi di studiare anche sui libri lo spagnolo.
Il clima era caldo ma secco e durante la notte dormirono profondamente con le
finestre aperte e senza alcun timore.
Il giorno successivo lo avrebbero dedicato a trovare un lavoro ed ad
ambientarsi meglio.
Su uno dei due alberi di fronte alla finestra Simona vide, quando il sole era
ormai alto sull’orizzonte, due merli meravigliosamente allegri saltare da un
ramo a l’altro come se volessero giocare a nascondino.
Pensò che quel quadretto fosse di buon auspicio e si mise a cantare gioiosa
una canzone romantica di quando era molto più giovane e viveva a Forni di
Sotto, spensierata.
- Cosa fai mia dolce Simona? –Domandò ridendo. –Non sarà che l’aria di questa
campagna ti sta dando alla testa?.-
- Che dici, amore mio, non senti i merli come cantano felici di essere vivi e
non capisci che la loro gioia è contagiosa? –
- E’ vero, tesoro, adesso li sento ed hanno messo addosso anche a me una
sensazione davvero nuova, come se la vita ricominciasse ad essere una bella
favola, con tanto di principessa da adorare e rispettare. –
Raffaele fu in un attimo in piedi, anche lui affacciato alla finestra, mentre
Simona gli si stringeva addosso come una grande edera, trionfante.
- Dobbiamo sbrigarci e vedere se con i soldi che abbiamo possiamo mettere su
una piccola azienda vinicola. Inoltre devo verificare se c’è qualche posto
per me in qualche fabbrica di merletti in cui so di essere molto capace. -
Impiegarono l’intera giornata per andare in giro con una motocicletta presa
in affitto e solo verso il pomeriggio inoltrato seppero di un vecchio
spagnolo che si era stancato di lavorare nel ramo vinicolo e che avrebbe
volentieri ceduto la sua piccola Azienda per godersi alcuni anni di svago,
girando per l’Europa con un bel po’ di soldi da spendere allegramente.
Offrirono a quel tizio, un uomo sui settantacinque anni, quarantamila euro ed
un bonus di diecimila euro all’anno per subentrare nella sua proprietà che
consisteva in un appezzamento di terreno di cinque ettari pieno di filari
d’uva rossa più una fabbrica piccolissima dove egli faceva invecchiare la sua
produzione che poi vendeva all’ingrosso e che aveva valutato in ventimila
euro all’anno.
A Simona questa valutazione parve veramente esagerata ma Raffaele, presola in
un angolo le disse che era un grosso affare.
Egli conosceva un metodo infallibile per aumentare la produzione e non a
danno della qualità, che con certezza sarebbe divenuta eccezionale, visto il
tipo di terreno su cui si sviluppavano le viti.
Raffaele e l’anziano contadino firmarono un contratto molto dettagliato,
preciso nei particolari e lo suggellarono con un ottimo bicchiere di vino.
L’Azienda di Carlos Miguel esisteva da oltre un secolo e se non si era
sviluppata alla grande ciò era dipeso dalla morte della moglie, dopo soli tre
anni di matrimonio, senza che da questo fosse nato nemmeno un figlio.
L’aveva ereditata dai genitori o meglio dalla madre, una donna che non si era
mai interessata di viticoltura, ma che in compenso era stata la migliore
ricamatrice della zona, tanto che in quei tempi il suo laboratorio si era
sviluppato tantissimo per merito di una sorella di Carlos Miguel, da essere
conosciuta con un proprio Marchio oltre che in Spagna anche all’Estero dove
le richieste di quei merletti, veri capolavori, era aumentata a dismisura.
Quando Carlos Miguel seppe da Simona che lei era una formidabile ricamatrice,
le disse.
- Perché domani non ti presenti da mia sorella con questo mio biglietto di
raccomandazione. Ecco cosa ho scritto.-
Consegnò a Simona un foglietto.
La bella compagna di Raffaele lesse. “ Ti prego di trovare un posto a questa
brava ragazza italiana. Sono sicuro che sarai contenta e poi mi ringrazierai
per il favore che ti sto facendo.
CAPITOLO DECIMO
Per Isabella, la sorella di Pablo Miguel, l’assunzione di Simona rappresentò
una vera fortuna.
La produzione di tovaglie, tovaglioli, centri da tavola, lenzuola, federe per
cuscini e via dicendo divenne in breve di una qualità eccezionale tanto che
Isabella affidò a Simona la progettazione di nuovi modelli, promuovendola in
un batter d’occhio, capo reparto e di struttura di un nuova sezione della
Ditta.
Isabella era una donna di sessantacinque anni quindi molto più giovane del
fratello ma soprattutto molto più moderna nel sapere distinguere di primo
acchito chi valesse e chi no in quel difficile mestiere.
Per Simona essere riuscita a sfondare nell’Azienda, in soli sei mesi, fu
fonte di orgoglio oltre che di uno stipendio molto alto.
Isabella era un vero “ Manager “ed aveva assunto diversi venditori per
l’esportazione.
Il fatturato aumentava mese dopo mese al punto che affiancò a Simona molte
ragazze desiderose di imparare e di perfezionare l’arte del ricamo, mentre i
nuovi modelli erano creati dalla stretta collaborazione di lei e quella bella
italiana, piena di fascino ed al tempo stesso di inventiva.
Isabella chiamava Simona con il nome di Giulia Zara e quando vedeva Raffaele,
per lei, era il signor Massimo Rossetti.
Così, lentamente, i due italiani si erano abituati ai nuovi nomi e quasi non
riuscivano più a chiamarsi tra loro con il precedente nome e .questo era uno
dei motivi di ilarità, che era diventato quasi il nuovo modo di vivere e di
comportarsi, dei due innamorati sempre maggiormente legati l’uno all’altra.
L’unica cosa che mancava loro era un po’ più di tempo libero tanto erano,
ogni giorno, assorbiti dal rispettivo lavoro assai impegnativo e sempre
maggiormente remunerativo.
A Giulia, alias Simona, era venuta una gran voglia di fare un figlio bello
come Raffaele e dolce come lei ma non era facile convincere il suo uomo a
questo passo così importante per la loro vita.
Erano giunti in Spagna soltanto per sfuggire ad una morte certa ed era logico
che, pur sentendosi in quel periodo sicuri e tranquilli, Raffaele avvertiva
sempre un certo timore che tutto precipitasse in un attimo trascinandoli in
un burrone profondo e senza fine.
Simona invece sentiva avvicinarsi i quaranta anni e per quanto sentiva”a
pelle” che Raffaele la desiderava ogni giorno sempre di più era disposta a
rischiare qualsiasi cosa per una maternità che l’avrebbe completata appieno.
Aveva continuato a mantenere il look di Barcellona con i capelli corti ed il
colorito non più corvino ed anche il modo di vestirsi era continuato ad
essere giovanile tanto da valorizzare il suo aspetto, con quello splendido
corpo che madre natura le aveva regalato.
Raffaele perdeva letteralmente la testa quando facevano all’amore ma
all’ultimo istante si schivava per non metterla incinta.
Ormai erano passati diciotto mesi da quando erano arrivati in quel piccolo
Paese della Catalogna ed anche lì il freddo era pungente come su tutta
l’Europa, in quel anno, che tutti dicevano essere stato il peggiore inverno
degli ultimi venti anni.
Mancavano pochi mesi al quarantesimo compleanno di Simona e lei era sempre
più imbronciata pensando che ormai Raffaele aveva deciso di non avere figli.
Ma una sera, sotto le calde coperte, Raffaele disse.
- Simona hai ragione tu. Siamo bene insieme e con il nostro lavoro stiamo
lentamente diventando ricchi. Senza figli è inutile sacrificarci tanto e non
saremo mai una vera famiglia come la intendiamo noi due. -
- Vieni qui vicino a me e smettila di tenermi rancore. Io ti adoro e quindi
faremo dei pargoletti e sicuramente non uno soltanto. –
Simona sorrise e replicò.
-Vedrai come saremo felici e ti garantisco che i nostri figli saranno delle
creature eccezionali e ci porteranno anche molta fortuna. -
Simona esibì tutta la seduzione di cui era capace e questa volta capi di
essere rimasta sicuramente incinta.
Era veramente strano come le viscere di Simona si fossero aperte per
racchiudere il seme di Raffaele e come questa sensazione fosse entrata nel
suo cervello e nella sua anima così semplicemente, una volta che lui le aveva
detto di sì.
Era dunque vero che con Mario non era stato mai così e che lei avesse sentito
una specie di repulsione verso colui che, in chiesa, le avevano detto fosse
suo marito.
Era stata una specie di premonizione quella che tante volte aveva sentito nei
suoi riguardi, anche quando soltanto una parte di lei aveva desiderato un
figlio, ma non la sua anima né il suo cuore.
Era successo che, come una maga avesse letto il proprio futuro e quanto
infame fosse quel uomo che aveva sposato e falso nei sentimenti, che
generosamente gli aveva offerto immacolata sia nel fisico che nel morale.
Nessun sentimento di rimorso le saliva dalla vagina fino all’utero impregnato
e dalle cosce al cervello, nessun pentimento per avere tanto desiderato e
voluto quel figlio che iniziava a vivere in lei, il cui padre era Raffaele,
un uomo che forse poteva essere stato un bandito all’acqua di rose ma che in
fondo racchiudeva in se stesso tutto ciò che una donna potesse desiderare,
cominciando dalla dolcezza del carattere e dalla tenerezza che mai scompariva
dal suo modo di fare.
Simona accarezzò l’uomo del suo destino che ormai si era addormentato vicino
a lei in quel letto morbido e pieno di calore e nella penombra della stanza
lo baciò sulle labbra delicatamente.
Quando Isabella seppe che “Giulia” era rimasta incinta fu così felice come si
trattasse di sua figlia che l’ avrebbe resa nonna.
“Giulia” si sentì avvolta da un affetto che mai aveva provato prima e non
solo si trattava di rispetto ma di vero amore.
Isabella non solo l’aveva colmata di gentilezze ma l’aveva promossa Manager
della Ditta per le sue qualità eccezionali di creatività e per il modo
assolutamente garbato che possedeva naturalmente nei rapporti con i Clienti
più importanti e per il modo di agire con le operaie e le impiegate che
trovavano in lei una persona affabile e sempre gentile, in ogni indirizzo che
non faceva pesare a nessuno il fatto che la Ditta stesse ingigantendosi con
lei vice capo e con Isabella,Amministratore Delegato.
In nemmeno un anno di collaborazione Isabella di era resa conto che la sua
Giulia era davvero eccezionale e che era stata una vera fortuna che suo
fratello l’avesse presentata a lei.
Giulia era geniale. Mai aveva visto tanta fantasia creativa in una donna che
poi non aveva fatto nessuna scuola specifica ma che ciò che aveva imparato
non era altro che una naturale ed eccezionale capacità inventiva.
Ad Isabella non importava nulla che il suo uomo fosse un italiano ma di una
cosa le importava assai. Egli dimostrava di amare Giulia con tutte le fibre
del suo cuore e con tutto se stesso.
Era stata Giulia che non aveva voluto assentarsi nemmeno un giorno dal
Lavoro, per tutta la durata della gravidanza e così si comportò pure agli
sgoccioli della stessa.
Era finita l’estate ed ottobre bussava alle porte con tutte le foglie degli
alberi che cominciavano ad ingiallirsi.
Il tempo della gravidanza era quasi agli sgoccioli. Il pancione di Giulia era
all’ ottavo mese e la creatura di Giulia, come ormai la chiamavano tutti, era
uno sgambettare continuo.
Sembrava che la piccola avesse fretta di nascere ma era necessario che Giulia
facesse un salto in aereo a Madrid per firmare un importante contratto con
una Multinazionale.
Isabella aveva proposto a Giulia di rimandare il viaggio a gennaio ma fu come
parlare con un muro.
Si trattava di una commessa di un milione di euro e mai Giulia avrebbe
rinunciato al breve viaggio.
Si trattava di andare e tornare nella stessa giornata e per lei ci sarebbe
stato un guadagno di cinquantamila euro.
All’andata tutto filò perfettamente. A Madrid il contratto venne firmato in
un paio d’ore e la felicità della bella primipara era stata quasi divina.
Nel viaggio di ritorno Simona, alias Giulia, cominciò ad avvertire, dopo
mezzora dal decollo, le doglie sempre più frequenti e ritmate.
All’inizio pensò che si trattasse di un falso allarme ma in breve, rottesi le
acque, pregò le hostess di darle una mano per partorire.
L’aereo divenne una sala parto. Tutto l’equipaggio ed un medico si diedero da
fare fino a che un vagito squarciò l’aria.
Era nata Consuelo una bimbetta di oltre tre chili e mezzo tra gli evviva di
tutti., figlia di Giulia Zara e di Massimo Rossetti, spagnola a tutti gli
effetti.
CAPITOLO UNDICESIMO
Il più felice di tutti era il comandante, un giovane sui quaranta cui mai era
capitato un caso simile.
Aveva i capelli leggermente brizzolati ma non dimostrava nemmeno lontanamente
la sua età.
Era euforico ed alla torre di controllo di Barcellona aveva chiesto
l’autorizzazione di scendere, scavalcando la lunga fila degli altri aerei che
erano stati messi in attesa con lunghi giri attorno alla città e chiedendo
pure una autoambulanza, con medici ed ostetrici senza rendersi conto che la
sua passeggera aveva in pratica fatto tutto da sola.
La signora Giulia Zara, a parte un po’ di sfinimento del tutto normale, non
presentava nessuna complicazione ma quello che meravigliava tutto
l’equipaggio era quanto bella fosse la bambina e per quanto le hostess
cercassero di nascondere quella mocciosa urlante e sgambettante, tutti
vollero ammirare Consuelo.
Madre e figlia erano state lavate e quasi pareva che quel miracolo fosse un
quadro d’autore tanto era delicato e pieno di grazia.
Il merito maggiore l’aveva avuto quel medico che nessuno conosceva per nome
ma che aveva dimostrato ad ogni persona quanto fosse abile e preparato.
E fu proprio lui che avvicinatosi alla puerpera chiese commosso e
vergognandosi per la richiesta inattesa.
- Signora, posso suggerirle il nome per questa bellissima bambina?. Consuelo
era il nome che io e mia moglie avevamo dato a nostra figlia. -
- Era un angelo ed io vorrei che Lei mi permettesse di chiamarla con lo
stesso nome, magari con l’aggiunta di Marilù, perché sarò io e mia moglie che
vorremmo tenerla a Battesimo, con il vostro permesso, per ricordarla per
sempre viva e non soltanto in fotografia nel breve passaggio tra di noi piena
di vita prima che quel maledetto incidente ce la togliesse impedendoci di
amarla e coccolarla come avremmo desiderato. -
Simona era rimasta stupita da quella richiesta che poteva essere interpretata
come insolente, per lo meno in quel momento, ma non volle nemmeno prendere
tempo e rispose.
- Dottore, mia figlia si chiamerà Giulia, Consuelo, Marilù.
- Con il suo contributo è nata e Lei merita questo riconoscimento. Sarà
battezzata da Lei e sua moglie e quando stasera tornerà a casa lo dica a sua
moglie e le annunci che una nuova Consuelo è giunta sulla terra per renderci
felici. Da oggi potrete considerarla la vostra nipotina.-
- Io ed il mio compagno attenderemo con ansia una vostra visita al più
presto. Questo è il nostro indirizzo. Sarete i ben venuti nella nostra
casetta e se questo divenisse il vostro desiderio, potreste consigliarci, con
qualche prescrizione medica e psicologica. a fare crescere questa italo
spagnola. Sarà una bimbetta, mocciosa ma non troppo, che vi si affezionerà
sicuramente ed in particolare penso che sarà molto affettuosa verso colui che
l’ha aiutata a nascere a ventiquattromila piedi di quota.-
Anche se sul passaporto c’era scritto il suo nuovo nome, la ex moglie di
Mario era rimasta la semplice montanara di Forni di Sotto.
Tutte le traversie che aveva passato non avevano modificato il suo cuore
sempre dolce e tenero e quel germoglio di sua figlia sarebbe stata come lei,
buona ed affettuosa.
Il suo carattere positivo ed esuberante faceva il paio con quello di Raffaele
ed era certa che il suo uomo le avrebbe dato tutto il suo conforto e mai si
sarebbe opposto alla propria decisione di chiamare la loro figliola Consuelo.
In breve, i coniugi Lopez, marito e moglie medici entrambi, vennero accolti
come veri parenti e divennero i più cari amici di Consuelo e dei suoi
genitori.
Finalmente la famiglia era diventata compatta e tra Isabella, il fratello e
tutti gli appartenenti alla Azienda, Consuelo cresceva diventando la mascotte
di tutti.
Ma erano i coniugi Lopez coloro che la viziavano più di ogni altro e non
passava una settimana senza che la venissero a trovare, coccolandola e
riempiendola di piccoli doni, dai vestitini alle bambole, dalle catenine
d’oro agli orsacchiotti di peluche.
Essi abitavano nella zona più residenziale e più bella di Barcellona ed ormai
pareva che avessero due case tante erano le volte che invitavano i due
italiani a passare con loro ogni domenica.
Giulia, come chiamavano affettuosamente la mamma di Consuelo, era diventatati
l’amica del cuore di Virginia ed era stata proprio Giulia che l’aveva
convinta di mettere al mondo un figlio che sarebbe certamente cresciuto sano
e forte come un bambino del tutto normale.
Virginia era tentata di avere un altro figlio ma troppo era stata la
disperazione patita per la malattia della sua Consuelo e troppa era stata la
depressione che aveva sofferto per la sua morte perché potesse avventurarsi
in una seconda gravidanza senza l’aiuto di una vera amica.
Giulia si era talmente affezionata a Virginia che un giorno le disse.
- Sento che sarai fortunata come me, amica mia, anzi forse anche più di me
perché il mio cuore mi dice che avrai un maschietto che ti ripagherà di tutte
le sofferenze che hai patito. -
Virginia rimase incantata dalla veemenza e dalla convinzione che trasparivano
da ogni parola di Giulia, che pareva un oracolo.
Quella donna forte e risoluta l’aveva convinta.
Doveva ascoltarla perché anche lei si era convinta che l’audacia aiuta le
persone coraggiose e che non poteva negare a suo marito la gioia di un altro
figlio.
Quando Consuelo compì un anno e mezzo, Virginia partorì il più bel bambino
del mondo forte e sano e volle chiamarlo Giulio.
Era un neonato dalle ciglia lunghe e nere come quelle della sua mamma ed il
viso era più delicato di quello del suo papà.
Il battesimo di Giulio fu una festa grande e piena di motivazioni religiose,
con il Parroco che si recò a casa dei Lopez e benedisse il neonato ma anche
Consuelo, Virginia e Giulia ed ogni persona che era stata invitata.
Era avvenuto un vero miracolo e Virginia sbandierò ai quattro venti che tutto
era stato merito della sua più cara amica.
Con il tempo Virginia e Giulia divennero più che amiche e come se fossero
sorelle si confidavano ogni minima cosa capitasse loro anche riguardo i
segreti più intimi della loro vita privata.
Soltanto su un fatto Virginia non fece mai parola con l’amica, pur essendo
molto curiosa a riguardo.
Come mai lei ed il suo uomo non si fossero sposati e come fossero capitati
vicino a Barcellona lasciando l’Italia, un Paese che Virginia aveva sempre
amato e che continuava ad ammirare per esserci stata diverse volte sia
d’estate che d’inverno?
Virginia era molto più giovane della mamma di Consuelo.
Aveva appena trentadue anni contro gli oltre quaranta di Giulia ma l’ età
diversa tra le due donne non era tale da differenziarle troppo perché Giulia
aveva una classe superiore rispetto a quella della dottoressa, molto più
minuta sebbene adorabile ed affascinante, come poteva constatare tutte le
volte che uscivano insieme o da sole oppure con i rispettivi figli.
Però un giorno mentre si erano sedute nel parco giardino vicino alla casa di
Virginia avvenne un episodio che Virginia non avrebbe mai immaginato.
Un muratore che stava consumando un panino, anche lui seduto su una panchina
vicina a quella di Giulia, cominciò a sbirciare con attenzione Consuelo e la
sua mamma.
Di colpo ed improvvisamente, quello sorrise ed esclamò. -
Che ci fai tu qui Simona! Non vivi più in Carnia e tuo marito che fine ha
fatto, è un secolo che non lo vedo, penso che si sia venduta la macelleria o
forse si trova qui con te? -
Un silenzio mortale seguì quelle frasi.
Giulia, che era stata chiamata Simona da quel muratore, si alzò di scatto,
prese in braccio Consuela e seguita dalla fidata Virginia si allontanò a
grandi passi senza fiatare.
CAPITOLO DODICESIMO
Non fu facile per Simona, alias Giulia, alias signora Rossetti tacere ancora
sulla sua vita passata.
Per quanto desiderasse confidarsi completamente con Virginia fece finta di
niente e commentò.
- Guarda cosa ti capita nella vita! Un tizio qualunque ti rivolge la parola e
cosa si inventa? Io sarei la moglie di un macellaio del Nord Est e per di più
non saprei nemmeno che fine costui abbia fatto! -
- Che abbia avuto una vita parecchio movimentata non lo nego ma questi sono
fatti miei e che forse un giorno ti racconterò, quando lo riterrò opportuno e
non dannoso per la mia famiglia che soltanto ora sto godendo appieno. -
Virginia la guardò incuriosita ma subito dopo le disse.
- Non hai nessun obbligo di raccontarmi dettagliatamente della tua vita; anzi
non voglio sapere nulla di te. Quello che mi interessa è che tu sia quella
mia speciale amica come hai dimostrato finora di essere! -
Nel dirle ciò Virginia le si avvicinò, la strinse forte tra le braccia, la
baciò con tutto l’affetto che le stava esplodendo nel petto e si mise
piangere colta da una profonda emozione che le saliva su impetuoso dal cuore.
- Il mio vero nome è Simona, cara Virginia, ti voglio tanto bene ma non posso
dirti altro di me perché metterei in pericolo quel bravo uomo di Raffaele che
si chiama così e non Massimo Rossetti come risulta dal falso passaporto. -
Simona non aggiunse altro e tutte e due le donne si abbracciarono come se il
loro fosse un patto segreto indistruttibile.
Quante volte Simona aveva pensato che prima o poi sarebbe arrivato il giorno
del “redde rationem”.
Tutto era filato per il verso giusto ormai da diversi anni.
Lei e Raffaele avevano fatto fortuna in quella regione della Catalogna e
vivevano serenamente in mezzo a gente onesta e decisamente buona, per nulla
invidiosa della loro felicità.
Ormai non c’era da avere paura di vendette trasversali e lo stesso luogo che
Simona e Raffaele avevano scelto per vivere era colmo di serenità e di gente
affabile e tranquilla.
In più i Lopez avevano voluto e quasi preteso che Consuelo e Giulio
frequentassero il medesimo collegio di suore, dove i due bambini vivevano
insieme, dal lunedì al sabato nella stessa classe anche se Consuelo era un
po’ più grande del maschietto di Virginia.
Si trattava di una scuola per ricchi signori della alta borghesia di
Barcellona la cui retta era talmente elevata che, per quanto fossero
classificati tra i migliori clienti, dovevano essere oculati per essere
sempre puntuali nello sborsare le cifre da capogiro pretese dalla Direzione.
Tra le lezioni personalizzate, le stanze singole per dormire e studiare,
l’equitazione ed una serie di attività sportive condotte dai migliori
professionisti, le lingue straniere con insegnanti di madre lingua e via
dicendo, Consuelo e Giulio stavano costruendo il loro avvenire nel benessere
più completo paragonabile soltanto alle migliori scuole svizzere.
Poi, la domenica, i due ragazzi passavano la giornata festiva nella nuova
casa a nord di Barcellona dove tutti e sei vivevano, ormai da cinque anni,
come una unica famiglia tra il verde del parco e l’amore dei rispettivi
genitori.
I due ragazzi ormai si consideravano inseparabili e pur sapendo di non essere
fratelli non avevano nessuna remora di mostrare a tutti di amarsi
perdutamente come due fidanzatini.
Un giorno però sia la mamma di Giulio che Simona ebbero la sgradita sorpresa
di sorprendere i loro figli mentre, sotto un tavolo da pingpong, facevano
sesso o qualcosa di simile, senza il minimo pudore.
Erano state le due mamme ad accorgersi, non viste, quanto beatamente essi,
pur così giovani, senza niente indosso si strofinassero uno con l’altro e
come il piccolo Giulio, godesse delle leccatine che Consuelo gli
somministrava come se stesse sorbendo un gelato.
Per un momento Simona e Virginia rimasero allibite ma non ebbero il coraggio
di intervenire né di raccontare il fatto ai propri mariti.
Anzi si nascosero in un angolo del sottoscala, dove era riposto il grande
tavolo, senza sapere prendere una decisione immediata e senza sapere nemmeno
come quei due ragazzini avessero imparato a fare simili cose.
Ognuna delle due donne non voleva confessare all’altra che i loro figli
avevano semplicemente copiato quello che avevano visto fare a casa, tante
volte, nella convinzione che nulla doveva essere nascosto per una educazione
moderna e disinibita.
Simona e Virginia erano assolutamente sicure che mostrarsi nude in casa e non
vergognarsi di tutti gli atti naturali con i loro uomini fosse un ottimo
sistema per far crescere i propri figli nel modo più naturale possibile.
Qualche volta avevano parlato assieme dell’argomento ed erano rimaste sempre
dello stesso parere.
Ciò non significava svilire i loro sentimenti, piuttosto evidenziare come
anima e corpo potessero coniugarsi e santificarsi senza falsi tabù che
avrebbero potuto appartenere ad ottuse concezioni di vita, come se il pudore
potesse nascondere in un velo di magia quello che partiva dal profondo delle
viscere e dell’anima.
Se quelli atti fossero stati peccaminosi allora perché l’uomo e la donna
erano stati creati in quella maniera.
Anche gli animali agivamo allo scoperto, a qualsiasi razza o specie
appartenessero ubbidendo alle leggi biochimiche, qualsiasi fossero, ed anche
i loro figli sarebbero cresciuti nella purezza del pensiero di Dio.
Questo in teoria, ma in pratica come avrebbero potuto convincere la loro
prole che agire da animali fosse la cosa più pulita del mondo specialmente se
altra gente avesse assistito a simili scene?
Rieducare i loro figli sarebbe stato impossibile, raccontare ai loro uomini
cosa avessero visto avrebbe potuto scatenare una profonda crisi esistenziale
ma in qualche modo le due mamme avrebbero dovuto spiegare a Giulio ed a
Consuelo che mai più essi avrebbero dovuto agire a quel modo, a rischio di
distruggere quella atmosfera piena di dolcezza che si era creata fra quei
ragazzini in fondo innamorati l’uno dell’altro.
L’iniziativa di sistemare quel brutto pasticcio in cui aveva visto implicato
Giulio fu presa da Virginia.
Era troppo fervente cattolica per lasciare correre, senza reagire, quelle
immagini turbolente e conturbanti di Consuelo e di Giulio sotto il tavolo da
pingpong avvinghiati l’uno all’altra e se anche, come specialista in
pediatria e puericultura, non poteva meravigliarsi di nulla, tante erano
state nella sua professione i casi del tutto analoghi a quello, non potette
fare a meno di riflettere sulla sua esagerata amicizia con Simona che senza
dubbio aveva esercitato su di lei troppa confidenza, in particolare quando
parlavano di sesso e di erotismo.
In qualche modo Simona l’aveva plagiata e pur ritenendola una donna
affascinante e piena di ardore le sembrava che si fosse troppo sbilanciata
nelle chiacchiere e nelle confidenze tra donne e nei particolari troppo
piccanti che le aveva raccontato riguardo alle intimità tra lei e Raffaele.
A costo di rompere ogni rapporto con Simona, Virginia avrebbe preso le sue
decisioni liberamente e senza altri turbamenti.
Ciò che contava in quel momento era separare la vita di suo figlio rispetto a
Consuelo e questo avrebbe fatto qualsiasi cosa fosse capitata di sgradevole o
tale da infrangere l’ affetto che sentiva per Simona.
PARTE SECONDA
CAPITOLO TREDICESIMO
Giulia, Consuelo, Marilù viveva assieme alla sua amica Eusebia, lontana dalla
casa della mamma e contrariamente ad ogni più ottimistica previsione era
riuscita ad ottenere il Diploma della Scuola di Danza del famoso Pablo Josè,
con il massimo dei voti a Barcellona.
Altro che la laurea programmata in legge.
Come erano cambiati i tempi di quando era una delle migliori allieve del più
prestigioso Istituto Religioso Classico di Barcellona e lei viveva come una
principessa nell’attico superattico del quartiere più esclusivo della
capitale catalana.
Quasi non ricordava i lineamenti di Virginia e di Giulio nonché quelli del
dottor Lopez.
Se ne erano andati che lei non aveva ancora compiuto i sette anni, alla fine
dell’anno scolastico, in quattro e quattro otto salutando appena la sua
famiglia senza che lei avesse capito il perché di tutta quella fretta
associata ad una certa freddezza capitata tra capo e collo su di lei ma anche
sulle spalle della sua mammina.
Si erano trasferiti a Madrid, con il dottor Lopez nuovo Primario Chirurgo
dell’Ospedale centrale della Capitale e Virginia, assistente effettiva del
reparto di neonatologia.
Ricordava appena la fisionomia del suo caro amico Giulio e quanto gli fosse
rimasta legata per molti anni, pur essendo di un anno più piccolo di lei ed
il pianto sconsolato che quello aveva fatto il giorno del loro definitivo
addio.
Lei e Giulio erano stati sradicati come due piante profumate ed appena
fiorite dai luoghi della loro infanzia.
La mamma le aveva detto che non potevano più crescere insieme. Il suo
amichetto, colui che le aveva dato tutto di se stesso, non avrebbe mai più
giocato con lei e non sarebbe stato né il suo fratellino né il suo
fidanzatino con cui poter giocare agli innamorati e con il quale aveva
condiviso le prime esperienze fisiche e soavemente sessuali.
Consuelo non aveva capito se fosse stata vera la necessità dei Lopez di
andarsene da Barcellona per motivi di lavoro o se quella fosse soltanto una
scusa per separare lei da Giulio, come se fosse stata una colpa volergli bene
appassionatamente e sentirlo vivo fisicamente quando lo toccava e lo
accarezzava.
Nella sua coscienza Consuelo sapeva di non aver fatto niente di male e di
essersi comportata innocentemente lasciando libero sfogo a tutti i sentimenti
più delicati che l’avevano aiutata a crescere ed a maturarsi rapidamente.
Papà Raffaele era tornato in Italia dicendole che aveva trovato un altro
lavoro nei vigneti piemontesi e che lì avrebbe investito tutto il denaro che
aveva guadagnato in quel angolo della Catalogna ma che sarebbe stato sempre
presente, sia spiritualmente che materialmente, vicino alla sua bambina ed
alla sua Simona con numerosi viaggi d’affari e telefonandole spessissimo.
Soltanto quando Consuelo aveva compiuto i diciotto anni, era venuta a sapere
chiedendo un documento di identità, che Raffaele e sua madre non erano
sposati.
Fu quasi un dramma per la giovane italo spagnola questa verità ma non fu
sufficiente perché la loro unione si screpolasse anzi lei non volle nemmeno
sapere quanto i suoi genitori avevano deciso di rivelarle sulla loro
precedente vita.
Aveva preso Simona e Raffaele in un solo abbraccio ed aveva detto.
- Sono affari vostri. A me interessa che vi vogliate bene e che viviate
amandovi ed amandomi come è stato fino adesso. -
Dopo la morte di Isabella, Simona era diventata l’unica , proprietaria
dell’Azienda che continuava a sfornare sempre nuovi modelli eccezionalmente
ricamati.
Intanto Consuelo era diventata una stupenda creatura, bellissima ed
affascinante, colma di classe e di un carisma che sicuramente le veniva dalla
Scuola di Danza di Flamenco che l’aveva rapita ed affascinata già da bambina.
A diciotto anni disse a Simona.
- Mamma, io me ne vado a Toledo. E’ una città piccola ma che mi affascina e
non solo perché mi troverò soltanto a circa settanta chilometri da Madrid,
con la speranza di incontrare un giorno Giulio Lopez, ma soprattutto perché è
una città antica e piena di storia. -
- Ho preso in affitto un bel appartamento dove il Tago lambisce, nei pressi
del ponte di Alcàntara, l’estremità orientale di Toledo rispetto al centro
della città. -
- Te lo avevo detto lo scorso anno , quando mi sono recata in visita
turistica nella Capitale della Nuova Castiglia assieme ad Eusebia, quanto
fosse incantevole Toledo con le sue antiche stradine ed i viottoli pieni di
esercizi commerciali, arroccata su quella alta piattaforma di granito e con
il suo fiume che le fa da splendida cornice. -
- Se tu lo vorrai, mammina, potresti aprire un negozio pieno di tutti quelli
speciali ricami che tu crei a getto continuo. Ma il motivo principale per cui
mi stabilirò lì è che a Toledo esiste la migliore scuola di Flamenco di tutta
la Spagna.-
- Io ed Eusebia vogliamo diventare delle vere professioniste di ballo e
vorremmo diventare famose e celebri -
Simona si aspettava ormai da parecchio tempo questa richiesta per avere
raccolto le confidenze di Eusebia, bravissima anche lei nel ballo e dotata di
una classe forse pari a quella di sua figlia, tanto da essere stata
contattata da gente della televisione per spettacoli che si sarebbero svolti
nell’antico teatro accanto all’altrettanta antica Cattedrale castigliana in
cui il Flamenco, associato al canto ed accompagnato dalla melodia malinconica
e languida delle frasi delle chitarre, si esprimeva nelle caratteristiche
gitane delle danze una volta “sevillanas” oppure delle “malaguena”.
Al sì di Simona, Consuelo promise alla mamma che si sarebbe comportata come
lei si aspettava da sua figlia e che comunque avrebbe diretto lei stessa il
negozio di merletti.
Simona poi, si sarebbe recata almeno una volta al mese a Toledo per
controllare e dirigere gli affari e per dare utili consigli a sua figlia, che
avrebbe assunto un paio di ragazze con l’incarico di commesse.
Consuelo ed Eusebia avrebbero avuto parecchio tempo libero per continuare a
studiare sul posto ed eventualmente per contribuire a qualche spettacolo
dedicato in particolare a quei turisti amanti di quel tipo di danza affine
alla musica araba ed affascinante.
Così, le due ragazze partirono per Toledo accompagnate, quella prima volta,
dalla mamma di Consuelo ansiosa di poter constatare con i propri occhi la
nuova sistemazione di sua figlia e di Eusebia.
L’appartamento, che le due amiche avevano scelto vicino al Tago, era piccolo
ma accogliente, sul lato destro di una viuzza tortuosa, dal sapore arabesco
non troppo lontano rispetto alla scuola di Danze Spagnole Solinas.
Il maestro Pedro Solinas, su appuntamento fissato per qualche giorno dopo,
volle esaminare le potenzialità delle due nuove ragazze che si erano
presentate con il Diploma di Danza del famosissimo Pablo Josè, entrambe con
il massimo di voto finale.
Era chiaro che tutte e due, oltre ad avere studiato con passione possedevano
una espressività rara nelle figure del fandango e della malaguena mentre
presentavano alcune lacune, anche se appena accennate e quasi impercettibili,
nelle sevillanas.
Il maestro Solinas, come al solito, parlò chiaramente.
- Siete due stupende ragazze, una più bella dell’altra, avete il fuoco e la
malinconia dei gitani e potreste diventare famose in questo mondo difficile
del Flamenco solo se vi perfezionaste ancora molto di più sulle sevillanas
dove ho notato degli sfasamenti dovuti al metodo che vi è stato insegnato a
Barcellona.
Qui a Toledo dovreste perfezionarvi tra i miei allievi e questo per un
periodo di almeno un anno. Poi dovreste andare a Siviglia per un paio di anni
dove diventerete perfette e talmente brave che tutti vi proclameranno le
nuove dive di Spagna nel settore che avete scelto e che avete nel sangue. -
Consuelo ed Eusebia, alla presenza di Simona, non poterono trattenere alcune
lacrime di gioia dopo il breve sermone del maestro Solinas, ma se da un lato
avevano avuto il sentore di toccare il cielo con un dito per i suoi
complimenti, sotto un altro profilo sprofondarono in uno stato depressivo
angoscioso per il semplice motivo che avrebbero dovuto allontanarsi da
Toledo, dopo un solo anno e trasferirsi poi almeno per un paio di anni a
Siviglia.
Fu Simona che ridiede fiducia a Simona ed ad Eusebia.
- Penserò io a tutto, -esclamò sorridendo.
- Non avrete bisogno di lavorare, figlie mie. A Toledo prenderemo il negozio
che abbiamo scelto e per un anno sarà fatto tutto quanto abbiamo già
stabilito. Poi vedremo se aprirne degli altri a Siviglia oppure creare una
catena di negozi, nelle più grandi ed importanti città spagnole, in “franchising”.
-
Simona aveva pensato alla sua gioventù prima di decidere.
Quante volte aveva sognato a venti anni di realizzare tanti bei sogni senza
mai poterli ottenere.
Consuelo invece avrebbe avuto, a poco più di diciotto primavere, tutto quello
che desiderava.
Se lo poteva permettere soltanto ora, vicina ai sessanta, di dare all’unica
cosa importante che aveva avuto dalla vita e cioè a sua figlia, tutti i
capricci e tutti i sogni che avesse voluto levarsi.
Di quel benessere ne avrebbe goduto anche la sua compagna ed amica Eusebia,
figlia di una povera donna che aveva sempre combattuto per darle un minimo di
benessere dopo che era rimasta vedova quando Eusebia aveva appena compiuto
otto anni.
Tra l’altro, Cristina, era sua amica da sempre e non si sarebbe mai opposta
ad una decisione partita dalla testa della mamma di Consuelo un po’ per
rispetto ma in particolare perché sapeva come avesse educato Consuelo stessa
che era stata sempre dolce ed affettuosa con lei, quasi fosse una seconda
figlia.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
L’anno vissuto a Toledo era volato in un baleno.
Tutto quanto era stato programmato era andato a buon fine e le due amiche e
ballerine avevano passato un anno tra lo studio alla Scuola del grande
Solinas ed il negozio di Simona senza prendersi che qualche raro svago.
Si erano comportate meravigliosamente.
Nemmeno un piccolo flirt con i giovani della Scuola di Danza, neppure un
viaggio a Madrid, pur così vicina, ma solo la ferrea volontà di essere pronte
per i due anni successivi da passare a Siviglia.
Simona invece aveva pensato di recarsi spesso nel capoluogo della Andalusia
per gli affari che aveva in mente: la catena di negozi in “Franchising” della
sua fiorente Azienda che aveva sfondato anche a Toledo pur con un solo
negozio.
Avesse avuto dieci anni di meno oppure gli fosse rimasto accanto Raffaele
ormai titolare di una grande Società di import-export di vini, Simona sarebbe
divenuta una delle più grandi Imprenditrici di Spagna.
Il senso degli affari sembrava essere nato insieme a lei.
Ma era anche la sua dedizione al lavoro, e che tipo di lavoro difficile
avesse scelto lo sapevano ormai tutti coloro che collaboravano con lei nella
crescita esponenziale di quella che era stata una piccola Ditta, ciò che le
dava tutta l’energia di cui aveva bisogno quotidianamente.
Ormai gli anni bui, di quando era arrivata in Spagna con un passaporto falso
sfuggendo assieme a Raffaele all’unica azione indegna della sua vita, erano
soltanto un lontano e brutto ricordo, mentre il suo cuore e la sua anima
vivevano soltanto per quella figlia che aveva voluto con tutte le sue forze e
per la quale era importante vivere e combattere.
Simona aveva voluto conoscere bene la città che avrebbe ospitato Consuelo ed
Eusebia per due lunghi anni.
Tutto doveva essere stato già messo a posto prima dell’arrivo delle due
ragazze a Siviglia, compreso l’ordine quotidiano cui credeva con tutta la sua
ancora non domata energia e per questo avrebbe scelto lei dove sua figlia e
l’amica avrebbero abitato e vissuto.
Simona si era innamorata della Torre de Or sul Quadalquivir ma quello era
soltanto un posto per turisti di passaggio.
Stupendo, meraviglioso e pieno di antichità era il centro della città ma
aveva in più un vantaggio pratico oltre a quello estetico.
Quello del valore commerciale di ogni bottega inerpicata sulle strette vie
dall’alto delle quali si potevano ammirare i tre ponti sul fiume e la sua
riva destra fino al sobborgo di Triana, l’Alcazar con tutte le sue sfumature
arabesche e la chiesa di S.Egidio dove era custodita e venerata la Madonna
detta della Macarena.
Simona infine aveva deciso.
Avrebbe investito un mucchio di soldi ma ognuna di quelle viuzze del centro
avrebbe portato il suo marchio e lo scopo era quello di riempire d’orgoglio
l’anima di sua figlia che così non l’avrebbe mai potuta dimenticare.
La casa invece, dove le due ragazze avrebbero dovuto vivere, l’aveva scelta
vicina ad un luogo amato da tutti gli spagnoli: l’arena delle corride detta
“De la Maestranza” dove esistevano da poco tempo, immerse in giardini
meravigliosi, case nuove residenziali e moderne con piscine e campi da tennis
oltre che ritrovi esclusivi dove si poteva incontrare gente appartenente alla
classe dirigente ed artistica di Siviglia e dove le due amiche avrebbero
conosciuto l’elite che più contava nel capoluogo della Andalusia.
Quando arrivò l’ ora, Consuelo ed Eusebia raggiunsero Simona a Siviglia
trovando tutto in ordine e felici che lei avesse pensato anche alla casa dove
avrebbero abitato.
Le tre donne vollero ambientarsi per un paio di settimane prima di dirsi
arrivederci e quello fu un momento di gioia e non di tristezza per tutte e
tre, almeno apparentemente.
Tuttavia, Simona, non potette fare a meno di raccomandarsi alle due
diciannovenni prima di salire sull’aereo che la doveva riportare a
Barcellona.
- Non voglio farvi prediche inutili, -disse con un velo di commozione che per
quanto controllato le stringeva la voce, -siete tutte e due l’unica cosa che
mi importa della mia vita e per voi pregherò la mia santa protettrice cui
chiedo di vegliare su di voi con tutto l’amore che io non so esprimervi con
le mie parole. -
- Dovete ricordarvi in ogni attimo, -aggiunse baciandole entrambe, -che
potete fidarvi soltanto di voi stesse. Il mondo è cattivo ed anche quando
sentirete di potervi fidare di qualcuno dovete prima pensarci dieci volte per
dare il vostro cuore ed anche che l’uomo è ingrato e bugiardo e che è molto
difficile poterne decifrare l’anima ed ancora maggiormente i sentimenti. -
Delle due giovani ragazze solo Consuelo rimase stupita di quel discorso di
Simona, fatto all’ultimo minuto, e stringendola con tutto l’amore che sentiva
quasi non più controllabile, esclamò.
- Mammina mia, che dici! Siamo state lontane da casa già da un anno e sai
come siamo accorte. Perché ora stai dicendo questo quando a Toledo non ci hai
parlato così? -
- Nulla è cambiato in noi due e devi tu per prima fidarti perché non potrei
vivere al pensiero che ti rattristi, senza alcun motivo, per qualcosa che
potrebbe accadere ma che mai accadrà. -
- Se ti riferivi all’amore non devi preoccuparti. Siamo sufficientemente
grandi per badare a queste cose ed adesso non abbiamo tempo da perdere per
simili idiozie. -
Consuelo guardò a lungo gli stupendi occhi di Simona e pensò che, pur non
avendole mai detto nulla a riguardo, sua madre doveva aver sofferto tanto per
amore quando era stata giovane e bellissima.
Simona guardò intensamente sua figlia, le accarezzo il viso ed altrettanto
fece con Eusebia.
Erano due creature meravigliose e sembravano addirittura due angeli tanto
erano belle ed allo stesso tempo conturbanti con quel fisico perfetto che
possedevano.
Pensò che prima o poi avrebbero tutte e due trovato l’anima gemella ma non
volle soffermarsi su quel pensiero.
L’aereo spiccò il volo verso Barcellona e Simona in quel preciso momento
pensò che talvolta per amore dei figli si commettono errori madornali.
Si domandava se non avesse agevolato troppo i desideri della sua bambina
gravandola di responsabilità anche nei confronti di Eusebia.
Si ricordò cosa fosse successo quando Consuelo aveva soltanto sei anni con
Giulio e di non aver tenuto nel giusto conto la sua ardente passionalità che
poi era stata la causa dell’ amore che nutriva per quella danza tristemente
melodica del flamenco e con quel ritmo conturbante, tanto mediorientale.
Simona pensò anche ai due uomini della sua vita, prima a Mario, quel marito
che l’aveva tradita soltanto per l’eccesso di un erotismo di cui era
sicuramente impastato dalla nascita, poi a Raffaele, che pur amandola l’aveva
messa in secondo ordine rispetto al lavoro che evidentemente per lui era più
importante di ogni cosa al mondo.
In verità Simona era rimasta maggiormente amareggiata dal comportamento di
Raffaele rispetto a quello che avrebbe dovuto prevedere per suo marito, uomo
che aveva sposato come un ripiego, spinta dalla sua famiglia desiderosa che
si accasasse al più presto con un benestante ma che in realtà non aveva mai
amato veramente.
Di Mario si era vendicata ampiamente, perché Simona era sicura che se lui non
si fosse comportato come un animale in calore con quella puttana ed il fatto
fosse rimasto sconosciuto, certamente, lei credulona avrebbe continuato ad
essergli fedele, magari curandosi una depressione che non esisteva.
Ma ciò non era lo stesso nei riguardi di Raffaele che ancora continuava ad
amare appassionatamente.
Tra l’altro Simona non si vergognava di essere ancora, a sessanta anni quasi
raggiunti, gelosa di colui che le aveva salvata la vita, molto probabilmente,
sottraendola ai suoi amici delinquenti.
Non ne era certa ma pensava che Raffaele si fosse messo in Piemonte con una
altra donna magari più giovane di lui, del resto come era giusto che fosse,
per un uomo forte e bello che appena in quel anno aveva compiuto i
cinquantatre anni.
Tuttavia non ammetteva che si ricordasse così poco di Consuelo contrariamente
a quanto avesse promesso alla loro figliola.
L’ultima volta che si erano incontrati era stato a Toledo in occasione dei
diciannove anni di Consuelo e non aveva importanza se lui le avesse regalato,
per il compleanno, una bellissima auto nuova.
Avrebbe dovuto esserle molto più vicino in quei primi anni lontano da casa.
Avrebbe dovuto inoltre darle tutti i consigli che solo un uomo può dare alla
propria figlia e farle capire quanto fosse difficile vivere lontano dalla
mamma in quel età delicata dove si pongono le basi della propria vita.
Lei aveva tentato di farglielo capire ma come donna non si era sentita di
toglierle la gioia del nuovo e negarle i sogni della sua gioventù.
Era avvenuto tutto il contrario di quello che Simona aveva tante volte
pensato che potesse realizzarsi, in pratica che sua figlia non si fosse tanto
allontanata fisicamente da lei e che un giorno avesse fatto una vita normale
intendendo per normale la semplice vita di una giovane sposa e di una mamma
con un bel numero di figlioli.
La visione, fantastica e certamente irreale, di Consuelo madre fu l’ultima
cosa che le venne in mente prima di scendere dolcemente sull’aereoporto di
Barcellona.
CAPITOLO QUINDICESIMO
Una settimana dopo il suo ritorno a Barcellona, Simona ricevette una
telefonata da Raffaele dall’Italia nella quale, quest’ ultimo, l’avvisava che
sarebbe venuto a Barcellona per passare con lei il successivo fine settimana
e per avere notizie fresche riguardo a Consuelo.
Come al solito Raffaele fu carino con lei dicendole che non vedeva l’ora di
abbracciarla ed allo stesso tempo consigliandole di
farsi bella per lui.
Tra una parola e l’altra Simona si sentì come un verme per aver dubitato che
Raffaele avesse ormai una altra famiglia in Piemonte e magari dei figli.
Non lo vedeva in carne ed ossa dal precedente compleanno di Consuelo, quando
le aveva regalato l’auto e sapeva a mala pena che sua figlia si era
trasferita a Siviglia da pochi giorni.
Nell’insieme ebbe la sensazione che Raffaele fosse ancora attratto da lei ed
in ogni caso che non l’avesse dimenticata.
Sentiva che l’importante era avere ancora un uomo che la pensasse teneramente
e che si preoccupasse, almeno un poco, della sua vita e di quella della loro
figliola.
Anche se ormai in età in cui generalmente ogni donna raggiunge la pace dei
sensi, Simona avrebbe gradito delle avances erotiche sessuali da parte di
Raffaele e lo avrebbe accolto con tutto il calore che anche una donna
sessantenne possiede quando ne ha la voglia.
Così dedicò i primi quattro giorni della successiva settimana tra sarta e
massaggiatrice oltre che tra visagista e parrucchiera.
Voleva assolutamente sapere, in quel momento, se potesse ancora contare
realmente su quel toscano che l’aveva in passato perdutamente amata e che lei
aveva scelto come padre di sua figlia, la quale aveva preso molte delle
caratteristiche fisiche del padre, alta e slanciata ed assolutamente
invidiabile da qualsiasi altra donna, con un portamento di giovane fatale,
dalle lunghe e perfette gambe e dal viso di bambola moresca con quelle lunghe
ciglia nerissime quasi fossero non sue.
Oltre alla sua presenza fisica di uomo affascinante, Raffaele portò a Simona
una notizia che lei non si sarebbe mai aspettata.
Dopo aver fatto all’amore con lui egli le prese le mani e le raccontò di aver
concluso un colossale affare tale che, per tutta la vita, non avrebbe avuto
più bisogno di dedicarsi in prima persona al lavoro, ormai passato in altre
mani e che nell’ultimo anno aveva saldato i conti con quelli che erano stati
i suoi compagni nella banda cui era appartenuto.
Aveva saputo da suoi informatori della morte del capo banda in un conflitto a
fuoco con la Polizia e che agli altri sarebbe bastata una buona uscita per
lasciarlo in pace per sempre.
Aveva pagato cinquecento mila euro ed il patto era stato di poter riprendere
la sua identità, oltre quella di Simona che ormai cittadina spagnola e vedova
risultava emigrata in Guatemala, ma non ricercata dall’Interpool per la
mancata denuncia di Mario alla Magistratura del rapimento di colei che era
stata sua moglie.
Mario, ormai morto da dieci anni, aveva soltanto denunciato che Simona era
fuggita di casa con un suo amante.
Raffaele aveva fatto tutto in prospettiva di sposare Simona e dare così una
vera famiglia a Consuelo.
Mario era morto di stenti e per pagare i debiti contratti ed era diventato un
morto di fame senza né arte né parte tanto che alla fine si era suicidato.
Quando Raffaele le mise al dito un anello di brillanti come pegno della sua
determinazione di sposarla, Simona con un balzo si mise in piedi sul letto e
cominciò a vomitare ed a urlare.
Raffaele le aveva detto in buona sostanza che Mario era morto suicida, per
salvarla, con quel colossale debito contratto con la Banca ma non aveva
considerato che così dicendo le aveva addossato la responsabilità morale
della morte di suo marito.
Simona aveva sì odiato Mario ma non poteva sentirsi, in parole povere, la sua
assassina.
Nella sua coscienza sapeva bene di non essersi comportata come una pia donna
ed erano bastate le parole di Raffaele per distruggerla moralmente.
Simona prese l’anello e lo buttò in faccia a Raffaele, poi gridando gli disse
che non l’avrebbe mai e poi mai sposato e che anzi non lo avrebbe mai più
visto perché sentiva nel suo cuore che per quel peccato avrebbe pagato, in
ogni caso, amaramente il malfatto.
Raffaele era il manifesto vivente della sua vita.
Egli aveva creduto di farle una lieta sorpresa.
Di regalarle ancora un po’ di felicità dopo i primi anni belli che avevano
passato insieme e per questo motivo se ne era andato in Italia, con la scusa
di un lavoro molto più redditizio ma in realtà non era stato nemmeno lui
onesto con lei, alla stessa maniera di suo marito Mario.
Ora credeva di lavare la sua anima con quel gesto e con quella proposta di un
matrimonio, assurda, dopo tanti anni di convivenza.
Come sarebbe stato meglio che Raffaele non si fosse preoccupato di estinguere
il debito con la sua coscienza in un altro modo, che poi sarebbe stato quello
di rimanerle vicino e basta.
Certamente aveva aiutato Consuelo a crescere per i primi anni della sua vita
ma poi?
Tutti i problemi che la loro figliola aveva avuto negli ultimi anni non li
conosceva oppure faceva finta di ignorare.
Prima, Consuelo aveva avuto bisogno di una vera famiglia e non certo adesso
quando la sua strada era già tracciata e che in un modo o nell’altro
l’avrebbe portata al suo destino del quale soltanto lei ne sarebbe stata
responsabile.
Quello che Simona aveva fatto per la loro figliola era stato portato avanti
con il massimo sforzo fisico e psichico ed in più sempre da sola.
Ora non ne doveva essere più responsabile.
L’aveva educata come poteva, sperando nel meglio, ma sarebbe stato il suo
destino quello che l’avrebbe forgiata e forse il fato sarebbe stato molto più
generoso verso Consuelo di quanto fosse stato quello della mamma, la donna
della Carnia capitata in quel Paese straniero, se pure caldo ed accogliente
per puro caso.
Simona e Raffaele presero insieme la decisione di non raccontare nulla a
Consuelo della nuova situazione che si era creata fra loro due e questo per
evitare di metterla in uno stato di angosciosa trepidazione.
Su questo punto si trovarono perfettamente in linea.
Le cose sarebbero rimaste immutate con Simona in Spagna e Raffaele in Italia,
ognuno libero di fare qualsiasi cosa per vivere serenamente gli anni prima
che avanzasse la vecchiaia.
Pur essendo avvilito nel suo amor proprio, era stato Raffaele che,
rimuginandoci sopra, aveva pensato come ormai nulla avrebbe convinto Simona a
fare un passo indietro importante ma non più possibile.
In ogni caso Raffaele avrebbe protratto, per altri sette dieci giorni almeno,
la sua permanenza e si sarebbe recato a Siviglia da Consuelo per
riabbracciare colei che era stata l’unico frutto dell’amore con Simona,
tornando poi subito in Italia.
Era molto difficile per lui lasciare Simona ma ancora maggiormente non stare
più vicino a sua figlia.
In mente aveva tutta l’infanzia di Consuelo, come su un lungo film, da quando
prendeva il latte di Simona, ai primi passi incerti e poi ai giorni di scuola
ed a quelli delle vacanze, dalle corse che egli aveva fatto con lei
rincorrendola alle passeggiate in bicicletta.
E poi le mille altre cose che Consuelo aveva fatto e che lui non aveva
dimenticato e che mai avrebbe scordato.
CAPITOLO SEDICESIMO
Consuelo stava guardando affascinata la tecnica di ballo del primo ballerino
Miguel.
Le era stato presentato dal direttore della “Reale Scuola di Flamenco”
mezzora prima.
Miguel non era un uomo ma un Dio per la ragazza di Barcellona.
Alto un metro ed ottanta, perfetto nel fisico possente e muscoloso, un vero
“macho”dallo sguardo fiero e distaccato con capelli corvini lunghi sul collo
ed una bocca carnosa e morbida.
Miguel non degnò nemmeno di uno sguardo né Consuelo, né Eusebia dicendo
soltanto alle due ragazze.
- Imparate a memoria quello che farò oggi e nei prossimi giorni con Rosita.-
- Lei è la mia partner e quando sarete pronte ed avrete acquisito almeno un
quarto della sua bravura, fatemi un fischio e vi farò l’onore di provare con
voi il vero Flamenco Sivigliano. -
Non aggiunse altro ma Consuelo sentì vacillare le proprie ginocchia ed al
tempo stesso, mentre Miguel conduceva la danza con Rosita, capì in solo
attimo che quello sarebbe stato il suo uomo.
Non era amore a prima vista, non era nemmeno una infatuazione ma un completo
abbandono del suo corpo che sentiva illanguidirsi e sciogliersi come una
candela accesa da un fuoco feroce che non poteva dominare.
Miguel non aveva fatto nulla per causarle quello sconquasso, quella tempesta
ormonale e quella sensazione di dominio totale nei suoi riguardi.
Consuelo sentiva di essere diventata impotente, di non avere nemmeno la forza
di rimanere in piedi.
Si accucciò sul pavimento della sala da ballo e rimase lì, abbandonata a
quella sensazione che avvertiva pericolosa ma incapace di difendersi.
Sua madre e suo padre l’attendevano a casa alla fine della giornata ma non le
importava niente di loro, né di Eusebia.
Aveva bisogno solo di Miguel che l’ aveva riportata bambina, debole ed
impaurita, una creatura indifesa di fronte ad un uomo che in fondo le faceva
molto paura.
Per due intere ore non fece altro che fissare ogni passo ed ogni figura che
Miguel esibiva con Rosita e per due ore sentì sprofondarsi il pavimento sotto
i piedi, avendo la sensazione di essere sul punto di non potersi più
controllare e che sarebbe in un attimo crollata in una situazione abissale,
come se si trattasse di un buco nero provvisto di una fatale attrazione ma
che l’avrebbe potuta distruggere.
Alla fine dell’esibizione con Rosita, una vera lezione di passione
trasformata dalla danza in una tragica e voluttuosa situazione che la vita
talvolta può porre davanti alle sue creature, spesso indifese, Consuelo si
avvicinò a Miguel e con quelle poche energie che le erano rimaste, pallida,
quasi esangue, ebbe soltanto la forza di mormorargli, facendo uscire dal
profondo di se tutto il coraggio che non credeva nemmeno lontanamente di
possedere.
- Miguel, tu mi hai fatto morire di una passione che mai ho provato nella mia
vita. Io mi sento tua ed anche se non capisco perché, ti dico di ricordarti
che puoi fare di me quello che vuoi. -
- Puoi mandarmi in Paradiso oppure all’Inferno ma questo è poco importante
per me. Io voglio soltanto che tu mi faccia impazzire perché sei l’unico uomo
al mondo che lo può fare. -
Miguel la guardò a lungo negli occhi dallo sguardo profondo, finalmente
sorrise e subito dopo esclamò.
- Cresci ragazzina, adesso non ho tempo per te! E poi cosa potrei darti che
non conosci già? Chissà quanti uomini avrai fatto rimbecillire con questo
corpo e con questo viso che ti ritrovi? -
Consuelo ed Eusebia tornarono tardi quella sera a casa ed era stata Eusebia
che, avendo capito tutto dell’amica, pensò che sarebbe stato meglio
telefonare a Simona per avvisarla del ritardo evitando che Consuelo parlasse
con la madre e si facesse vedere subito così strana e tanto turbata per il
non previsto incontro-scontro con Miguel. che era divenuto un incubo atroce
nell’anima e nel corpo della trasformata Consuelo.
Eusebia chiese all’amica.
- Cosa ti è successo oggi nel breve tempo che siamo rimaste a guardare quel
Miguel? -
- Ho visto come te lo mangiavi con gli occhi! E’ certamente un tipo che non
può passare inosservato, mia cara Consuelo, ma tu mi sei sembrata, accidenti
al diavolo, completamente uscita di testa! -
Lungo il cammino a piedi verso casa Consuelo, arrossendo, prese sotto braccio
l’amica e spiegò.
- A te lo posso dire, quel uomo mi ha letteralmente stregata. Mai avrei
potuto immaginare una attrazione così completa per un tizio che poi non
conosco nemmeno. E’ così affascinante che sarei capace di qualsiasi cosa per
averlo in mio possesso, ma non dico in senso metaforico, altro che, lo vorrei
per me anima e corpo anzi vorrei che mi facesse soffrire perché a lui darei
anche il più piccolo angolo della mia persona e la più minuscola parte del
pudore che pure sento in me da quando sono diventata signorina! -
- Mi sembra di essermi imbattuta in un uragano di sensazioni e che pur
temendo, voglio sperimentare e sapere cosa esista nell’occhio del ciclone che
mi aspetta, per udire la sua voce che mi dice in un silenzio irreale “Ti darò
la Pace che cerchi”ed oltre a quella l’Estasi”
Eusebia che prima non aveva sospettato a che punto la sua cara amica fosse
arrivata la interruppe.
- Non voglio che ti lasci andare così irrazionalmente, conosco il significato
di quanto mi hai confidato. Questa è pura Passione, Pazzia senza nessun
ritorno gradevole per te. E’ una specie di Masochismo che ti ha presa e che
ti impedisce di ragionare. Se tu sapessi cosa significa la Passione violenta,
fine a se stessa, scapperesti mille chilometri lontana da questo posto. Tutto
si traduce in sofferenza come può avvenire per coloro che vogliono provare la
droga e che poi ne diventano schiave senza nessuna possibilità di uscita se
non nella disgregazione della propria personalità. -
Consuelo ascoltò attentamente l’amica del cuore ed a sua volta chiese.
- Ma tu come fai a sapere tutte queste cose? -
- Lo so, perché è successo a mia madre quando è rimasta vedova di mio padre;
piangeva tutti i giorni di disperazione. Poi ha conosciuto un uomo che le ha
dato quella Passione che tu cerchi. E’ durata soltanto un anno ed ancora
adesso si dispera pur con tutte le sofferenze che ha dovuto subire da quello.
Tu sei l’unica persona cui ho confidato questo segreto che è successo tanti
anni fa. Consuelo non devi cedere alle tue emozioni. Ti voglio troppo bene
per vederti soffrire, cosa che avverrebbe sicuramente se tu cedessi alla
Passione che provi per Miguel.-
Tutte le parole che dissero Raffaele e Simona, una volta giunta a casa,
parvero a Consuelo delle semplici dichiarazioni di affetto.
Ben altro aveva nella testa e cercò quindi di ascoltare i suoi genitori con
un solo orecchio.
Quanto le aveva detto Eusebia per strada aveva sortito lo stesso effetto.
Fecero tardi quella sera e Consuelo non vedeva l’ora che si ritirassero a
dormire.
Lei aveva ben altro cui pensare: La presenza fisica di Miguel, il suo sguardo
, le sue labbra e le sue parole l’accompagnarono nel letto senza abbandonarla
per un istante e quella volta lo sognò in un sonno colmo di passione erotica
e di frasi delicatamente sadiche.
Al mattino, dopo una nottata agitata, Consuelo avvertiva ancora il bisogno di
rivedere e di stare assieme a Miguel eppure doveva rimanere ancora a far
compagnia alla mamma ed al papà ancora per qualche giorno.
Raffaele sarebbe partito la domenica mattina per Milano, per poi recarsi in
Piemonte, Simona sarebbe rimasta ancora un paio di giorni per tornarsene a
Barcellona il lunedì sera.
Per lei era molto più difficile staccarsi questa volta da sua figlia.
Aveva un presentimento condito di paura, quello di abbandonare Consuelo al
suo destino in quel preciso momento.
L’aveva vista molto strana la sera precedente. Non era stata esuberante, come
sempre, appena li aveva visti eppure non sapeva nulla di quanto Simona e
Raffaele avevano deciso riguardo al loro futuro.
Le era sembrata come quando, da bambina, le nascondeva qualcosa di
importante, magari una piccola verità, ma certamente importante, molto
importante per lei.
Simona anzi le aveva chiesto immediatamente se si sentisse bene ma alla sua
risposta positiva si era un po’rasserenata ma non completamente, specialmente
quando ebbe osservato l’espressione del viso di Eusebia anche lei preoccupata
per l’amica.
Fu tale il tormento di Simona che, quando rimase per qualche minuto sola con
la figlia, le chiese.
- Non vorrai dirmi che non hai qualche sorpresa da nascondermi, piccola mia,
se è così dillo a tua mamma non aspettare che io me ne vada per risolvere
tutto da sola-
- Sarebbe un errore enorme rimanere in silenzio con me.-
Simona prese il volto della figlia tra le mani. Era tutta sudata e rossa
sulle guance.
- Mamma, -disse sottovoce e senza guardarla negli occhi, -ho qualche problema
ma adesso non mi va di parlarne. Però ti prometto che, se le cose dovessero
complicarsi, ti farò partecipe di ogni cosa.-
La baciò con tutto l’amore che sentiva per chi si era tanto sacrificata per
lei e per chi le aveva dato la vita. Le mise la mano sulla bocca come se non
volesse più sentirla parlare e le disse.
- Mamma ti amo e tu sarai la sola persona al mondo che conoscerà anche i miei
più piccoli segreti. Te lo giuro.
CAPITOLO DICIASETTESIMO
Consuelo rivide Miguel il giorno dopo a quello della partenza di Simona.
Era lunedì e come al solito le due amiche furono puntuali all’apertura delle
lezioni.
Miguel arrivò tardi verso le undici. Nessuno lo aspettava.
Aveva il permesso di non presentarsi ogni lunedì mattina dal momento che le
sue lezioni cominciavano alle quattordici e trenta.
Miguel appena giunto fermò Consuelo e le disse.
- Ho pensato sufficientemente a quanto mi hai proposto una settimana fa. Devo
cominciare le mie lezioni tra tre ore e mezzo. Abbiamo tutto il tempo di
andarcene via subito anche perché mi sento meglio dopo aver fatto all’amore.
Il permesso di uscire te lo firmo subito io e quindi non devi preoccuparti di
avvisare nessuno, nemmeno la tua amichetta. -
Consuelo sentì due contrastanti sensazioni invaderle tutto il corpo a partire
dal cervello: languore e panico.
Non aveva atteso altro, durante tutti i giorni passati con la mamma ma
adesso, pur essendo cosciente in quale notte buia poteva immergersi ed anche
soffrendo per le bugie che aveva detto a Simona e per la sua reputazione, che
sarebbe sparita in un attimo, rispose.
- Va bene Miguel, andiamo pure, voglio provare l’ebbrezza che tu mi darai
anche se so perfettamente che me ne pentirò amaramente.
Mi hai preso in parola e già questo mi fa capire che sei una perfetta carogna
ma non me ne importa assolutamente. Non posso fare a meno di te ed anche se
mi legassero con delle catene di ferro avrai da me tutto ciò che desideri e
che io non solo voglio ma che addirittura mi farebbe morire se non lo avessi.
-
Silenziosamente Consuelo seguì il famoso ballerino, scese le scale ed entrò
nell’auto di lusso di Miguel
Non avvertiva nessuna vergogna e neppure il pensiero di comportarsi come una
grande puttana e per lo più vergine, la condizionò minimamente.
Si sentiva completamente succube di quel giovane uomo e mai, nel suo passato
prossimo o remoto avrebbe immaginato quanto il destino le avrebbe riservato
in una incantevole città lambita dal Guadalquivir.
Era come se stesse vivendo una seconda vita: libera ma non felice, senza
nessun timore ma atrocemente condannata da un tribunale morale che in qualche
modo le pulsava dentro, fatta soltanto di carne e passione, come se fosse
stata colpita da una malattia mortale e senza speranza.
Rimasero nella villetta di Miguel, distante un paio di chilometri dalla
Scuola, per due ore abbondanti e quelle furono per Consuelo le ore più belle
della sua vita.
Fu tanto l’orgasmo che Consuelo ebbe modo di provare che la ragazza, come
invasata non faceva altro che sussurrare all’uomo di volerne ancora, tanto
ancora e non limitandosi ai semplici amplessi.
Simona era caduta in una specie di trance tanto che dai mormorii che le
uscivano dalle labbra passò rapidamente a gemiti ed a urla di soddisfazione.
Era completamente sua ed ancora, provava addirittura piacere nel toccargli le
forti braccia e le mani nervose, le gambe atletiche e muscolose ed i glutei
solidi.
Ma era la bocca di lui che voleva maggiormente sentire sul suo corpo e quella
leniva quel po’ di dolore per essere stata deflorata.
Egli la dominava completamente e qualsiasi cosa facesse era per Simona fonte
di godimento, profondo , irripetibile e squassante.
Infine Miguel affermò.
- Ti ho soddisfatto, bella italiana, spero di sì ma una cosa te la devo dire
e cioè di non sognarti nemmeno lontanamente che tu sarai la mia ragazza. -
- Vali parecchio come femmina ed io ti prenderò in qualsiasi momento ne avrò
voglia. Sento che appartieni completamente a me alla stessa maniera, ma
altrettanto devi sapere, che tu non sei assolutamente nulla per me. Ora vai a
farti una doccia e se ti è rimasto ancora un filo di forza, rivestiti ed
andiamo alla Scuola dove ci aspetta una dura lezione di Flamenco.-
A Simona girava la testa e non capiva assolutamente più niente. Tuttavia
ubbidì a Miguel e senza commenti di nessun genere lo seguì e come erano
arrivati nel villino se ne andarono senza fiatare anche se lei, in un barlume
di coscienza, pensò a cosa avrebbe detto ad Eusebia.
Eusebia non si era mossa dalla Scuola nemmeno per l’ora di pranzo. Aveva
mangiato un panino al prosciutto che si era portata da casa, aveva bevuto una
spremuta di arance ed era rimasta seduta su uno sgabello nella piccola sala
attigua a quella delle audizioni, meditando a lungo su quello che fosse
capitato alla sua Consuelo.
Era chiaro che non l’aveva ascoltata. Le sue raccomandazioni le aveva gettate
in un cestino di rifiuti come se a fargliele fosse stata una perfetta
estranea.
Consuelo, così, aveva dimostrato di essere stata colpita da un virus maligno
oppure da un veleno contenente degli allucinogeni oppure ancora da una magia
nera che fosse penetrata nella sua anima pura, trasformandola in una bieca
cosa, sporca e priva di qualsiasi minima luce che pure e la sua educazione e
la sua famiglia le avevano cercato di inculcare.
La sua dolce amica si era infilata in una gabbia senza uscita almeno che lei
stessa, Eusebia, non avesse fatto un colpo di testa per salvare colei che
considerava come una sorella.
Eusebia pur essendo la più dolce e delicata ragazza del mondo aveva un
carattere molto diverso da quello di Simona.
Diventava, quando sceglieva questa strada opposta alla sua indole delicata e
morbida, diversa, cinica e cattiva.
Eusebia conosceva, al contrario di Simona, come dovevano essere affrontati
gli uomini, forte della sua potente personalità non dissociata dalla sua
fulgida bellezza, che poteva distruggere come e quando volesse ogni maschio.
Non esistevano lusinghe od altro che la potessero smuovere di un solo
millimetro oppure frenare quanto razionalmente si metteva in mente.
Era anche testarda e mai avrebbe permesso a quel uomo di fare del male alla
figlia di Simona a costo di ucciderlo.
Eusebia aveva poco tempo per prendere una decisione e fu in quel momento che
le apparve in un pallore cadaverico, il fantasma di Consuelo dietro, come un
cagnolino, alla figura aitante di Miguel.
CAPITOLO DICIOTTESIMO
Eusebia fece finta di niente e soltanto sorrise con una certa amarezza quando
vide Consuelo distrutta, con grossi lividi sulle belle cosce per le due ore e
mezza passate con Mìguel e senza nemmeno un filo di energia.
Si avvicinò al primo ballerino della Scuola di Danza e lo fisso dritta negli
occhi con il suo sguardo provocante, i capelli raccolti in un ciuffo sul
collo, la bocca carnosa tinta di un rosso amaranto sorridente, il naso
leggermente aquilino e chiese sorniona?
- Ce la fai caro Miguel a farmi lezione oppure vuoi spostarla a più tardi
quando avrai ripreso le tue forze? -
Rise di gusto per avergli fatto capire che non le poteva nascondere quanto si
fosse divertito con Consuela.
Miguel la osservò e divertito le rispose.
- Di energia ne ho tanta che tu nemmeno puoi immaginare. Potrei farcela con
tre Consuelo allo stesso tempo e con un paio di Eusebie più focose di te. -
-Quando avremo finito le lezioni, sarò a tua disposizione, tanto credo che
Consuelo avrà bisogno di almeno una settimana per ricuperare.-
Eusebia non potette nascondere la propria soddisfazione per le parole di
Miguel, aveva ottenuto quanto si era prefissata, l’avrebbe umiliato ed
avrebbe vendicato Consuelo.
Non aveva ancora un piano preciso ma sicuramente avrebbe passato la serata
con il famoso ballerino e quello sarebbe rimasto scornato.
Avrebbe accompagnato a casa Consuelo dopo di che le avrebbe raccontato una
frottola.
Doveva uscire per un appuntamento con un paio di ragazze e tre allievi della
Scuola per andare a cenare fuori essendo stata invitata per il compleanno di
uno di questi.
Aveva anche detto a Consuelo che le sembrava molto affaticata e stanca e che
per questo motivo aveva evitato che la invitassero.
Una buona dormita le avrebbe fatto bene ma non accennò nemmeno lontanamente a
come avesse passato il tempo tra le undici di mattina e le due e mezzo del
pomeriggio, facendo finta di non aver notato la sua assenza.
In casa non c’era nessuno. Raffaele e Simona erano usciti per cenare fuori e
sarebbero tornati molto tardi, forse verso l’alba.
Consuelo non mangiò nulla quella sera, bevendo soltanto un paio di bicchieri
di latte tanto aveva asciutta la lingua e la bocca.
Si sentiva lucida ed affranta, umiliata ed offesa nel riconoscere che Eusebia
ormai sapeva tutto di lei e che contemporaneamente avrebbe potuto
disprezzarla.
Non immaginava però che l’amica, pur non facendone cenno, voleva vendicarla e
che sarebbe stata quella la notte in cui Miguel avrebbe ricevuto pan per
focaccia.
Consuelo salutò l’amica dicendole che sarebbe andata subito a dormire e fu
così ma il sonno scomparve non appena si infilò sotto le lenzuola.
Non faceva che rivedere la scene di lei e di Miguel avvinghiati in un corpo
solo e la bava che le usciva dalla bocca durante gli amplessi.
Si sentiva sporca sia fisicamente che spiritualmente tanto che dopo mezzora
si alzò per mettersi sotto la doccia.
Esaminò la sua vita fino a quel momento. Non poteva che considerarne
negativamente la visione di insieme, da quando la famiglia Lopez si era
trasferita a Madrid e conseguentemente da quando aveva smesso di vivere
tranquilla tra la sua famiglia e quella di Giulio.
Non era stato nemmeno il fatto che avesse dovuto rinunciare alla Laurea,
ripiegando tutta la sua ambizione e l’orgoglio di diventare una persona
importante nella Scuola di Flamenco ma era il dolore, causato
dall’allontanamento di Giulio quel ragazzino che era stato il suo primo ed
unico amore e lo sgomento che provava per essersi data ad un uomo, per il
capriccio di possedere e di essere posseduta da un grande ballerino, come se
così potesse prendersi una rivalsa sulla vita in assenza di un vero amore
oppure di un affetto genuino.
Consuelo si sedette sul letto, prese un foglio ed una penna e scrisse.
- Carissima Eusebia, non voglio che tu ti comprometta per me. Ho capito che
questa sera ti vedrai con Miguel ed anche se è troppo tardi ti dico che
l’amore ed il bene che mi vuoi, non deve essere la molla che provochi uno
scombussolamento nella tua anima. Fallo per me non metterti in nessun
pasticcio. Quello è un uomo sadico, violento, crudele. Devi lasciarlo
perdere, ci penserà il suo destino a fargli del male ed a condurlo
all’inferno. Io me ne vado via da Siviglia e ti dirò poi dove mi recherò.
Voglio vivere una vita pulita tentando di essere, per quanto posso, serena ed
espiando tutti i miei peccati. -
Consuelo guardò l’orologio; segnava mezzanotte. Aggiunse alla missiva.
- Avvisa tu i miei e dì loro che sono partita improvvisamente per cambiare
aria per un po’, dì anche loro di tornarsene a Barcellona. Più in là darò a
tutti voi mie notizie. -
Si vestì, prese una valigetta ed un borsone, chiamò un taxi e si fece
condurre alla Stazione Ferroviaria. Prese un biglietto per Madrid, mentre
mezzora prima Eusebia aveva accoltellato al cuore Miguel uccidendolo.
Eusebia era stata puntuale all’appuntamento con il primo ballerino della
Scuola di Flamenco. La serata era uggiosa per un lieve pioggerellina fitta
che infastidiva le rare persone che camminavano per le strade.
Miguel l’attendeva solitario davanti ad un ristorante cinese, la salutò e le
disse.
- Eusebia andiamocene a casa mia qui a due passi. Ho comprato del cibo cinese
a base di riso e gamberetti e non ti nascondo che ho una gran fame. Prima di
soddisfare il tuo appetito sessuale preferisco avere lo stomaco pieno. Ci
sono anche delle ostriche ed una bottiglia di spumante secco Martini.-
Miguel subito dopo, mentre percorrevano a piedi i duecento metri che li
separavano dal suo villino esclamò incuriosito.
- Piuttosto che mi racconti di quella puttana della tua amica, che se mi
ricordo bene, si chiama Consuelo!?...-
Fu esattamente a quel punto che Eusebia si liberò del braccio che Miguel le
aveva messo attorno alla vita e con una voce tagliente gli disse.
- Non ti permettere più di parlare in questo modo di Consuelo ed anzi ti dico
che, se fiati ancora su questo argomento, ti faccio sputare tutte le tue
volgarità. -
Eusebia si era fermata in mezzo al marciapiede e solo allora Miguel cambiò
discorso e le sussurrò.
- Non te la prendere tanto, bellezza mia, non ho detto che tu sei una
puttana, come la tua cara amica, anzi ti giuro che per te ho un altro
programma. Non ti toccherò nemmeno con un dito se tu non lo vorrai, mi piaci
moltissimo e sei molto affascinante. Puoi stare tranquilla ed accettare il
mio invito a cena. -
Eusebia gli fece un mezzo sorriso ed entrò nella casa di Miguel non prima di
aver controllato nella sua borsetta, di soppiatto, di non avere dimenticato
il pugnale che aveva acquistato l’anno prima a Toledo per difesa personale.
Dopo aver cenato Miguel le disse, con noncuranza, come se si trattasse di uno
scherzo.
- Ho intenzione di fare un gioco con te, tanto per digerire. Sono sicuro che
non hai pudori nascosti e che consideri il tuo corpo come uno strumento di
lavoro. Ti voglio vedere su questo letto nuda e sono certo che questo non è
un problema per te. -
- Ti legherò i piedi ma non le mani e ti farò impazzire per il solletico. -
Eusebia era curiosa di vedere dove avesse voluto arrivare.
Era come drogata ed ipnotizzata dal suo sguardo, tuttavia riuscì a dirgli se
fosse impazzito di colpo e spaventata a morte, pur non dimostrando il proprio
terrore, prese il pugnale dalla borsetta, lo nascose sotto il cuscino ed alla
prima vera violenza di Miguel freddamente glielo conficcò all’altezza del
cuore infilandolo nel suo torace per quindici centimetri.
Sapeva di aver agito con premeditazione: odiava quel uomo per il suo
manifesto disprezzo per le donne e non si sentiva succube di lui come
Consuelo, anche se ancora non capiva perché fosse andata lì a sfidarlo.
Eusebia cancellò tutte le impronte che potesse aver lasciato, prese un sacco
per l’immondizia e non solo vi mise tutti i residui della cena compresi i
bicchieri e le posate ma gettò nello stesso sacco il pugnale e tutti gli
indumenti intimi suoi e quelli di Miguel.
Lasciò Miguel morto sul letto, si lavò accuratamente ed uscì come un fantasma
invisibile da quella casa senza lasciare nemmeno una minima traccia della sua
presenza.
Camminò per molti chilometri sotto quella pioggerellina che non era cessata,
arrivò in un punto sulla riva del Quadalquivir e dopo aver messo una pietra
di almeno cinque chili nel sacco, lo gettò dal ponte nel fiume senza aver
perduto nemmeno un filo della suo proverbiale carattere gelido e razionale,
A mezzanotte e mezza era già a casa di Consueo. Lesse la lettera che quella
le aveva lasciata e dopo averla bruciata si mise a letto senza alcun rimorso
per quello che aveva fatto.
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
Alle sette del mattino seguente, Eusebia si alzò svegliata dalla radio
sveglia.
Non si sentiva minimamente pentita ne agitata per l’omicidio di Miguel.
Egli l’aveva seviziata, dopo averle fatto credere di volere giocare con lei,
legata al letto con le gambe divaricate.
Le aveva introdotto violentemente in vagina uno strumento di ferro, una
specie di speculum, ma diversamente da questo conteneva ed era avvolto da un
unguento fortemente irritatane ed urticante.
Cosa avesse avuto intenzione di farle non lo aveva capito.
Le aveva soltanto detto che era un metodo indiano da lui conosciuto per far
godere le donne senza bisogno di penetrarle.
Eusebia che avrebbe voluto provocarlo allo scopo di reagire al momento
opportuno, si trovo completamente spiazzata e urlando gli gridò.
- Sei una bestia, liberami immediatamente altrimenti ti uccido. -
Miguel le aveva sputato sul viso e si era fatta una risata che non aveva
niente di umano ma era crudelmente demoniaca.
Eusebia aveva preso sotto il cuscino il pugnale nascosto e con un solo colpo
gli aveva fatto scoppiare il cuore.
Si era liberata dalle corde ai piedi e dopo averne constatato la morte,
mormorò.
- Sei morto come un cane e come meritavi, lurido bastardo, adesso vattene
all’inferno con la tua anima satanica. Non avrai nemmeno una preghiera quando
ti seppelliranno. -
Ricordava ogni particolare della serata precedente, riassumendo come in un
check-in, ogni suo movimento successivo.
Era sicura che nessuno l’aveva vista e che non aveva lasciato traccia della
sua presenza in quella casa.
Il problema era a quel punto cosa fare.
Sarebbe andata, come se nulla fosse accaduto, puntualissima alla Scuola di
Danza.
Avrebbe detto che Consuelo era partita a causa di una improvvisa malattia
della madre e che non sarebbe tornata alla Scuola per almeno due settimane.
Così, avrebbe preso del prezioso tempo ed avrebbe potuto elaborare una linea
di condotta utile per lei e per Consuelo.
Con il “Rapido”, Consuelo impiegò sette ore per giungere a Madrid e durante
il viaggio non fece altro che pensare a cosa avrebbe fatto nella Capitale.
Il primo e martellante pensiero era stato quello di recarsi all’Ospedale,
dove il Professor Lopez continuava ad esercitare brillantemente come aveva
saputo da Simona che aveva ricevuto una lettera, poco tempo prima per gli
auguri di compleanno, firmata da tutta la famiglia Lopez.
Simona aveva telefonato a Consuelo, dicendole quanto fossero stati carini nel
darle notizie dettagliate di tutti ed in particolare di Giulio, che aveva
seguito la strada del padre, essendosi iscritto a Medicina e frequentando già
il secondo anno del corso di Laurea.
Quella famiglia non solo le era rimasta nel cuore, pur attraverso i lunghi
anni passati lontano, ma la sentiva sua negli affetti più profondi e più
cari.
Era stato il dottor Lopez colui che l’aveva aiutata a nascere e che l’aveva
tenuta in braccio per primo. Era stato Giulio l’amichetto con il quale aveva
condiviso i primi giochi e quei sentimenti infantili che erano poi culminati
in un rapporto possessivo e troppo stretto per due quasi coetanei.
Giulio aveva adesso venti anni, uno meno di lei, ma quel ragazzino che non
vedeva ormai da tanto tempo era ancora come se fosse parte di se stessa.
Saltuariamente ma costantemente era sempre stato presente nella sua vita e
non vedeva l’ora di incontrarlo di nuovo, dargli un abbraccio ed
accarezzargli il viso, sperando che avesse mantenuto il colore verde smeraldo
degli occhi così dolci e melanconici, così vivi ed intelligenti.
Alle otto e mezzo Consuelo si trovò nel corridoio di fronte allo studio di
colui che considerava l’uomo più buono e sensibile del mondo, divenuto nel
frattempo Professore e Direttore di Cattedra. Lo attendeva in piedi
emozionata e quasi tremante.
Si era lavata nella toilette del treno ed alla meno peggio si era cambiata la
camicetta mettendosene una candida e bianca, si era aggiustata appena la
bella chioma e passandosi sul viso un leggerissimo trucco, le era sembrato
che così avrebbe potuto presentarsi nell’ Ospedale Universitario.
Appena lo vide, Consuelo lo riconobbe, professionale, elegante e piuttosto
attempato.
Gli si gettò tra le braccia sicura che l’avrebbe riconosciuta e così fu, dopo
un momento di stupore.
- Mia bella Consuelo, -disse non trattenendo l’emozione di vederla dopo tanti
anni alta e slanciata con l’unico piccolo neo che le abbelliva il mento, -sei
molto pallida e mi sembri stanca. Cosa ti è successo? Sei stata malata oppure
hai qualche problema per cui hai bisogno di una mia visita? -
Consuelo si strinse ancora di più a lui e balbettò.
- Sei sempre lo stesso uomo pieno di premure per tutti ma se sono venuta a
Madrid è per parlarti come ad un padre dal momento che il mio si è lasciato
con la mamma e vive in pratica quasi tutto l’anno in Italia.-
Si fermò un attimo, poi riprese, mentre lui accarezzandola la introdusse
nello studio, dicendo alla segretaria di spostargli tutti gli appuntamenti
per il pomeriggio dal momento che gli si era presentata una paziente per la
quale avrebbe perso moltissimo tempo.
Appena Consuelo entrò nella stanza dove il Professor Lopez visitava, tra una
lacrima e l’altra cominciò a raccontargli ogni vicissitudine della sua vita
ed in particolare quanto era successo a Siviglia il giorno prima con Miguel.
Era stravolta perché un segreto simile non l’avrebbe confessato nemmeno ad un
prete in punto di morte.
Sapeva che il suo comportamento era stato vergognoso e che forse nemmeno
colui che l’aveva aiutata a nascere l’avrebbe compreso e perdonato.
Simona però si sbagliava. Il suo padrino di battesimo invece di disprezzarla
per quella passione che le era capitata tra capo e collo, le disse che non si
doveva per nulla addolorare in quanto, casi come il suo, vere patologie
dovute ad uno stato depressivo, gliene erano capitati tanti nella sua vita
professionale.
Le raccontò che era come se le fosse capitata una malattia, una tremenda
virosi infettiva acuta contro la quale c’era poco da fare sul momento, mentre
invece aveva fatto benissimo a ricordarsi di lui che le avrebbe fatto capire
che quel fatto non le aveva macchiato l’anima e che la passione, così
violenta, denotava soltanto un malessere del corpo come se fosse stata
abbandonata negli affetti maggiormente cari ed il tutto l’avrebbe fatta
soffrire per molto tempo.
In ogni caso l’avrebbe affidata ad una sua cara collega, una
psicoterapeuta particolarmente preparata per queste sindromi.
Lopez dopo averle parlato a lungo e dopo averla visitata, non trovandogli
nulla di patologico, decise insistendo che Consuelo sarebbe stata ospite a
casa sua e che non avrebbe detto nulla in famiglia ma soltanto che aveva
bisogno di un periodo di riposo per rimettersi in ordine da un piccolo
esaurimento nervoso.
Virginia, avvertita dal marito, preparò la stanza degli ospiti ed un
pranzetto speciale per Consuelo.
Ormai era un lontano ricordo quanto era accaduto tra quella figliola e suo
figlio a Barcellona.
La stessa specializzazione di Virginia in Pediatria l’aveva aiutata a
considerare del tutto normali quei primi approcci sessuali dei due ragazzini
così piccoli e così innocenti, ignari di cosa significasse il male ed il modo
di esprimere, adulto, l’affetto ed il bene.
Era contenta che Consuelo fosse venuta a Madrid. Ciò significava che, nel suo
cuore, era rimasta vivo il pensiero della famiglia che le era stata tanto
vicina quando era una fanciulla delicata, buona e con una personalità che non
poteva passare inosservata.
Anche Giulio, che era appena tornato dall’Università e che la ricordava come
la più bella e cara bambina mai conosciuta, saltò di gioia alla notizia che
Virginia gli aveva appena dato.
Fu molto caloroso e nello stesso tempo dolcissimo l’abbraccio di Consuelo a
Virginia ed a Giulio che non credé ai propri occhi nel vedersi di fronte una
giovane stupenda e piena di fascino ma al tempo stesso educata e raffinata.
Giulio dal canto suo era diventato un giovanotto entusiasta della vita e
questa era stata la molla per cui aveva seguito le carriere dei genitori.
Aveva però idee strane ed originali. Non aveva intenzione di percorrere tutta
la carriera universitaria ed avrebbe gradito diventare solo un bravo chirurgo
per potersene andare in giro per il mondo seguendo l’Associazione Volontaria
dei Medici senza Frontiere.
Ma questo sarebbe stato un programma per il futuro, una idea che forse
avrebbe preso corpo solo quando fosse diventato specialista in chirurgia
generale.
Per il momento doveva solo studiare ed anche molto duramente, alternando ai
testi ed agli esami un po’ di pratica che non poteva essergli negata data la
sua preparazione molto approfondita che con l’aiuto di suo padre poteva
permettersi.
Per Consuelo era rimasto il giovanetto di cui si era innamorata a sei anni,
timido e forte, protettore dei deboli, innocente ed intelligente oltre che
l’unico essere che avesse conosciuto pieno di premure per lei.
Consuelo sentiva che quello e soltanto quello sarebbe stato l’ideale compagno
per lei ma non voleva manifestargli questo sogno, memore di quanto era
successo nella loro infanzia, quando per la sua esuberanza aveva rovinato
tutto senza usare la minima razionalità anche se infantile.
Lei non si sentiva più pura come era sempre stata fino al giorno prima e mai
avrebbe fatto la prima mossa per riavvicinarsi a Giulio. Era certamente
cambiata nel proprio modo di esistere.
Non aveva nemmeno fatto una telefonata ad Eusebia per dirle dove si trovasse
ed inoltre non ne sentiva nemmeno la necessità.
CAPITOLO VENTESIMO
Alcuni giorni dopo, seguendo le notizie di cronaca trasmesse dalla
televisione, Consuelo seppe del ritrovamento del cadavere di Miguel trovato
morto ed accoltellato con una sola pugnalata nella camera da letto nella sua
casa a Siviglia e che la Polizia brancolava nel buio più profondo, pensando
piuttosto ad un delitto passionale che ad una rapina.
In quel momento Consuelo si trovava sola a casa dei Lopez.
Erano le tredici e venti e Consuelo per un puro miracolo non cadde svenuta,
incapace di ragionare e di formulare alcuna ipotesi.
Tremava, pensando che qualcuno l’avesse potuta vedere assieme a Miguel nella
mattina dello stesso giorno in cui era stato ucciso.
Consuelo in un attimo prese la decisione di telefonare ad Eusebia, a quel ora
doveva essere a casa e solo lei le avrebbe potuto dare delle notizie fresche
e precise.
Il telefono squillò tre o quattro volte, poi Consuelo sentì dall’altro capo
del filo la voce della sua amica.
- Sono Consuelo, cara Eusebia. Mi trovo a Madrid a casa dei Lopez. Ho sentito
adesso la televisione. E’ proprio vero che Miguel è stato ucciso a casa sua
con una coltellata? -
- Certo che è vero, -rispose con voce concitata, -non posso parlare in questo
momento ma ho bisogno di vederti subito magari a Toledo a casa tua.-
- Puoi venire domani pomeriggio. Se si, dimmelo subito? -
Consuelo rimase stupita per la richiesta dell’amica così perentoria.
Pensò che non poteva dirle di no perché se Eusebia le aveva fatto quella
richiesta doveva avere più che un buon motivo.
- Va bene, -disse molto preoccupata, -sarò a Toledo domani verso l’ora di
pranzo. Ci vedremo a casa mia. -
Quando Consuelo rivide alcune ore dopo Virginia le disse che si sarebbe
allontanata da Madrid l’indomani e che era costretta a recarsi a Toledo a
causa di complicazioni burocratiche riguardanti i negozi di Simona.
Era stata contattata da alcuni amici sul suo cellulare, che le avevano
chiesto di essere puntuale a scanso di multe molto pesanti che avrebbero
danneggiato finanziariamente sua madre.
Comunque sarebbe tornata dopo pochi giorni a Madrid ed intanto la ringraziava
di tutto cuore per tutto quello che aveva fatto per lei.
Avrebbe seguito il consiglio del Professore e si sarebbe curata l’esaurimento
nervoso a Madrid, con la psicoterapeuta da lui raccomandata.
Alle due di pomeriggio Consuelo entrò nell’appartamento dove aveva vissuto
per un anno con Eusebia e che aveva lasciato ammobiliato e disabitato per
quando sarebbe tornata, sempre con l’amica, dopo i due anni di
perfezionamento nella scuola di Flamenco a Siviglia.
Eusebia l’aveva vista arrivare, con un taxi, dalla finestra e le era corsa
incontro giù per le scale ansimante e con gli occhi pieni di lacrime.
Appena dentro l’appartamento, scoppiò a piangere ed a singhiozzare a dirotto
e mentre si era buttata sulla poltrona del soggiorno rannicchiata e stremata,
balbettò.
- Sono stata io che lo ho ucciso e ti posso dire che avevo premeditato di
farlo fuori con una coltellata, da quando mi ero accorta che tu eri caduta
nella sua trappola durante quella maledetta mattina quando sei scomparsa con
lui e sei poi tornata ridotta un cencio e senza nemmeno dirmi cosa avessi
combinato con quel porco. Ho fatto finta di niente e poi, quando a casa ti
dissi che sarei uscita a cena con degli amici, ti ho mentito perché dovevo
incontrarmi con Miguel, intenzionata a fargli pagare caro il sadismo che
certamente aveva avuto con te. -
Eusebia si asciugò gli occhi di fuoco e soffiandosi il naso, dopo aver
accarezzato il viso di Consuelo, riprese a parlare con maggior calma.
- Angelo mio, ti avevo avvisato che non esiste “passione” che potesse
giustificare il tuo infantile comportamento con un uomo che avrebbe abusato
della tua innocenza. Bastava osservarlo, nei suoi modi di fare, per capire
che saresti diventata depravata come lui, proprio tu la mia amica e sorella,
nelle mani di quel mascalzone abituato a prendere ed a gettare nel fango
qualsiasi donna che gli si fosse avvicinata e che avessi ragione lo dimostrò
quella sera con me. -
- Voleva fare del male anche a me, non soddisfatto di quanto ti avesse
violentata quella stessa mattina. Ma io non sono l’essenza della bontà come
invece sei tu e mi ero preparata a tutto per vendicarti e per vendicarmi. -
Consuelo, allibita per essere stata la causa della morte di Miguel, le si
avvicinò e con tutto l’affetto e la commozione che provava per l’amica disse.
- So bene di essermi comportata da perfetta idiota e di Miguel adesso non mi
importa più nulla, ma poiché è successo questo disastro adesso bisogna che
nessuno possa sospettare né di me e né di te. -
Fino a notte inoltrata Eusebia le raccontò ogni minimo particolare di quella
serata e cosa avesse fatto per non lasciare nessuna traccia della sua
presenza nella casa del famoso ballerino.
Le disse anche che aveva pensato come scagionare anche lei e di avere
avvisato la Direzione della scuola che Consuelo non si sarebbe presentata ai
corsi per almeno quindici giorni, adducendo motivi familiari.
La verità la conoscevano adesso soltanto loro due e non sarebbero state mai
scoperte e quella uccisione sarebbe rimasta insoluta oppure archiviata come
dovuta ad ignoti rapinatori.
Restava insoluto per Consuelo cosa avrebbe dovuto raccontare a Simona.
Non poteva fare finta di niente a lungo con la mamma, non poteva non dirle
che si era allontanata da Siviglia anche perché Eusebia aveva dichiarato alla
Direzione della Scuola che la sua amica era andata a Barcellona per
assisterla.
La stessa Direzione avrebbe comunque potuto telefonare a Simona per
comunicare a Consuelo notizie che la riguardavano.
Certamente non l’avrebbero cercata per cose non importanti per le prime due
settimane, il tempo riferito da Eusebia per curare la mamma dichiarata
ammalata.
Ma successivamente cosa sarebbe accaduto se Consuelo non fosse ritornata a
Siviglia?
Lei ed Eusebia avrebbero dovuto subito inventarsi qualcosa di nuovo per
spiegare l’assenza di Consuelo se si fosse prolungata e meno male che la
Polizia non aveva pensato di interrogare le allieve del corso di Flamenco.
Si trattava della crema delle giovani di Siviglia, tutte giovani ballerine
provenienti da famiglie molto influenti che non avrebbero preso certi
sospetti nei riguardi delle loro figliole senza reagire violentemente, in
mancanza di prove certe, con squadre dei migliori penalisti di Spagna.
La Scuola, d’accordo con i magistrati del luogo, aveva fatto pressioni perché
il buon nome della Scuola non fosse messo in ballo almeno che non fosse
risultato dalle indagini un netto coinvolgimento di colpevolezza per una
allieva.
Anche Consuelo ed Eusebia erano considerate al di fuori di ogni sospetto,
rispettose ed educate, ragazze che pur non essendo di Siviglia provenivano da
una famiglia ricca ed importante come quella di Simona.
Che le cose stessero così era noto ad Eusebia, amica intima di una giovane
Ragioniera dell’ufficio del Direttore, che le aveva confidato come le
indagini si fossero orientate su alcuni spacciatori di cocaina, conosciuti da
Miguel che ne faceva uso saltuariamente di nascosto, come era risultato
all’autopsia.
Non esisteva, almeno per il momento, nessun pericolo per le due amiche, che
ugualmente avrebbero dovuto essere molto caute e preparate se successivamente
fossero state interrogate.
Dopo aver dormito tutta la notte con l’aiuto di un sedativo, al mattino
Consuelo pensò che sarebbe stato meglio avvisare sua madre di quanto le era
successo e del caos che ne era seguito e senza dire niente ad Eusebia prenotò
due posti per l’aereo che sarebbe arrivato a Barcellona alle sei del
pomeriggio.
Al telefono le disse che sentiva insieme ad Eusebia una forte nostalgia di
lei e che sia lei e l’amica avevano deciso di passare due o tre giorni a casa
vicino agli affetti più cari.
Erano tre mesi che non si vedevano e Simona non ebbe dubbi che le sue due
protette volessero stare con lei e con la madre di Eusebia quei pochi giorni,
per un semplice desiderio di vederle.
Consuelo era certa che con la mamma avrebbe potuto aprirsi completamente ma
la stessa opinione non fu bene accettata da Eusebia, nell’incubo che più
persone fossero state informate sui fatti e maggiore sarebbe stato il
pericolo per lei.
Nemmeno il giuramento fattole da Consuelo, che mai avrebbe detto a nessuno
quanto Eusebia avesse agito in modo criminale, riuscì a calmarla.
Le gridò.
- Ma che razza di amica del cuore sei tu Consuelo! -
- Anche non volendo ti potrebbe sfuggire qualcosa di molto compromettente,
tale da mettermi perlomeno in imbarazzo! -
Con molta pazienza Consuelo riuscì a convincere l’amica che quella mossa
sarebbe stata innocua ed anzi avrebbe fatto capire alle rispettive madri che
loro due non c’entravano assolutamente nulla con la morte di Miguel.
Sarebbero state anzi due ottime testimoni nel caso assurdo che la Polizia
avesse avuto dei minimi sospetti.
Non era possibile che le due amiche fossero state con lo stesso uomo e nella
stessa giornata, perché le loro mamme avrebbero sostenuto di avere passato a
Siviglia quella domenica con loro.
Convinta Eusebia, le due ragazze raggiunsero Barcellona.
A casa, tra il fiume Llobregat e la collinaaMontjvich, le attendeva la vita
semplice delle loro mamme, ma giunte alla chiesa della santa Vergine del Mar,
Eusebia pregò Consuelo di fare fermare il taxi perché aveva avuto l’impulso
di confessarsi.
Ambedue vollero tornare dalle rispettive madri, pentendosi ed essere
perdonate per i loro peccati anche se specialmente Eusebia, pur addolorata
per aver ucciso un uomo, credeva che il sacerdote non l’avrebbe assolta.
Eusebia si era sbagliata.
Con molta commozione quel frate l’ascoltò in silenzio per molto tempo
raccolto in meditazione ed infine le disse.
- Figliola, hai commesso il più grave peccato che potevi fare. Uccidere un
uomo è l’atto più esecrabile di qualsiasi altro. Tuttavia ti devo assolvere,
secondo la Giustizia di Dio, perché tu stessa hai subito una grave violenza
fisica e non sei stata in grado di risolvere prima il problema in cui
volontariamente ti eri cacciata e che per tua aggravante avevi in un certo
senso premeditato. -
- Dovresti espiare una pena umana adeguata per quanto hai fatto, dovresti
auto denunciarti, la Giustizia umana ti condannerebbe con molte attenuanti,
ma questo dipende dalla tua coscienza ed io non posso obbligarti. Però il
fatto stesso che sei venuta da me, pentita, ti fa onore ed io in nome del
Signore ti assolvo -
Anche Consuelo volle pregare.
- Ho molto peccato di lussuria ed è per colpa mia che Eusebia ha voluto
vendicarmi. Ti prego, Madonna mia, di illuminarmi e di non farmi fare altri
errori. Mi ero presa la responsabilità di proteggerla e per questo motivo sia
la mamma di Eusebia che Simona l’avevano affidata a me. -
- La difenderò con tutte le mie forze e con tutta la mia anima. Farò in modo
che Eusebia uscirà da questa storia senza conseguenze penali e soltanto con
il rimorso eterno di avere ucciso un uomo.
CAPITOLO VENTUNESIMO
Quando Simona parlò con la sua figliola capì immediatamente che la sua
presenza a Barcellona, insieme ad Eusebia, aveva un ben altro significato che
quello di una crisi di nostalgia.
Consuelo aveva preso l’argomento alla larga.
Disse alla mamma, in un te a te, della sua iniziale passione per quel primo
ballerino di Flamenco della scuola, che era stato per poche ore il suo primo
amante..
Non aveva mai conosciuto un uomo così affascinante, così elegante nel suo
incedere, così pieno di charme e tanto attraente sia sessualmente che
eroticamente.
Aveva perso letteralmente la testa per lui, anzi aveva fatto di tutto perché
lui la notasse e la invitasse, usando tutta la sua avvenenza e la sua
seduzione.
Voleva assolutamente essere posseduta da lui e perdere la propria verginità
con un giovane simile, pur essendo stata avvisata da Eusebia che l’uomo non
fosse per niente affidabile essendo un gigolo, considerato ed avendo la
nomina di un vero mascalzone capace di cambiare una donna quasi ogni giorno.
Aveva pensato che Eusebia esagerasse poiché a lei non interessava il tipo e
che piuttosto provasse una forte antipatia riguardo a Miguel, osservando come
tutte le allieve facessero a gara per uscire privatamente con lui.
Simona chiese alla figlia se fosse stata innamorata di quel uomo ma alla
risposta di Consuelo che era stato soltanto una grande passione tale da
annebbiarle il cervello e la volontà, prese la propria testa tra le mani e
piangendo parlò con un filo di voce ed affannosamente si rivolse a Consuelo
tremante.
- Come hai potuto farmi questo, figlia mia, che male ti ho dato in eredità
per avere questo dolore proprio da te. -
- E’ vero che anch’io sono stata malvagia con il mio primo marito,
riducendolo alla miseria e poi al suicidio, ma lui mi aveva fatto del male e
talmente questo era stato atroce che ancora oggi, pur essendomi pentita, non
sono in grado di perdonarlo. -
Consuelo aveva saputo proprio da Simona quanto fosse stata male per colpa di
Mario. Sua madre non le aveva nascosto niente del suo passato ed ugualmente
conosceva il grande amore che l’aveva unita a Raffaele, un uomo buono anche
se di estrazione contadina.
Adesso era proprio Raffaele che mancava contemporaneamente a tutte e due e
dovevano trovare da sole il modo di uscire da quel abisso in cui erano
precipitate perché, se era vero che Simona era totalmente innocente delle
scelte di vita di sua figlia, tuttavia era impossibile per lei non sentirsi
altrettanto colpevole.
Ci fu un momento di grandissima comunione tra madre e figlia e come quando
Consuelo era stata bambina ascoltò quello che Simona le implorò di fare.
- Non devi dire nulla alla mamma di Eusebia, lasciala stare tranquilla. Sarò
io, che in caso di bisogno, dirò alle Autorità di essermi trovata in quei
giorni a Siviglia assieme a voi due come del resto è vero quando la notte tra
la domenica ed il lunedì non ci siamo incontrate soltanto perché ero andata a
passare la nottata nei locali più caratteristici di Siviglia. Tu tornerai da
Madrid a Siviglia tra dieci giorni e nel frattempo devi seguire con assiduità
le sedute di psicoterapia dell’amica del Professor Lopez.-
Consuelo parlò a lungo con Eusebia ed insieme decisero di seguire quanto
avesse detto Simona alla lettera.
Passarono così due giorni abbastanza tranquille ma mentre si stavano
preparando a partire l’una per Siviglia e l’altra per Madrid ci fu una
telefonata inattesa dalla Scuola di Danza a Simona nella quale veniva chiesto
alla mamma di Consuelo di avvertire sia la propria figlia che Eusebia di
presentarsi a Siviglia il post domani di mattina, presso il Magistrato per
comunicazioni che riguardavano le due giovani riguardo l’omicidio del primo
ballerino della Scuola di Danza di Flamenco da queste frequentata.
Simona rimase di sasso.
Tutte le congetture pessimistiche da lei fatte si erano verificate e
ringraziò il buon Dio che sua figlia e l’amica fossero venute a Barcellona e
che lei era stata avvisata di tutto.
Alla domanda di Simona se dovevano essere assistite da un avvocato, quelli
risposero che non era necessario ma che nulla lo vietava pur essendo la
richiesta del Pubblico Ministero un semplice interrogatorio informale.
Immediatamente Simona avvisò le due ragazze che in quel momento si trovavano
al mare a prendere il sole dalle parti del Faro, tramite il cellulare di
Consuelo, invitandole a casa urgentemente perché il giorno dopo dovevano
partire tutte e tre per Siviglia.
In breve informò le ragazze su ogni particolare della telefonata ricevuta
dalla Direzione della Scuola e che lei aveva preparato un piano per il quale
desiderava l’approvazione sia di Eusebia che di Consuelo.
Disse anche che la mamma di Eusebia doveva ignorare tutto, povera donna e che
non c’era di che preoccuparsi.
Quando fu di fronte alle due giovani, Simona spiegò.
- Dichiarerò di essere stata a Siviglia dal sabato al lunedì ed anche qualche
giorno prima di quando fu ucciso Miguel e di essermi recata in quella città
per prendere Consuelo, dato il mio stato di salute non perfetto e di averla
pregata di passare dei giorni nella casa natia dal momento che vivevo con una
continua paura di morire improvvisamente, pur non trovando i medici alcunché
nel suo cervello. -
- Affermerò anche che Eusebia rimase a Siviglia, continuando a frequentare il
corso di Flamenco, mentre noi due ripartimmo insieme verso mezzanotte per
Barcellona, preferendo viaggiare di notte, sicuramente nella notte tra lunedì
e martedì. -
Simona, in ogni modo avrebbe dichiarato quasi la verità ma avrebbe negato di
avere perso di vista Consuelo ed Eusebia in quei quattro o cinque giorni.
Era possibile affermare tutto questo perché in quei giorni la madre di
Eusebia era stata ospite della sorella, dall’altra parte della città ed era
rimasta li, per quindici giorni a cavallo dell’omicidio del ballerino,
tornando nel suo appartamento vicino alla casa di Simona, il giorno prima che
Eusebia si fosse presentata a Barcellona assieme a Consuelo.
Simona infatti non aveva raccontato all’ amica di essersi recata con Raffaele
a trovare le due ragazze e poi aveva taciuto sulla scomparsa improvvisa di
Consuelo.
Il viaggio di ritorno a Siviglia fu per le due giovani ballerine un vero
incubo e non poteva essere sufficiente la presenza di Simona, che guidava la
Mercedes di sua proprietà, per tranquillizzarle.
Giunsero a Siviglia verso le sette di sera.
Per tutto il percorso imperò il silenzio e specialmente Eusebia non fece
altro che ascoltare, a basso volume, la radio sintonizzata sui vari giornali
radio regionali e nazionali.
Si capiva che cercava notizie che riguardassero le indagini sulla morte di
Miguel, ma nessuna nuova notizia venne trasmessa.
Fu soltanto all’arrivo che Eusebia aprì bocca rivolgendosi alla madre di
Consuelo.
- Chissà cosa hanno scoperto; è strano che ti abbiano telefonato quando tutto
mi pareva essere andato liscio. Mi dispiace di avere ucciso un uomo ma non
avrei potuto guardami mai più in uno specchio se non lo avessi fatto, sia per
quanto ha fatto a me sia per quanto avrebbe continuato a combinare con tutte
le ragazze con le quali si incontrava, miserabile individuo, capace di
stuprare qualsiasi donna o ragazza che gli avesse dato anche una innocente
confidenza. Ho voluto vendicare anche Consuelo ma questo non implica una mia
minima scusante o difesa d’ufficio. Consuelo è innocente. Perché si sono
rivolti a te che sei sua mamma? -
Eusebia si ammutolì nuovamente e per quanto Consuelo l’ avesse presa tra le
braccia, sul sedile posteriore della Mercedes mentre Simona continuava a
guidare, non la smetteva più di piangere silenziosamente con tutta l’angoscia
che aveva fino a quel momento trattenuto.
Soltanto quando giunsero a casa, Simona ebbe la sensazione che Eusebia si
fosse calmata.
- Devi essere tranquilla e serena e domani tu rimarrai vicina a me
rispondendo solo se io ti autorizzerò. Lo stesso farà Consuelo e la sola
persona che parlerà con il Magistrato, sarò io. -
Alle nove in punto le tre donne entrarono nel palazzo di Giustizia e chiesero
dell’ufficio del Pubblico Ministero, Paolo Costa, di origine italiana e noto
in città per essere una persona molto aperta e contemporaneamente molto
preparata nello svolgimento del suo lavoro.
Salirono al secondo piano e subito dopo entrarono in una stanza
sufficientemente ampia e piena di fascicoli messi uno sopra l’altro in uno
scaffale enorme di fronte alla scrivania dove sedeva un uomo di media statura
dell’età apparente di cinquantenni ben rasato e ben pettinato, con capelli
castano scuri lisci con una scriminatura sulla sinistra molto ben disegnata.
- Scusatemi del disturbo che vi li ho arrecato, -disse alzandosi dalla
poltroncina, -ma è stato necessario sentirvi. I nomi delle signorine mi sono
stati fatti dalla Direzione della Scuola di Danza assieme a quello di tutte
le altre allieve del corso di Flamenco. Quindi quello che vi chiedo e che ho
già domandato a parecchie vostre colleghe è se potete dirmi come avete
passato il giorno del dieci ottobre. Per aiutarvi qui c’è un calendario, fate
un piccolo sforzo e poi potrete andarvene. -
Simona guardò in faccia il dottor Costa e sorridendo disse.
- Consuelo, mia figlia e la sua carissima amica Eusebia, si trovavano a
Siviglia quel giorno, ma a sera inoltrata siamo partite con la mia Mercedes
per Barcellona, per passare alcuni giorni a casa, come io ero stata a
Siviglia con loro nei giorni precedenti al dieci ottobre. -
Il Pubblico Ministero prese degli appunti, poi simpaticamente si alzò in
piedi ed affermò.
- Molto bene, tutto qui. Vi ringrazio per la collaborazione.
- Non avrete nessuna altra seccatura, ve lo garantisco. Adesso che ho
conosciuto la sua famiglia, anche se la signorina Eusebia e soltanto la sua
figlioccia, garantisco io per voi. Vi auguro una buona giornata di tutto
cuore.
CAPITOLO VENTIDUESIMO
Con Consuelo a Barcellona ospite della casa dei Lopez ed Eusebia
tranquillizzata, dopo la visita al dottor Costa a Siviglia, che aveva ripreso
il corso di Flamenco con grande entusiasmo, Simona sentì che la sua vita
stava diventando piatta e monotona.
Consuelo sarebbe rimasta a Madrid per almeno un mese con lo scopo di curarsi
seriamente la nevrosi prima di continuare con Eusebia le lezioni di danza al
fine di ottenere anche lei il Diploma di prima ballerina di Flamenco.
Simona sapeva che ormai non poteva più vivere assieme a sua figlia che
sarebbe rimasta ancora un anno e mezzo a Siviglia per poi tornarsene a Toledo
dove avrebbe iniziato la sua professione sempre con la sua amica accanto, pur
continuando a frequentare la Scuola del maestro Solinas.
Quanto era accaduto aveva cementato ancora maggiormente l’unione delle due
amiche ed era tale da poter prevedere che, nel futuro, non sarebbero state
capaci di allontanarsi l’una dall’altra qualsiasi fossero state le strade che
le avessero potute dividere.
Eusebia si era macchiata di un crimine tremendo e Consuelo aveva capito che
il “primum movens” era stata la rabbia che aveva avuto contro Miguel per
difenderla da ulteriori pericoli e violenze.
Cessata la grande paura, Simona ebbe la sensazione di dover dire addio ai
sogni che l’avevano sostenuta fino a quel momento ed in primo luogo al
desiderio di affrontare altri anni senza avere accanto né Raffaele né
Consuelo e quindi senza una famiglia che la potesse sostenere ed in una
solitudine, che sarebbe divenuta sempre maggiormente assurda con gli anni che
avanzavano implacabili.
Simona volle fare un ultimo tentativo per riavvicinarsi a Raffaele, anche se
era stata proprio lei quella che si era distaccata, in un momento di
orgoglio, dall’unico uomo che certamente l’aveva amata con tutto se stesso e
con il cuore pieno di sentimenti morali ed immortali.
Tuttavia non sapeva come fare.
L’unico modo di potergli parlare con sincerità sarebbe stato quello di
andarlo a trovare in Piemonte in mezzo ai suoi vigneti di cui, in piccola
parte, aveva mantenuto la proprietà, soltanto per una questione sentimentale.
E se si fosse fatta una nuova vita ed una nuova donna? Con che faccia si
sarebbe presentata da lui che l’aveva scongiurata di seguirlo nella nuova
vita che si era creato per amarsi pienamente, in perfetta armonia?
Pensò anche di tornare in Carnia dove sicuramente avrebbe rivisto tanti
conoscenti o almeno i sopravvissuti e le sue amate montagne.
La paura di essere derisa, di non essere più accettata come una di loro, di
essere addirittura scansata come una appestata, di vergognarsi, frenò questo
desiderio e mentre un rifiuto di Raffaele avrebbe potuto anche essere
accettato, non avrebbe retto alla delusione di essere ignorata da coloro con
i quali aveva passato i primi quarantenni della sua esistenza.
Simona riflettette pure di riallacciare l’amicizia con i Lopez e di
trasferirsi per sempre a Madrid e non allo scopo di stare maggiormente vicina
a Consuelo ma solo perché una volta l’amicizia con i coniugi Lopez
rappresentava quanto di più bello le fosse capitato in Spagna.
Aveva ancora degli scambi convenzionali, epistolari e più raramente
telefonici, in occasione di ricorrenze importanti o di anniversari ma quel
feeling ormai cessato non sarebbe ritornato come era stato una volta.
Così, seppure a malincuore, abbandonò tutte queste possibilità per tornare
speranzosa all’idea che Raffaele fosse rimasto innamorato di lei.
Tuttavia di una cosa era certa: avrebbe venduto l’Azienda a qualche
multinazionale, al miglior offerente.
Era ora di staccare la spina col lavoro e godersi una parte del denaro
guadagnato tenendo presente una ricca rendita per Consuelo ed una sempre
ottima per la sua figlioccia, Eusebia.
A lei sarebbe rimasto un forte capitale che le avrebbe permesso di fare
qualsiasi cosa avesse deciso, oltre che esaudire finalmente un desiderio che
mai aveva potuto realizzare cioè quello di viaggiare, possibilmente in
diverse località del mondo, vedendo cose e paesi che aveva sempre desiderato
ammirare.
Una settimana dopo Simona trovò un Gruppo finanziario disposto ad acquistare
in contanti la sua Azienda, che dopo avere controllato tutti i suoi libri
contabili e le sue catene di negozi, le fecero una offerta rapida e veramente
allettante.
Aveva voluto mantenere la proprietà delle case a lei intestate in varie città
della Spagna che sarebbero passate a Consuelo alla sua morte oppure quando
avesse deciso di donargliele.
Tutto fu sbrigato nello spazio di un mese e soltanto allora Simona raccontò
quanto aveva deciso e concluso a Consuelo in un viaggio a Madrid effettuato
pochi giorni prima che sua figlia ritornasse, ormai perfettamente in ordine
da un punto di vista psicologico e serena, a Siviglia per riunirsi, nello
studio del Flamenco, ad Eusebia.
Tra l’altro Simona voleva rivedere Virginia per darle un probabile ultimo
abbraccio e per conservare un dolce ricordo di quella famiglia così
importante per lei nei primi anni passati in Spagna.
Voleva abbracciare pure Giulio e suo padre ricordandogli che lei era stata la
sua madrina di Battesimo e che lui avrebbe potuto sempre far conto sulla
mamma di Consuelo in ogni evenienza.
Per questo motivo, sistemate tutte le sue cose e senza avvisare nessuno,
partì per Madrid.
Quando bussò all’uscio di casa Lopez le venne ad aprire la porta Virginia.
Si stropicciò gli occhi come fulminata.
Simona spalancò le braccia e Virginia le si buttò addosso con un sorriso
smagliante, baciandole le guance ed accarezzandole i capelli. Poi esclamò.
- Che bella sorpresa mi hai fatto! Dopo tanto tempo eccoti, bella come
sempre, affascinante e dolce come soltanto tu sai essere! Sei venuta per
vedere se Consuelo sta bene oppure per dirmi che ti sono tanto mancata? -
- Avevo una voglia matta di rivederti, mia cara Virginia, di controllare se
sei ancora la mia amica del cuore ed infine per salutare te, Giulio e tuo
marito oltre che la mia bella Consuelo. Ho deciso di andarmene via dalla
Spagna. -
Poi con lo sguardo malinconico che sfoggiava nei momenti di intensa
commozione, disse.
- Virginia non posso più reggere di starmene in solitudine a Barcellona ed il
lavoro, che finora mi ha sorretto e mi ha dato la forza di reagire non è più
sufficiente. Ho venduto la mia Azienda e finalmente mi sento libera e serena
come un uccellino che è stato per troppo tempo in gabbia. Consuelo farà la
sua strada senza che io interferisca sulle sue decisioni, avrà pure una
rendita mensile e non dovrà mai trovarsi insoddisfatta anche se vorrà
scegliere un’altra strada, anzi che diventare una grande artista di Flamenco.
-
Simona racconto la sua vita con Raffaele e come e perché avesse rifiutato di
sposarlo. La ringraziò per tutto quanto aveva fatto per Simona ma soprattutto
di avere contribuito a farla guarire da quel esaurimento nervoso che le era
capitato come un fulmine a cielo sereno e di conoscere ogni particolare su
quanto tutti loro avessero fatto per la sua unica figlia.
Virginia si schernì la baciò di nuovo e le disse che doveva assolutamente
rimanere a cena da loro.
Simona accettò.
Avrebbe raccontato tutti i suoi travagli alla figlia e poi avrebbe potuto
andarsene dove avesse voluto, dal momento che capiva benissimo come sarebbe
stato assurdo venire a Madrid per rimanervi perché, se avesse fatto così,
tanto sarebbe valso rimanersene a Barcellona.
Appena tornarono a casa Consuelo con il marito di Virginia e poi, a breve
distanza di tempo Giulio, Simona capì al volo che sua figlia aveva trovato
dai Lopez un’ altra famiglia.
Gli sguardi che i due giovani si scambiavano erano inequivocabilmente colmi
di tenerezza e tutti e due erano felici della presenza di Simona. Era
indubbio che si amavano pazzamente e che per nessuno dei due potesse esistere
una felicità maggiore, se non quella di essersi incontrati di nuovo.
Osservare la sua bambina contenta e serena era per lei la maggiore gioia che
potesse pretendere, dopo la disgrazia di Siviglia.
Pendevano dalle sue labbra quando lei si mise a raccontare della sua vita,
invidiata per quanto avesse saputo costruire nel campo dello sviluppo
dell’arte del merletto e nello stesso tempo sfortunata nell’amore prima con
il marito e poi con Raffaele.
Mentre Virginia ed il professore Lopez si erano assentati brevemente per
preparare il dessert, disse.
- Ragazzi ricordatevi quanto vi sto dicendo: non esiste nulla di più grande e
bello dell’amore e se voi due vi amate, come credo, dovete infischiarvene
allegramente di qualsiasi ostacolo che vi si presentasse davanti. Cercate di
non perdervi di vista, mai, poiché l’amore è il maggiore regalo che la vita
possa donarvi.
- Non lasciate che nulla vi possa separare e tu Consuelo fallo felice come
quando eravate bambini e non ha importanza la professione che svolgerete se
non vi stancherete mai di essere l’uno vicina all’altro, specialmente con lo
spirito ed anche se sareste lontani per ragioni di lavoro, sposatevi al più
presto e con tutta la mia benedizione.-
Simona accarezzò Giulio e Consuelo con tutto il sentimento di una mamma, poi
concluse.
- Siate dei bravi ragazzi, Dio vi proteggerà dall’alto del cielo ed ubbidite
sempre al vostro cuore.-
Non ci fu verso, malgrado le insistenze dei coniugi Lopez, di convincere
Simona di rimanere qualche altro giorno da loro.
Consuelo sarebbe ritornata a Siviglia nel giro di pochi giorni per completare
il primo anno del Corso di Flamenco e Virginia giurò a Simona che sarebbe
stata sempre in contatto con lei.
Poi rivolgendosi a Giulio con un sorriso complice, affermò che in ogni caso
sarebbe stato lui a trascinarla a Madrid molto spesso, dove Simona l’avrebbe
trovata quando Consuelo avesse terminato anche il Corso di Perfezionamento a
Toledo, due anni più tardi.
Simona aveva deciso di passare due anni in America, in California, ormai
tranquilla di aver lasciato sua figlia in buone mani.
Disse che li avrebbe ospitati in qualsiasi momento avessero deciso di farsi
un bel viaggio a Santa Monica, dove avrebbe preso una villa accanto
all’oceano per respirare ogni giorno il profumo del mare. Che appena si fosse
sistemata avrebbe comunicato loro il luogo esatto e l’indirizzo oltre al
numero telefonico e che sarebbe tornata a Madrid per essere presente alla
consegna del titolo prestigioso che Consuelo avrebbe ottenuto a Toledo.
Simona non lo disse ma fermamente era convinta che Consuelo e Giulio si
sarebbero sposati.
Poi la vita sarebbe scorsa come sperava nel suo cuore di madre ed anche se
Giulio fosse diventato un bravo medico, Consuelo non lo avrebbe lasciato solo
ed avrebbe trovato un lavoro consono al suo Titolo, facilmente nello
spettacolo, in qualsiasi luogo egli si fosse recato e non certo, come aveva
saputo essere suo primario desiderio, per diventare un medico senza
frontiere.
Il matrimonio con sua figlia avrebbe fatto un altro miracolo, quello di non
abbandonare la Spagna, anche se non era certa che sarebbero rimasti a Madrid.
CAPITOLO VENTITRESIMO
Simona riuscì a trovare una villetta vicina al mare a Santa Monica che
affittò con un contratto di cinque anni rinnovabile e non si trovò in
difficoltà per la lingua inglese dal momento che moltissime persone del luogo
conoscevano lo spagnolo.
Le onde dell’Oceano si infrangevano sulla bianca sabbia di fronte alla sua
nuova casa e nell’aria si avvertiva il profumo della salsedine del Pacifico,
frizzante e salubre.
A Simona venne subito una voglia matta, quasi infantile di immergersi in quel
acqua spumeggiante e di farsi un bagno ristoratore nell’acqua salata e si
meravigliò molto di poter indossare ancora il due pezzi che aveva acquistato
a Taormina durante la fuga dall’Italia.
Le gambe erano rimaste quelle di una volta ed inoltre non aveva nemmeno un
po’di cellulite né sulle cosce né sull’addome.
Soltanto alcune rughe che erano diventate di casa sulla fronte ed appena
accennate intorno agli occhi, servivano a farle ricordare che gli anni erano
passati e che in quel momento aveva sessantadue anni suonati.
Simona si guardò a lungo nello specchio della camera da letto come non faceva
più da anni e capì di dimostrarne molti di meno ed ebbe allora la necessità
di una conferma qualunque di questa sua impressione.
Camminando sulla sabbia vicina al bagnasciuga inciampò in una fossa di sabbia
e subito un uomo sui cinquantacinque le porse le mani per aiutarla a tirarsi
su dicendole.
- Good morning, can I help you? -
Simona rise di gusto e rispose in spagnolo.
- Signore non parlo inglese ma ho ugualmente capito che le farebbe piacere
chiacchierare con me e fare due passi fino a quel piccolo Bar dove potremmo
bere una bibita fresca. Mi chiamo Simona -
Quel tizio sospirò ed in buon spagnolo annuì, dicendo.
- Signora è proprio vero che adesso se non conosci lo spagnolo è meglio
andarsene dagli Stati Uniti. Io, Bruce Walker, ho la fortuna di conoscere la
sua lingua essendo vissuto per un paio di decenni al confine con il Mexico e
capisco bene anche l’italiano. -
Simona lo squadrò dalla testa ai piedi.
Era piuttosto magro ma muscoloso, con un perenne sorriso sulla bocca, con un
naso un po’ pronunciato ma soltanto quando lo si guardava di profilo, con due
occhi verdi leggermente obliqui e con due mani ben curate dalle unghie corte
ed arrotondate.
- Caro Bruce, -le venne da dirgli, passando con naturalezza al tu, - se vuoi
mi puoi pure parlare in italiano, anzi lo preferisco, sono nata nel nord-est
del più bel Paese del mondo, nella Carnia, presso le Alpi e vicino alle
montagne ed ai laghi delle Dolomiti. Conosci l’Italia per caso? -
Bruce sgranò gli occhi che si illuminarono improvvisamente.
- Altro che, -esclamò felice, - ho vissuto due anni in Puglia nella base
americana aeronautica di Gioia del Colle come istruttore dei vostri piloti da
guerra e come vedi me la cavo anche nella vostra lingua. E’ stato un periodo
stupendo. Avevo soltanto trenta anni e sono stato sempre un grande ammiratore
della tua Patria ed anche delle donne italiane. -
Simona ebbe un tuffo al cuore e pensò che il mondo fosse molto più piccolo di
quanto uno lo potesse immaginare.
Era arrivata in California per incontrare un americano che non solo era
simpatico ma con il quale avrebbe finalmente potuto parlare nella madre
lingua.
Era così grande la sua curiosità di conoscerlo meglio che disse continuando a
trattarlo come un vecchio amico.
- Che ne dici Bruce di cenare assieme questa sera, non hai la fede al dito e
deduco che non sei sposato, almeno in questo momento. Non mi interessa il tuo
passato amoroso e ti dico subito di essere venuta in America per vivere un
pezzo della mia vita spensieratamente.-
Bruce pensò che quella donna, avesse voglia di una qualsiasi avventura
americana e che era pronta per essere una compagna divertente oltre che
intelligente escludendo, a naso, ogni rapporto sessuale tanto si presentava,
nascondendo la propria natura, seria e piena di problemi che sicuramente
desiderava dimenticare.
Bruce non ci pensò due volte.
- OK, -disse ridendo, -ti invito a cena in un ristorante cinese non lontano
da qui, io abito in un piccolo appartamento, un monolocale, ad un paio di
chilometri da questa spiaggia. Vivo in perfetta solitudine da quando ho
divorziato da mia moglie cinque anni fa. Avevo un mucchio di soldi guadagnati
con il mio mestiere ma adesso devo arrangiarmi con la mia pensione perché
quella, per accordarmi il divorzio, mi ha succhiato il sangue. Qualche volta
faccio ancora dei lavoretti con la Boeing a Sant Louis, dove sono conosciuto,
ma sono soltanto saltuari e mi sono appena sufficienti per campare alla meno
peggio con la mia automobile, pagando le tasse e l’assicurazione. -
Simona comprese che Bruce diceva la verità.
Il suo sguardo era leale ed allo stesso tempo sereno.
- Va bene Bruce, -interloquì, -faremo, come si dice in Italia, alla “romana”,
cioè divideremo la spesa per due! -
Nel ristorante cinese, Bruce, tra un piatto di gamberetti e l’altro, tra una
trancia di pesce ed un buon bicchier di vino bianco, le raccontò tutto della
sua vita e di come fosse stato innamorato di sua moglie quasi alla follia.
Era una giamaicana molto più giovane di lui ma col tempo si era accorto che
lo sopportava a mala pena adducendo la scusa che era sempre lontano per il
lavoro.
In breve, lo tradiva ogni qualvolta egli era costretto ad assentarsi.
Quando se ne accorse litigarono di brutto e lui, senza pensaci nemmeno un
minuto, se ne andò di casa portandosi appresso unicamente quanto in quel
momento aveva addosso.
Lei chiese il divorzio per abbandono del tetto coniugale ed il suo avvocato,
che era anche uno dei suoi amanti, lo spolpò fino alle ossa.
Bruce, completamente distrutto, non fece opposizione e così concluse il suo
matrimonio.
Quando furono al dessert, Simona pensò che voleva fare qualcosa per quel uomo
che aveva avuto la forza d’animo di non abbruttirsi e che aveva speso la sua
vita per una donna falsa ed ipocrita.
Gli disse.
- Da questa sera sarai ospite nella mia villetta a Santa Monica e se faccio
ciò non è per secondi fini ma soltanto perché sono certa che sei un
bravissima persona.
- Lascerai il tuo monolocale e divideremo solo le spese del mangiare e del
bere come tra due amici. Così avrai qualche soldo in più per vestirti e per
spassartela un tantino senza bisogno di conteggiare ogni centesimo che
spendi.
Bruce vide negli occhi di quella italiana una luce insolita commista ad una
grande tenerezza, e le chiese.
- Perché fai questo per me? Non so nemmeno chi tu sia, oltre a quanto mi hai
raccontato, ma di una cosa sono sicuro che sei una donna onesta e per bene.
So anche che non mi pugnaleresti una altra volta e che sei sufficientemente
indipendente da un punto di vista economico. Di una sola cosa ti prego: non
farmi del male perché non sono più in grado di reggere ad una altra
delusione. Spero di non farti pentire di questa tua generosità e riprenderò
per questo motivo a lavorare sodo per noi due. -
Simona capì di non essersi sbagliata sul conto di Bruce, troppo limpido era
il suo sguardo, troppo franco il suo modo di parlare ed anche se non sentiva
di amarlo fu certa di avere fatta la cosa più giusta che poteva.
Bruce le comunicava quella tranquillità che aveva cercato in ogni momento
della sua vita e contemporaneamente quella solidità nei rapporti umani di cui
fino a quel momento era totalmente priva.
Simona e Bruce passarono insieme quasi due anni indimenticabili.
Non ci fu mai tra loro uno screzio oppure un diverbio e quando lei decise di
raccontargli tutto della sua vita, dei suoi uomini, di sua figlia, delle
amarezze e delusioni alle quali era andata incontro ed in un certo senso
l’avevano travolta, Bruce le fu ancora maggiormente vicino e le giurò che non
si sarebbero mai separati.
Per Bruce non aveva nessuna importanza il fatto che lei fosse più anziana di
lui e non gli importava niente che fosse tanto ricca.
Con lei vicina avrebbe vissuto anche in una Roulotte nel Middle-West oppure
in un qualsiasi altro angolo del mondo dove ugualmente sarebbero stati l’uno
per l’altra.
Simona però aveva fatto una promessa che avrebbe mantenuto ad ogni costo.
Sarebbe andata insieme a Bruce in Spagna per il diploma di Eusebia e Consuelo
e per il matrimonio di questa con Guido.
Doveva ringraziare Virginia e suo marito per quanto avevano fatto per la sua
bambina, anche se i Lopez non avevano avuto il tempo di recarsi a trovarla in
America.
Così, Simona convinse il suo compagno di seguirla a Madrid ed insieme
avrebbero fatto festa, tutti uniti, nella gioia di essere finalmente felici e
di avere realizzato i loro sogni.
Tutto era stato programmato nei minimi particolari.
Simona e Bruce avrebbero fatto un bel giro attraverso l’Europa ed in
particolare sarebbero rimasti molti mesi in Italia.
Simona avrebbe rivisto anche Raffaele con il quale era rimasta una buona
amica ed aveva mantenuto rapporti epistolari frequenti.
Insomma mancavano soltanto pochi giorni alla partenza.
Simona non avrebbe lasciato la sua villetta a Santa Monica per la quale aveva
già saldato in anticipo l’affitto per i primi cinque anni.
Bruce aveva messo in banca la cifra che avrebbe dovuto versare alla sua ex
moglie per i prossimi dieci anni con la clausola di un bonifico mensile non
anticipabile con l’aiuto di Simona che gli aveva fatto un prestito senza
interessi e che lui avrebbe rimborsato un poco alla volta con il denaro in
parte della sua pensione ed in parte con le entrate delle sue saltuarie
consulenze.
Era arrivata anche in California l’estate torrida ed umida ed in lontananza
si vedeva Los Angeles avvolta da una nebbia mista allo smog in quel inizio di
luglio, quando, alle sei di mattina del giorno prima della partenza per
Madrid, squillò il campanello.
Due bestioni, che si qualificarono come agenti speciali della F.B.I.,
chiesero a Bruce. che era andato ad aprire la porta di ingresso, di Simona.
Passarono pochi istanti quando la sua compagna avvolta da una leggera
vestaglia di seta si presentò semiaddormentata al loro cospetto.
Il più basso dei due disse in spagnolo, non prima di averla ammanettata.
- Non dica niente se non in presenza di un avvocato. Deve seguirci perché è
imputata di avere assassinato in Spagna, secondo un mandato internazionale,
più di due anni fa a Siviglia in Spagna un ballerino di Flamenco di nome
Miguel per motivi di vendetta personale o per una bruciante passione condita
di fatti di droga. -
Simona cadde sul pavimento uccisa da un infarto acuto tra il pianto di Bruce
e lo smarrimento dei due agenti, rimasti di sasso.
Bruce pianse tutte le lacrime che aveva in corpo, disperato. La sua bella
Simona era morta ed egli pensò che quanto era successo non era giusto per
quella creatura dolce e buona e senza peccati.
CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO
In un attimo, Simona raggiunse l’Infinito dell’Universo.
Non c’era nessuna anima ad attenderla, però il posto era meraviglioso. Una
bianca luce dalle sfumature azzurro rosee riempiva lo spazio.
Simona, pur sentendosi integra e perfettamente se stessa e pur vedendo le
proprie gambe e le braccia, i piedi e le mani, non aveva bisogno di muoverle
per spostarsi oppure per accarezzare tutte le immagini che le erano
appartenute durante la vita.
Poteva vedere Consuelo sia da lontano che da vicino addirittura poteva
sentire i battiti del suo cuore ed i pensieri che le attraversavano la mente,
poteva sentirla parlare e nello stesso tempo capire non solo cosa stesse
dicendo ma anche quello che avrebbe detto, leggendole il pensiero.
E non solo vedeva ed osservava il frutto del suo ventre e di Raffaele ma
qualsiasi persona o cosa desiderasse.
Simona pensò che la sua fosse una condizione di Grazia ma non riusciva a
comprendere, né dove fosse, né come avesse raggiunto questa Grazia.
Era chiaro che si trovava in un'altra dimensione ed altrettanto chiaro che
era morta.
Avvertiva uno stato di benessere totale e contemporaneamente non sentiva più
nessun bisogno fisico mentre si muoveva da un punto all’altro di quel
Universo che mai avrebbe immaginato così tranquillo e fantastico.
Soltanto il pianeta Terra nella Via Lattea le appariva il più vicino, quasi
come, se lei gli si trovasse nei pressi.
Questo non riusciva a capirlo.
Il Mondo, dove era stata durante la Vita, non la voleva lasciare andare via.
Sembrava che la forza di gravità continuasse a tenerla legata con dei fili
invisibili.
Simona riusciva a trovarsi in un attimo in un luogo e contemporaneamente in
un altro, essere vicina a Bruce ed allo stesso istante davanti a Raffaele,
penetrare nella loro mente e leggere tutto dei loro sentimenti ovvero dei
loro drammi.
Solo le emozioni proprie erano indecifrabili e come fossero svanite, pur
ricordandole, era un mistero.
Poteva pensare, capire ogni cosa, anche le più complicate ma non era
possibile decidere nulla ed avvertire gli altri della sua nuova condizione
avulsa dalla loro vita.
Simona di colpo, pure nel benessere che la colmava, ebbe la sensazione di non
contare nulla, di essere inutile, di non avere nessuna possibilità di
comunicare e ciò non riusciva a sopportare.
Era dunque questa la condizione che la Morte imponeva e non solo a lei ma a
tutte quelle fiammelle che aveva cominciato a distinguere in quel Universo
immenso.
Ed erano tante, miliardi di piccolissime luci, che si muovevano senza sosta
come impazzite in un turbinio di movimento incessante come a cercare un luogo
dove riposare.
Quello era allora il Purgatorio dei preti, ma il Paradiso dove si trovava
oppure non esisteva affatto oppure era riservato a pochissimi eletti, lontani
e non visibili?
Simona voleva saperne di più. Avrebbe provato ad interpellare quelle
fiammelle in un qualche modo ma non sarebbe rimasta in quella beata ma
tristissima solitudine.
Guardò lontano, molto lontano oltre gli orizzonti ed intuì più che vedere una
luce bianchissima sagomata come un gabbiano con le ali più grandi, talmente
estese che non se ne vedeva la fine.
Simona riuscì a raggiungere quella fonte di luce senza fare un minimo
movimento e quando si sentì quasi accecata, per la prima volta dopo la sua
morte, parlò senza nemmeno sapere in che lingua.
- Bella Luce, posso chiederti se sarà sempre così, per me? Mi sento così sola
che non potrò mai accettare di rimanere tale e se questa è la Morte ed il
Purgatorio, preferirei essere totalmente annientata e sparire per sempre. Non
posso comunicare con nessuno, non riesco ad articolare i miei pensieri. Ti
chiedo se questa è la punizione che merito dopo una vita non certamente
serena, colma di angosce e di paure, piena di fatti che mi hanno fatto tanto
soffrire ed i ingiustizie?-
- Fammi una grazia, te ne prego! Permettimi di esprimere quello che sento in
modo che io sia di insegnamento per tutti gli uomini e le donne. Allora sì
che la mia Morte avrà un significato poiché altrimenti sarebbe stato meglio
non nascere.-
Infinitamente potente la Figura abbagliante lentamente prese forma
comprendibile. Si trattava di un elegante ed enorme Angelo con due ali
immense.
Simona ne rimase abbagliata e contemporaneamente udì una voce dolce ed
imperiosa.
- Mia cara anima purtroppo non potrai mai trasmettere le tue sensazioni a
nessuno, ma questa è la Legge.-
- Questo è il Purgatorio e dovranno passare tantissimi anni prima che tu
possa trasformarti in un Angelo come me.-
- Però, quando tutto sarà tornato al Creatore, esisterà soltanto il Paradiso
dove tutto è diverso e talmente bello che non puoi nemmeno immaginare.-
- Non esiste nessuna possibile scorciatoia almeno che tu non voglia parlare
con il Demonio che ha la possibilità di farti rinascere sulla Terra ma non
come tu vuoi. Cosa diverrai, lo decide soltanto Lui. -
- C’è un'unica possibilità di tornare ad essere la Simona che tu sei stata e
di vivere ancora fino ad una morte, per consunzione, se venderai la tua anima
al Diavolo.-
Simona, che riusciva allo stesso tempo ad esprimersi ed ad udire l’Arcangelo
ed ugualmente vedere e sentire anche i sospiri dei suoi cari
contemporaneamente, tutti indifesi, tutte povere anime che vivevano e
lottavano per quelle povere cose che credevano poter avere un grande
significato sulla terra, quasi fossero importanti ed essenziali per
l’esistenza terrena, capì che il dilemma propostole da quello stupendo Angelo
aveva un profondo significato etico.
Cosa poteva significare rivivere la vita terrena per qualche attimo ancora
solo per un egoistico sentimento di continuare a rimanere vicina a sua figlia
ed alla sua figlioccia Eusebia oppure prendere tra le braccia qualche
nipotino che certamente Consuelo avrebbe avuto dal matrimonio con Giulio
oppure accarezzare di nuovo il suo Bruce oppure Raffaele se questo avesse
comportato un patto con il Demonio?
Ciò significava la rinuncia ad una beatitudine eterna ma non soltanto per lei
quanto per quelle stesse persone che ancora avrebbe saputo proteggere e che
sarebbero scomparse per sempre.
Anche gli anni per i suoi cari sarebbero volati in un attimo ed anche per
loro sarebbe arrivata la Morte che sì allora li avrebbe divisi per l’eternità
senza possibilità di appello.
Essi, inizialmente Angeli senza ali, lei invece senza più un’anima, finita
nelle mani del Diavolo che avrebbe fatto del suo spirito qualsiasi cosa gli
fosse andata a genio!
Simona vedeva perfettamente, ora, in quella nuova dimensione, sia l’amore che
le sgorgava dentro per tutti gli uomini e le donne che popolavano il globo
terrestre, sia la vacuità del proprio egoismo e della propria
sopravalutazione di essere indispensabile nella e per la loro vita.
Mai, come in quel nuovo Sistema perfetto, le era chiaro che nessun “umano”
fosse indispensabile e che tutte le persone della Terra avrebbero dovuto
capire questo concetto.
Il suo compito adesso sarebbe stato di pregare per loro per fare comprendere,
senza comunicare se non con una vibrazione metafisica, quanto avesse voluto
dire se ne avesse avuto la possibilità.
Così avrebbe fatto, continuando a disperarsi per coloro che aveva gioco forza
abbandonato, perché in quel modo avrebbe espiato i propri piccoli peccati in
Purgatorio.
Simona escogitò un modo per rivedere la sua stupenda Consuelo e per farsi
sentire una altra volta da sua figlia e questo avvenne mentre Consuelo era
piombata in un sonno agitato e sotto l’azione di ansiolitici, somministratile
da Virginia alla notizia che Simona era rimasta uccisa da un attacco di cuore
a Santa Monica.
In quel sogno Simona apparve alla sua figliola avvolta da una veste lunga e
candida.
Le disse.
- Amore mio, non essere triste.-
- Piccola mia, pensa che la tua mamma ti sarà sempre accanto e non ti
abbandonerà mai ed anche se non udirai la mia voce e non sentirai la mia
presenza, io sarò vicina alla mia Consuelo in tutti i tuoi momenti di
felicità oppure di ansia o di dolori e non ci sarà bisogno che tu mi
supplichi poiché ti sarò sempre vicina, di giorno e di notte, quando ti
sposerai e partorirai e quando diventerai la più bella e la migliore
danzatrice di Flamenco del mondo. Quando sarai donna capirai perché me ne
sono andata in America. E’ stato per cercare la serenità che ho trovato in
Bruce ed anzi vorrei che tu lo trattassi come un secondo padre. Ho vissuto
due anni felici per merito suo. E’ stato un uomo eccezionale, buono e pulito
come mai mi era capitato di incontrare. -
Simona vide Consuelo svegliarsi di soprassalto e mettersi in ginocchio sul
letto. Il volto era rigato di lacrime che silenziosamente le scorrevano dagli
occhi.
Quanto sarebbe stato bello poterle asciugare quel pianto con mille baci!
Poterle dire che non era che lei le mancasse soltanto ma addirittura che era
stata sul punto di patteggiare col Demonio la propria anima per poterla
aiutare a crescere ancora, per un po’ di anni.
Ora doveva riconoscere in Virginia la sua genitrice, confidarsi con lei,
volerle bene ed onorarla per sempre.
Così, di volta in volta, Simona faceva capolino nei sogni non solo di
Consuelo ma anche di Eusebia tanto che le due amiche spesso si confidavano
fra loro e si raccontavano tutte le frasi che indelebilmente rimanevano
stampate nelle loro menti.
In un certo senso Simona riusciva ad essere presente nel cuore e nelle anime
di quelle due creature che sulla Terra aveva amato maggiormente pur non
potendo immaginare che Eusebia, per questo motivo, avrebbe deciso
improvvisamente di espiare la colpa dell’uccisione di Miguel entrando in un
convento di clausura.
E furono le preghiere di Eusebia quelle che abbreviarono la sua permanenza in
Purgatorio.
Prima di molte altre anime, Simona raggiunse gli Arcangeli dalle immense ali,
un gradino più in basso del Paradiso godendo finalmente della Pace eterna.
La beatitudine di Simona fu tale da stornarle i legami terreni, continuando
allo stesso tempo ad amare tutte le creature, nessuna esclusa.