ARMANDO ASCATIGNO

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ANGELI SENZA ALI (Romanzo)

ANGELI SENZA ALI
(C) 2001 ARMANDO ASCATIGNO
TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Questa è un’opera di fantasia.
Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.
Tutti i diritti sono riservati.




PARTE PRIMA


CAPITOLO PRIMO


Simona camminava con passo svelto sotto la pioggia che era cominciata a scendere violenta dal cielo coperto di cumuli nembi.
La donna era uscita di casa, sopra il bosco, da poco e si era coperta di un’ impermeabile verde scuro pensando che probabilmente quelle prime gocce d’acqua sarebbero state l’avanguardia di un vero e proprio nubifragio.
Si era coperta la testa con un cappuccio di foggia marinaresca che aveva trovato nell’armadio della sua camera da letto, buttato in un angolo e che odiava con tutto il cuore, dal momento che non sarebbe stata la prima volta che quello le avrebbe rovinato i capelli cui teneva più del viso, niente male per una trentottenne.
Sembrava un vera cattiveria ed un dispetto che il tempo le faceva ogni qual volta aveva i capelli in ordine e la sua bella chioma corvina splendeva e riluceva della crema che la faceva ancora più nera e seducente, mettendo maggiormente in risalto gli occhi verdi con sfumature bluastre grandi ed assai espressivi.
Non poteva mancare all’appuntamento col medico che, dietro le sue insistenze, aveva fissato per le diciotto nello studio del paese a due chilometri dalla sua villetta.
Simona era una donna semplice, un po’ vanitosa ma molto carina per quel corpo che tutte le coetanee le invidiavano.
Non sapeva guidare l’automobile nuova un grosso fuoristrada adatto a quel posto delle Alpi Carniche, che teneva, nel box della villetta a disposizione di suo marito, un ricco macellaio del posto che andava in giro con una media cilindrata a gasolio.
Simona pensò che sarebbe stato meglio attraversare il bosco, così comodo per prendere una scorciatoia che conosceva da quando era bambina e pur sapendo che mai bisognava stare vicina agli alberi in caso di temporali, non sentendo tuoni né vedendo fulmini o saette, non cambiò idea e si mise quasi a correre lungo il percorso.
Il cielo non si era ancora oscurato per la notte e nella penombra tra gli alti abeti, a mezzo chilometro dalla fine del bosco, Simona sentì la presenza di una persona che la seguiva da presso.
Un senso di disagio e di paura la prese quando quella figura indistinta la spinse a terra e senza proferire alcuna parola la prese per la gola e le fece perdere i sensi.


IL dottor Giacomo Bini sbirciò l’orologio da polso nervosamente.
L’ ultima cliente era uscita da circa dieci minuti e Simona non era ancora arrivata.
L’orologio segnava le diciotto e trenta.
Il dottor Bini pensò che era molto strano il fatto che Simona non fosse già lì, era sempre molto puntuale e poi lei aveva molto insistito per essere visitata in quel tardo pomeriggio.
Gli aveva detto che si trattava di cosa assai urgente e che era ansiosa per la diagnosi che le avrebbe fatto.
Il medico pensò alle altre tre visite domiciliari che avrebbe dovuto effettuare prima di tornare a casa.
Aveva promesso alla moglie che sarebbero andati a cena fuori in un grazioso ristorante, appena inaugurato, dalle parti del lago che si trovava a venti chilometri dal grosso paese dove viveva ed esercitava.
Bini era un uomo sui quaranta anni, biondiccio, di statura media, di corporatura atletica e con un volto simpatico sempre sorridente.
Era nato ad Udine ed appena specializzatosi in Medina Interna, aveva pensato di sposarsi con la sua fidanzata di sempre, la biondissima Marcella figlia di un noto ginecologo della più famosa città del Friuli e di esercitare la propria professione nei vari paesi della Carnia con due studi, uno dei quali a Tolmezzo dove stava aspettando in quel momento Simona.
Il medico, sbuffando, cercò nella sua rubrica telefonica il numero di Simona e decise all’istante di telefonarle per sapere se la donna avesse avuto dei contrattempi.
Dopo qualche squillo sentì, dall’altro capo del filo, sollevarsi il ricevitore e subito dopo il classico rumore di chi interrompe la telefonata senza proferire nemmeno una parola di risposta alla domanda “ parlo con la signora Simona?”.
Giacomo Bini rimase molto male dopo quel silenzio e subito dopo riflettette sugli strani comportamenti della gente talvolta, sebbene raramente, incredibilmente maleducata.
Ebbe un attimo di esitazione, quindi brontolando tra se e se, decise di uscire dallo studio e di andare di corsa a fare le sue visite domiciliari.
Erano le diciotto e cinquanta.


Il dottor Bini arrivò a casa alle venti e cinquanta in punto.
- Giacomo, - gli disse la moglie appena lo vide, - è più di un’ora che sta telefonando un certo Mancini in continuazione. MI sta martellando per sapere, da me che non c’entro niente, se tu hai visto sua moglie che si chiamerebbe Simona. Gli ho detto solo e semplicemente di telefonare verso le nove, quindi aspettati una telefonata a momenti. -
Il medico rimase stupito per quanto Marcella gli aveva raccontato e rispose alla moglie, elegantissima in un completo di lana amaranto che metteva in maggiore evidenza la sua chioma biondissima, dandole un bacio di buona sera.
- Simona è la moglie del signor Mancini ed è una mia affezionata cliente. Avevo un appuntamento con lei alle sei in punto questo pomeriggio ma non si è vista tanto che mi sono arrabbiato parecchio ed ho telefonato a casa Mancini prima di uscire dallo studio per le visite domiciliari. Quella cretina non solo non è venuta da me ma non mi ha nemmeno avvisato del contrattempo.
Prima di andarmene ho pure telefonato a casa sua per sapere se dovevo annullare l’appuntamento e meraviglia delle meraviglie ho sentito alzare il ricevitore ed immediatamente chiuderlo senza avere nessuna risposta. -
- Non so proprio che cosa possa volere suo marito da me. Sono stato più che gentile aspettandola per quasi mezzora ma poi me ne sono andato di corsa. Oltre alle visite domiciliari, sai bene che dobbiamo andare a cena fuori ed anzi siamo già in ritardo. -
- Adesso usciamo e che il marito vada lui a cercarsi sua moglie. A questo punto mi sono seccato. -


Giacomo e Marcella stavano uscendo di casa alle ventuno e dieci quando squillò il telefono.
Il dottor Bini stava per non rispondere. Ma un attimo dopo, scusandosi con la moglie e preso da un momento di correttezza professionale, alzò la cornetta ed esclamò con voce seccata.
- Che diavolo vuole a quest’ora, signore? -.
- Mi scusi signor dottore. Sono il signor Mancini e sono molto preoccupato per mia moglie, volevo sapere se lei avesse visto Simona, oggi pomeriggio, sapevo che sarebbe venuta da lei per una visita. -
Il signor Mancini prese fiato e continuò tutto d’un fiato.
- Dottore non so che pensare, mia moglie è sparita e nessuno la ha vista. Ho paura che le sia capitato qualcosa. Ho fatto un giro di telefonate a tutti i parenti ed amici ma nessuno la ha né vista né incontrata. -
Giacomo pensò un attimo poi sbrigativamente affermò.
- Per quanto mi riguarda io non la ho vista, anzi sono rimasto oltre l’orario dell’appuntamento ad aspettarla inutilmente. -
Giacomo osservò la moglie che sbuffava sull’uscio di casa e pensando che la spiegazione fosse molto più semplice di quanto quell’uomo sospettasse, cercò di tranquillizzarlo e soltanto all’ultimo gli prospettò di recarsi dai carabinieri e di denunciare il fatto.
Infine lo pregò di dargli notizie fresche allo studio l’indomani, dove si sarebbe recato alle quindici.
La serata, sebbene in ritardo rispetto al programma, passò per i due coniugi piacevolmente tra un piatto e l’altro e nessuno dei due pensò più a Simona Mancini.


La notte era fonda e non scrosciava più quando Simona riprese i sensi.
Era buio pesto tutto intorno ed un insopportabile tanfo riempiva quel posto rendendo l’aria irrespirabile.
A tastoni la signora Mancini riuscì a capire che si trovava in una stalla ed i belati le fecero capire che quella era piena di pecore.
Era legata saldamente ad una branda e poteva muovere soltanto gli avambracci e la testa.
Non era bendata ma ugualmente non era in grado di vedere nulla attorno alla sua persona a parte una piccola finestra sulla destra sbarrata da una rete di ferro che faceva filtrare un minimo di ombre dall’esterno.
Qualcuno l’aveva spogliata nuda e poi coperta con dei sacchi asciutti fino alla gola, insomma era come se fosse un salame legato pur essendo libera di muoversi con il capo e le mani.
Simona sentì la necessità urgente di orinare ed a quel punto cominciò ad urlare.
- Cosa volete farmi farabutti, io non sono una puttana né una bestia come mi sembra vogliate trattarmi. Non ho mai fatto del male a nessuno, delinquenti e se mi liberate fareste soltanto del bene a voi stessi. -
- Adesso mi piscio addosso, schifosi individui! -
Simona tese le orecchie ma non udì nessun rumore che le facesse capire se qualcuno si trovasse nei paraggi.
Disperata fece la pipì e poi cominciò a piangere, senza alcun ritegno, lacrime salate ed amare fra i singhiozzi che le scuotevano il petto.
Quando, dopo un paio d’ore smise di agitarsi e di piangere cadde in un sonno pieno di incubi e di mostri che la volevano violentare.
L’alba venne improvvisamente e con essa entrarono nella stalla, svegliandola completamente, tre individui incappucciati in una maschera che lasciava intravedere soltanto i loro gelidi occhi.
Il più alto dei tre si avvicinò alla branda e disse.
- Resterai qui nelle nostre mani fino a quando tuo marito, quel porco, non avrà pagato il debito che ci deve con tutti gli interessi arretrati. Forse non sai, piccola capra, chi è tuo marito ma noi lo conosciamo bene e sarebbe il caso che al minimo pagasse per la tua liberazione un milione di euro. Non esiste maiale più sporco e più disgustoso di lui, ma noi non ti diremo altro e se proprio lo vorrai sapere glielo dovrai chiedere tu se un giorno ti lasceremo andare. Adesso berrai del latte e mangerai del pane. Le mani le puoi muovere e quindi ascolta i nostri consigli senza discutere. -
Quello di statura media, prese una bottiglia di latte e la pose assieme ad una mezza forma di pane casereccio su un tavolino basso della stessa altezza della branda.
Quindi in dialetto, sicuramente della zona di Belluno, disse.
- Magna, mona, se no te crepi. -
Un minuto dopo i tre energumeni uscirono fuori dalla stalla assieme a tutte le pecore e chiusero con chiavistelli il grande portone di legno della stalla.
Per alcuni minuti, Simona sentì di fuori l’abbaiare di diversi cani ed il belare delle pecore poi più niente e pensò che per lo meno non era stata ammazzata.
Mangiò il pane e bevve parecchio latte riflettendo che era meglio nutrirsi in qualche modo per non perdere le forze e non potè fare a meno di pensare a Mario.
Non era possibile che suo marito si fosse cacciato in guai così grossi da spingere quella banda a sequestrarla per farlo pagare una cifra tanto elevata.
Mario non possedeva nemmeno lontanamente un milione di euro. Se ricordava bene, l’ultima volta che si era recata in Banca si era fatta fare l’estratto conto che avevano in comune ed aveva visto che la cifra del saldo arrivava appena a centomila euro.
Almeno che suo marito non avesse altri depositi bancari o postali di cui ignorava l’esistenza non avrebbe avuto nessuna possibilità di pagare quella somma enorme e che se anche avesse ipotecato la loro villa, il negozio ed anche venduto l’unico capitale di valore in suo possesso cioè la mandria di bovini, che egli stesso macellava, sarebbe arrivato appena a poco più della metà di quanto gli avessero richiesto.
Simona pensò che avrebbe dovuto fare qualcosa per scoprire cosa ci fosse sotto quel assurdo rapimento e che intanto avrebbe fatto finta di collaborare con i suoi rapitori.








CAPITOLO SECONDO






Mario Mancini rimase con la testa fra le mani per più di mezzora dopo aver parlato con il medico al telefono.
Amava Simona e mai avrebbe immaginato che il suo agire avesse potuto essere motivo di pericolo per sua moglie.
Quando aveva riattaccato il ricevitore, sentendo la voce di un uomo un paio d’ore prima che chiedeva “parlo con la signora Simona”, non aveva nemmeno lontanamente pensato che quello fosse il dottor Bini preoccupato di non avere visto Simona per la visita prenotata.
Mario non aveva risposto proprio perché aveva avuto timore di essere stato contattato dal gruppo dei ricattatori con i quali aveva un conto aperto da molto tempo ma che mai fino allora si erano permessi di chiamarlo a casa.
Egli si era completamente sbagliato riguardo la telefonata ma, in quei momenti, non riusciva a cacciarsi fuori dalla testa che la sparizione di Simona avesse a che fare, in qualche modo, con quelle sanguisughe.
Il dottor Bini gli aveva detto che se non avesse avuto notizie della moglie avrebbe dovuto rivolgersi ai carabinieri.
Quella era soltanto un’utopia.
Come poteva raccontare alla “Benemerita” quel segreto che si portava appresso da anni quando si era preso una sbandata per quella donna di Forni di Sotto, la moglie del più grosso imprenditore della regione che, con la sua libidine e seduzione tipica di una femmina tutto fuoco, era diventata la sua amante fissa per tanto interminabile tempo senza che nessuno l’avesse mai sospettato?
L’estorsione era iniziata da un anno e mezzo ed ancora non riusciva a comprendere chi avesse filmato in una video cassetta i rapporti erotici che egli e Susanna avevano compiuto, almeno tre volte la settimana, in quella Pensione di Pieve di Cadore, dove si vedevano nella massima tranquillità.
Soltanto il padrone della Pensione poteva essere sospettato ma quello era il suo più caro amico e non era possibile che gli avesse tirato un tiro simile anche perché Mario Mancini conosceva ed avrebbe potuto documentare alcuni segreti alla Finanza ben più gravi dei propri giochi sessuali.
Nei primi contatti con quei maledetti, che gli avevano spedito in macelleria una copia della cassetta, aveva pensato che la cosa sarebbe finita semplicemente con il pagamento di diecimila euro ed aveva prospettato a quelli che avrebbe chiuso con altri quarantamila euro nel momento che avesse avuto in mano la cassetta originale.
Non era così schematica la situazione. Troppo succose apparivano le varie immagini che possedevano di lui e della rossa Susanna e pure molteplici le pose che avevano filmato, veramente da film a luci rosse e pornografici, perché quelli potessero mollare la presa ed accontentarsi di un totale di cinquantamila euro quando avrebbero potuto mungerlo in eterno.
Mario avrebbe potuto fare due cose quando si era accorto in che mani fosse capitato.
Avrebbe potuto recarsi subito dai carabinieri a denunciare il fatto, ma questo modo di agire avrebbe scatenato uno scandalo cui non sarebbe sfuggita Simona e nemmeno Susanna, con grosse implicazioni sul suo lavoro qualora anche il marito di Susanna avesse conosciuto di essere stato cornificato oltre che dalla moglie anche da Mario Mancini.
L’alternativa poteva essere di informare soltanto Simona che avrebbe reagito in modo non prevedibile fino alla rottura del loro matrimonio.
Simona era già sofferente di depressione e questo era il motivo per cui si recava spesso dal dottor Bini e conseguentemente avrebbe potuto anche compiere qualche atto inconsulto.
Mario aveva pensato che infine si sarebbe trovata una via di uscita e quindi aveva continuato a pagare fino a quando non si trovò in un vicolo cieco, avendo esaurito tutto il denaro liquido in suo possesso.
Da quel momento, non pagando che piccole somme, era stato avvisato che era entrato in mora e che sarebbe scattato un tasso usuraio per le cifre mancanti.
In breve era arrivato a dover pagare oltre trecentomila euro per saldare il conto ed ogni mese di ritardo comportava un aumento di altre centomila euro di interessi.
A quel punto Mario aveva pensato di non tirare più fuori nemmeno un euro e si aspettava una reazione violenta della banda contro se stesso ma mai contro Simona.


L’indomani di pomeriggio, il dottor Bini, non avendo ricevuto nessuna comunicazione da parte del signor Mancini riguardo alla moglie né una eventuale visita di Simona al suo studio, pensò che quella fosse ritornata a casa e che da grande maleducata non gli avesse nemmeno telefonato per scusarsi.
L’unica preoccupazione del medico era soltanto quella riguardante la salute della sua paziente alla quale aveva intenzione di modificare la terapia.
Fino a quel momento, forse aveva avuto la mano troppo leggera nel prescriverle la cura per quell’ansia depressiva ma in tutta onestà, riflettendoci sopra in un momento di pausa del suo lavoro, decise che la prossima volta che l’avesse rivista le avrebbe prescritto dei farmaci molto più adatti per la depressione che per l’ansia.
Simona aveva cominciato a sentirsi male già da un paio di anni in coincidenza della morte del suo cane lupo che amava come un figlio ma, passando il tempo, i primi sintomi erano virati dalla nevrosi iniziale ad una forma psicotica dove la non stima di se stessa era divenuto il centro del problema.
Tante volte Simona gli aveva confessato che lei sarebbe guarita senza assumere nessun farmaco se i rapporti con il marito fossero tornati ad essere quelli passati riferendosi in particolare al fatto che quello la trascurava soprattutto da un punto di vista sessuale.
Simona si era convinta che egli non la desiderasse più, tanto che i loro momenti d’amore si erano ridotti al lumicino.
Gli aveva confidato che Mario non le faceva mancare nulla e che era ugualmente premuroso con lei.
Aveva anche detto che si sentiva brutta e che se anche ancora giovane non riusciva più a suscitare in lui quella scintilla che fa bello un matrimonio.
Il dottor Bini l’aveva tranquillizzata in parte su un punto : non era assolutamente possibile che lei credesse di essere brutta ed insignificante perché tutti le avrebbero ancora fatto la corte e molto probabilmente avrebbero fatto carte false per starle vicino ed aveva ipotizzato che forse era invece suo marito colui che potesse presentare dei problemi medici, in pratica una caduta della sua potenza sessuale.
Simona aveva avuto, dopo quelle parole, una notevole ripresa dell’umore ma non si era del tutto convinta.
Per il dottor Bini, Simona era rimasta una paziente da seguire attentamente e da non trascurare assolutamente per nessun motivo.


Più o meno verso le sei di pomeriggio Simona aguzzò la vista vedendo ricomparire, da un’altra porticina della stalla dove era prigioniera. uno dei tre che aveva visto al mattino con in mano del formaggio, dell’acqua e del pane.
Era quello che al mattino non aveva parlato, un giovanotto di meno di trenta anni che appena entrato si era rivolto con inaspettata gentilezza a Simona.
- Signora capisco che per lei questa avventura deve essere un vero calvario ma abbia un po’ di pazienza e vedrà che tutto si metterà in ordine. -
Nel dirle queste parole aveva posato il cibo e l’acqua sul tavolino accanto alla branda ed aveva aggiunto.
-Adesso le levo queste corde ma lei mi deve promettere di non fare nessun colpo di testa. Là in fondo c’è un rubinetto, lo apra e sia dia una lavata ; le ho portato una specie di vestaglia di lana, approfitti della mia debolezza perché non posso sopportare di vedere una bella donna come lei nel luridume. -
- Dopo che si sarà pulita, sulla vestaglia le metterò dei sacchi come quelli che indossa ma nuovi e le farò dei nodi con questa corda molto meno stretti di quelli di adesso in modo che gli altri non si accorgeranno di nulla. -
Simona era rimasta stupita.
Il giovane prese un coltello molto tagliente e la liberò mentre contemporaneamente disse.
- Faccia pure, prima, i suoi bisogni lì in fondo. Io rimarrò dall’altra parte della stalla ed ogni giorno a quest’ora tornerò per portale il mangiare e per farle fare una bella lavata. -
A quel punto Simona fece un piccolo sorriso.
- Giovanotto, ti prometto che non dirò mai a nessuno che tu mi hai dato una mano ed io te ne sono grata e spero che un giorno ti ricambierò in qualche maniera e farò in modo di non farti pentire di questa buone azioni. -
Il giovane si voltò dalla parte opposta del rubinetto ponendosi il più lontano possibile dalla donna, aggiustò la branda ed armeggiò sulla paglia mettendone una notevole quantità pulita.
A Simona non parve vero potersi lavare ed indossare quella vestaglia pulita.
Prima, aveva fatto pipì in un angolo e defecato poi, si sedette sulla branda e mangiando, volle conoscere un pochino più a fondo quell’uomo.
- Dimmi, come mai tu sei così diverso dagli altri anche se non mi hai fatto vedere la tua faccia? -
- Se puoi dirmi qualcosa di questo rapimento, se vuoi darmi un sostegno per lo meno psicologico, raccontami il motivo fondamentale per cui mio marito viene considerato un porco da quelli della tua combriccola? -
- Simona, - dichiarò l’uomo gentile col cappuccio, - non so se posso darti del tu ma facciamo finta che tu accetti la mia proposta.
Vorrei darti del tu perché sarebbe più facile per me dirti certe cose che probabilmente sarebbe meglio che tu non sapessi. Però a questo punto, visto che me lo hai chiesto ti dirò i fatti e come tuo marito è rimasto invischiato in questo pasticcio. -
- Devi sapere che Mario ti ha tradito per anni con la moglie del maggior commerciante ed imprenditore della Carnia di nome Susanna e che, dei suoi numerosissimi incontri, la mia banda possiede un sacco di video e per questo motivo viene ricattato già da un sacco di tempo Adesso, anzi da parecchio tempo, non vuole più pagare e così il mio capo ha deciso di fargliela pagare cara con il tuo rapimento in alternativa al milione di euro che ha fissato come base del riscatto. -
Simona rimase attonita a quelle notizia e piena di rabbia verso suo marito urlò.
- Potevate ammazzarlo invece di mettermi in mezzo alle sue porcherie! Giuro che se ne uscirò viva dovrà fare i conti con me che per colpa sua mi sono ammalata. -








CAPITOLO TERZO






Mario Mancini decise di non denunciare la scomparsa di Simona ma questa sua presa di posizione presentava grossi problemi di attuazione sia per i conoscenti del paese dove ognuno conosceva ciascuno ed in pratica sapeva vita, morte e miracoli dei compaesani sia per lo stesso Mario che non riusciva più nemmeno a dormire per la preoccupazione della sorte di Simona che in ogni caso amava e per il pericolo che i carabinieri potessero mettersi in allarme per qualche soffiata.
Due giorni dopo, nel negozio di macelleria dove era andato come al solito a lavorare, ricevette una telefonata breve ma molto chiara e precisa.
- Prepara un milione di euro in biglietti da venti se vuoi rivedere viva tua moglie, pezzo di stronzo e ricordati che non scherziamo. Tra qualche giorno ti contatteremo noi e non farci perdere la pazienza. -
Mario si aspettava la telefonata ma mai una richiesta simile. Mai avrebbe potuto racimolare una simile somma e forse nemmeno la metà di quella.
Fu sul punto di rivolgersi al capitano dei carabinieri che conosceva personalmente ma subito dopo pensò che prima avrebbe voluto sapere se quelli erano disposti ad abbassare la richiesta e quindi avrebbe atteso la successiva telefonata mentre nel frattempo avrebbe fatto un po’ di conti.
Nei giorni successivi, Mario si mise a tavolino e considerando tutti i beni che possedeva compresa la villetta sui quali poteva chiedere alle banche delle ipoteche, più la vendita del super fuoristrada praticamente nuovo, sarebbe riuscito a mettere insieme non più di quattrocentomila euro e quella era la cifra che avrebbe pagato per la liberazione di Simona e per chiudere per sempre l’avventura con Susanna con la restituzione di tutte le cassette video in possesso della banda.
Mario pensò cosa avrebbe potuto fare se non si fosse messo d’accordo.ma a questa domanda non era in grado di rispondere.
Il mattino successivo avvisò in macelleria che non l’avrebbero visto quel giorno in quanto aveva da fare alcune cose molto urgenti e così trovo il tempo per consultare il Direttore della sua Banca ad Udine che conosceva da moltissimi anni e che sapeva bene quanto valessero i suoi beni.
Dopo tre ore di discussioni si misero d’accordo sulla cifra di quattrocentodiecimila euro che la Banca, previa ipoteca totale su ogni sua proprietà, gli avrebbe dato eccezionalmente essendo egli un ottimo cliente.
Il Direttore non volle conoscere il motivo della necessità del signor Mancini di disporre di una così alta cifra in contanti e per di più in biglietti di piccolo taglio ma volle mettere subito nero su bianco chiamando in Banca il suo notaio di fiducia.
Verso mezzo giorno e mezzo arrivò il notaio che stese il contratto tra Mancini e la Banca.
L’indomani si sarebbero riveduti con tutti i documenti in mano ed a Mancini sarebbero stati consegnato il denaro pattuito in biglietti di piccolo taglio.
Quella notte Mario riuscì a riposare abbastanza tranquillamente, aveva fatto quanto poteva per la liberazione di sua moglie.


La prigionia di Simona fu la migliore cura per la sua depressione e l’aiuto era avvenuto inaspettatamente da un uomo di quella banda di delinquenti di cui era ostaggio, una persona fondamentalmente civile e di animo buono come si era dimostrato trattandola come un essere umano e non alla stregua di una bestia.
Dandole appuntamento per il giorno successivo le avevo detto il suo nome.
Aveva detto di chiamarsi Raffaele, di avere trentatre anni, di essere toscano di origine e di essersi trovato tra quelle persone che praticavano le estorsioni con metodi violenti, solo per potere guadagnare quel tanto di denaro che gli avrebbe permesso, un giorno, di aprire nella sua Toscana una piccola trattoria.
Le aveva confidato di avere il Diploma di ragioniere e che il suo hobby preferito era proprio quello di cucinare.
Nell’attesa di rivederlo, Simona aveva pianificato quello che avrebbe fatto nelle giornate successive.
A parte il fatto di aver saputo in maniera inequivocabile che lei era stata tradita vergognosamente da colui che aveva sposato e mai, nemmeno nei sogni, cornificato, si era resa conto che Mario era stato la causa di quella patologia depressiva ansiosa inutilmente combattuta con tutti i farmaci ingurgitati negli ultimi anni.
Mario non la voleva solo perché era esausto di sesso, altro che per il suo fisico!
Simona si sentiva come rigenerata dopo le dichiarazioni di Raffaele : come l’aveva amato ora lo odiava con tutte le sue forze ed avrebbe pagato tutto il male che le aveva fatto.
Nel cervello si susseguivano idee chiare e precise.
Con l’aiuto di Raffaele lo avrebbe ridotto sul lastrico e gli avrebbe reso pan per focaccia in fatto di corna.
Sapeva adesso che valeva ancora molto come donna e per convincersi di ciò le era bastato osservare gli sguardi che Raffaele le aveva lanciato di sfuggita quando si era denudata per lavarsi.
Il piano per vendicarsi stava prendendo forma nella mente di Simona dettagliatamente e nella notte, in quella stalla di pecore, divenne così chiaro anche nei particolari che a Simona parve di averlo già realizzato.
Avrebbe sedotto Raffaele con tutte le arti amatorie possibili, lo avrebbe trascinato dalla sua parte ed egli sarebbe divenuto il tramite della sua liberazione attraverso una fuga in qualche posto lontano dove Mario non l’avrebbe più trovata.
Prima però doveva convincere Raffaele di fregare i compagni incassando lui stesso il riscatto che, secondo i suoi calcoli, non doveva superare i quattrocentomila euro.
Mario li avrebbe potuti racimolare ipotecando tutto e di questo ne era sicura ed allo stesso tempo avrebbe dovuto lavorare tutta la vita per pagare le ipoteche.
Di quello che gli sarebbe capitato non le importava niente ed anzi sperava che il resto della banda si sarebbe vendicato contro di lui, magari pestandolo a sangue, quando avrebbe confessato di non avere più nemmeno un euro in tasca.


Raffaele si presentò puntualmente il mattino seguente nella baita.
Simona fece finta di dormire profondamente e così Raffaele le si avvicinò con cautela e cercando di fare meno rumore possibile, le toccò delicatamente i bei capelli arruffati, accarezzandoli con la massima tenerezza di cui poteva disporre.
Fu a quel punto che Simona emise un profondo sospiro ed aprì gli occhi, facendo un sobbalzo con il capo e spalancandoli.
- Meno male che sei arrivato tu, Raffaele, - mormorò con un filo di voce, - mi sento sporca e mi vergogno di farmi vedere in questo modo da te che in fondo mi sembri una persona civile. Ti ringrazio per il cibo che mi porti ma prima, ti prego, fammi lavare tutta e francamente a questo punto non mi importa niente che tu mi veda come mamma mi ha fatta. -
Raffaele si levò il cappuccio e disse.
- Simona io non so come dirtelo ma devo confessarmi con te. -
- Come hai visto ti faccio vedere il mio volto perché sono sicuro che tu non mi tradirai mai e se affermo queste cose è chè sono sicuro che tra me e te si è stabilito un filling amichevole o forse anche qualcosa di più. Tu hai capito che io sono un giovane in fondo onesto e di cui puoi fidarti tanto che, se potessi farlo, ti farei fuggire subito dal momento che non sopporto di vederti così, una signora tanto bella e nello stesso tempo tanto sensibile ridotta in una condizione fisica e psicologica veramente barbarica. -
Simona guardò il viso di Raffaele e mentre questo la liberava dai nodi che sebbene non troppo stretti le facevano un gran male, si meravigliò che Raffaele fosse un uomo con occhi tanto dolci ed un viso assolutamente regolare, con un bel naso e sopratutto con una bocca perfettamente disegnata dalle labbra un tantino carnose sempre atteggiate in un sorriso così spontaneo e delicato che mai avrebbe potuto immaginare in un tipo che, per farsi dei soldi per una semplice trattoria, aveva potuto mettersi in un guaio così grosso da rischiare un eventuale ergastolo.
Simona riflettette su Raffaele, era senza dubbio un sempliciotto e lei sarebbe stata in grado di portarlo dalla sua parte senza dubbio.
Doveva decidere come si sarebbe comportata dopo essersi pulita ed era ancora in dubbio se permettergli di avere con lei un vero rapporto sessuale o se fosse stato meglio attizzarlo per bene senza concedersi completamente.
Così, una volta denudata, gli si avvicinò a pochi centimetri e gli disse.
- Raffaele, adesso mi faccio bella e questa volta anche per te. -
- Lascia che decida io su come comportarmi dopo tanto tempo di astinenza sessuale. Mi sono ammalata per colpa di mio marito e sono ancora molto depressa per quello che ho saputo da te sulle corna che quell’ infame mi ha propinato riguardo alla sua relazione con quella donna o se preferisci con quella cagna di Susanna! -
Simona guardò negli occhi il suo carceriere e li vide brillare di cupidigia.
Lentamente riuscì a lavarsi dalla testa ai piedi e dopo essersi asciugata con un asciugamano pulito, che Raffaele aveva portato con se, coperta soltanto da quello si gettò tra le braccia dell’uomo che cominciò a baciarla appassionatamente prima sulla bocca poi in ogni angolo del corpo.
Sia Raffaele che Simona erano super eccitati quando sentirono tutti e due all’improvviso, non molto distante dalla baita, i cani abbaiare ed avvicinarsi.
In quattro e quattro otto Simona si sdraiò sulla branda e si fece legare sui nuovi sacchi portati da Raffaele, come se non fosse successo niente e lui, dopo aver messo il pane, il latte ed il formaggio presso la branda, si diede una rapida aggiustata alla camicia ed ai pantaloni e dopo aver salutato la bella prigioniera si pose al lato della porta d’entrata ad attendere il pastore.








CAPITOLO QUARTO






Mentre Mario Mancini riceveva dalla sua Banca la somma pattuita il giorno prima e metteva in due valigette i biglietti da venti euro richiesti portandoli poi nella macelleria e ponendoli in una segreta cassaforte la cui combinazione era a conoscenza unicamente sua, Simona contemporaneamente, dopo la nuova visita di Raffaele che era stato convinto da lei con tutte le moine possibili e con una buona dose di attività sessuale di telefonare a Mario tradendo i compagni della banda, chiedendogli il riscatto e mettendosi d’accordo sulla cifra di quattrocentomila euro, si era messa a rimuginare sul dove fuggire con Raffaele e sulle possibilità che lei e Raffaele l’avessero fatta franca rispetto alle presumibili vendette che gli altri delinquenti sicuramente avrebbero escogitato.
Il piano era perfetto.
Raffaele avrebbe dimostrato di essere in possesso di Simona dicendogli di un particolare che nessun altro avrebbe potuto conoscere oppure sapere, cioè di una voglia di piccole dimensioni all’interno della coscia destra, vicino all’inguine.
Raffaele avrebbe preso appuntamento con Mario in un luogo sulle montagne di difficile accesso e si sarebbe fatto consegnare le banconote mettendole in un grosso zaino.
Avrebbe provveduto a tutte le necessità Simona che si sarebbe allontanata dalla Baita assieme a lui da dove si sarebbero portati su una forcella nei pressi del posto in cui Mario si sarebbe sicuramente recato.
Simona aveva previsto anche la possibilità che Mario, non vedendola avrebbe potuto non consegnargli il denaro e perciò aveva dato a Raffaele uno scritto sul giornale dello stesso giorno dove aveva scritto “Caro Mario io sto bene, dagli il denaro ed io in serata sarò a casa con te, ti bacio e ti ringrazio”
Dopo averne discusso, Simona e Raffaele furono d’accordo di andare a piedi su una seconda forcella, quella della Scodavacca, da dove avrebbero passato le cime del Cridola , per poi raggiungere Domegge dove avrebbero proseguito in Autobus verso Vittorio Veneto e da li avrebbero continuato il viaggio in treno fino a Venezia.
Le uniche cose, cui doveva provvedere Raffaele, erano dei pantaloni da donna ed un paio di maglioni oltre a delle scarpe da montagna adatte ai piedi di Simona.
Le giornate erano belle e non c’era neve sul Cridola.


Mario Mancini aderì alla richiesta di Raffaele dopo che questo gli disse della “voglia” della moglie come particolare inequivocabile ed accettò l’appuntamento quando Raffaele gli disse che gli avrebbe portato l’indomani un messaggio autografo di Simona.
Raffaele gli disse pure che non avrebbe mai più rivisto la moglie se egli avesse portato qualcuno con se o se avesse avvisato la polizia oppure i carabinieri.
Mentì raccontandogli che sarebbe stato seguito a distanza, da altri uomini della banda, sin dall’uscita da casa e che quindi non gli conveniva fare nessuno scherzo perché in quel caso avrebbero ucciso sua moglie.
Mario era rimasto stupito soltanto del fatto che la somma da pagare fosse stata così ridotta mentre non fu meravigliato per la mancanza della restituzione dell’originale delle video cassette, tanto sapeva che non avrebbero potuto chiedergli più soldi, dal momento che era stato categorico nell’affermare che quella cifra che avrebbe pagato era il massimo che poteva racimolare.
L’appuntamento era stato fissato per le undici e trenta del giorno successivo e nessuno dei due uomini sarebbe arrivato in ritardo.
Con gli altri della banda era rimasto d’accordo che in quel giorno sarebbe rimasto con Simona dalla mattina alla sera per convincerla di scrivere una lettera al marito, cosa che secondo lui sarebbe stata difficile ad attuarsi.
Così, egli e Simona avrebbero avuto tutto il tempo per fuggire, senza destare nessun sospetto.
Raffaele comprò, con i pochi soldi che aveva risparmiato, tutto quanto sarebbe servito per la fuga e due capienti zaini per se stesso ed uno più piccolo per la donna.
Nascose il tutto in un luogo sicuro vicino alla Baita ed andò a dormire presto visto la giornata assai impegnativa che avrebbe dovuto affrontare il giorno dopo con la bella Simona.


Raffaele svegliò Simona alle sei in punto. La giornata di fine giugno si presentava serena ed il cielo appariva terso e di un bell’azzurro mentre il sole cominciava ad illuminare i prati verdi intorno alla Baita, trapuntati di fiori gialli e bianchi con qualche papavero spuntato in mezzo alle margherite ed ai campanelli di un bel colore giallo ocra.
Appena Simona fu sveglia, Raffaele si chino su di lei e la baciò appassionatamente, le fece un massaggio alle gambe, ai piedi ed alla schiena e dopo averla liberata dai nodi, l’aiutò ad alzarsi accompagnandola verso il lavatoio ed al rubinetto dell’acqua fredda di sorgente. Attese che fosse vestita degli abiti che egli le aveva comprato e l’aiutò a calzare gli stivaletti da montagna non prima di averle fatto indossare delle calze di lana grigie e sufficientemente lunghe da arrivare sotto le sue ginocchia.
La strinse forte tra le braccia, accarezzandole dietro le orecchie e disse brevemente.
- Qui c’è il Piccolo di Trieste di oggi, devi scrivere a tuo marito quanto abbiamo concordato ieri, vicino al titolo del giornale-
- Questa è una penna a sfera e ti prego di scrivere con la tua calligrafia in corsivo e non a stampatello, firma e speriamo che Mario sia all’appuntamento all’ora prefissata e con i soldi. -
A quel punto Simona non potette fare a meno di chiedergli cosa avesse fatto con gli altri e se fosse in grado di proseguire da solo fino alla Forcella dove avevano l’appuntamento perché non sapeva se fosse un buon arrampicatore ed un altrettanto valido camminatore.
Raffaele le rispose. -
- Non pensare a quei farabutti, devi preoccuparti soltanto per te in quanto, per quello che mi riguarda, ho fatto la naia con gli alpini e non so invece se tu, pur essendo di queste parti, avrai la forza di camminare in salita per tanti chilometri! -
A Simona scappò una risata di cuore.
- Non essere in ansia, sono una alpinista provetta e per merito tuo, che mi hai nutrito per bene, ho anche una notevole resistenza. -
Alle sei e mezzo uscirono dalla Baita portandosi addosso gli zaini nei quali non mancava ne l’acqua ne la frutta oltre a diversi panini con prosciutto e cioccolata.


Dal canto suo Mario era deciso di eseguire tutti gli ordini del tipo che l’aveva contattato.
Uscì da casa alle cinque con il fuoristrada e giunse rapidamente alla macelleria. Aprì la cassaforte e raccolse tutto il denaro riposto mettendolo in un grosso zaino.
Per Mario era una questione d’onore liberare Simona.
Sapeva di averle distrutta la vita con quella relazione con Susanna e che era responsabile di tutte le pseudo patologie nevrotiche che l’avevano assalita in quegli ultimi tre anni.
Aveva conosciuto Susanna ad un ricevimento in onore del marito dove erano state invitate tutte le persone che contavano della Carnia ma mai avrebbe immaginato che quella donna, di una bellezza splendida, avrebbe potuto ammagliarlo ed ubriacarlo fino al punto da divenire la sua amante fissa.
Fino allora tutto era proceduto normalmente, con Simona, fin da quando si erano sposati.
Erano mancati soltanto dei figli per completare la loro unione ma Mario riconosceva che la moglie era una creatura deliziosa e che l’aveva amato perdutamente.
Poteva tranquillamente dire di non essere innamorato di Susanna ma soltanto di non potere fare a meno di lei sessualmente e che più passava il tempo, più quella era divenuta una femmina tremendamente bollente, senza alcuna remora nel praticare l’erotismo molto più di una professionista indiana.
Simona era sempre rimasta all’oscuro di tutto e non riusciva a darsi pace affatto del perché il suo Mario fosse arrivato al punto di non desiderarla più e che le poche volte che riusciva a stare insieme a lui era perché lei stessa prendeva l’iniziativa.
Mario era un bell’uomo sulla quarantina. Alto e robusto al tempo stesso, molto simpatico quando chiacchierava con tutta la gente che conosceva e brillante con ogni donna cui era solito fare una corte discreta.
Era ricco ed il solo pensiero di Simona lo teneva affettuosamente nel suo cuore un po’ rude ma pieno di tenerezza per la moglie.
Quando si era accorto di aver esagerato con il tradimento, aveva anche capito che era troppo tardi per riallacciare il precedente rapporto matrimoniale fatto soprattutto di tenerezza.
Per questo motivo e forse per pigrizia non aveva fatto uno stop definitivo con Susanna ma in quel momento avrebbe volentieri dato la vita per sua moglie e per lo stesso motivo avrebbe portato a quel giovanotto tutto quanto possedeva unicamente per rivedere la sua Simona.
Forse un giorno Simona l’avrebbe perdonato ma in quel momento la prima cosa da farsi era liberarla.


Nessuno in paese si era accorto dell’assenza di Simona.
Questo fatto non era una novità date le abitudini della moglie di Mario che era capace di rimanere anche quindici giorni senza scendere a fare delle commissioni oppure a comprare qualcosa dal momento che alle provviste ci pensava sempre Mario come pure ai pagamenti postali delle varie bollette che arrivavano a casa.
Soltanto il dottor Bini e la moglie gli avevano chiesto sue notizie.
Mario se l’era cavata affermando che Simona, in quel momento, era completamente presa da un enorme tovaglia di pizzo che stava completando per il matrimonio di una sua nipote e che rappresentava uno specialissimo regalo di nozze per questa.
Del resto stava attraversando un buon momento di salute e che anche le sue fobie erano quasi scomparse.
Due giorni prima aveva incontrato Susanna per caso ed era rimasto allibito quando quella non gli aveva rivolto nemmeno un semplice saluto. Lo aveva però sbirciato da lontano con quelli occhi azzurri come per dirgli di aspettare una sua telefonata e che era impaziente di incontrarlo al solito albergo, vicino al lago.
Nonostante tutto Mario non riusciva a dimenticare la pelle di Susanna sempre così morbida, profumata e morbida ed in più la sua passione avvolgente e le sue dolci carezze.
Avrebbe voluto incontrarla ancora una volta per spiegarle in quale situazione si fossero messi tutti e due ma non ebbe il coraggio di farle questa proposta.
Era possibile che un giorno le avrebbe spiegato tutto ma quello non era il momento adatto, preoccupato come era sia riguardo a Simona sia riguardo al marito delle sua formosa amante dagli occhi azzurri.
Il marito di Susanna era un uomo che non avrebbe mai digerito il tradimento della bionda moglie e chissà cosa avrebbe potuto combinare, nei suoi e nei riguardi di Mario, essendo capace di una violenza che i due amanti nemmeno lontanamente immaginavano fino ad ucciderli entrambi.


Raffaele raggiunse il luogo dell’appuntamento con Mario già un’ora prima che il macellaio si trovasse sul posto e questo per scegliere una posizione tale che egli avrebbe potuto vederlo senza essere visto, mentre costui si inerpicava sul viottolo.
Da parte sua Simona aveva proseguito verso la Forcella della Scodavacca con passo svelto che denotava la propria abilità di alpinista.
Era allegra, quasi felice di poter arrampicarsi ghiaioni dopo quella immobilità forzata nel fienile della Baita ed era certa che Mario sarebbe giunto lì da solo e con tutti i sodi che aveva detto.
Al mattino Raffaele si era presentato sbarbato ed in tenuta di escursionista e le era parso davvero un bel ragazzo tale che nessuno avrebbe mai sospettato a che risma di gente fosse collegato.
Simona lungo il tragitto fatto insieme a lui era stata in silenzio e meditabonda.
In fin dei conti Mario era suo marito e rubargli quattrocentomila euro le sembrava una enormità, Pensava che con quella somma avrebbe potuto avere non una ma mille amanti e che la sua era una vendetta bella e buona per averla fatta soffrire tanto da ammalarsi di depressione.
Era stato un debole ma lei non se la sentiva di perdonarlo.
Odiava la bionda Susanna più che lui e per questo motivo sarebbe diventata l’amante di Raffaele e sarebbe scomparsa per sempre lontanissimo, forse all’Estero.
Lei e Raffaele, benché di età diversa, avrebbero potuto vivere insieme e godersi la vita ma il problema sarebbe stato quello di comprare delle carte di identità false oppure dei passaporti.
Ne lei ne Raffaele avevano pensato a questo particolare ma in qualche modo avrebbero fatto.
Quando giunse il momento di separarsi ognuno per la sua strada, Simona si rivolse all’uomo e gli disse.
- Raffaele non mi fregare. Quando Mario ti avrà dato i soldi, rimani sul posto almeno per mezzora e così lo vedrai discendere verso la Carnia. Quando sarai sicuro che nessuno lo ha seguito procedi verso la Forcella, ci vorrà un’oretta di marcia ed io mi troverò li ad attenderti. -
- Saremo ricchi e vedrai che a Domegge arriveremo facilmente in meno di tre ore, quindi verso le sedici e trenta. La strada ed i sentieri li conosco molto bene e sono tutti in discesa.Avremo il tempo di cambiarci gli abiti e come semplici turisti prenderemo l’Autobus per Vittorio Veneto. Alla stazione ferroviaria di quella città prenderemo il treno rapido per Venezia dove troveremo una Pensione che ci permetta di riposarci senza chiederci documenti. -
- Il giorno dopo sceglieremo dove andare e prima di tutto dovremo fornirci di documenti falsi il che non sarà troppo difficile perché so di un posto dalle parti di Murano dove ho sentito dire che c’è un pescatore, un vero artista, che ti fa subito per duemila euro un passaporto uguale a quello autentico. -







CAPITOLO SESTO






Quando gli altri componenti della banda si accorsero della fuga di Simona e di Raffaele e si resero conto che la mora moglie del macellaio e pure Raffaele, quel figlio di puttana, li avevano fregati e che il malloppo ormai si era volatilizzato decisero di andare a trovare Mario per rompergli la testa avendo pensato che anche lui fosse implicato nell’imbroglio.
Lo attesero alla villetta ed appena se lo videro davanti gli si scagliarono addosso ed a forza di calci e pugni lo ridussero un pezzo di carne da macello.
Mario non aveva avuto il tempo di dire mezza parola ed una volta a terra riuscì a fiatare.
- Io ho consegnato tutto il malloppo al vostro amico che mi ha portato un giornale di oggi con una scrittura di mia moglie e tutti i mie soldi “quattrocentomila euro” in contanti sono in mano sua ed adesso potete pure farmi a pezzi ma non possiedo più niente, nemmeno un centesimo. -
Poi, affannato per i colpi ricevuti al torace, ebbe il coraggio di affermare.
- Siete dei dilettanti e vi siete fidati di un Giuda ed io non ho visto mia moglie nemmeno con il cannocchiale. -
Gli energumeni errano in quattro e quando si resero conto che Mario era per terra ridotto una vera poltiglia sanguinolenta, gli diedero un ultimo calcio nelle parti basse e subito dopo urlando a squarciagola cominciarono a litigare tra loro prendendosela col capo che era stato il più grande fesso del mondo nel fidarsi di quel maledetto toscano,
Fu il friulano che prese in mano la situazione degenerata.
- Ascoltate, pezzi di merda, dal momento che è chiaro quanto Raffaele ci abbia messo un zeppa nel sedere vi dico e vi giuro, come è vero che mi chiamo Beppe, che quel grandissimo figlio di puttana la pagherà cara. -
- Il nostro compito adesso sarà quello di cercarlo ed ammazzarlo come un porco e poco mi importa se per questa volta abbiamo perso un mucchio di soldi. Tutti dovranno sapere che non si può fregarmi e passarla liscia. -
- Noi siamo in quattro. Io rimarrò nel Veneto e voi tre vi sparpaglierete per tutta l’Itala e dovrete ricordarvi che quel figlio di cane è toscano. Prendetevi ciascuno questi diecimila euro e fate in modo di prenderlo vivo perché lo voglio ammazzare con le mie stesse mani. -
Decisero di non procedere oltre con Mario, sempre per terra e mezzo morto ed andandosene lo sfotterono dicendogli.
“Adesso sì che sarai soddisfatto con quella troia di tua moglie che ti ha reso pan per focaccia”.-


Simona e Raffaele intanto, dopo aver passato la notte in una pensione di Porto Marghera, stanchi morti tanto da non avere nemmeno pensato di fare del sesso, alle sette del mattino del giorno dopo si portarono a Murano.
Non fu troppo difficile per i due trovare e contattare il falsario.
Egli disse che avrebbero dovuto tornare alle sei del pomeriggio e nel frattempo prese alcuni dati somatici di Simona e Raffaele e fece loro delle fotografie da tessera. Incassò un anticipo di mille euro e chiese ai due di quale nazionalità avrebbero preferito o voluto essere.
Ambedue, che non conoscevano nemmeno una parola di altre lingue dissero di desiderare un passaporto italiano, egli doveva solamente cambiare la città e la data di nascita.
Il falsario promise di anticipare alle cinque del pomeriggio la consegna dei documenti, previo un arrotondamento di cinquecento euro, per permettere ai due di prenotare un volo nella stessa serata.
Raffaele tirò fuori altri mille euro ed i due passarono le ore girando per Murano curiosando tra tutte le botteghe del famoso posto.
All’una andarono a pranzare in una bella trattoria mangiando dell’ottimo pesce ed alle cinque furono di nuovo dal falsario, saldarono il conto e quello consegnò i due passaporti, che pur apparendo vecchi, erano perfettamente contraffatti.
Curiosi impararono a memoria i nuovi nomi.
Simona, era diventata Giulia Zara ed era nata a Trieste. Raffaele era nato a Pistoia ed era diventato Massimo Rossetti.


Quella sera Simona ed il suo compagno si concessero una notte in uno dei migliori alberghi di Venezia in una suite splendida di un Hotel a quattro stelle vicino al “Danieli”, non prima di essere entrati in un grande magazzino dalle parti di san Marco per comprare vestiti ed indumenti vari alla moda per tutti e due.
Così vestiti e con un paio di valigie anche esse piene di cose da indossare almeno per i primi tempi, tra cui scarpe e biancheria intima, si recarono in una vicina Agenzia di viaggi prenotando per il giorno successivo un volo diretto per Catania, dove avrebbero deciso in perfetto accordo la destinazione finale, almeno momentanea, in qualche Nazione rivierasca del bacino del Mediterraneo.
La suite prenotata aveva un bagno in maioliche rosee ed una vasca da bagno con idromassaggio tale che tutti e due decisero, dopo una salutare doccia calda, di fare all’amore in quella vasca con tutta la veemenza in entrambi repressa da molto tempo.
Raffaele fu dolce ed affettuoso con Simona, lei a sua volta si comportò come una donna appassionata ed allo stesso tempo riconoscente verso colui che aveva e che avrebbe, anche in seguito, rischiato la propria vita per una donna che aveva soltanto conosciuto da pochi giorni e che non conosceva nei particolari più intimi e privati.
Tutti e due sapevano che non sarebbe stato facile farla franca ma Simona, come svegliatasi da un lungo letargo, aveva la sensazione di sentirsi finalmente viva ed importante.
Non poteva, onestamente dire, di essersi innamorata di quel ragazzo ma quel suo sorriderle soprattutto con gli occhi e quella sua aria di protezione totale la stordivano e se ne sentiva attratta prepotentemente, in particolare col cuore che le pulsava violentemente quando egli l’accarezzava e la baciava.
Si addormentarono stretti l’uno all’altro come due persone che avevano bisogno assoluto l’uno dell’altro e fecero un sonno profondo senza sogni.
Simona, alias, Giulia si svegliò per prima nel bel letto profumato, matrimoniale, tra lenzuola candide di lino e voltandosi verso sinistra guardò con curiosità il volto disteso di Raffaele.
Era veramente un bell’uomo, con quei tratti somatici regolari ma questa volta sereni e con quelle braccia strette intorno al morbido cuscino di penne d’oca.
I capelli castani erano ondulati, forse un po’ lunghi, ma nella luce di quel mattino d’estate sembravano addirittura tendenti al biondo.
Simona si meravigliò di non avere, precedentemente, osservato questo particolare che conferiva a Raffaele un’ aria da bambino cresciuto troppo in fretta dal momento che egli aveva appena un accenno di barba come se quella avesse difficoltà di crescere.
La donna si alzò in silenzio, entrò nell’enorme bagno e si fece una doccia tiepida stupita di piangere in silenzio, al pensiero di avere abbandonato suo marito per sempre.
La sua vita era cambiata in pochi giorni ed era stato il tradimento di Mario che non riusciva ancora a capire.
Un tradimento da parte dell’uomo che aveva sposato, in modo tanto continuativo ed insolente, tale soltanto da soddisfare la sua natura animalesca, era stato lontanissimo da ogni suo pensiero anche il più cupo e pessimistico.
La ferita che aveva subito era stata talmente profonda, trafiggendo contemporaneamente il suo cuore e la sua anima, che mai avrebbe potuto sperare di guarirne.
Nella stanza accanto, invece. c’era un altro uomo che le aveva dimostrato di saperla proteggere e che dormiva il sonno del giusto.
Doveva farsi bella e piacevole solo per lui, perché ciò era il minimo che si meritasse.








CAPITOLO SETTIMO






- Che fai già in piedi Simona, -esclamò appena aprì gli occhi limpidi e ristorati dal sonno, -sei splendida questa mattina! -
-.Mi sono data una rinfrescata e mi sono vestita come si addice ad una signora, -rispose sorniona Simona, contenta che quel giovane avesse notato il suo aspetto niente male come era certa apparisse. -
- Dimmi che sei felice, -aggiunse Raffaele, questa volta sorridendo e balzando in un baleno giù dal letto, -lo sai che mi sei mancata tanto durante il sonno. Mi è mancata la tua figura di donna così dolce e delicata, così affascinante ed intelligente e posso dirti con tutta la mia anima che sono stato davvero fortunato nell’incontrarti sul mio cammino. -
- Sono stato sempre un ragazzo umile ma nello stesso tempo orgoglioso di farmi strada da solo. Certamente non avevo previsto di essere anche un bandito associandomi a quella gente che mi aveva illuso di guadagnare assieme a loro denaro non pulito ma non certo sporco di sangue! E se infine sono riuscito a redimermi questo è solito merito tuo perché da solo non sarei stato capace. Ho rubato a quel disgraziato di Mario ogni avere ma il fatto che quel denaro fosse anche in parte tuo, mi ha alleggerito la coscienza ed oggi mi sento così unito a te che mi sembra quasi di non avergli fatto troppo danno e di essermi guadagnato, liberandoti da lui, il mio compenso visto quanto egli sia stato capace di farti del male. -
Il ragionamento di Raffaele era stato un tantino contorto ma in un certo senso razionale ed anche piuttosto logico.
Il rapporto con Simona non era nato in Raffaele attraverso uno studio fatto a tavolino ma era stato schietto e sincero fin dal primo momento , anzi se c’era qualcuno che poteva dire di avere costruito artificialmente una relazione di simpatia, questa era sicuramente Simona.
Ma adesso Simona non ne era pentita per il semplice fatto che soltanto così aveva potuto riconquistare la sua dignità umana.
- Sei veramente un uomo eccezionale, - gli disse, - ed io comincio ad amarti. Prendimi in braccio che ti voglio baciare, accarezzare e darti in questo modo il mio buon giorno -


Il periodo era di alta stagione, a Taormina, per il mare ed il sole che attiravano turisti da ogni parte del mondo.
I due erano arrivati a Catania senza problemi. Al check-in di Venezia avevano sfoderato i passaporti falsi senza battere ciglio e l’unica cosa che li fece sorridere fu quando si sentirono chiamare con i nuovi nomi : Massimo Rossetti e Giulia Zara alla Reception del Hotel di Taormina prenotato già da Venezia.
Per quanto i prezzi fossero molto alti potevano essere soddisfatti di avere potuto trovare una matrimoniale con vista sul mare.
Appena si furono sistemati scesero di nuovo nella Hall e fecero un giro per i negozi dello stesso Albergo dove vendevano articoli per il mare.
Simona scelse tre costumi da bagno, uno più bello dell’altro, tra i quali un due pezzi davvero mozzafiato. Si era pesata alla bilancia dello stesso negozio e fu stupefatta quando vide l’ago della bilancia fermarsi a 53 kg, non un grammo in meno né uno in più.
Simona capì al volo di trovarsi al peso forma data la statura di un metro e settantadue centimetri.
Si girò verso Raffaele e gli indicò sul quadrante della bilancia, con enorme soddisfazione, la cifra che quella segnava.
Raffaele fece cenno ad un applauso muto e felice per Simona cui gli occhi sfavillavano di contentezza disse.
- Sei una donna perfetta e puoi metterti addosso qualsiasi cosa, anzi ti consiglio anche di acquistare un paio di vestagliette molto sexy per il dopo spiaggia e degli zoccoli eleganti ed alla moda, per qualche passeggiata sul lungomare. -
Simona era felice.
Mai si era sentita così donna come in quel momento con quel giovanotto che era tutt’occhi unicamente per lei.
Il denaro era stato chiuso in una grande valigetta nella sicura
cassaforte dell’Albergo e chiesero all’impiegato se avessero potuto prolungare la loro permanenza per una seconda settimana oltre alla prima già fissata da Venezia.
Alla risposta affermativa di quello risposero che sarebbero rimasti, allora, per tutto il tempo disponibile.
Per tutti e due quella vacanza era come un vero viaggio di nozze ed erano perfettamente consci di godersi, giorno dopo giorno, quel periodo estivo che avrebbe potuto essere l’unico della loro vita.


Il mare era un incanto e Simona godeva del contatto dell’acqua salata come quando da bambina e da ragazza suo padre e sua madre la portavano per brevi periodi a Lignano, dove aveva imparato a nuotare.
Raffaele invece pur avendo vissuto tutta la sua infanzia in Toscana non era capace nemmeno di stare a galla ed era ridicolo con quei bracciali salvagente che si era comprato.
Ogni giorno affittavano un sandolino e con quello uscivano al largo dove prendevano il sole non prima di essersi unti di lozioni ad alta protezione.
Simona si levava il reggiseno, anche se microscopico e Raffaele le passava l’olio solare su tutto il corpo soffermandosi in particolare sulle belle gambe, facendo ogni cosa per farle capire, con le sue mani robuste ed allo stesso tempo morbide, che non avrebbe mai fatto alcunché che la potesse irritare oppure eccitare contro il suo volere.
Simona accettava tutte quei massaggi e tutte quelle carezze invece senza pudore e pensava quanto stesse diventando importante per lei essere accarezzata con tanta passione ed affetto da quell’uomo.
Raffaele aveva il dono della misura e del rispetto che manifestava in ogni occasione come se lei fosse una cosa speciale e preziosa.
Parlavano spesso del futuro, sempre concepito insieme, ma non riuscivano ancora a trovare un accordo chiaro su dove stabilirsi definitivamente.
Dovevano trovare un posto fuori dall’Italia dove poter vivere sicuri di non essere trovati dalla banda che sicuramente si era sguinzagliata per prenderli e probabilmente ucciderli tutti e due.
In quel posto avrebbero dovuto avere un minimo di certezza di poter intraprendere una attività lavorativa che li ponesse in una condizione di mantenersi col proprio lavoro, senza attingere al denaro che possedevano, per campare senza troppi lussi ma almeno dignitosamente.
L’idea di Raffaele era rimasta quella di svolgere un lavoro autonomo che sarebbe stato quello di aprire un ristorante, suo sogno di sempre.
Simona invece pensava che una simile attività commerciale avrebbe aumentato il rischio di essere riconosciuti da qualche turista italiano occasionale, che avesse seguito la loro storia sui media radio televisivi o per lo meno sui giornali, almeno che non fossero andati a vivere in qualche angolo sperduto del mondo.
Anche a Taormina Simona, pur felice, viveva quotidianamente nell’ansia che il marito si fosse rivolto alle Autorità e la prima cosa che aveva fatto era stata quella di tingersi i capelli, aggiungendo al nero originale delle striscioline bionde ed in più di comprare un paio di occhiali da sole molto scuri, tanto da apparire una donna del settore dello spettacolo.
Per fortuna nessuna notizia che potesse riguardare sia lei che Raffaele veniva riportata, nemmeno in un trafiletto, da nessun giornale né dalla televisione.
Così, lentamente ma inesorabilmente, passavano i giorni mentre i due fuggitivi vedevano arrivare la fine della bella vacanza al mare siciliano senza avere ancora deciso dove andarsene e cosa fare.
Effettivamente esisteva un notevole pericolo dal momento che Mario, conciato in pessime condizioni dal pestaggio, era stato costretto a ricoverarsi all’Ospedale di Udine dove dovette raccontare che la causa di tutto quel mezzo massacro non gli era stata detta e che tutto era stato perpetrato da persone a lui sconosciute.
Essendo poi stata formulata una prognosi superiore ai trenta giorni automaticamente era scattata la denuncia di Ufficio, per lesioni gravi, contro ignoti.
Mario non aveva fatto cenno alla scomparsa della moglie;.gli interessava soltanto che fosse salva e nulla più, anche se non l’avesse mai più vista.








CAPITOLO OTTAVO






Al dunque, scartarono la possibilità di andarsene a Malta, più per questioni politiche che per altro, dal momento che pur essendo l’arcipelago uno Stato indipendente era rimasta nell’ambito” Commonwealth” e per contratto, oneroso per l’Inghilterra, doveva ospitare un contingente cospicuo militare della Gran Bretagna, vista la posizione strategica dell’isola e le scarse risorse economiche del proprio Governo.
Con i cantieri navali quasi vuoti, una volta fonte di lavoro proficuo e con l’agricoltura in crisi ad eccezione di quella dei carciofi,
destinati per il 90% all’esportazione, restavano all’arcipelago soltanto due vie di finanziamento.
Quello inglese e per un certo periodo anche russo e quello turistico non sufficiente però a permettere alla popolazione un tenore di vita di livello medio alto.
Simona e Raffaele decisero a questo punto di prendere in considerazione la Spagna, economicamente in espansione e dalle molteplici iniziative sia industriali che commerciali.
Un peso non indifferente fu anche che a Barcellona, una vera megalopoli, sarebbe stato più facile mimetizzarsi con la popolazione allegra ed amichevole e con l’ambiente, ricco di storia e di multiformi attività lavorative.
Forse in quella città spagnola avrebbero potuto, con molte possibilità di riuscita, aprire quel ristorante che era rimasto nei sogni di Raffaele.
Oltre alla popolazione, che non si negava ai piaceri della buona tavola, il turismo era florido e tutta quella gente aveva il culto del divertimento e della buon cibo, specialmente di notte dove la vita esplodeva insieme all’amore.
Fu Simona colei che acquistò due biglietti in “Businnes Class” sul volo dell’indomani per Barcellona.
Quella signora elegante ed anche, in un certo senso misteriosa, abbronzantissima che si imbarcò con Raffaele su quel volo era la Simona della Baita, in catene e sporca, rapita dai banditi nemmeno quattro settimane prima nel bosco, sotto un diluvio di acqua.


Al Terminal di Barcellona vi fu un rapido sbarco di tutti i passeggeri dell’aereo proveniente dalla città etnea.
Per la maggioranza si trattava di turisti di diverse nazionalità ma specialmente italiani, americani e giapponesi.
Simona e Raffaele impiegarono una mezzora prima di uscire sul piazzale per cercare prima e caricare poi i bagagli su un Taxi, dicendo in italiano, all’autista di portarli in un albergo del centro della città, prenotato già da Taormina.
Doveva essere un rifugio provvisorio, non di lusso, ma prossimo sufficientemente alla zona portuale dove si sarebbero spostati una volta ambientati, ignorando tutto della città famosa, in tutto il mondo.
Avrebbero voluto dimenticare il motivo principale della loro presenza in Spagna e speravano di avere scelto il posto giusto per iniziare una nuova vita e per sfuggire definitivamente alla “caccia all’uomo” che entrambi sapevano essere in atto ormai da diverso tempo.
- Ci siamo nascosti in questo Albergo, cara Simona, ed io sono del parere che da questo momento dobbiamo tentare di non farci notare almeno per tre mesi e quindi dobbiamo apparire persone semplici, le più normali possibili. Questo, da come ho visto, è un Hotel frequentato da gente di passaggio per Barcellona e distratta da problemi personali molto più importanti che l’osservazione di due italiani, turisti come tanti altri, che avrebbero scelto la Spagna, per vacanze brevi ed intense. -
Raffaele fece un passo indietro nella camera loro assegnata, osservò Simona ed esclamò.
- Da questo istante dovrai cambiare aspetto sia nel viso che nel vestirti. Prima di tutto devi cambiare il taglio dei capelli ed il colore di quelli. -
Simona fece una smorfia.
- Dunque devo trasformarmi una seconda volta? -
Sorrise e chiese a Raffaele.
- Come mi vuoi? Con i capelli corti oppure con una bella treccia dietro la nuca, con i capelli rossi o castani e dimmi, amico mio, come mi devo vestire? -
- Fatti castana e con i capelli corti e mettiti addosso dei blue jeans comuni e camicette semplici o magliette di qualsiasi colore ma non sgargianti.-
Raffaele si avvicinò ancora di più a Simona, la baciò sulle belle labbra esclamando.
- Sarai sempre troppo bella per tutti e non devi essere dispiaciuta di non apparire quella Vamp che fino adesso hai interpretato. -
- Farò tutto quello che mi consigli ma su una cosa non transigo. Tu dovrai trasformarti come me e diventerai biondo e piuttosto trasandato nei vestiti perché, non dimenticartelo, quelli cercano in particolare te. Porterai occhiali da sole anonimi anche se dovesse piovere ed andrai in giro con un paio di mocassini economici. -


Questa volta entrambi decisero di uscire dal Hotel, verso le sei di pomeriggio, ognuno per proprio conto per fare “ shopping “ e recarsi presso due differenti saloni di parrucchiere.
Raffaele aveva avuto l’idea, condivisa anche da Simona, di non farsi vedere insieme
Il rischio di fare incontri non piacevoli era minimo ma ugualmente i due non vollero lasciare nulla di intentato.
Diversamente da Taormina avevano lasciato il denaro nella più piccola cassaforte della camera d’Albergo ripromettendosi di recarsi, l’indomani, in una Banca spagnola per versare, su due conti correnti, tutte o quasi le banconote in loro possesso.
L’idea era quella di non portarsi appresso che diecimila euro ciascuno e la carta di credito che la Banca avrebbe offerto ai due italiani in omaggio.
Per il momento dovevano trasformarsi in due persone dall’aspetto
comune e questa era la priorità assoluta.
Raffaele si sbrigò velocemente ed alle sette e mezzo era già di ritorno nella camera dell’ Albergo.
Tutto era in ordine ed al suo posto compreso il denaro nella cassaforte.
Non gli restava altro che attendere Simona, che certamente avrebbe fatto tardi specialmente a causa del Coiffeur e del Visagista che le avrebbero modificato i connotati e del viso ed il colore ed il taglio dei capelli.
Raffaele era molto curioso di vedere come si fosse trasformata e di analizzare l’effetto che gli avrebbe fatto in un’altra veste.
Sentiva di essere passato dalla fase prevalentemente sessuale ed erotica della attrazione per quella donna ad una fase molto più sentimentale e romantica.
Già quel poco tempo, durante il quale la stava aspettando nella hall, gli faceva intendere chiaramente che Simona gli mancava come mai avrebbe potuto immaginare ed era una questione di cuore.
Era come un vuoto che si formava nella sua anima, una tristezza innaturale in lui, abituato da sempre ad auto gestirsi ed a considerare le donne più un peso che una gioia.
Seduto su una poltrona di pelle morbida il pensiero si avviluppava su se stesso continuamente e lo sguardo cadeva senza volerlo sull’orologio da polso in acciaio che teneva al polso.
Ormai erano le nove e mezzo e l’oscurità, malgrado l’ora legale, era ormai scesa sulle strade.
Raffaele cominciò a temere che qualcosa fosse successa a Simona.
Consegnò la chiave della camera al portiere dell’Albergo e decise di aspettare la sua donna in strada, camminando in su ed in giù lungo quel viale di ippocastani.
Alle dieci e mezza ritornò sui suoi passi, rientrò nella hall e ripresa la chiave della camera entrò in questa, dopo averla aperta.
Tutto era in disordine e dentro regnava un caos assoluto.
Chiamò Simona entrò nel bagno e la vide riversa per terra in uno stato di assoluta incoscienza.
Spaventato ed angosciato la prese tra le braccia e la posò sul grande letto matrimoniale che era tutto in disordine e manomesso. Simona era viva ma non rispondeva alle continue sollecitazioni del giovane, sembrava drogata.
Raffaele riuscì ad aprirle la bocca ed introdotte due dita nella sua gola ottenne il vomito che aveva sperato , la mise in piedi e per un ora non fece altro che schiaffeggiarla facendola camminare nella stanza in continuazione,
Le fece bere del caffè freddo ed amaro, che aveva riposto nel piccolo frigorifero della camera e finalmente si rese conto di ciò che era accaduto, sentendo quanto Simona gli raccontava riguardo la serata da lei passata per le compere e dal coiffeur, ma prima ancora aveva visto socchiusa la cassaforte e quella assolutamente vuota.


Come se fossero stati seppelliti da una valanga la giovane coppia seduta sul letto commentò l’accaduto.
Simona non si dava pace per aver accettato un drink da parte di una giovanissima spagnola che aveva conosciuto dal coiffeur e con la quale era uscita dal negozio. Affabile e simpatica, aveva detto di chiamarsi Carmencita e si era presentata come una grande ammiratrice dell’Italia dove, aveva detto, era stata diverse volte in vacanza.
Carmencita era una ragazza elegante e si era incuriosita per il taglio di tutti quei bellissimi capelli neri di Simona oltre che per il colore castano che aveva voluto sostituire a quello nero originale.
Carmencita aveva degli occhi nerissimi meravigliosi ed anche lei si era aggiustata i capelli dal colore rossiccio ma castano scuro.
La sua silhouette di ragazza di una ventina di anni la facevano apparire come quella di una studentessa universitaria, bella ed appetitosa con molta classe.
Parlava italiano con una leggera inflessione spagnola e quando Simona, alle dieci, disse di essere in ritardo per l’appuntamento con il suo compagno, esclamò divertita che non poteva lasciarla andare via così senza averle prima offerto un aperitivo.
Carmencita entrò in una specie di Bar nelle vicinanze dell’Albergo di Simona, ordino la bevanda e contemporaneamente fece una telefonata con il suo cellulare.
Parlò brevemente con qualcuno e poi offrì il drink a Simona non prima di averlo tenuto in mano con la scusa che era troppo ghiacciato per una italiana certamente non abituata a bere bevande così fredde.
Da quel momento i ricordi di Simona divenivano nebulosi, ricordava soltanto di essere stata accompagnata in Albergo da quella, oltre che da un ragazzo sui venticinque anni e che le sue gambe erano piuttosto malferme tanto che, il giovane amico di Carmencita, l’aveva retta con un braccio sotto l’ascella.
Ricordava inoltre, come in un sogno, che erano entrati dentro l’Hotel da una entrata secondaria e che la porta della stanza era stata aperta facilmente con una chiave estratta di tasca da quello che Carmencita chiamava Pablito.
Qui finivano i frammentari ricordi di Simona che a mala pena rammentava di essere caduta, nel bagno, in un sonno profondo.
Il resto era chiaro.
Quei due avevano fatto un furto con scasso della cassaforte oltre a portasi via alcuni anellini d’oro ed un braccialetto dello stesso metallo trovati sui comodini.
Il dilemma era quello di stabilire se Simona fosse capitata per puro caso in una banda di ladruncoli oppure se quei due spagnoli non fossero emanazioni della più pericolosa banda cui aveva appartenuto Raffaele.
In ogni caso il sommario del fatto era che, contando il denaro, erano rimasti nelle mani di Simona e Raffaele appena diciottomila e cinquecento euro con i quali, sottraendo quanto avrebbero dovuto lasciare nelle mani dell’albergatore, per qualche giorno di sosta in quel posto e per mangiare, ne sarebbero rimasti un po’ meno di diciottomila.
Non si poteva nemmeno raccontare quanto successo al Direttore dell’Albergo che avrebbe preteso una loro denuncia alla locale Polizia, cosa assolutamente impossibile per i due fuggiaschi italiani per giunta con documenti falsi.








CAPITOLO NONO






In quelle poche ore che Simona e Raffaele riuscirono a riposare, tutti e due senza parlare, continuarono a pensare in quale guaio si fossero cacciati per la sbadataggine di Raffaele, che non aveva fatto custodire il denaro nella cassaforte dell’Albergo e per l’imprudenza di Simona, che si era fatta abbordare da una furba sconosciuta.
Entrambi però non avevano nessuna intenzione di piangere sul latte versato e nel silenzio della notte catalana tutti e due, zitti ma abbracciati, riflettevano su cosa fare l’indomani.
Sapevano soltanto di trovarsi oltre la Piazza di Catalogna nella città nuova con ampie vie a scacchiera e con tanti Hotel e negozi.
Avevano anche la cognizione che dall’altra parte della grande Piazza c’era il bel porto con il monumento a Cristoforo Colombo ed il magnifico lungomare ma oltre a questo ignoravano ogni cosa di Barcellona e dintorni.
Verso l’alba, saranno state le cinque e trenta, Simona decise di alzarsi, si staccò dall’abbraccio di Raffaele e trepidante cercò, tra le cose che erano rimaste dei loro bagagli, una cartina dettagliata della città che aveva acquistato in Sicilia.
Scoprì quanto fosse estesa quella Barcellona ed i suoi dintorni e quante attività vi si svolgevano tra le quali lei e Raffaele avrebbero potuto sceglierne una meno ambiziosa di quanto si erano prefissi, ma che ugualmente avrebbe potuto permettere a loro due di non essere costretti a rinunciare a quei luoghi che rappresentavano la loro speranza per un futuro migliore.
Simona osservò che sulla cartina, nel sud-ovest del territorio ove scorreva il fiume Llobregat non molto lontano dalla caratteristica collina Montjuich, a diversi chilometri dal Faro, erano segnalati immensi vigneti e si ricordò in un lampo quanto un giorno Raffaele le aveva raccontato delle sue esperienze lavorative in Toscana proprio in caratteristici vigneti attorno a Pistoia.
Simona entusiasta, con quelle mutandine bianche ed a seno nudo si buttò impetuosamente su Raffaele, che ancora sonnecchiava, ed esclamò ridendo di gusto.
- Forza giovanotto! Non tutto è perduto. Ti ho trovato un lavoro che ti piacerà. Acquisteremo delle cantine e dei vigneti e quelli ci daranno da vivere, prima con grandi sacrifici ma in seguito, molto più facilmente. -
- Questa mattina andremo a visitare i paesi lungo il fiume Llobregat e vedrai che troveremo una piccola Azienda da acquistare oppure da affittare ed un appartamentino dove poter abitare in santa pace ed in più un lavoro per me in qualche piccola bottega di manufatti di seta e cotone che qui è scritto, e gli mise sotto il naso la cartina, abbondano e fanno tutte affari d’oro. -
Raffaele non aveva ancora capito cosa stesse dicendo Simona ma ugualmente si strinse forte al suo corpo dicendole.
- Faremo tutto ciò che vorrai, diavolo di una seduttrice, -mentre con uno scatto la capovolse e senza parlare fecero all’amore.


Prima di andarsene per sempre da quella camera che era stata fonte di pesanti guai economici per i loro sogni, misero in ordine ogni angolo della stanza.
I due giovani spagnoli avevano fatto terra bruciata di ogni cosa asportabile appartenente ai due italiani e non avevano lasciato nemmeno alcuni foulard appartenenti a Simona né un rasoio da barba nuovo di Raffaele.
Ma nella meraviglia più assoluta di Raffaele e Simona era loro probabilmente scivolato sotto il letto, l’unico mazzetto di euro formato da biglietti da cento, per un totale di cinquantamila euro.
La felicità dei due, già sollevati dalla ricerca dettagliata di Simona sulle loro possibili vicende future, giunse così al diapason.
Dunque oltre alle ottimistiche previsioni di Simona, che non aveva calcolato bene la scarsità del denaro rimasto che avevano contato durante la notte, possedevano in più altri cinquantamila euro con i quali effettivamente potevano combinare qualcosa di buono.
Pagato il conto, Simona chiese all’autista del taxi, che li doveva portare fuori città dalle parti dei vigneti del sud ovest, quale fosse la chiesa dei miracoli per i catalani di Barcellona.
Quello che a mala pena l’aveva capita rispose.
- La Chiesa di Santa Maria del Mar! Signorina. -
L’ordine di Simona fu di portarli in quella Chiesa e di attenderli cinque minuti.
Voleva pregare e ringraziare la Madonna per averla protetta, poi sarebbero andati lungo il fiume dove avrebbero cercato di vivere onestamente con il loro lavoro e magari creare una nuova, solida e bella famiglia.


Ci volle parecchio tempo prima di giungere a destinazione, ma quando furono in quel territorio capirono che quello sarebbe stato per loro due il novello “Eden”.
Ogni abitante, contadino oppure commerciante, fu con loro di una gentilezza estrema e facilmente trovarono in un piccolo Paese, quasi sulle sponde del fiume molto più a nord ovest del Faro, un appartamentino grazioso ed ammobiliato con un piccolo giardino che presero in affitto a quattrocentocinquanta euro al mese. Versarono una caparra ed un anticipo di duemilacinquecento euro e provvidero immediatamente a comprare federe e lenzuola nonché asciugamani e tovaglie per i loro bisogni.
Pranzarono in una trattoria dove cominciarono a comunicare con diverse persone perché sapevano che così sarebbe stato molto più facile imparare la lingua del posto, ripromettendosi di studiare anche sui libri lo spagnolo.
Il clima era caldo ma secco e durante la notte dormirono profondamente con le finestre aperte e senza alcun timore.
Il giorno successivo lo avrebbero dedicato a trovare un lavoro ed ad ambientarsi meglio.


Su uno dei due alberi di fronte alla finestra Simona vide, quando il sole era ormai alto sull’orizzonte, due merli meravigliosamente allegri saltare da un ramo a l’altro come se volessero giocare a nascondino.
Pensò che quel quadretto fosse di buon auspicio e si mise a cantare gioiosa una canzone romantica di quando era molto più giovane e viveva a Forni di Sotto, spensierata.
- Cosa fai mia dolce Simona? –Domandò ridendo. –Non sarà che l’aria di questa campagna ti sta dando alla testa?.-
- Che dici, amore mio, non senti i merli come cantano felici di essere vivi e non capisci che la loro gioia è contagiosa? –
- E’ vero, tesoro, adesso li sento ed hanno messo addosso anche a me una sensazione davvero nuova, come se la vita ricominciasse ad essere una bella favola, con tanto di principessa da adorare e rispettare. –
Raffaele fu in un attimo in piedi, anche lui affacciato alla finestra, mentre Simona gli si stringeva addosso come una grande edera, trionfante.
- Dobbiamo sbrigarci e vedere se con i soldi che abbiamo possiamo mettere su una piccola azienda vinicola. Inoltre devo verificare se c’è qualche posto per me in qualche fabbrica di merletti in cui so di essere molto capace. -
Impiegarono l’intera giornata per andare in giro con una motocicletta presa in affitto e solo verso il pomeriggio inoltrato seppero di un vecchio spagnolo che si era stancato di lavorare nel ramo vinicolo e che avrebbe volentieri ceduto la sua piccola Azienda per godersi alcuni anni di svago, girando per l’Europa con un bel po’ di soldi da spendere allegramente.
Offrirono a quel tizio, un uomo sui settantacinque anni, quarantamila euro ed un bonus di diecimila euro all’anno per subentrare nella sua proprietà che consisteva in un appezzamento di terreno di cinque ettari pieno di filari d’uva rossa più una fabbrica piccolissima dove egli faceva invecchiare la sua produzione che poi vendeva all’ingrosso e che aveva valutato in ventimila euro all’anno.
A Simona questa valutazione parve veramente esagerata ma Raffaele, presola in un angolo le disse che era un grosso affare.
Egli conosceva un metodo infallibile per aumentare la produzione e non a danno della qualità, che con certezza sarebbe divenuta eccezionale, visto il tipo di terreno su cui si sviluppavano le viti.


Raffaele e l’anziano contadino firmarono un contratto molto dettagliato, preciso nei particolari e lo suggellarono con un ottimo bicchiere di vino. L’Azienda di Carlos Miguel esisteva da oltre un secolo e se non si era sviluppata alla grande ciò era dipeso dalla morte della moglie, dopo soli tre anni di matrimonio, senza che da questo fosse nato nemmeno un figlio.
L’aveva ereditata dai genitori o meglio dalla madre, una donna che non si era mai interessata di viticoltura, ma che in compenso era stata la migliore ricamatrice della zona, tanto che in quei tempi il suo laboratorio si era sviluppato tantissimo per merito di una sorella di Carlos Miguel, da essere conosciuta con un proprio Marchio oltre che in Spagna anche all’Estero dove le richieste di quei merletti, veri capolavori, era aumentata a dismisura.
Quando Carlos Miguel seppe da Simona che lei era una formidabile ricamatrice, le disse.
- Perché domani non ti presenti da mia sorella con questo mio biglietto di raccomandazione. Ecco cosa ho scritto.-
Consegnò a Simona un foglietto.
La bella compagna di Raffaele lesse. “ Ti prego di trovare un posto a questa brava ragazza italiana. Sono sicuro che sarai contenta e poi mi ringrazierai per il favore che ti sto facendo.







CAPITOLO DECIMO






Per Isabella, la sorella di Pablo Miguel, l’assunzione di Simona rappresentò una vera fortuna.
La produzione di tovaglie, tovaglioli, centri da tavola, lenzuola, federe per cuscini e via dicendo divenne in breve di una qualità eccezionale tanto che Isabella affidò a Simona la progettazione di nuovi modelli, promuovendola in un batter d’occhio, capo reparto e di struttura di un nuova sezione della Ditta.
Isabella era una donna di sessantacinque anni quindi molto più giovane del fratello ma soprattutto molto più moderna nel sapere distinguere di primo acchito chi valesse e chi no in quel difficile mestiere.
Per Simona essere riuscita a sfondare nell’Azienda, in soli sei mesi, fu fonte di orgoglio oltre che di uno stipendio molto alto.
Isabella era un vero “ Manager “ed aveva assunto diversi venditori per l’esportazione.
Il fatturato aumentava mese dopo mese al punto che affiancò a Simona molte ragazze desiderose di imparare e di perfezionare l’arte del ricamo, mentre i nuovi modelli erano creati dalla stretta collaborazione di lei e quella bella italiana, piena di fascino ed al tempo stesso di inventiva.
Isabella chiamava Simona con il nome di Giulia Zara e quando vedeva Raffaele, per lei, era il signor Massimo Rossetti.
Così, lentamente, i due italiani si erano abituati ai nuovi nomi e quasi non riuscivano più a chiamarsi tra loro con il precedente nome e .questo era uno dei motivi di ilarità, che era diventato quasi il nuovo modo di vivere e di comportarsi, dei due innamorati sempre maggiormente legati l’uno all’altra.
L’unica cosa che mancava loro era un po’ più di tempo libero tanto erano, ogni giorno, assorbiti dal rispettivo lavoro assai impegnativo e sempre maggiormente remunerativo.
A Giulia, alias Simona, era venuta una gran voglia di fare un figlio bello come Raffaele e dolce come lei ma non era facile convincere il suo uomo a questo passo così importante per la loro vita.
Erano giunti in Spagna soltanto per sfuggire ad una morte certa ed era logico che, pur sentendosi in quel periodo sicuri e tranquilli, Raffaele avvertiva sempre un certo timore che tutto precipitasse in un attimo trascinandoli in un burrone profondo e senza fine.
Simona invece sentiva avvicinarsi i quaranta anni e per quanto sentiva”a pelle” che Raffaele la desiderava ogni giorno sempre di più era disposta a rischiare qualsiasi cosa per una maternità che l’avrebbe completata appieno.
Aveva continuato a mantenere il look di Barcellona con i capelli corti ed il colorito non più corvino ed anche il modo di vestirsi era continuato ad essere giovanile tanto da valorizzare il suo aspetto, con quello splendido corpo che madre natura le aveva regalato.
Raffaele perdeva letteralmente la testa quando facevano all’amore ma all’ultimo istante si schivava per non metterla incinta.


Ormai erano passati diciotto mesi da quando erano arrivati in quel piccolo Paese della Catalogna ed anche lì il freddo era pungente come su tutta l’Europa, in quel anno, che tutti dicevano essere stato il peggiore inverno degli ultimi venti anni.
Mancavano pochi mesi al quarantesimo compleanno di Simona e lei era sempre più imbronciata pensando che ormai Raffaele aveva deciso di non avere figli.
Ma una sera, sotto le calde coperte, Raffaele disse.
- Simona hai ragione tu. Siamo bene insieme e con il nostro lavoro stiamo lentamente diventando ricchi. Senza figli è inutile sacrificarci tanto e non saremo mai una vera famiglia come la intendiamo noi due. -
- Vieni qui vicino a me e smettila di tenermi rancore. Io ti adoro e quindi faremo dei pargoletti e sicuramente non uno soltanto. –
Simona sorrise e replicò.
-Vedrai come saremo felici e ti garantisco che i nostri figli saranno delle creature eccezionali e ci porteranno anche molta fortuna. -
Simona esibì tutta la seduzione di cui era capace e questa volta capi di essere rimasta sicuramente incinta.
Era veramente strano come le viscere di Simona si fossero aperte per racchiudere il seme di Raffaele e come questa sensazione fosse entrata nel suo cervello e nella sua anima così semplicemente, una volta che lui le aveva detto di sì.
Era dunque vero che con Mario non era stato mai così e che lei avesse sentito una specie di repulsione verso colui che, in chiesa, le avevano detto fosse suo marito.
Era stata una specie di premonizione quella che tante volte aveva sentito nei suoi riguardi, anche quando soltanto una parte di lei aveva desiderato un figlio, ma non la sua anima né il suo cuore.
Era successo che, come una maga avesse letto il proprio futuro e quanto infame fosse quel uomo che aveva sposato e falso nei sentimenti, che generosamente gli aveva offerto immacolata sia nel fisico che nel morale.
Nessun sentimento di rimorso le saliva dalla vagina fino all’utero impregnato e dalle cosce al cervello, nessun pentimento per avere tanto desiderato e voluto quel figlio che iniziava a vivere in lei, il cui padre era Raffaele, un uomo che forse poteva essere stato un bandito all’acqua di rose ma che in fondo racchiudeva in se stesso tutto ciò che una donna potesse desiderare, cominciando dalla dolcezza del carattere e dalla tenerezza che mai scompariva dal suo modo di fare.
Simona accarezzò l’uomo del suo destino che ormai si era addormentato vicino a lei in quel letto morbido e pieno di calore e nella penombra della stanza lo baciò sulle labbra delicatamente.


Quando Isabella seppe che “Giulia” era rimasta incinta fu così felice come si trattasse di sua figlia che l’ avrebbe resa nonna.
“Giulia” si sentì avvolta da un affetto che mai aveva provato prima e non solo si trattava di rispetto ma di vero amore.
Isabella non solo l’aveva colmata di gentilezze ma l’aveva promossa Manager della Ditta per le sue qualità eccezionali di creatività e per il modo assolutamente garbato che possedeva naturalmente nei rapporti con i Clienti più importanti e per il modo di agire con le operaie e le impiegate che trovavano in lei una persona affabile e sempre gentile, in ogni indirizzo che non faceva pesare a nessuno il fatto che la Ditta stesse ingigantendosi con lei vice capo e con Isabella,Amministratore Delegato.
In nemmeno un anno di collaborazione Isabella di era resa conto che la sua Giulia era davvero eccezionale e che era stata una vera fortuna che suo fratello l’avesse presentata a lei.
Giulia era geniale. Mai aveva visto tanta fantasia creativa in una donna che poi non aveva fatto nessuna scuola specifica ma che ciò che aveva imparato non era altro che una naturale ed eccezionale capacità inventiva.
Ad Isabella non importava nulla che il suo uomo fosse un italiano ma di una cosa le importava assai. Egli dimostrava di amare Giulia con tutte le fibre del suo cuore e con tutto se stesso.
Era stata Giulia che non aveva voluto assentarsi nemmeno un giorno dal Lavoro, per tutta la durata della gravidanza e così si comportò pure agli sgoccioli della stessa.


Era finita l’estate ed ottobre bussava alle porte con tutte le foglie degli alberi che cominciavano ad ingiallirsi.
Il tempo della gravidanza era quasi agli sgoccioli. Il pancione di Giulia era all’ ottavo mese e la creatura di Giulia, come ormai la chiamavano tutti, era uno sgambettare continuo.
Sembrava che la piccola avesse fretta di nascere ma era necessario che Giulia facesse un salto in aereo a Madrid per firmare un importante contratto con una Multinazionale.
Isabella aveva proposto a Giulia di rimandare il viaggio a gennaio ma fu come parlare con un muro.
Si trattava di una commessa di un milione di euro e mai Giulia avrebbe rinunciato al breve viaggio.
Si trattava di andare e tornare nella stessa giornata e per lei ci sarebbe stato un guadagno di cinquantamila euro.
All’andata tutto filò perfettamente. A Madrid il contratto venne firmato in un paio d’ore e la felicità della bella primipara era stata quasi divina.
Nel viaggio di ritorno Simona, alias Giulia, cominciò ad avvertire, dopo mezzora dal decollo, le doglie sempre più frequenti e ritmate.
All’inizio pensò che si trattasse di un falso allarme ma in breve, rottesi le acque, pregò le hostess di darle una mano per partorire.
L’aereo divenne una sala parto. Tutto l’equipaggio ed un medico si diedero da fare fino a che un vagito squarciò l’aria.
Era nata Consuelo una bimbetta di oltre tre chili e mezzo tra gli evviva di tutti., figlia di Giulia Zara e di Massimo Rossetti, spagnola a tutti gli effetti.







CAPITOLO UNDICESIMO






Il più felice di tutti era il comandante, un giovane sui quaranta cui mai era capitato un caso simile.
Aveva i capelli leggermente brizzolati ma non dimostrava nemmeno lontanamente la sua età.
Era euforico ed alla torre di controllo di Barcellona aveva chiesto l’autorizzazione di scendere, scavalcando la lunga fila degli altri aerei che erano stati messi in attesa con lunghi giri attorno alla città e chiedendo pure una autoambulanza, con medici ed ostetrici senza rendersi conto che la sua passeggera aveva in pratica fatto tutto da sola.
La signora Giulia Zara, a parte un po’ di sfinimento del tutto normale, non presentava nessuna complicazione ma quello che meravigliava tutto l’equipaggio era quanto bella fosse la bambina e per quanto le hostess cercassero di nascondere quella mocciosa urlante e sgambettante, tutti vollero ammirare Consuelo.
Madre e figlia erano state lavate e quasi pareva che quel miracolo fosse un quadro d’autore tanto era delicato e pieno di grazia.
Il merito maggiore l’aveva avuto quel medico che nessuno conosceva per nome ma che aveva dimostrato ad ogni persona quanto fosse abile e preparato.
E fu proprio lui che avvicinatosi alla puerpera chiese commosso e vergognandosi per la richiesta inattesa.
- Signora, posso suggerirle il nome per questa bellissima bambina?. Consuelo era il nome che io e mia moglie avevamo dato a nostra figlia. -
- Era un angelo ed io vorrei che Lei mi permettesse di chiamarla con lo stesso nome, magari con l’aggiunta di Marilù, perché sarò io e mia moglie che vorremmo tenerla a Battesimo, con il vostro permesso, per ricordarla per sempre viva e non soltanto in fotografia nel breve passaggio tra di noi piena di vita prima che quel maledetto incidente ce la togliesse impedendoci di amarla e coccolarla come avremmo desiderato. -
Simona era rimasta stupita da quella richiesta che poteva essere interpretata come insolente, per lo meno in quel momento, ma non volle nemmeno prendere tempo e rispose.
- Dottore, mia figlia si chiamerà Giulia, Consuelo, Marilù.
- Con il suo contributo è nata e Lei merita questo riconoscimento. Sarà battezzata da Lei e sua moglie e quando stasera tornerà a casa lo dica a sua moglie e le annunci che una nuova Consuelo è giunta sulla terra per renderci felici. Da oggi potrete considerarla la vostra nipotina.-
- Io ed il mio compagno attenderemo con ansia una vostra visita al più presto. Questo è il nostro indirizzo. Sarete i ben venuti nella nostra casetta e se questo divenisse il vostro desiderio, potreste consigliarci, con qualche prescrizione medica e psicologica. a fare crescere questa italo spagnola. Sarà una bimbetta, mocciosa ma non troppo, che vi si affezionerà sicuramente ed in particolare penso che sarà molto affettuosa verso colui che l’ha aiutata a nascere a ventiquattromila piedi di quota.-
Anche se sul passaporto c’era scritto il suo nuovo nome, la ex moglie di Mario era rimasta la semplice montanara di Forni di Sotto.
Tutte le traversie che aveva passato non avevano modificato il suo cuore sempre dolce e tenero e quel germoglio di sua figlia sarebbe stata come lei, buona ed affettuosa.
Il suo carattere positivo ed esuberante faceva il paio con quello di Raffaele ed era certa che il suo uomo le avrebbe dato tutto il suo conforto e mai si sarebbe opposto alla propria decisione di chiamare la loro figliola Consuelo.
In breve, i coniugi Lopez, marito e moglie medici entrambi, vennero accolti come veri parenti e divennero i più cari amici di Consuelo e dei suoi genitori.


Finalmente la famiglia era diventata compatta e tra Isabella, il fratello e tutti gli appartenenti alla Azienda, Consuelo cresceva diventando la mascotte di tutti.
Ma erano i coniugi Lopez coloro che la viziavano più di ogni altro e non passava una settimana senza che la venissero a trovare, coccolandola e riempiendola di piccoli doni, dai vestitini alle bambole, dalle catenine d’oro agli orsacchiotti di peluche.
Essi abitavano nella zona più residenziale e più bella di Barcellona ed ormai pareva che avessero due case tante erano le volte che invitavano i due italiani a passare con loro ogni domenica.
Giulia, come chiamavano affettuosamente la mamma di Consuelo, era diventatati l’amica del cuore di Virginia ed era stata proprio Giulia che l’aveva convinta di mettere al mondo un figlio che sarebbe certamente cresciuto sano e forte come un bambino del tutto normale.
Virginia era tentata di avere un altro figlio ma troppo era stata la disperazione patita per la malattia della sua Consuelo e troppa era stata la depressione che aveva sofferto per la sua morte perché potesse avventurarsi in una seconda gravidanza senza l’aiuto di una vera amica.
Giulia si era talmente affezionata a Virginia che un giorno le disse.
- Sento che sarai fortunata come me, amica mia, anzi forse anche più di me perché il mio cuore mi dice che avrai un maschietto che ti ripagherà di tutte le sofferenze che hai patito. -
Virginia rimase incantata dalla veemenza e dalla convinzione che trasparivano da ogni parola di Giulia, che pareva un oracolo.
Quella donna forte e risoluta l’aveva convinta.
Doveva ascoltarla perché anche lei si era convinta che l’audacia aiuta le persone coraggiose e che non poteva negare a suo marito la gioia di un altro figlio.
Quando Consuelo compì un anno e mezzo, Virginia partorì il più bel bambino del mondo forte e sano e volle chiamarlo Giulio.
Era un neonato dalle ciglia lunghe e nere come quelle della sua mamma ed il viso era più delicato di quello del suo papà.
Il battesimo di Giulio fu una festa grande e piena di motivazioni religiose, con il Parroco che si recò a casa dei Lopez e benedisse il neonato ma anche Consuelo, Virginia e Giulia ed ogni persona che era stata invitata.
Era avvenuto un vero miracolo e Virginia sbandierò ai quattro venti che tutto era stato merito della sua più cara amica.


Con il tempo Virginia e Giulia divennero più che amiche e come se fossero sorelle si confidavano ogni minima cosa capitasse loro anche riguardo i segreti più intimi della loro vita privata.
Soltanto su un fatto Virginia non fece mai parola con l’amica, pur essendo molto curiosa a riguardo.
Come mai lei ed il suo uomo non si fossero sposati e come fossero capitati vicino a Barcellona lasciando l’Italia, un Paese che Virginia aveva sempre amato e che continuava ad ammirare per esserci stata diverse volte sia d’estate che d’inverno?
Virginia era molto più giovane della mamma di Consuelo.
Aveva appena trentadue anni contro gli oltre quaranta di Giulia ma l’ età diversa tra le due donne non era tale da differenziarle troppo perché Giulia aveva una classe superiore rispetto a quella della dottoressa, molto più minuta sebbene adorabile ed affascinante, come poteva constatare tutte le volte che uscivano insieme o da sole oppure con i rispettivi figli.
Però un giorno mentre si erano sedute nel parco giardino vicino alla casa di Virginia avvenne un episodio che Virginia non avrebbe mai immaginato.
Un muratore che stava consumando un panino, anche lui seduto su una panchina vicina a quella di Giulia, cominciò a sbirciare con attenzione Consuelo e la sua mamma.
Di colpo ed improvvisamente, quello sorrise ed esclamò. -
Che ci fai tu qui Simona! Non vivi più in Carnia e tuo marito che fine ha fatto, è un secolo che non lo vedo, penso che si sia venduta la macelleria o forse si trova qui con te? -
Un silenzio mortale seguì quelle frasi.
Giulia, che era stata chiamata Simona da quel muratore, si alzò di scatto, prese in braccio Consuela e seguita dalla fidata Virginia si allontanò a grandi passi senza fiatare.







CAPITOLO DODICESIMO






Non fu facile per Simona, alias Giulia, alias signora Rossetti tacere ancora sulla sua vita passata.
Per quanto desiderasse confidarsi completamente con Virginia fece finta di niente e commentò.
- Guarda cosa ti capita nella vita! Un tizio qualunque ti rivolge la parola e cosa si inventa? Io sarei la moglie di un macellaio del Nord Est e per di più non saprei nemmeno che fine costui abbia fatto! -
- Che abbia avuto una vita parecchio movimentata non lo nego ma questi sono fatti miei e che forse un giorno ti racconterò, quando lo riterrò opportuno e non dannoso per la mia famiglia che soltanto ora sto godendo appieno. -
Virginia la guardò incuriosita ma subito dopo le disse.
- Non hai nessun obbligo di raccontarmi dettagliatamente della tua vita; anzi non voglio sapere nulla di te. Quello che mi interessa è che tu sia quella mia speciale amica come hai dimostrato finora di essere! -
Nel dirle ciò Virginia le si avvicinò, la strinse forte tra le braccia, la baciò con tutto l’affetto che le stava esplodendo nel petto e si mise piangere colta da una profonda emozione che le saliva su impetuoso dal cuore.
- Il mio vero nome è Simona, cara Virginia, ti voglio tanto bene ma non posso dirti altro di me perché metterei in pericolo quel bravo uomo di Raffaele che si chiama così e non Massimo Rossetti come risulta dal falso passaporto. -
Simona non aggiunse altro e tutte e due le donne si abbracciarono come se il loro fosse un patto segreto indistruttibile.


Quante volte Simona aveva pensato che prima o poi sarebbe arrivato il giorno del “redde rationem”.
Tutto era filato per il verso giusto ormai da diversi anni.
Lei e Raffaele avevano fatto fortuna in quella regione della Catalogna e vivevano serenamente in mezzo a gente onesta e decisamente buona, per nulla invidiosa della loro felicità.
Ormai non c’era da avere paura di vendette trasversali e lo stesso luogo che Simona e Raffaele avevano scelto per vivere era colmo di serenità e di gente affabile e tranquilla.
In più i Lopez avevano voluto e quasi preteso che Consuelo e Giulio frequentassero il medesimo collegio di suore, dove i due bambini vivevano insieme, dal lunedì al sabato nella stessa classe anche se Consuelo era un po’ più grande del maschietto di Virginia.
Si trattava di una scuola per ricchi signori della alta borghesia di Barcellona la cui retta era talmente elevata che, per quanto fossero classificati tra i migliori clienti, dovevano essere oculati per essere sempre puntuali nello sborsare le cifre da capogiro pretese dalla Direzione.
Tra le lezioni personalizzate, le stanze singole per dormire e studiare, l’equitazione ed una serie di attività sportive condotte dai migliori professionisti, le lingue straniere con insegnanti di madre lingua e via dicendo, Consuelo e Giulio stavano costruendo il loro avvenire nel benessere più completo paragonabile soltanto alle migliori scuole svizzere.
Poi, la domenica, i due ragazzi passavano la giornata festiva nella nuova casa a nord di Barcellona dove tutti e sei vivevano, ormai da cinque anni, come una unica famiglia tra il verde del parco e l’amore dei rispettivi genitori.
I due ragazzi ormai si consideravano inseparabili e pur sapendo di non essere fratelli non avevano nessuna remora di mostrare a tutti di amarsi perdutamente come due fidanzatini.
Un giorno però sia la mamma di Giulio che Simona ebbero la sgradita sorpresa di sorprendere i loro figli mentre, sotto un tavolo da pingpong, facevano sesso o qualcosa di simile, senza il minimo pudore.
Erano state le due mamme ad accorgersi, non viste, quanto beatamente essi, pur così giovani, senza niente indosso si strofinassero uno con l’altro e come il piccolo Giulio, godesse delle leccatine che Consuelo gli somministrava come se stesse sorbendo un gelato.
Per un momento Simona e Virginia rimasero allibite ma non ebbero il coraggio di intervenire né di raccontare il fatto ai propri mariti.
Anzi si nascosero in un angolo del sottoscala, dove era riposto il grande tavolo, senza sapere prendere una decisione immediata e senza sapere nemmeno come quei due ragazzini avessero imparato a fare simili cose.
Ognuna delle due donne non voleva confessare all’altra che i loro figli avevano semplicemente copiato quello che avevano visto fare a casa, tante volte, nella convinzione che nulla doveva essere nascosto per una educazione moderna e disinibita.


Simona e Virginia erano assolutamente sicure che mostrarsi nude in casa e non vergognarsi di tutti gli atti naturali con i loro uomini fosse un ottimo sistema per far crescere i propri figli nel modo più naturale possibile.
Qualche volta avevano parlato assieme dell’argomento ed erano rimaste sempre dello stesso parere.
Ciò non significava svilire i loro sentimenti, piuttosto evidenziare come anima e corpo potessero coniugarsi e santificarsi senza falsi tabù che avrebbero potuto appartenere ad ottuse concezioni di vita, come se il pudore potesse nascondere in un velo di magia quello che partiva dal profondo delle viscere e dell’anima.
Se quelli atti fossero stati peccaminosi allora perché l’uomo e la donna erano stati creati in quella maniera.
Anche gli animali agivamo allo scoperto, a qualsiasi razza o specie appartenessero ubbidendo alle leggi biochimiche, qualsiasi fossero, ed anche i loro figli sarebbero cresciuti nella purezza del pensiero di Dio.
Questo in teoria, ma in pratica come avrebbero potuto convincere la loro prole che agire da animali fosse la cosa più pulita del mondo specialmente se altra gente avesse assistito a simili scene?
Rieducare i loro figli sarebbe stato impossibile, raccontare ai loro uomini cosa avessero visto avrebbe potuto scatenare una profonda crisi esistenziale ma in qualche modo le due mamme avrebbero dovuto spiegare a Giulio ed a Consuelo che mai più essi avrebbero dovuto agire a quel modo, a rischio di distruggere quella atmosfera piena di dolcezza che si era creata fra quei ragazzini in fondo innamorati l’uno dell’altro.


L’iniziativa di sistemare quel brutto pasticcio in cui aveva visto implicato Giulio fu presa da Virginia.
Era troppo fervente cattolica per lasciare correre, senza reagire, quelle immagini turbolente e conturbanti di Consuelo e di Giulio sotto il tavolo da pingpong avvinghiati l’uno all’altra e se anche, come specialista in pediatria e puericultura, non poteva meravigliarsi di nulla, tante erano state nella sua professione i casi del tutto analoghi a quello, non potette fare a meno di riflettere sulla sua esagerata amicizia con Simona che senza dubbio aveva esercitato su di lei troppa confidenza, in particolare quando parlavano di sesso e di erotismo.
In qualche modo Simona l’aveva plagiata e pur ritenendola una donna affascinante e piena di ardore le sembrava che si fosse troppo sbilanciata nelle chiacchiere e nelle confidenze tra donne e nei particolari troppo piccanti che le aveva raccontato riguardo alle intimità tra lei e Raffaele.
A costo di rompere ogni rapporto con Simona, Virginia avrebbe preso le sue decisioni liberamente e senza altri turbamenti.
Ciò che contava in quel momento era separare la vita di suo figlio rispetto a Consuelo e questo avrebbe fatto qualsiasi cosa fosse capitata di sgradevole o tale da infrangere l’ affetto che sentiva per Simona.

PARTE SECONDA










CAPITOLO TREDICESIMO






Giulia, Consuelo, Marilù viveva assieme alla sua amica Eusebia, lontana dalla casa della mamma e contrariamente ad ogni più ottimistica previsione era riuscita ad ottenere il Diploma della Scuola di Danza del famoso Pablo Josè, con il massimo dei voti a Barcellona.
Altro che la laurea programmata in legge.
Come erano cambiati i tempi di quando era una delle migliori allieve del più prestigioso Istituto Religioso Classico di Barcellona e lei viveva come una principessa nell’attico superattico del quartiere più esclusivo della capitale catalana.
Quasi non ricordava i lineamenti di Virginia e di Giulio nonché quelli del dottor Lopez.
Se ne erano andati che lei non aveva ancora compiuto i sette anni, alla fine dell’anno scolastico, in quattro e quattro otto salutando appena la sua famiglia senza che lei avesse capito il perché di tutta quella fretta associata ad una certa freddezza capitata tra capo e collo su di lei ma anche sulle spalle della sua mammina.
Si erano trasferiti a Madrid, con il dottor Lopez nuovo Primario Chirurgo dell’Ospedale centrale della Capitale e Virginia, assistente effettiva del reparto di neonatologia.
Ricordava appena la fisionomia del suo caro amico Giulio e quanto gli fosse rimasta legata per molti anni, pur essendo di un anno più piccolo di lei ed il pianto sconsolato che quello aveva fatto il giorno del loro definitivo addio.
Lei e Giulio erano stati sradicati come due piante profumate ed appena fiorite dai luoghi della loro infanzia.
La mamma le aveva detto che non potevano più crescere insieme. Il suo amichetto, colui che le aveva dato tutto di se stesso, non avrebbe mai più giocato con lei e non sarebbe stato né il suo fratellino né il suo fidanzatino con cui poter giocare agli innamorati e con il quale aveva condiviso le prime esperienze fisiche e soavemente sessuali.
Consuelo non aveva capito se fosse stata vera la necessità dei Lopez di andarsene da Barcellona per motivi di lavoro o se quella fosse soltanto una scusa per separare lei da Giulio, come se fosse stata una colpa volergli bene appassionatamente e sentirlo vivo fisicamente quando lo toccava e lo accarezzava.
Nella sua coscienza Consuelo sapeva di non aver fatto niente di male e di essersi comportata innocentemente lasciando libero sfogo a tutti i sentimenti più delicati che l’avevano aiutata a crescere ed a maturarsi rapidamente.
Papà Raffaele era tornato in Italia dicendole che aveva trovato un altro lavoro nei vigneti piemontesi e che lì avrebbe investito tutto il denaro che aveva guadagnato in quel angolo della Catalogna ma che sarebbe stato sempre presente, sia spiritualmente che materialmente, vicino alla sua bambina ed alla sua Simona con numerosi viaggi d’affari e telefonandole spessissimo.
Soltanto quando Consuelo aveva compiuto i diciotto anni, era venuta a sapere chiedendo un documento di identità, che Raffaele e sua madre non erano sposati.
Fu quasi un dramma per la giovane italo spagnola questa verità ma non fu sufficiente perché la loro unione si screpolasse anzi lei non volle nemmeno sapere quanto i suoi genitori avevano deciso di rivelarle sulla loro precedente vita.
Aveva preso Simona e Raffaele in un solo abbraccio ed aveva detto.
- Sono affari vostri. A me interessa che vi vogliate bene e che viviate amandovi ed amandomi come è stato fino adesso. -
Dopo la morte di Isabella, Simona era diventata l’unica , proprietaria dell’Azienda che continuava a sfornare sempre nuovi modelli eccezionalmente ricamati.
Intanto Consuelo era diventata una stupenda creatura, bellissima ed affascinante, colma di classe e di un carisma che sicuramente le veniva dalla Scuola di Danza di Flamenco che l’aveva rapita ed affascinata già da bambina.
A diciotto anni disse a Simona.
- Mamma, io me ne vado a Toledo. E’ una città piccola ma che mi affascina e non solo perché mi troverò soltanto a circa settanta chilometri da Madrid, con la speranza di incontrare un giorno Giulio Lopez, ma soprattutto perché è una città antica e piena di storia. -
- Ho preso in affitto un bel appartamento dove il Tago lambisce, nei pressi del ponte di Alcàntara, l’estremità orientale di Toledo rispetto al centro della città. -
- Te lo avevo detto lo scorso anno , quando mi sono recata in visita turistica nella Capitale della Nuova Castiglia assieme ad Eusebia, quanto fosse incantevole Toledo con le sue antiche stradine ed i viottoli pieni di esercizi commerciali, arroccata su quella alta piattaforma di granito e con il suo fiume che le fa da splendida cornice. -
- Se tu lo vorrai, mammina, potresti aprire un negozio pieno di tutti quelli speciali ricami che tu crei a getto continuo. Ma il motivo principale per cui mi stabilirò lì è che a Toledo esiste la migliore scuola di Flamenco di tutta la Spagna.-
- Io ed Eusebia vogliamo diventare delle vere professioniste di ballo e vorremmo diventare famose e celebri -
Simona si aspettava ormai da parecchio tempo questa richiesta per avere raccolto le confidenze di Eusebia, bravissima anche lei nel ballo e dotata di una classe forse pari a quella di sua figlia, tanto da essere stata contattata da gente della televisione per spettacoli che si sarebbero svolti nell’antico teatro accanto all’altrettanta antica Cattedrale castigliana in cui il Flamenco, associato al canto ed accompagnato dalla melodia malinconica e languida delle frasi delle chitarre, si esprimeva nelle caratteristiche gitane delle danze una volta “sevillanas” oppure delle “malaguena”.
Al sì di Simona, Consuelo promise alla mamma che si sarebbe comportata come lei si aspettava da sua figlia e che comunque avrebbe diretto lei stessa il negozio di merletti.
Simona poi, si sarebbe recata almeno una volta al mese a Toledo per controllare e dirigere gli affari e per dare utili consigli a sua figlia, che avrebbe assunto un paio di ragazze con l’incarico di commesse.
Consuelo ed Eusebia avrebbero avuto parecchio tempo libero per continuare a studiare sul posto ed eventualmente per contribuire a qualche spettacolo dedicato in particolare a quei turisti amanti di quel tipo di danza affine alla musica araba ed affascinante.
Così, le due ragazze partirono per Toledo accompagnate, quella prima volta, dalla mamma di Consuelo ansiosa di poter constatare con i propri occhi la nuova sistemazione di sua figlia e di Eusebia.


L’appartamento, che le due amiche avevano scelto vicino al Tago, era piccolo ma accogliente, sul lato destro di una viuzza tortuosa, dal sapore arabesco non troppo lontano rispetto alla scuola di Danze Spagnole Solinas.
Il maestro Pedro Solinas, su appuntamento fissato per qualche giorno dopo, volle esaminare le potenzialità delle due nuove ragazze che si erano presentate con il Diploma di Danza del famosissimo Pablo Josè, entrambe con il massimo di voto finale.
Era chiaro che tutte e due, oltre ad avere studiato con passione possedevano una espressività rara nelle figure del fandango e della malaguena mentre presentavano alcune lacune, anche se appena accennate e quasi impercettibili, nelle sevillanas.
Il maestro Solinas, come al solito, parlò chiaramente.
- Siete due stupende ragazze, una più bella dell’altra, avete il fuoco e la malinconia dei gitani e potreste diventare famose in questo mondo difficile del Flamenco solo se vi perfezionaste ancora molto di più sulle sevillanas dove ho notato degli sfasamenti dovuti al metodo che vi è stato insegnato a Barcellona.
Qui a Toledo dovreste perfezionarvi tra i miei allievi e questo per un periodo di almeno un anno. Poi dovreste andare a Siviglia per un paio di anni dove diventerete perfette e talmente brave che tutti vi proclameranno le nuove dive di Spagna nel settore che avete scelto e che avete nel sangue. -
Consuelo ed Eusebia, alla presenza di Simona, non poterono trattenere alcune lacrime di gioia dopo il breve sermone del maestro Solinas, ma se da un lato avevano avuto il sentore di toccare il cielo con un dito per i suoi complimenti, sotto un altro profilo sprofondarono in uno stato depressivo angoscioso per il semplice motivo che avrebbero dovuto allontanarsi da Toledo, dopo un solo anno e trasferirsi poi almeno per un paio di anni a Siviglia.
Fu Simona che ridiede fiducia a Simona ed ad Eusebia.
- Penserò io a tutto, -esclamò sorridendo.
- Non avrete bisogno di lavorare, figlie mie. A Toledo prenderemo il negozio che abbiamo scelto e per un anno sarà fatto tutto quanto abbiamo già stabilito. Poi vedremo se aprirne degli altri a Siviglia oppure creare una catena di negozi, nelle più grandi ed importanti città spagnole, in “franchising”. -
Simona aveva pensato alla sua gioventù prima di decidere.
Quante volte aveva sognato a venti anni di realizzare tanti bei sogni senza mai poterli ottenere.
Consuelo invece avrebbe avuto, a poco più di diciotto primavere, tutto quello che desiderava.
Se lo poteva permettere soltanto ora, vicina ai sessanta, di dare all’unica cosa importante che aveva avuto dalla vita e cioè a sua figlia, tutti i capricci e tutti i sogni che avesse voluto levarsi.
Di quel benessere ne avrebbe goduto anche la sua compagna ed amica Eusebia, figlia di una povera donna che aveva sempre combattuto per darle un minimo di benessere dopo che era rimasta vedova quando Eusebia aveva appena compiuto otto anni.
Tra l’altro, Cristina, era sua amica da sempre e non si sarebbe mai opposta ad una decisione partita dalla testa della mamma di Consuelo un po’ per rispetto ma in particolare perché sapeva come avesse educato Consuelo stessa che era stata sempre dolce ed affettuosa con lei, quasi fosse una seconda figlia.







CAPITOLO QUATTORDICESIMO






L’anno vissuto a Toledo era volato in un baleno.
Tutto quanto era stato programmato era andato a buon fine e le due amiche e ballerine avevano passato un anno tra lo studio alla Scuola del grande Solinas ed il negozio di Simona senza prendersi che qualche raro svago.
Si erano comportate meravigliosamente.
Nemmeno un piccolo flirt con i giovani della Scuola di Danza, neppure un viaggio a Madrid, pur così vicina, ma solo la ferrea volontà di essere pronte per i due anni successivi da passare a Siviglia.
Simona invece aveva pensato di recarsi spesso nel capoluogo della Andalusia per gli affari che aveva in mente: la catena di negozi in “Franchising” della sua fiorente Azienda che aveva sfondato anche a Toledo pur con un solo negozio.
Avesse avuto dieci anni di meno oppure gli fosse rimasto accanto Raffaele ormai titolare di una grande Società di import-export di vini, Simona sarebbe divenuta una delle più grandi Imprenditrici di Spagna.
Il senso degli affari sembrava essere nato insieme a lei.
Ma era anche la sua dedizione al lavoro, e che tipo di lavoro difficile avesse scelto lo sapevano ormai tutti coloro che collaboravano con lei nella crescita esponenziale di quella che era stata una piccola Ditta, ciò che le dava tutta l’energia di cui aveva bisogno quotidianamente.
Ormai gli anni bui, di quando era arrivata in Spagna con un passaporto falso sfuggendo assieme a Raffaele all’unica azione indegna della sua vita, erano soltanto un lontano e brutto ricordo, mentre il suo cuore e la sua anima vivevano soltanto per quella figlia che aveva voluto con tutte le sue forze e per la quale era importante vivere e combattere.
Simona aveva voluto conoscere bene la città che avrebbe ospitato Consuelo ed Eusebia per due lunghi anni.
Tutto doveva essere stato già messo a posto prima dell’arrivo delle due ragazze a Siviglia, compreso l’ordine quotidiano cui credeva con tutta la sua ancora non domata energia e per questo avrebbe scelto lei dove sua figlia e l’amica avrebbero abitato e vissuto.
Simona si era innamorata della Torre de Or sul Quadalquivir ma quello era soltanto un posto per turisti di passaggio.
Stupendo, meraviglioso e pieno di antichità era il centro della città ma aveva in più un vantaggio pratico oltre a quello estetico.
Quello del valore commerciale di ogni bottega inerpicata sulle strette vie dall’alto delle quali si potevano ammirare i tre ponti sul fiume e la sua riva destra fino al sobborgo di Triana, l’Alcazar con tutte le sue sfumature arabesche e la chiesa di S.Egidio dove era custodita e venerata la Madonna detta della Macarena.
Simona infine aveva deciso.
Avrebbe investito un mucchio di soldi ma ognuna di quelle viuzze del centro avrebbe portato il suo marchio e lo scopo era quello di riempire d’orgoglio l’anima di sua figlia che così non l’avrebbe mai potuta dimenticare.
La casa invece, dove le due ragazze avrebbero dovuto vivere, l’aveva scelta vicina ad un luogo amato da tutti gli spagnoli: l’arena delle corride detta “De la Maestranza” dove esistevano da poco tempo, immerse in giardini meravigliosi, case nuove residenziali e moderne con piscine e campi da tennis oltre che ritrovi esclusivi dove si poteva incontrare gente appartenente alla classe dirigente ed artistica di Siviglia e dove le due amiche avrebbero conosciuto l’elite che più contava nel capoluogo della Andalusia.


Quando arrivò l’ ora, Consuelo ed Eusebia raggiunsero Simona a Siviglia trovando tutto in ordine e felici che lei avesse pensato anche alla casa dove avrebbero abitato.
Le tre donne vollero ambientarsi per un paio di settimane prima di dirsi arrivederci e quello fu un momento di gioia e non di tristezza per tutte e tre, almeno apparentemente.
Tuttavia, Simona, non potette fare a meno di raccomandarsi alle due diciannovenni prima di salire sull’aereo che la doveva riportare a Barcellona.
- Non voglio farvi prediche inutili, -disse con un velo di commozione che per quanto controllato le stringeva la voce, -siete tutte e due l’unica cosa che mi importa della mia vita e per voi pregherò la mia santa protettrice cui chiedo di vegliare su di voi con tutto l’amore che io non so esprimervi con le mie parole. -
- Dovete ricordarvi in ogni attimo, -aggiunse baciandole entrambe, -che potete fidarvi soltanto di voi stesse. Il mondo è cattivo ed anche quando sentirete di potervi fidare di qualcuno dovete prima pensarci dieci volte per dare il vostro cuore ed anche che l’uomo è ingrato e bugiardo e che è molto difficile poterne decifrare l’anima ed ancora maggiormente i sentimenti. -
Delle due giovani ragazze solo Consuelo rimase stupita di quel discorso di Simona, fatto all’ultimo minuto, e stringendola con tutto l’amore che sentiva quasi non più controllabile, esclamò.
- Mammina mia, che dici! Siamo state lontane da casa già da un anno e sai come siamo accorte. Perché ora stai dicendo questo quando a Toledo non ci hai parlato così? -
- Nulla è cambiato in noi due e devi tu per prima fidarti perché non potrei vivere al pensiero che ti rattristi, senza alcun motivo, per qualcosa che potrebbe accadere ma che mai accadrà. -
- Se ti riferivi all’amore non devi preoccuparti. Siamo sufficientemente grandi per badare a queste cose ed adesso non abbiamo tempo da perdere per simili idiozie. -
Consuelo guardò a lungo gli stupendi occhi di Simona e pensò che, pur non avendole mai detto nulla a riguardo, sua madre doveva aver sofferto tanto per amore quando era stata giovane e bellissima.


Simona guardò intensamente sua figlia, le accarezzo il viso ed altrettanto fece con Eusebia.
Erano due creature meravigliose e sembravano addirittura due angeli tanto erano belle ed allo stesso tempo conturbanti con quel fisico perfetto che possedevano.
Pensò che prima o poi avrebbero tutte e due trovato l’anima gemella ma non volle soffermarsi su quel pensiero.
L’aereo spiccò il volo verso Barcellona e Simona in quel preciso momento pensò che talvolta per amore dei figli si commettono errori madornali.
Si domandava se non avesse agevolato troppo i desideri della sua bambina gravandola di responsabilità anche nei confronti di Eusebia.
Si ricordò cosa fosse successo quando Consuelo aveva soltanto sei anni con Giulio e di non aver tenuto nel giusto conto la sua ardente passionalità che poi era stata la causa dell’ amore che nutriva per quella danza tristemente melodica del flamenco e con quel ritmo conturbante, tanto mediorientale.
Simona pensò anche ai due uomini della sua vita, prima a Mario, quel marito che l’aveva tradita soltanto per l’eccesso di un erotismo di cui era sicuramente impastato dalla nascita, poi a Raffaele, che pur amandola l’aveva messa in secondo ordine rispetto al lavoro che evidentemente per lui era più importante di ogni cosa al mondo.
In verità Simona era rimasta maggiormente amareggiata dal comportamento di Raffaele rispetto a quello che avrebbe dovuto prevedere per suo marito, uomo che aveva sposato come un ripiego, spinta dalla sua famiglia desiderosa che si accasasse al più presto con un benestante ma che in realtà non aveva mai amato veramente.
Di Mario si era vendicata ampiamente, perché Simona era sicura che se lui non si fosse comportato come un animale in calore con quella puttana ed il fatto fosse rimasto sconosciuto, certamente, lei credulona avrebbe continuato ad essergli fedele, magari curandosi una depressione che non esisteva.
Ma ciò non era lo stesso nei riguardi di Raffaele che ancora continuava ad amare appassionatamente.
Tra l’altro Simona non si vergognava di essere ancora, a sessanta anni quasi raggiunti, gelosa di colui che le aveva salvata la vita, molto probabilmente, sottraendola ai suoi amici delinquenti.
Non ne era certa ma pensava che Raffaele si fosse messo in Piemonte con una altra donna magari più giovane di lui, del resto come era giusto che fosse, per un uomo forte e bello che appena in quel anno aveva compiuto i cinquantatre anni.
Tuttavia non ammetteva che si ricordasse così poco di Consuelo contrariamente a quanto avesse promesso alla loro figliola.
L’ultima volta che si erano incontrati era stato a Toledo in occasione dei diciannove anni di Consuelo e non aveva importanza se lui le avesse regalato, per il compleanno, una bellissima auto nuova.
Avrebbe dovuto esserle molto più vicino in quei primi anni lontano da casa. Avrebbe dovuto inoltre darle tutti i consigli che solo un uomo può dare alla propria figlia e farle capire quanto fosse difficile vivere lontano dalla mamma in quel età delicata dove si pongono le basi della propria vita.
Lei aveva tentato di farglielo capire ma come donna non si era sentita di toglierle la gioia del nuovo e negarle i sogni della sua gioventù.
Era avvenuto tutto il contrario di quello che Simona aveva tante volte pensato che potesse realizzarsi, in pratica che sua figlia non si fosse tanto allontanata fisicamente da lei e che un giorno avesse fatto una vita normale intendendo per normale la semplice vita di una giovane sposa e di una mamma con un bel numero di figlioli.
La visione, fantastica e certamente irreale, di Consuelo madre fu l’ultima cosa che le venne in mente prima di scendere dolcemente sull’aereoporto di Barcellona.







CAPITOLO QUINDICESIMO






Una settimana dopo il suo ritorno a Barcellona, Simona ricevette una telefonata da Raffaele dall’Italia nella quale, quest’ ultimo, l’avvisava che sarebbe venuto a Barcellona per passare con lei il successivo fine settimana e per avere notizie fresche riguardo a Consuelo.
Come al solito Raffaele fu carino con lei dicendole che non vedeva l’ora di abbracciarla ed allo stesso tempo consigliandole di
farsi bella per lui.
Tra una parola e l’altra Simona si sentì come un verme per aver dubitato che Raffaele avesse ormai una altra famiglia in Piemonte e magari dei figli.
Non lo vedeva in carne ed ossa dal precedente compleanno di Consuelo, quando le aveva regalato l’auto e sapeva a mala pena che sua figlia si era trasferita a Siviglia da pochi giorni.
Nell’insieme ebbe la sensazione che Raffaele fosse ancora attratto da lei ed in ogni caso che non l’avesse dimenticata.
Sentiva che l’importante era avere ancora un uomo che la pensasse teneramente e che si preoccupasse, almeno un poco, della sua vita e di quella della loro figliola.
Anche se ormai in età in cui generalmente ogni donna raggiunge la pace dei sensi, Simona avrebbe gradito delle avances erotiche sessuali da parte di Raffaele e lo avrebbe accolto con tutto il calore che anche una donna sessantenne possiede quando ne ha la voglia.
Così dedicò i primi quattro giorni della successiva settimana tra sarta e massaggiatrice oltre che tra visagista e parrucchiera.
Voleva assolutamente sapere, in quel momento, se potesse ancora contare realmente su quel toscano che l’aveva in passato perdutamente amata e che lei aveva scelto come padre di sua figlia, la quale aveva preso molte delle caratteristiche fisiche del padre, alta e slanciata ed assolutamente invidiabile da qualsiasi altra donna, con un portamento di giovane fatale, dalle lunghe e perfette gambe e dal viso di bambola moresca con quelle lunghe ciglia nerissime quasi fossero non sue.


Oltre alla sua presenza fisica di uomo affascinante, Raffaele portò a Simona una notizia che lei non si sarebbe mai aspettata.
Dopo aver fatto all’amore con lui egli le prese le mani e le raccontò di aver concluso un colossale affare tale che, per tutta la vita, non avrebbe avuto più bisogno di dedicarsi in prima persona al lavoro, ormai passato in altre mani e che nell’ultimo anno aveva saldato i conti con quelli che erano stati i suoi compagni nella banda cui era appartenuto.
Aveva saputo da suoi informatori della morte del capo banda in un conflitto a fuoco con la Polizia e che agli altri sarebbe bastata una buona uscita per lasciarlo in pace per sempre.
Aveva pagato cinquecento mila euro ed il patto era stato di poter riprendere la sua identità, oltre quella di Simona che ormai cittadina spagnola e vedova risultava emigrata in Guatemala, ma non ricercata dall’Interpool per la mancata denuncia di Mario alla Magistratura del rapimento di colei che era stata sua moglie.
Mario, ormai morto da dieci anni, aveva soltanto denunciato che Simona era fuggita di casa con un suo amante.
Raffaele aveva fatto tutto in prospettiva di sposare Simona e dare così una vera famiglia a Consuelo.
Mario era morto di stenti e per pagare i debiti contratti ed era diventato un morto di fame senza né arte né parte tanto che alla fine si era suicidato.
Quando Raffaele le mise al dito un anello di brillanti come pegno della sua determinazione di sposarla, Simona con un balzo si mise in piedi sul letto e cominciò a vomitare ed a urlare.
Raffaele le aveva detto in buona sostanza che Mario era morto suicida, per salvarla, con quel colossale debito contratto con la Banca ma non aveva considerato che così dicendo le aveva addossato la responsabilità morale della morte di suo marito.
Simona aveva sì odiato Mario ma non poteva sentirsi, in parole povere, la sua assassina.
Nella sua coscienza sapeva bene di non essersi comportata come una pia donna ed erano bastate le parole di Raffaele per distruggerla moralmente.
Simona prese l’anello e lo buttò in faccia a Raffaele, poi gridando gli disse che non l’avrebbe mai e poi mai sposato e che anzi non lo avrebbe mai più visto perché sentiva nel suo cuore che per quel peccato avrebbe pagato, in ogni caso, amaramente il malfatto.


Raffaele era il manifesto vivente della sua vita.
Egli aveva creduto di farle una lieta sorpresa.
Di regalarle ancora un po’ di felicità dopo i primi anni belli che avevano passato insieme e per questo motivo se ne era andato in Italia, con la scusa di un lavoro molto più redditizio ma in realtà non era stato nemmeno lui onesto con lei, alla stessa maniera di suo marito Mario.
Ora credeva di lavare la sua anima con quel gesto e con quella proposta di un matrimonio, assurda, dopo tanti anni di convivenza.
Come sarebbe stato meglio che Raffaele non si fosse preoccupato di estinguere il debito con la sua coscienza in un altro modo, che poi sarebbe stato quello di rimanerle vicino e basta.
Certamente aveva aiutato Consuelo a crescere per i primi anni della sua vita ma poi?
Tutti i problemi che la loro figliola aveva avuto negli ultimi anni non li conosceva oppure faceva finta di ignorare.
Prima, Consuelo aveva avuto bisogno di una vera famiglia e non certo adesso quando la sua strada era già tracciata e che in un modo o nell’altro l’avrebbe portata al suo destino del quale soltanto lei ne sarebbe stata responsabile.
Quello che Simona aveva fatto per la loro figliola era stato portato avanti con il massimo sforzo fisico e psichico ed in più sempre da sola.
Ora non ne doveva essere più responsabile.
L’aveva educata come poteva, sperando nel meglio, ma sarebbe stato il suo destino quello che l’avrebbe forgiata e forse il fato sarebbe stato molto più generoso verso Consuelo di quanto fosse stato quello della mamma, la donna della Carnia capitata in quel Paese straniero, se pure caldo ed accogliente per puro caso.


Simona e Raffaele presero insieme la decisione di non raccontare nulla a Consuelo della nuova situazione che si era creata fra loro due e questo per evitare di metterla in uno stato di angosciosa trepidazione.
Su questo punto si trovarono perfettamente in linea.
Le cose sarebbero rimaste immutate con Simona in Spagna e Raffaele in Italia, ognuno libero di fare qualsiasi cosa per vivere serenamente gli anni prima che avanzasse la vecchiaia.
Pur essendo avvilito nel suo amor proprio, era stato Raffaele che, rimuginandoci sopra, aveva pensato come ormai nulla avrebbe convinto Simona a fare un passo indietro importante ma non più possibile.
In ogni caso Raffaele avrebbe protratto, per altri sette dieci giorni almeno, la sua permanenza e si sarebbe recato a Siviglia da Consuelo per riabbracciare colei che era stata l’unico frutto dell’amore con Simona, tornando poi subito in Italia.
Era molto difficile per lui lasciare Simona ma ancora maggiormente non stare più vicino a sua figlia.
In mente aveva tutta l’infanzia di Consuelo, come su un lungo film, da quando prendeva il latte di Simona, ai primi passi incerti e poi ai giorni di scuola ed a quelli delle vacanze, dalle corse che egli aveva fatto con lei rincorrendola alle passeggiate in bicicletta.
E poi le mille altre cose che Consuelo aveva fatto e che lui non aveva dimenticato e che mai avrebbe scordato.







CAPITOLO SEDICESIMO






Consuelo stava guardando affascinata la tecnica di ballo del primo ballerino Miguel.
Le era stato presentato dal direttore della “Reale Scuola di Flamenco” mezzora prima.
Miguel non era un uomo ma un Dio per la ragazza di Barcellona.
Alto un metro ed ottanta, perfetto nel fisico possente e muscoloso, un vero “macho”dallo sguardo fiero e distaccato con capelli corvini lunghi sul collo ed una bocca carnosa e morbida.
Miguel non degnò nemmeno di uno sguardo né Consuelo, né Eusebia dicendo soltanto alle due ragazze.
- Imparate a memoria quello che farò oggi e nei prossimi giorni con Rosita.-
- Lei è la mia partner e quando sarete pronte ed avrete acquisito almeno un quarto della sua bravura, fatemi un fischio e vi farò l’onore di provare con voi il vero Flamenco Sivigliano. -
Non aggiunse altro ma Consuelo sentì vacillare le proprie ginocchia ed al tempo stesso, mentre Miguel conduceva la danza con Rosita, capì in solo attimo che quello sarebbe stato il suo uomo.
Non era amore a prima vista, non era nemmeno una infatuazione ma un completo abbandono del suo corpo che sentiva illanguidirsi e sciogliersi come una candela accesa da un fuoco feroce che non poteva dominare.
Miguel non aveva fatto nulla per causarle quello sconquasso, quella tempesta ormonale e quella sensazione di dominio totale nei suoi riguardi.
Consuelo sentiva di essere diventata impotente, di non avere nemmeno la forza di rimanere in piedi.
Si accucciò sul pavimento della sala da ballo e rimase lì, abbandonata a quella sensazione che avvertiva pericolosa ma incapace di difendersi.
Sua madre e suo padre l’attendevano a casa alla fine della giornata ma non le importava niente di loro, né di Eusebia.
Aveva bisogno solo di Miguel che l’ aveva riportata bambina, debole ed impaurita, una creatura indifesa di fronte ad un uomo che in fondo le faceva molto paura.
Per due intere ore non fece altro che fissare ogni passo ed ogni figura che Miguel esibiva con Rosita e per due ore sentì sprofondarsi il pavimento sotto i piedi, avendo la sensazione di essere sul punto di non potersi più controllare e che sarebbe in un attimo crollata in una situazione abissale, come se si trattasse di un buco nero provvisto di una fatale attrazione ma che l’avrebbe potuta distruggere.
Alla fine dell’esibizione con Rosita, una vera lezione di passione trasformata dalla danza in una tragica e voluttuosa situazione che la vita talvolta può porre davanti alle sue creature, spesso indifese, Consuelo si avvicinò a Miguel e con quelle poche energie che le erano rimaste, pallida, quasi esangue, ebbe soltanto la forza di mormorargli, facendo uscire dal profondo di se tutto il coraggio che non credeva nemmeno lontanamente di possedere.
- Miguel, tu mi hai fatto morire di una passione che mai ho provato nella mia vita. Io mi sento tua ed anche se non capisco perché, ti dico di ricordarti che puoi fare di me quello che vuoi. -
- Puoi mandarmi in Paradiso oppure all’Inferno ma questo è poco importante per me. Io voglio soltanto che tu mi faccia impazzire perché sei l’unico uomo al mondo che lo può fare. -
Miguel la guardò a lungo negli occhi dallo sguardo profondo, finalmente sorrise e subito dopo esclamò.
- Cresci ragazzina, adesso non ho tempo per te! E poi cosa potrei darti che non conosci già? Chissà quanti uomini avrai fatto rimbecillire con questo corpo e con questo viso che ti ritrovi? -


Consuelo ed Eusebia tornarono tardi quella sera a casa ed era stata Eusebia che, avendo capito tutto dell’amica, pensò che sarebbe stato meglio telefonare a Simona per avvisarla del ritardo evitando che Consuelo parlasse con la madre e si facesse vedere subito così strana e tanto turbata per il non previsto incontro-scontro con Miguel. che era divenuto un incubo atroce nell’anima e nel corpo della trasformata Consuelo.
Eusebia chiese all’amica.
- Cosa ti è successo oggi nel breve tempo che siamo rimaste a guardare quel Miguel? -
- Ho visto come te lo mangiavi con gli occhi! E’ certamente un tipo che non può passare inosservato, mia cara Consuelo, ma tu mi sei sembrata, accidenti al diavolo, completamente uscita di testa! -
Lungo il cammino a piedi verso casa Consuelo, arrossendo, prese sotto braccio l’amica e spiegò.
- A te lo posso dire, quel uomo mi ha letteralmente stregata. Mai avrei potuto immaginare una attrazione così completa per un tizio che poi non conosco nemmeno. E’ così affascinante che sarei capace di qualsiasi cosa per averlo in mio possesso, ma non dico in senso metaforico, altro che, lo vorrei per me anima e corpo anzi vorrei che mi facesse soffrire perché a lui darei anche il più piccolo angolo della mia persona e la più minuscola parte del pudore che pure sento in me da quando sono diventata signorina! -
- Mi sembra di essermi imbattuta in un uragano di sensazioni e che pur temendo, voglio sperimentare e sapere cosa esista nell’occhio del ciclone che mi aspetta, per udire la sua voce che mi dice in un silenzio irreale “Ti darò la Pace che cerchi”ed oltre a quella l’Estasi”
Eusebia che prima non aveva sospettato a che punto la sua cara amica fosse arrivata la interruppe.
- Non voglio che ti lasci andare così irrazionalmente, conosco il significato di quanto mi hai confidato. Questa è pura Passione, Pazzia senza nessun ritorno gradevole per te. E’ una specie di Masochismo che ti ha presa e che ti impedisce di ragionare. Se tu sapessi cosa significa la Passione violenta, fine a se stessa, scapperesti mille chilometri lontana da questo posto. Tutto si traduce in sofferenza come può avvenire per coloro che vogliono provare la droga e che poi ne diventano schiave senza nessuna possibilità di uscita se non nella disgregazione della propria personalità. -
Consuelo ascoltò attentamente l’amica del cuore ed a sua volta chiese.
- Ma tu come fai a sapere tutte queste cose? -
- Lo so, perché è successo a mia madre quando è rimasta vedova di mio padre; piangeva tutti i giorni di disperazione. Poi ha conosciuto un uomo che le ha dato quella Passione che tu cerchi. E’ durata soltanto un anno ed ancora adesso si dispera pur con tutte le sofferenze che ha dovuto subire da quello. Tu sei l’unica persona cui ho confidato questo segreto che è successo tanti anni fa. Consuelo non devi cedere alle tue emozioni. Ti voglio troppo bene per vederti soffrire, cosa che avverrebbe sicuramente se tu cedessi alla Passione che provi per Miguel.-


Tutte le parole che dissero Raffaele e Simona, una volta giunta a casa, parvero a Consuelo delle semplici dichiarazioni di affetto.
Ben altro aveva nella testa e cercò quindi di ascoltare i suoi genitori con un solo orecchio.
Quanto le aveva detto Eusebia per strada aveva sortito lo stesso effetto.
Fecero tardi quella sera e Consuelo non vedeva l’ora che si ritirassero a dormire.
Lei aveva ben altro cui pensare: La presenza fisica di Miguel, il suo sguardo , le sue labbra e le sue parole l’accompagnarono nel letto senza abbandonarla per un istante e quella volta lo sognò in un sonno colmo di passione erotica e di frasi delicatamente sadiche.
Al mattino, dopo una nottata agitata, Consuelo avvertiva ancora il bisogno di rivedere e di stare assieme a Miguel eppure doveva rimanere ancora a far compagnia alla mamma ed al papà ancora per qualche giorno.
Raffaele sarebbe partito la domenica mattina per Milano, per poi recarsi in Piemonte, Simona sarebbe rimasta ancora un paio di giorni per tornarsene a Barcellona il lunedì sera.
Per lei era molto più difficile staccarsi questa volta da sua figlia.
Aveva un presentimento condito di paura, quello di abbandonare Consuelo al suo destino in quel preciso momento.
L’aveva vista molto strana la sera precedente. Non era stata esuberante, come sempre, appena li aveva visti eppure non sapeva nulla di quanto Simona e Raffaele avevano deciso riguardo al loro futuro.
Le era sembrata come quando, da bambina, le nascondeva qualcosa di importante, magari una piccola verità, ma certamente importante, molto importante per lei.
Simona anzi le aveva chiesto immediatamente se si sentisse bene ma alla sua risposta positiva si era un po’rasserenata ma non completamente, specialmente quando ebbe osservato l’espressione del viso di Eusebia anche lei preoccupata per l’amica.
Fu tale il tormento di Simona che, quando rimase per qualche minuto sola con la figlia, le chiese.
- Non vorrai dirmi che non hai qualche sorpresa da nascondermi, piccola mia, se è così dillo a tua mamma non aspettare che io me ne vada per risolvere tutto da sola-
- Sarebbe un errore enorme rimanere in silenzio con me.-
Simona prese il volto della figlia tra le mani. Era tutta sudata e rossa sulle guance.
- Mamma, -disse sottovoce e senza guardarla negli occhi, -ho qualche problema ma adesso non mi va di parlarne. Però ti prometto che, se le cose dovessero complicarsi, ti farò partecipe di ogni cosa.-
La baciò con tutto l’amore che sentiva per chi si era tanto sacrificata per lei e per chi le aveva dato la vita. Le mise la mano sulla bocca come se non volesse più sentirla parlare e le disse.
- Mamma ti amo e tu sarai la sola persona al mondo che conoscerà anche i miei più piccoli segreti. Te lo giuro.








CAPITOLO DICIASETTESIMO






Consuelo rivide Miguel il giorno dopo a quello della partenza di Simona.
Era lunedì e come al solito le due amiche furono puntuali all’apertura delle lezioni.
Miguel arrivò tardi verso le undici. Nessuno lo aspettava.
Aveva il permesso di non presentarsi ogni lunedì mattina dal momento che le sue lezioni cominciavano alle quattordici e trenta.
Miguel appena giunto fermò Consuelo e le disse.
- Ho pensato sufficientemente a quanto mi hai proposto una settimana fa. Devo cominciare le mie lezioni tra tre ore e mezzo. Abbiamo tutto il tempo di andarcene via subito anche perché mi sento meglio dopo aver fatto all’amore. Il permesso di uscire te lo firmo subito io e quindi non devi preoccuparti di avvisare nessuno, nemmeno la tua amichetta. -
Consuelo sentì due contrastanti sensazioni invaderle tutto il corpo a partire dal cervello: languore e panico.
Non aveva atteso altro, durante tutti i giorni passati con la mamma ma adesso, pur essendo cosciente in quale notte buia poteva immergersi ed anche soffrendo per le bugie che aveva detto a Simona e per la sua reputazione, che sarebbe sparita in un attimo, rispose.
- Va bene Miguel, andiamo pure, voglio provare l’ebbrezza che tu mi darai anche se so perfettamente che me ne pentirò amaramente.
Mi hai preso in parola e già questo mi fa capire che sei una perfetta carogna ma non me ne importa assolutamente. Non posso fare a meno di te ed anche se mi legassero con delle catene di ferro avrai da me tutto ciò che desideri e che io non solo voglio ma che addirittura mi farebbe morire se non lo avessi. -
Silenziosamente Consuelo seguì il famoso ballerino, scese le scale ed entrò nell’auto di lusso di Miguel
Non avvertiva nessuna vergogna e neppure il pensiero di comportarsi come una grande puttana e per lo più vergine, la condizionò minimamente.
Si sentiva completamente succube di quel giovane uomo e mai, nel suo passato prossimo o remoto avrebbe immaginato quanto il destino le avrebbe riservato in una incantevole città lambita dal Guadalquivir.
Era come se stesse vivendo una seconda vita: libera ma non felice, senza nessun timore ma atrocemente condannata da un tribunale morale che in qualche modo le pulsava dentro, fatta soltanto di carne e passione, come se fosse stata colpita da una malattia mortale e senza speranza.


Rimasero nella villetta di Miguel, distante un paio di chilometri dalla Scuola, per due ore abbondanti e quelle furono per Consuelo le ore più belle della sua vita.
Fu tanto l’orgasmo che Consuelo ebbe modo di provare che la ragazza, come invasata non faceva altro che sussurrare all’uomo di volerne ancora, tanto ancora e non limitandosi ai semplici amplessi.
Simona era caduta in una specie di trance tanto che dai mormorii che le uscivano dalle labbra passò rapidamente a gemiti ed a urla di soddisfazione. Era completamente sua ed ancora, provava addirittura piacere nel toccargli le forti braccia e le mani nervose, le gambe atletiche e muscolose ed i glutei solidi.
Ma era la bocca di lui che voleva maggiormente sentire sul suo corpo e quella leniva quel po’ di dolore per essere stata deflorata.
Egli la dominava completamente e qualsiasi cosa facesse era per Simona fonte di godimento, profondo , irripetibile e squassante.
Infine Miguel affermò.
- Ti ho soddisfatto, bella italiana, spero di sì ma una cosa te la devo dire e cioè di non sognarti nemmeno lontanamente che tu sarai la mia ragazza. -
- Vali parecchio come femmina ed io ti prenderò in qualsiasi momento ne avrò voglia. Sento che appartieni completamente a me alla stessa maniera, ma altrettanto devi sapere, che tu non sei assolutamente nulla per me. Ora vai a farti una doccia e se ti è rimasto ancora un filo di forza, rivestiti ed andiamo alla Scuola dove ci aspetta una dura lezione di Flamenco.-
A Simona girava la testa e non capiva assolutamente più niente. Tuttavia ubbidì a Miguel e senza commenti di nessun genere lo seguì e come erano arrivati nel villino se ne andarono senza fiatare anche se lei, in un barlume di coscienza, pensò a cosa avrebbe detto ad Eusebia.


Eusebia non si era mossa dalla Scuola nemmeno per l’ora di pranzo. Aveva mangiato un panino al prosciutto che si era portata da casa, aveva bevuto una spremuta di arance ed era rimasta seduta su uno sgabello nella piccola sala attigua a quella delle audizioni, meditando a lungo su quello che fosse capitato alla sua Consuelo.
Era chiaro che non l’aveva ascoltata. Le sue raccomandazioni le aveva gettate in un cestino di rifiuti come se a fargliele fosse stata una perfetta estranea.
Consuelo, così, aveva dimostrato di essere stata colpita da un virus maligno oppure da un veleno contenente degli allucinogeni oppure ancora da una magia nera che fosse penetrata nella sua anima pura, trasformandola in una bieca cosa, sporca e priva di qualsiasi minima luce che pure e la sua educazione e la sua famiglia le avevano cercato di inculcare.
La sua dolce amica si era infilata in una gabbia senza uscita almeno che lei stessa, Eusebia, non avesse fatto un colpo di testa per salvare colei che considerava come una sorella.
Eusebia pur essendo la più dolce e delicata ragazza del mondo aveva un carattere molto diverso da quello di Simona.
Diventava, quando sceglieva questa strada opposta alla sua indole delicata e morbida, diversa, cinica e cattiva.
Eusebia conosceva, al contrario di Simona, come dovevano essere affrontati gli uomini, forte della sua potente personalità non dissociata dalla sua fulgida bellezza, che poteva distruggere come e quando volesse ogni maschio.
Non esistevano lusinghe od altro che la potessero smuovere di un solo millimetro oppure frenare quanto razionalmente si metteva in mente.
Era anche testarda e mai avrebbe permesso a quel uomo di fare del male alla figlia di Simona a costo di ucciderlo.
Eusebia aveva poco tempo per prendere una decisione e fu in quel momento che le apparve in un pallore cadaverico, il fantasma di Consuelo dietro, come un cagnolino, alla figura aitante di Miguel.







CAPITOLO DICIOTTESIMO






Eusebia fece finta di niente e soltanto sorrise con una certa amarezza quando vide Consuelo distrutta, con grossi lividi sulle belle cosce per le due ore e mezza passate con Mìguel e senza nemmeno un filo di energia.
Si avvicinò al primo ballerino della Scuola di Danza e lo fisso dritta negli occhi con il suo sguardo provocante, i capelli raccolti in un ciuffo sul collo, la bocca carnosa tinta di un rosso amaranto sorridente, il naso leggermente aquilino e chiese sorniona?
- Ce la fai caro Miguel a farmi lezione oppure vuoi spostarla a più tardi quando avrai ripreso le tue forze? -
Rise di gusto per avergli fatto capire che non le poteva nascondere quanto si fosse divertito con Consuela.
Miguel la osservò e divertito le rispose.
- Di energia ne ho tanta che tu nemmeno puoi immaginare. Potrei farcela con tre Consuelo allo stesso tempo e con un paio di Eusebie più focose di te. -
-Quando avremo finito le lezioni, sarò a tua disposizione, tanto credo che Consuelo avrà bisogno di almeno una settimana per ricuperare.-
Eusebia non potette nascondere la propria soddisfazione per le parole di Miguel, aveva ottenuto quanto si era prefissata, l’avrebbe umiliato ed avrebbe vendicato Consuelo.
Non aveva ancora un piano preciso ma sicuramente avrebbe passato la serata con il famoso ballerino e quello sarebbe rimasto scornato.
Avrebbe accompagnato a casa Consuelo dopo di che le avrebbe raccontato una frottola.
Doveva uscire per un appuntamento con un paio di ragazze e tre allievi della Scuola per andare a cenare fuori essendo stata invitata per il compleanno di uno di questi.
Aveva anche detto a Consuelo che le sembrava molto affaticata e stanca e che per questo motivo aveva evitato che la invitassero.
Una buona dormita le avrebbe fatto bene ma non accennò nemmeno lontanamente a come avesse passato il tempo tra le undici di mattina e le due e mezzo del pomeriggio, facendo finta di non aver notato la sua assenza.


In casa non c’era nessuno. Raffaele e Simona erano usciti per cenare fuori e sarebbero tornati molto tardi, forse verso l’alba.
Consuelo non mangiò nulla quella sera, bevendo soltanto un paio di bicchieri di latte tanto aveva asciutta la lingua e la bocca.
Si sentiva lucida ed affranta, umiliata ed offesa nel riconoscere che Eusebia ormai sapeva tutto di lei e che contemporaneamente avrebbe potuto disprezzarla.
Non immaginava però che l’amica, pur non facendone cenno, voleva vendicarla e che sarebbe stata quella la notte in cui Miguel avrebbe ricevuto pan per focaccia.
Consuelo salutò l’amica dicendole che sarebbe andata subito a dormire e fu così ma il sonno scomparve non appena si infilò sotto le lenzuola.
Non faceva che rivedere la scene di lei e di Miguel avvinghiati in un corpo solo e la bava che le usciva dalla bocca durante gli amplessi.
Si sentiva sporca sia fisicamente che spiritualmente tanto che dopo mezzora si alzò per mettersi sotto la doccia.
Esaminò la sua vita fino a quel momento. Non poteva che considerarne negativamente la visione di insieme, da quando la famiglia Lopez si era trasferita a Madrid e conseguentemente da quando aveva smesso di vivere tranquilla tra la sua famiglia e quella di Giulio.
Non era stato nemmeno il fatto che avesse dovuto rinunciare alla Laurea, ripiegando tutta la sua ambizione e l’orgoglio di diventare una persona importante nella Scuola di Flamenco ma era il dolore, causato dall’allontanamento di Giulio quel ragazzino che era stato il suo primo ed unico amore e lo sgomento che provava per essersi data ad un uomo, per il capriccio di possedere e di essere posseduta da un grande ballerino, come se così potesse prendersi una rivalsa sulla vita in assenza di un vero amore oppure di un affetto genuino.
Consuelo si sedette sul letto, prese un foglio ed una penna e scrisse.
- Carissima Eusebia, non voglio che tu ti comprometta per me. Ho capito che questa sera ti vedrai con Miguel ed anche se è troppo tardi ti dico che l’amore ed il bene che mi vuoi, non deve essere la molla che provochi uno scombussolamento nella tua anima. Fallo per me non metterti in nessun pasticcio. Quello è un uomo sadico, violento, crudele. Devi lasciarlo perdere, ci penserà il suo destino a fargli del male ed a condurlo all’inferno. Io me ne vado via da Siviglia e ti dirò poi dove mi recherò. Voglio vivere una vita pulita tentando di essere, per quanto posso, serena ed espiando tutti i miei peccati. -
Consuelo guardò l’orologio; segnava mezzanotte. Aggiunse alla missiva.
- Avvisa tu i miei e dì loro che sono partita improvvisamente per cambiare aria per un po’, dì anche loro di tornarsene a Barcellona. Più in là darò a tutti voi mie notizie. -
Si vestì, prese una valigetta ed un borsone, chiamò un taxi e si fece condurre alla Stazione Ferroviaria. Prese un biglietto per Madrid, mentre mezzora prima Eusebia aveva accoltellato al cuore Miguel uccidendolo.


Eusebia era stata puntuale all’appuntamento con il primo ballerino della Scuola di Flamenco. La serata era uggiosa per un lieve pioggerellina fitta che infastidiva le rare persone che camminavano per le strade.
Miguel l’attendeva solitario davanti ad un ristorante cinese, la salutò e le disse.
- Eusebia andiamocene a casa mia qui a due passi. Ho comprato del cibo cinese a base di riso e gamberetti e non ti nascondo che ho una gran fame. Prima di soddisfare il tuo appetito sessuale preferisco avere lo stomaco pieno. Ci sono anche delle ostriche ed una bottiglia di spumante secco Martini.-
Miguel subito dopo, mentre percorrevano a piedi i duecento metri che li separavano dal suo villino esclamò incuriosito.
- Piuttosto che mi racconti di quella puttana della tua amica, che se mi ricordo bene, si chiama Consuelo!?...-
Fu esattamente a quel punto che Eusebia si liberò del braccio che Miguel le aveva messo attorno alla vita e con una voce tagliente gli disse.
- Non ti permettere più di parlare in questo modo di Consuelo ed anzi ti dico che, se fiati ancora su questo argomento, ti faccio sputare tutte le tue volgarità. -
Eusebia si era fermata in mezzo al marciapiede e solo allora Miguel cambiò discorso e le sussurrò.
- Non te la prendere tanto, bellezza mia, non ho detto che tu sei una puttana, come la tua cara amica, anzi ti giuro che per te ho un altro programma. Non ti toccherò nemmeno con un dito se tu non lo vorrai, mi piaci moltissimo e sei molto affascinante. Puoi stare tranquilla ed accettare il mio invito a cena. -
Eusebia gli fece un mezzo sorriso ed entrò nella casa di Miguel non prima di aver controllato nella sua borsetta, di soppiatto, di non avere dimenticato il pugnale che aveva acquistato l’anno prima a Toledo per difesa personale.
Dopo aver cenato Miguel le disse, con noncuranza, come se si trattasse di uno scherzo.
- Ho intenzione di fare un gioco con te, tanto per digerire. Sono sicuro che non hai pudori nascosti e che consideri il tuo corpo come uno strumento di lavoro. Ti voglio vedere su questo letto nuda e sono certo che questo non è un problema per te. -
- Ti legherò i piedi ma non le mani e ti farò impazzire per il solletico. -
Eusebia era curiosa di vedere dove avesse voluto arrivare.
Era come drogata ed ipnotizzata dal suo sguardo, tuttavia riuscì a dirgli se fosse impazzito di colpo e spaventata a morte, pur non dimostrando il proprio terrore, prese il pugnale dalla borsetta, lo nascose sotto il cuscino ed alla prima vera violenza di Miguel freddamente glielo conficcò all’altezza del cuore infilandolo nel suo torace per quindici centimetri.
Sapeva di aver agito con premeditazione: odiava quel uomo per il suo manifesto disprezzo per le donne e non si sentiva succube di lui come Consuelo, anche se ancora non capiva perché fosse andata lì a sfidarlo.
Eusebia cancellò tutte le impronte che potesse aver lasciato, prese un sacco per l’immondizia e non solo vi mise tutti i residui della cena compresi i bicchieri e le posate ma gettò nello stesso sacco il pugnale e tutti gli indumenti intimi suoi e quelli di Miguel.
Lasciò Miguel morto sul letto, si lavò accuratamente ed uscì come un fantasma invisibile da quella casa senza lasciare nemmeno una minima traccia della sua presenza.
Camminò per molti chilometri sotto quella pioggerellina che non era cessata, arrivò in un punto sulla riva del Quadalquivir e dopo aver messo una pietra di almeno cinque chili nel sacco, lo gettò dal ponte nel fiume senza aver perduto nemmeno un filo della suo proverbiale carattere gelido e razionale,
A mezzanotte e mezza era già a casa di Consueo. Lesse la lettera che quella le aveva lasciata e dopo averla bruciata si mise a letto senza alcun rimorso per quello che aveva fatto.







CAPITOLO DICIANNOVESIMO






Alle sette del mattino seguente, Eusebia si alzò svegliata dalla radio sveglia.
Non si sentiva minimamente pentita ne agitata per l’omicidio di Miguel.
Egli l’aveva seviziata, dopo averle fatto credere di volere giocare con lei, legata al letto con le gambe divaricate.
Le aveva introdotto violentemente in vagina uno strumento di ferro, una specie di speculum, ma diversamente da questo conteneva ed era avvolto da un unguento fortemente irritatane ed urticante.
Cosa avesse avuto intenzione di farle non lo aveva capito.
Le aveva soltanto detto che era un metodo indiano da lui conosciuto per far godere le donne senza bisogno di penetrarle.
Eusebia che avrebbe voluto provocarlo allo scopo di reagire al momento opportuno, si trovo completamente spiazzata e urlando gli gridò.
- Sei una bestia, liberami immediatamente altrimenti ti uccido. -
Miguel le aveva sputato sul viso e si era fatta una risata che non aveva niente di umano ma era crudelmente demoniaca.
Eusebia aveva preso sotto il cuscino il pugnale nascosto e con un solo colpo gli aveva fatto scoppiare il cuore.
Si era liberata dalle corde ai piedi e dopo averne constatato la morte, mormorò.
- Sei morto come un cane e come meritavi, lurido bastardo, adesso vattene all’inferno con la tua anima satanica. Non avrai nemmeno una preghiera quando ti seppelliranno. -
Ricordava ogni particolare della serata precedente, riassumendo come in un check-in, ogni suo movimento successivo.
Era sicura che nessuno l’aveva vista e che non aveva lasciato traccia della sua presenza in quella casa.
Il problema era a quel punto cosa fare.
Sarebbe andata, come se nulla fosse accaduto, puntualissima alla Scuola di Danza.
Avrebbe detto che Consuelo era partita a causa di una improvvisa malattia della madre e che non sarebbe tornata alla Scuola per almeno due settimane.
Così, avrebbe preso del prezioso tempo ed avrebbe potuto elaborare una linea di condotta utile per lei e per Consuelo.


Con il “Rapido”, Consuelo impiegò sette ore per giungere a Madrid e durante il viaggio non fece altro che pensare a cosa avrebbe fatto nella Capitale.
Il primo e martellante pensiero era stato quello di recarsi all’Ospedale, dove il Professor Lopez continuava ad esercitare brillantemente come aveva saputo da Simona che aveva ricevuto una lettera, poco tempo prima per gli auguri di compleanno, firmata da tutta la famiglia Lopez.
Simona aveva telefonato a Consuelo, dicendole quanto fossero stati carini nel darle notizie dettagliate di tutti ed in particolare di Giulio, che aveva seguito la strada del padre, essendosi iscritto a Medicina e frequentando già il secondo anno del corso di Laurea.
Quella famiglia non solo le era rimasta nel cuore, pur attraverso i lunghi anni passati lontano, ma la sentiva sua negli affetti più profondi e più cari.
Era stato il dottor Lopez colui che l’aveva aiutata a nascere e che l’aveva tenuta in braccio per primo. Era stato Giulio l’amichetto con il quale aveva condiviso i primi giochi e quei sentimenti infantili che erano poi culminati in un rapporto possessivo e troppo stretto per due quasi coetanei.
Giulio aveva adesso venti anni, uno meno di lei, ma quel ragazzino che non vedeva ormai da tanto tempo era ancora come se fosse parte di se stessa.
Saltuariamente ma costantemente era sempre stato presente nella sua vita e non vedeva l’ora di incontrarlo di nuovo, dargli un abbraccio ed accarezzargli il viso, sperando che avesse mantenuto il colore verde smeraldo degli occhi così dolci e melanconici, così vivi ed intelligenti.
Alle otto e mezzo Consuelo si trovò nel corridoio di fronte allo studio di colui che considerava l’uomo più buono e sensibile del mondo, divenuto nel frattempo Professore e Direttore di Cattedra. Lo attendeva in piedi emozionata e quasi tremante.
Si era lavata nella toilette del treno ed alla meno peggio si era cambiata la camicetta mettendosene una candida e bianca, si era aggiustata appena la bella chioma e passandosi sul viso un leggerissimo trucco, le era sembrato che così avrebbe potuto presentarsi nell’ Ospedale Universitario.
Appena lo vide, Consuelo lo riconobbe, professionale, elegante e piuttosto attempato.
Gli si gettò tra le braccia sicura che l’avrebbe riconosciuta e così fu, dopo un momento di stupore.
- Mia bella Consuelo, -disse non trattenendo l’emozione di vederla dopo tanti anni alta e slanciata con l’unico piccolo neo che le abbelliva il mento, -sei molto pallida e mi sembri stanca. Cosa ti è successo? Sei stata malata oppure hai qualche problema per cui hai bisogno di una mia visita? -
Consuelo si strinse ancora di più a lui e balbettò.
- Sei sempre lo stesso uomo pieno di premure per tutti ma se sono venuta a Madrid è per parlarti come ad un padre dal momento che il mio si è lasciato con la mamma e vive in pratica quasi tutto l’anno in Italia.-
Si fermò un attimo, poi riprese, mentre lui accarezzandola la introdusse nello studio, dicendo alla segretaria di spostargli tutti gli appuntamenti per il pomeriggio dal momento che gli si era presentata una paziente per la quale avrebbe perso moltissimo tempo.
Appena Consuelo entrò nella stanza dove il Professor Lopez visitava, tra una lacrima e l’altra cominciò a raccontargli ogni vicissitudine della sua vita ed in particolare quanto era successo a Siviglia il giorno prima con Miguel.
Era stravolta perché un segreto simile non l’avrebbe confessato nemmeno ad un prete in punto di morte.
Sapeva che il suo comportamento era stato vergognoso e che forse nemmeno colui che l’aveva aiutata a nascere l’avrebbe compreso e perdonato.
Simona però si sbagliava. Il suo padrino di battesimo invece di disprezzarla per quella passione che le era capitata tra capo e collo, le disse che non si doveva per nulla addolorare in quanto, casi come il suo, vere patologie dovute ad uno stato depressivo, gliene erano capitati tanti nella sua vita professionale.
Le raccontò che era come se le fosse capitata una malattia, una tremenda virosi infettiva acuta contro la quale c’era poco da fare sul momento, mentre invece aveva fatto benissimo a ricordarsi di lui che le avrebbe fatto capire che quel fatto non le aveva macchiato l’anima e che la passione, così violenta, denotava soltanto un malessere del corpo come se fosse stata abbandonata negli affetti maggiormente cari ed il tutto l’avrebbe fatta soffrire per molto tempo.
In ogni caso l’avrebbe affidata ad una sua cara collega, una
psicoterapeuta particolarmente preparata per queste sindromi.
Lopez dopo averle parlato a lungo e dopo averla visitata, non trovandogli nulla di patologico, decise insistendo che Consuelo sarebbe stata ospite a casa sua e che non avrebbe detto nulla in famiglia ma soltanto che aveva bisogno di un periodo di riposo per rimettersi in ordine da un piccolo esaurimento nervoso.


Virginia, avvertita dal marito, preparò la stanza degli ospiti ed un pranzetto speciale per Consuelo.
Ormai era un lontano ricordo quanto era accaduto tra quella figliola e suo figlio a Barcellona.
La stessa specializzazione di Virginia in Pediatria l’aveva aiutata a considerare del tutto normali quei primi approcci sessuali dei due ragazzini così piccoli e così innocenti, ignari di cosa significasse il male ed il modo di esprimere, adulto, l’affetto ed il bene.
Era contenta che Consuelo fosse venuta a Madrid. Ciò significava che, nel suo cuore, era rimasta vivo il pensiero della famiglia che le era stata tanto vicina quando era una fanciulla delicata, buona e con una personalità che non poteva passare inosservata.
Anche Giulio, che era appena tornato dall’Università e che la ricordava come la più bella e cara bambina mai conosciuta, saltò di gioia alla notizia che Virginia gli aveva appena dato.
Fu molto caloroso e nello stesso tempo dolcissimo l’abbraccio di Consuelo a Virginia ed a Giulio che non credé ai propri occhi nel vedersi di fronte una giovane stupenda e piena di fascino ma al tempo stesso educata e raffinata.
Giulio dal canto suo era diventato un giovanotto entusiasta della vita e questa era stata la molla per cui aveva seguito le carriere dei genitori.
Aveva però idee strane ed originali. Non aveva intenzione di percorrere tutta la carriera universitaria ed avrebbe gradito diventare solo un bravo chirurgo per potersene andare in giro per il mondo seguendo l’Associazione Volontaria dei Medici senza Frontiere.
Ma questo sarebbe stato un programma per il futuro, una idea che forse avrebbe preso corpo solo quando fosse diventato specialista in chirurgia generale.
Per il momento doveva solo studiare ed anche molto duramente, alternando ai testi ed agli esami un po’ di pratica che non poteva essergli negata data la sua preparazione molto approfondita che con l’aiuto di suo padre poteva permettersi.
Per Consuelo era rimasto il giovanetto di cui si era innamorata a sei anni, timido e forte, protettore dei deboli, innocente ed intelligente oltre che l’unico essere che avesse conosciuto pieno di premure per lei.
Consuelo sentiva che quello e soltanto quello sarebbe stato l’ideale compagno per lei ma non voleva manifestargli questo sogno, memore di quanto era successo nella loro infanzia, quando per la sua esuberanza aveva rovinato tutto senza usare la minima razionalità anche se infantile.
Lei non si sentiva più pura come era sempre stata fino al giorno prima e mai avrebbe fatto la prima mossa per riavvicinarsi a Giulio. Era certamente cambiata nel proprio modo di esistere.
Non aveva nemmeno fatto una telefonata ad Eusebia per dirle dove si trovasse ed inoltre non ne sentiva nemmeno la necessità.







CAPITOLO VENTESIMO






Alcuni giorni dopo, seguendo le notizie di cronaca trasmesse dalla televisione, Consuelo seppe del ritrovamento del cadavere di Miguel trovato morto ed accoltellato con una sola pugnalata nella camera da letto nella sua casa a Siviglia e che la Polizia brancolava nel buio più profondo, pensando piuttosto ad un delitto passionale che ad una rapina.
In quel momento Consuelo si trovava sola a casa dei Lopez.
Erano le tredici e venti e Consuelo per un puro miracolo non cadde svenuta, incapace di ragionare e di formulare alcuna ipotesi.
Tremava, pensando che qualcuno l’avesse potuta vedere assieme a Miguel nella mattina dello stesso giorno in cui era stato ucciso.
Consuelo in un attimo prese la decisione di telefonare ad Eusebia, a quel ora doveva essere a casa e solo lei le avrebbe potuto dare delle notizie fresche e precise.
Il telefono squillò tre o quattro volte, poi Consuelo sentì dall’altro capo del filo la voce della sua amica.
- Sono Consuelo, cara Eusebia. Mi trovo a Madrid a casa dei Lopez. Ho sentito adesso la televisione. E’ proprio vero che Miguel è stato ucciso a casa sua con una coltellata? -
- Certo che è vero, -rispose con voce concitata, -non posso parlare in questo momento ma ho bisogno di vederti subito magari a Toledo a casa tua.-
- Puoi venire domani pomeriggio. Se si, dimmelo subito? -
Consuelo rimase stupita per la richiesta dell’amica così perentoria.
Pensò che non poteva dirle di no perché se Eusebia le aveva fatto quella richiesta doveva avere più che un buon motivo.
- Va bene, -disse molto preoccupata, -sarò a Toledo domani verso l’ora di pranzo. Ci vedremo a casa mia. -
Quando Consuelo rivide alcune ore dopo Virginia le disse che si sarebbe allontanata da Madrid l’indomani e che era costretta a recarsi a Toledo a causa di complicazioni burocratiche riguardanti i negozi di Simona.
Era stata contattata da alcuni amici sul suo cellulare, che le avevano chiesto di essere puntuale a scanso di multe molto pesanti che avrebbero danneggiato finanziariamente sua madre.
Comunque sarebbe tornata dopo pochi giorni a Madrid ed intanto la ringraziava di tutto cuore per tutto quello che aveva fatto per lei.
Avrebbe seguito il consiglio del Professore e si sarebbe curata l’esaurimento nervoso a Madrid, con la psicoterapeuta da lui raccomandata.


Alle due di pomeriggio Consuelo entrò nell’appartamento dove aveva vissuto per un anno con Eusebia e che aveva lasciato ammobiliato e disabitato per quando sarebbe tornata, sempre con l’amica, dopo i due anni di perfezionamento nella scuola di Flamenco a Siviglia.
Eusebia l’aveva vista arrivare, con un taxi, dalla finestra e le era corsa incontro giù per le scale ansimante e con gli occhi pieni di lacrime.
Appena dentro l’appartamento, scoppiò a piangere ed a singhiozzare a dirotto e mentre si era buttata sulla poltrona del soggiorno rannicchiata e stremata, balbettò.
- Sono stata io che lo ho ucciso e ti posso dire che avevo premeditato di farlo fuori con una coltellata, da quando mi ero accorta che tu eri caduta nella sua trappola durante quella maledetta mattina quando sei scomparsa con lui e sei poi tornata ridotta un cencio e senza nemmeno dirmi cosa avessi combinato con quel porco. Ho fatto finta di niente e poi, quando a casa ti dissi che sarei uscita a cena con degli amici, ti ho mentito perché dovevo incontrarmi con Miguel, intenzionata a fargli pagare caro il sadismo che certamente aveva avuto con te. -
Eusebia si asciugò gli occhi di fuoco e soffiandosi il naso, dopo aver accarezzato il viso di Consuelo, riprese a parlare con maggior calma.
- Angelo mio, ti avevo avvisato che non esiste “passione” che potesse giustificare il tuo infantile comportamento con un uomo che avrebbe abusato della tua innocenza. Bastava osservarlo, nei suoi modi di fare, per capire che saresti diventata depravata come lui, proprio tu la mia amica e sorella, nelle mani di quel mascalzone abituato a prendere ed a gettare nel fango qualsiasi donna che gli si fosse avvicinata e che avessi ragione lo dimostrò quella sera con me. -
- Voleva fare del male anche a me, non soddisfatto di quanto ti avesse violentata quella stessa mattina. Ma io non sono l’essenza della bontà come invece sei tu e mi ero preparata a tutto per vendicarti e per vendicarmi. -
Consuelo, allibita per essere stata la causa della morte di Miguel, le si avvicinò e con tutto l’affetto e la commozione che provava per l’amica disse.
- So bene di essermi comportata da perfetta idiota e di Miguel adesso non mi importa più nulla, ma poiché è successo questo disastro adesso bisogna che nessuno possa sospettare né di me e né di te. -
Fino a notte inoltrata Eusebia le raccontò ogni minimo particolare di quella serata e cosa avesse fatto per non lasciare nessuna traccia della sua presenza nella casa del famoso ballerino.
Le disse anche che aveva pensato come scagionare anche lei e di avere avvisato la Direzione della scuola che Consuelo non si sarebbe presentata ai corsi per almeno quindici giorni, adducendo motivi familiari.
La verità la conoscevano adesso soltanto loro due e non sarebbero state mai scoperte e quella uccisione sarebbe rimasta insoluta oppure archiviata come dovuta ad ignoti rapinatori.


Restava insoluto per Consuelo cosa avrebbe dovuto raccontare a Simona.
Non poteva fare finta di niente a lungo con la mamma, non poteva non dirle che si era allontanata da Siviglia anche perché Eusebia aveva dichiarato alla Direzione della Scuola che la sua amica era andata a Barcellona per assisterla.
La stessa Direzione avrebbe comunque potuto telefonare a Simona per comunicare a Consuelo notizie che la riguardavano.
Certamente non l’avrebbero cercata per cose non importanti per le prime due settimane, il tempo riferito da Eusebia per curare la mamma dichiarata ammalata.
Ma successivamente cosa sarebbe accaduto se Consuelo non fosse ritornata a Siviglia?
Lei ed Eusebia avrebbero dovuto subito inventarsi qualcosa di nuovo per spiegare l’assenza di Consuelo se si fosse prolungata e meno male che la Polizia non aveva pensato di interrogare le allieve del corso di Flamenco.
Si trattava della crema delle giovani di Siviglia, tutte giovani ballerine provenienti da famiglie molto influenti che non avrebbero preso certi sospetti nei riguardi delle loro figliole senza reagire violentemente, in mancanza di prove certe, con squadre dei migliori penalisti di Spagna.
La Scuola, d’accordo con i magistrati del luogo, aveva fatto pressioni perché il buon nome della Scuola non fosse messo in ballo almeno che non fosse risultato dalle indagini un netto coinvolgimento di colpevolezza per una allieva.
Anche Consuelo ed Eusebia erano considerate al di fuori di ogni sospetto, rispettose ed educate, ragazze che pur non essendo di Siviglia provenivano da una famiglia ricca ed importante come quella di Simona.
Che le cose stessero così era noto ad Eusebia, amica intima di una giovane Ragioniera dell’ufficio del Direttore, che le aveva confidato come le indagini si fossero orientate su alcuni spacciatori di cocaina, conosciuti da Miguel che ne faceva uso saltuariamente di nascosto, come era risultato all’autopsia.
Non esisteva, almeno per il momento, nessun pericolo per le due amiche, che ugualmente avrebbero dovuto essere molto caute e preparate se successivamente fossero state interrogate.


Dopo aver dormito tutta la notte con l’aiuto di un sedativo, al mattino Consuelo pensò che sarebbe stato meglio avvisare sua madre di quanto le era successo e del caos che ne era seguito e senza dire niente ad Eusebia prenotò due posti per l’aereo che sarebbe arrivato a Barcellona alle sei del pomeriggio.
Al telefono le disse che sentiva insieme ad Eusebia una forte nostalgia di lei e che sia lei e l’amica avevano deciso di passare due o tre giorni a casa vicino agli affetti più cari.
Erano tre mesi che non si vedevano e Simona non ebbe dubbi che le sue due protette volessero stare con lei e con la madre di Eusebia quei pochi giorni, per un semplice desiderio di vederle.
Consuelo era certa che con la mamma avrebbe potuto aprirsi completamente ma la stessa opinione non fu bene accettata da Eusebia, nell’incubo che più persone fossero state informate sui fatti e maggiore sarebbe stato il pericolo per lei.
Nemmeno il giuramento fattole da Consuelo, che mai avrebbe detto a nessuno quanto Eusebia avesse agito in modo criminale, riuscì a calmarla.
Le gridò.
- Ma che razza di amica del cuore sei tu Consuelo! -
- Anche non volendo ti potrebbe sfuggire qualcosa di molto compromettente, tale da mettermi perlomeno in imbarazzo! -
Con molta pazienza Consuelo riuscì a convincere l’amica che quella mossa sarebbe stata innocua ed anzi avrebbe fatto capire alle rispettive madri che loro due non c’entravano assolutamente nulla con la morte di Miguel.
Sarebbero state anzi due ottime testimoni nel caso assurdo che la Polizia avesse avuto dei minimi sospetti.
Non era possibile che le due amiche fossero state con lo stesso uomo e nella stessa giornata, perché le loro mamme avrebbero sostenuto di avere passato a Siviglia quella domenica con loro.


Convinta Eusebia, le due ragazze raggiunsero Barcellona.
A casa, tra il fiume Llobregat e la collinaaMontjvich, le attendeva la vita semplice delle loro mamme, ma giunte alla chiesa della santa Vergine del Mar, Eusebia pregò Consuelo di fare fermare il taxi perché aveva avuto l’impulso di confessarsi.
Ambedue vollero tornare dalle rispettive madri, pentendosi ed essere perdonate per i loro peccati anche se specialmente Eusebia, pur addolorata per aver ucciso un uomo, credeva che il sacerdote non l’avrebbe assolta.
Eusebia si era sbagliata.
Con molta commozione quel frate l’ascoltò in silenzio per molto tempo raccolto in meditazione ed infine le disse.
- Figliola, hai commesso il più grave peccato che potevi fare. Uccidere un uomo è l’atto più esecrabile di qualsiasi altro. Tuttavia ti devo assolvere, secondo la Giustizia di Dio, perché tu stessa hai subito una grave violenza fisica e non sei stata in grado di risolvere prima il problema in cui volontariamente ti eri cacciata e che per tua aggravante avevi in un certo senso premeditato. -
- Dovresti espiare una pena umana adeguata per quanto hai fatto, dovresti auto denunciarti, la Giustizia umana ti condannerebbe con molte attenuanti, ma questo dipende dalla tua coscienza ed io non posso obbligarti. Però il fatto stesso che sei venuta da me, pentita, ti fa onore ed io in nome del Signore ti assolvo -
Anche Consuelo volle pregare.
- Ho molto peccato di lussuria ed è per colpa mia che Eusebia ha voluto vendicarmi. Ti prego, Madonna mia, di illuminarmi e di non farmi fare altri errori. Mi ero presa la responsabilità di proteggerla e per questo motivo sia la mamma di Eusebia che Simona l’avevano affidata a me. -
- La difenderò con tutte le mie forze e con tutta la mia anima. Farò in modo che Eusebia uscirà da questa storia senza conseguenze penali e soltanto con il rimorso eterno di avere ucciso un uomo.







CAPITOLO VENTUNESIMO






Quando Simona parlò con la sua figliola capì immediatamente che la sua presenza a Barcellona, insieme ad Eusebia, aveva un ben altro significato che quello di una crisi di nostalgia.
Consuelo aveva preso l’argomento alla larga.
Disse alla mamma, in un te a te, della sua iniziale passione per quel primo ballerino di Flamenco della scuola, che era stato per poche ore il suo primo amante..
Non aveva mai conosciuto un uomo così affascinante, così elegante nel suo incedere, così pieno di charme e tanto attraente sia sessualmente che eroticamente.
Aveva perso letteralmente la testa per lui, anzi aveva fatto di tutto perché lui la notasse e la invitasse, usando tutta la sua avvenenza e la sua seduzione.
Voleva assolutamente essere posseduta da lui e perdere la propria verginità con un giovane simile, pur essendo stata avvisata da Eusebia che l’uomo non fosse per niente affidabile essendo un gigolo, considerato ed avendo la nomina di un vero mascalzone capace di cambiare una donna quasi ogni giorno.
Aveva pensato che Eusebia esagerasse poiché a lei non interessava il tipo e che piuttosto provasse una forte antipatia riguardo a Miguel, osservando come tutte le allieve facessero a gara per uscire privatamente con lui.
Simona chiese alla figlia se fosse stata innamorata di quel uomo ma alla risposta di Consuelo che era stato soltanto una grande passione tale da annebbiarle il cervello e la volontà, prese la propria testa tra le mani e piangendo parlò con un filo di voce ed affannosamente si rivolse a Consuelo tremante.
- Come hai potuto farmi questo, figlia mia, che male ti ho dato in eredità per avere questo dolore proprio da te. -
- E’ vero che anch’io sono stata malvagia con il mio primo marito, riducendolo alla miseria e poi al suicidio, ma lui mi aveva fatto del male e talmente questo era stato atroce che ancora oggi, pur essendomi pentita, non sono in grado di perdonarlo. -
Consuelo aveva saputo proprio da Simona quanto fosse stata male per colpa di Mario. Sua madre non le aveva nascosto niente del suo passato ed ugualmente conosceva il grande amore che l’aveva unita a Raffaele, un uomo buono anche se di estrazione contadina.
Adesso era proprio Raffaele che mancava contemporaneamente a tutte e due e dovevano trovare da sole il modo di uscire da quel abisso in cui erano precipitate perché, se era vero che Simona era totalmente innocente delle scelte di vita di sua figlia, tuttavia era impossibile per lei non sentirsi altrettanto colpevole.


Ci fu un momento di grandissima comunione tra madre e figlia e come quando Consuelo era stata bambina ascoltò quello che Simona le implorò di fare.
- Non devi dire nulla alla mamma di Eusebia, lasciala stare tranquilla. Sarò io, che in caso di bisogno, dirò alle Autorità di essermi trovata in quei giorni a Siviglia assieme a voi due come del resto è vero quando la notte tra la domenica ed il lunedì non ci siamo incontrate soltanto perché ero andata a passare la nottata nei locali più caratteristici di Siviglia. Tu tornerai da Madrid a Siviglia tra dieci giorni e nel frattempo devi seguire con assiduità le sedute di psicoterapia dell’amica del Professor Lopez.-
Consuelo parlò a lungo con Eusebia ed insieme decisero di seguire quanto avesse detto Simona alla lettera.
Passarono così due giorni abbastanza tranquille ma mentre si stavano preparando a partire l’una per Siviglia e l’altra per Madrid ci fu una telefonata inattesa dalla Scuola di Danza a Simona nella quale veniva chiesto alla mamma di Consuelo di avvertire sia la propria figlia che Eusebia di presentarsi a Siviglia il post domani di mattina, presso il Magistrato per comunicazioni che riguardavano le due giovani riguardo l’omicidio del primo ballerino della Scuola di Danza di Flamenco da queste frequentata.
Simona rimase di sasso.
Tutte le congetture pessimistiche da lei fatte si erano verificate e ringraziò il buon Dio che sua figlia e l’amica fossero venute a Barcellona e che lei era stata avvisata di tutto.
Alla domanda di Simona se dovevano essere assistite da un avvocato, quelli risposero che non era necessario ma che nulla lo vietava pur essendo la richiesta del Pubblico Ministero un semplice interrogatorio informale.
Immediatamente Simona avvisò le due ragazze che in quel momento si trovavano al mare a prendere il sole dalle parti del Faro, tramite il cellulare di Consuelo, invitandole a casa urgentemente perché il giorno dopo dovevano partire tutte e tre per Siviglia.
In breve informò le ragazze su ogni particolare della telefonata ricevuta dalla Direzione della Scuola e che lei aveva preparato un piano per il quale desiderava l’approvazione sia di Eusebia che di Consuelo.
Disse anche che la mamma di Eusebia doveva ignorare tutto, povera donna e che non c’era di che preoccuparsi.
Quando fu di fronte alle due giovani, Simona spiegò.
- Dichiarerò di essere stata a Siviglia dal sabato al lunedì ed anche qualche giorno prima di quando fu ucciso Miguel e di essermi recata in quella città per prendere Consuelo, dato il mio stato di salute non perfetto e di averla pregata di passare dei giorni nella casa natia dal momento che vivevo con una continua paura di morire improvvisamente, pur non trovando i medici alcunché nel suo cervello. -
- Affermerò anche che Eusebia rimase a Siviglia, continuando a frequentare il corso di Flamenco, mentre noi due ripartimmo insieme verso mezzanotte per Barcellona, preferendo viaggiare di notte, sicuramente nella notte tra lunedì e martedì. -
Simona, in ogni modo avrebbe dichiarato quasi la verità ma avrebbe negato di avere perso di vista Consuelo ed Eusebia in quei quattro o cinque giorni.
Era possibile affermare tutto questo perché in quei giorni la madre di Eusebia era stata ospite della sorella, dall’altra parte della città ed era rimasta li, per quindici giorni a cavallo dell’omicidio del ballerino, tornando nel suo appartamento vicino alla casa di Simona, il giorno prima che Eusebia si fosse presentata a Barcellona assieme a Consuelo.
Simona infatti non aveva raccontato all’ amica di essersi recata con Raffaele a trovare le due ragazze e poi aveva taciuto sulla scomparsa improvvisa di Consuelo.


Il viaggio di ritorno a Siviglia fu per le due giovani ballerine un vero incubo e non poteva essere sufficiente la presenza di Simona, che guidava la Mercedes di sua proprietà, per tranquillizzarle.
Giunsero a Siviglia verso le sette di sera.
Per tutto il percorso imperò il silenzio e specialmente Eusebia non fece altro che ascoltare, a basso volume, la radio sintonizzata sui vari giornali radio regionali e nazionali.
Si capiva che cercava notizie che riguardassero le indagini sulla morte di Miguel, ma nessuna nuova notizia venne trasmessa.
Fu soltanto all’arrivo che Eusebia aprì bocca rivolgendosi alla madre di Consuelo.
- Chissà cosa hanno scoperto; è strano che ti abbiano telefonato quando tutto mi pareva essere andato liscio. Mi dispiace di avere ucciso un uomo ma non avrei potuto guardami mai più in uno specchio se non lo avessi fatto, sia per quanto ha fatto a me sia per quanto avrebbe continuato a combinare con tutte le ragazze con le quali si incontrava, miserabile individuo, capace di stuprare qualsiasi donna o ragazza che gli avesse dato anche una innocente confidenza. Ho voluto vendicare anche Consuelo ma questo non implica una mia minima scusante o difesa d’ufficio. Consuelo è innocente. Perché si sono rivolti a te che sei sua mamma? -
Eusebia si ammutolì nuovamente e per quanto Consuelo l’ avesse presa tra le braccia, sul sedile posteriore della Mercedes mentre Simona continuava a guidare, non la smetteva più di piangere silenziosamente con tutta l’angoscia che aveva fino a quel momento trattenuto.
Soltanto quando giunsero a casa, Simona ebbe la sensazione che Eusebia si fosse calmata.
- Devi essere tranquilla e serena e domani tu rimarrai vicina a me rispondendo solo se io ti autorizzerò. Lo stesso farà Consuelo e la sola persona che parlerà con il Magistrato, sarò io. -


Alle nove in punto le tre donne entrarono nel palazzo di Giustizia e chiesero dell’ufficio del Pubblico Ministero, Paolo Costa, di origine italiana e noto in città per essere una persona molto aperta e contemporaneamente molto preparata nello svolgimento del suo lavoro.
Salirono al secondo piano e subito dopo entrarono in una stanza sufficientemente ampia e piena di fascicoli messi uno sopra l’altro in uno scaffale enorme di fronte alla scrivania dove sedeva un uomo di media statura dell’età apparente di cinquantenni ben rasato e ben pettinato, con capelli castano scuri lisci con una scriminatura sulla sinistra molto ben disegnata.
- Scusatemi del disturbo che vi li ho arrecato, -disse alzandosi dalla poltroncina, -ma è stato necessario sentirvi. I nomi delle signorine mi sono stati fatti dalla Direzione della Scuola di Danza assieme a quello di tutte le altre allieve del corso di Flamenco. Quindi quello che vi chiedo e che ho già domandato a parecchie vostre colleghe è se potete dirmi come avete passato il giorno del dieci ottobre. Per aiutarvi qui c’è un calendario, fate un piccolo sforzo e poi potrete andarvene. -
Simona guardò in faccia il dottor Costa e sorridendo disse.
- Consuelo, mia figlia e la sua carissima amica Eusebia, si trovavano a Siviglia quel giorno, ma a sera inoltrata siamo partite con la mia Mercedes per Barcellona, per passare alcuni giorni a casa, come io ero stata a Siviglia con loro nei giorni precedenti al dieci ottobre. -
Il Pubblico Ministero prese degli appunti, poi simpaticamente si alzò in piedi ed affermò.
- Molto bene, tutto qui. Vi ringrazio per la collaborazione.
- Non avrete nessuna altra seccatura, ve lo garantisco. Adesso che ho conosciuto la sua famiglia, anche se la signorina Eusebia e soltanto la sua figlioccia, garantisco io per voi. Vi auguro una buona giornata di tutto cuore.







CAPITOLO VENTIDUESIMO






Con Consuelo a Barcellona ospite della casa dei Lopez ed Eusebia tranquillizzata, dopo la visita al dottor Costa a Siviglia, che aveva ripreso il corso di Flamenco con grande entusiasmo, Simona sentì che la sua vita stava diventando piatta e monotona.
Consuelo sarebbe rimasta a Madrid per almeno un mese con lo scopo di curarsi seriamente la nevrosi prima di continuare con Eusebia le lezioni di danza al fine di ottenere anche lei il Diploma di prima ballerina di Flamenco.
Simona sapeva che ormai non poteva più vivere assieme a sua figlia che sarebbe rimasta ancora un anno e mezzo a Siviglia per poi tornarsene a Toledo dove avrebbe iniziato la sua professione sempre con la sua amica accanto, pur continuando a frequentare la Scuola del maestro Solinas.
Quanto era accaduto aveva cementato ancora maggiormente l’unione delle due amiche ed era tale da poter prevedere che, nel futuro, non sarebbero state capaci di allontanarsi l’una dall’altra qualsiasi fossero state le strade che le avessero potute dividere.
Eusebia si era macchiata di un crimine tremendo e Consuelo aveva capito che il “primum movens” era stata la rabbia che aveva avuto contro Miguel per difenderla da ulteriori pericoli e violenze.
Cessata la grande paura, Simona ebbe la sensazione di dover dire addio ai sogni che l’avevano sostenuta fino a quel momento ed in primo luogo al desiderio di affrontare altri anni senza avere accanto né Raffaele né Consuelo e quindi senza una famiglia che la potesse sostenere ed in una solitudine, che sarebbe divenuta sempre maggiormente assurda con gli anni che avanzavano implacabili.
Simona volle fare un ultimo tentativo per riavvicinarsi a Raffaele, anche se era stata proprio lei quella che si era distaccata, in un momento di orgoglio, dall’unico uomo che certamente l’aveva amata con tutto se stesso e con il cuore pieno di sentimenti morali ed immortali.
Tuttavia non sapeva come fare.
L’unico modo di potergli parlare con sincerità sarebbe stato quello di andarlo a trovare in Piemonte in mezzo ai suoi vigneti di cui, in piccola parte, aveva mantenuto la proprietà, soltanto per una questione sentimentale.
E se si fosse fatta una nuova vita ed una nuova donna? Con che faccia si sarebbe presentata da lui che l’aveva scongiurata di seguirlo nella nuova vita che si era creato per amarsi pienamente, in perfetta armonia?
Pensò anche di tornare in Carnia dove sicuramente avrebbe rivisto tanti conoscenti o almeno i sopravvissuti e le sue amate montagne.
La paura di essere derisa, di non essere più accettata come una di loro, di essere addirittura scansata come una appestata, di vergognarsi, frenò questo desiderio e mentre un rifiuto di Raffaele avrebbe potuto anche essere accettato, non avrebbe retto alla delusione di essere ignorata da coloro con i quali aveva passato i primi quarantenni della sua esistenza.
Simona riflettette pure di riallacciare l’amicizia con i Lopez e di trasferirsi per sempre a Madrid e non allo scopo di stare maggiormente vicina a Consuelo ma solo perché una volta l’amicizia con i coniugi Lopez rappresentava quanto di più bello le fosse capitato in Spagna.
Aveva ancora degli scambi convenzionali, epistolari e più raramente telefonici, in occasione di ricorrenze importanti o di anniversari ma quel feeling ormai cessato non sarebbe ritornato come era stato una volta.
Così, seppure a malincuore, abbandonò tutte queste possibilità per tornare speranzosa all’idea che Raffaele fosse rimasto innamorato di lei.
Tuttavia di una cosa era certa: avrebbe venduto l’Azienda a qualche multinazionale, al miglior offerente.
Era ora di staccare la spina col lavoro e godersi una parte del denaro guadagnato tenendo presente una ricca rendita per Consuelo ed una sempre ottima per la sua figlioccia, Eusebia.
A lei sarebbe rimasto un forte capitale che le avrebbe permesso di fare qualsiasi cosa avesse deciso, oltre che esaudire finalmente un desiderio che mai aveva potuto realizzare cioè quello di viaggiare, possibilmente in diverse località del mondo, vedendo cose e paesi che aveva sempre desiderato ammirare.
Una settimana dopo Simona trovò un Gruppo finanziario disposto ad acquistare in contanti la sua Azienda, che dopo avere controllato tutti i suoi libri contabili e le sue catene di negozi, le fecero una offerta rapida e veramente allettante.
Aveva voluto mantenere la proprietà delle case a lei intestate in varie città della Spagna che sarebbero passate a Consuelo alla sua morte oppure quando avesse deciso di donargliele.
Tutto fu sbrigato nello spazio di un mese e soltanto allora Simona raccontò quanto aveva deciso e concluso a Consuelo in un viaggio a Madrid effettuato pochi giorni prima che sua figlia ritornasse, ormai perfettamente in ordine da un punto di vista psicologico e serena, a Siviglia per riunirsi, nello studio del Flamenco, ad Eusebia.
Tra l’altro Simona voleva rivedere Virginia per darle un probabile ultimo abbraccio e per conservare un dolce ricordo di quella famiglia così importante per lei nei primi anni passati in Spagna.
Voleva abbracciare pure Giulio e suo padre ricordandogli che lei era stata la sua madrina di Battesimo e che lui avrebbe potuto sempre far conto sulla mamma di Consuelo in ogni evenienza.
Per questo motivo, sistemate tutte le sue cose e senza avvisare nessuno, partì per Madrid.
Quando bussò all’uscio di casa Lopez le venne ad aprire la porta Virginia.
Si stropicciò gli occhi come fulminata.
Simona spalancò le braccia e Virginia le si buttò addosso con un sorriso smagliante, baciandole le guance ed accarezzandole i capelli. Poi esclamò.
- Che bella sorpresa mi hai fatto! Dopo tanto tempo eccoti, bella come sempre, affascinante e dolce come soltanto tu sai essere! Sei venuta per vedere se Consuelo sta bene oppure per dirmi che ti sono tanto mancata? -
- Avevo una voglia matta di rivederti, mia cara Virginia, di controllare se sei ancora la mia amica del cuore ed infine per salutare te, Giulio e tuo marito oltre che la mia bella Consuelo. Ho deciso di andarmene via dalla Spagna. -
Poi con lo sguardo malinconico che sfoggiava nei momenti di intensa commozione, disse.
- Virginia non posso più reggere di starmene in solitudine a Barcellona ed il lavoro, che finora mi ha sorretto e mi ha dato la forza di reagire non è più sufficiente. Ho venduto la mia Azienda e finalmente mi sento libera e serena come un uccellino che è stato per troppo tempo in gabbia. Consuelo farà la sua strada senza che io interferisca sulle sue decisioni, avrà pure una rendita mensile e non dovrà mai trovarsi insoddisfatta anche se vorrà scegliere un’altra strada, anzi che diventare una grande artista di Flamenco. -
Simona racconto la sua vita con Raffaele e come e perché avesse rifiutato di sposarlo. La ringraziò per tutto quanto aveva fatto per Simona ma soprattutto di avere contribuito a farla guarire da quel esaurimento nervoso che le era capitato come un fulmine a cielo sereno e di conoscere ogni particolare su quanto tutti loro avessero fatto per la sua unica figlia.
Virginia si schernì la baciò di nuovo e le disse che doveva assolutamente rimanere a cena da loro.
Simona accettò.
Avrebbe raccontato tutti i suoi travagli alla figlia e poi avrebbe potuto andarsene dove avesse voluto, dal momento che capiva benissimo come sarebbe stato assurdo venire a Madrid per rimanervi perché, se avesse fatto così, tanto sarebbe valso rimanersene a Barcellona.


Appena tornarono a casa Consuelo con il marito di Virginia e poi, a breve distanza di tempo Giulio, Simona capì al volo che sua figlia aveva trovato dai Lopez un’ altra famiglia.
Gli sguardi che i due giovani si scambiavano erano inequivocabilmente colmi di tenerezza e tutti e due erano felici della presenza di Simona. Era indubbio che si amavano pazzamente e che per nessuno dei due potesse esistere una felicità maggiore, se non quella di essersi incontrati di nuovo.
Osservare la sua bambina contenta e serena era per lei la maggiore gioia che potesse pretendere, dopo la disgrazia di Siviglia.
Pendevano dalle sue labbra quando lei si mise a raccontare della sua vita, invidiata per quanto avesse saputo costruire nel campo dello sviluppo dell’arte del merletto e nello stesso tempo sfortunata nell’amore prima con il marito e poi con Raffaele.
Mentre Virginia ed il professore Lopez si erano assentati brevemente per preparare il dessert, disse.
- Ragazzi ricordatevi quanto vi sto dicendo: non esiste nulla di più grande e bello dell’amore e se voi due vi amate, come credo, dovete infischiarvene allegramente di qualsiasi ostacolo che vi si presentasse davanti. Cercate di non perdervi di vista, mai, poiché l’amore è il maggiore regalo che la vita possa donarvi.
- Non lasciate che nulla vi possa separare e tu Consuelo fallo felice come quando eravate bambini e non ha importanza la professione che svolgerete se non vi stancherete mai di essere l’uno vicina all’altro, specialmente con lo spirito ed anche se sareste lontani per ragioni di lavoro, sposatevi al più presto e con tutta la mia benedizione.-
Simona accarezzò Giulio e Consuelo con tutto il sentimento di una mamma, poi concluse.
- Siate dei bravi ragazzi, Dio vi proteggerà dall’alto del cielo ed ubbidite sempre al vostro cuore.-
Non ci fu verso, malgrado le insistenze dei coniugi Lopez, di convincere Simona di rimanere qualche altro giorno da loro.
Consuelo sarebbe ritornata a Siviglia nel giro di pochi giorni per completare il primo anno del Corso di Flamenco e Virginia giurò a Simona che sarebbe stata sempre in contatto con lei.
Poi rivolgendosi a Giulio con un sorriso complice, affermò che in ogni caso sarebbe stato lui a trascinarla a Madrid molto spesso, dove Simona l’avrebbe trovata quando Consuelo avesse terminato anche il Corso di Perfezionamento a Toledo, due anni più tardi.
Simona aveva deciso di passare due anni in America, in California, ormai tranquilla di aver lasciato sua figlia in buone mani.
Disse che li avrebbe ospitati in qualsiasi momento avessero deciso di farsi un bel viaggio a Santa Monica, dove avrebbe preso una villa accanto all’oceano per respirare ogni giorno il profumo del mare. Che appena si fosse sistemata avrebbe comunicato loro il luogo esatto e l’indirizzo oltre al numero telefonico e che sarebbe tornata a Madrid per essere presente alla consegna del titolo prestigioso che Consuelo avrebbe ottenuto a Toledo.
Simona non lo disse ma fermamente era convinta che Consuelo e Giulio si sarebbero sposati.
Poi la vita sarebbe scorsa come sperava nel suo cuore di madre ed anche se Giulio fosse diventato un bravo medico, Consuelo non lo avrebbe lasciato solo ed avrebbe trovato un lavoro consono al suo Titolo, facilmente nello spettacolo, in qualsiasi luogo egli si fosse recato e non certo, come aveva saputo essere suo primario desiderio, per diventare un medico senza frontiere.
Il matrimonio con sua figlia avrebbe fatto un altro miracolo, quello di non abbandonare la Spagna, anche se non era certa che sarebbero rimasti a Madrid.







CAPITOLO VENTITRESIMO






Simona riuscì a trovare una villetta vicina al mare a Santa Monica che affittò con un contratto di cinque anni rinnovabile e non si trovò in difficoltà per la lingua inglese dal momento che moltissime persone del luogo conoscevano lo spagnolo.
Le onde dell’Oceano si infrangevano sulla bianca sabbia di fronte alla sua nuova casa e nell’aria si avvertiva il profumo della salsedine del Pacifico, frizzante e salubre.
A Simona venne subito una voglia matta, quasi infantile di immergersi in quel acqua spumeggiante e di farsi un bagno ristoratore nell’acqua salata e si meravigliò molto di poter indossare ancora il due pezzi che aveva acquistato a Taormina durante la fuga dall’Italia.
Le gambe erano rimaste quelle di una volta ed inoltre non aveva nemmeno un po’di cellulite né sulle cosce né sull’addome.
Soltanto alcune rughe che erano diventate di casa sulla fronte ed appena accennate intorno agli occhi, servivano a farle ricordare che gli anni erano passati e che in quel momento aveva sessantadue anni suonati.
Simona si guardò a lungo nello specchio della camera da letto come non faceva più da anni e capì di dimostrarne molti di meno ed ebbe allora la necessità di una conferma qualunque di questa sua impressione.
Camminando sulla sabbia vicina al bagnasciuga inciampò in una fossa di sabbia e subito un uomo sui cinquantacinque le porse le mani per aiutarla a tirarsi su dicendole.
- Good morning, can I help you? -
Simona rise di gusto e rispose in spagnolo.
- Signore non parlo inglese ma ho ugualmente capito che le farebbe piacere chiacchierare con me e fare due passi fino a quel piccolo Bar dove potremmo bere una bibita fresca. Mi chiamo Simona -
Quel tizio sospirò ed in buon spagnolo annuì, dicendo.
- Signora è proprio vero che adesso se non conosci lo spagnolo è meglio andarsene dagli Stati Uniti. Io, Bruce Walker, ho la fortuna di conoscere la sua lingua essendo vissuto per un paio di decenni al confine con il Mexico e capisco bene anche l’italiano. -
Simona lo squadrò dalla testa ai piedi.
Era piuttosto magro ma muscoloso, con un perenne sorriso sulla bocca, con un naso un po’ pronunciato ma soltanto quando lo si guardava di profilo, con due occhi verdi leggermente obliqui e con due mani ben curate dalle unghie corte ed arrotondate.
- Caro Bruce, -le venne da dirgli, passando con naturalezza al tu, - se vuoi mi puoi pure parlare in italiano, anzi lo preferisco, sono nata nel nord-est del più bel Paese del mondo, nella Carnia, presso le Alpi e vicino alle montagne ed ai laghi delle Dolomiti. Conosci l’Italia per caso? -
Bruce sgranò gli occhi che si illuminarono improvvisamente.
- Altro che, -esclamò felice, - ho vissuto due anni in Puglia nella base americana aeronautica di Gioia del Colle come istruttore dei vostri piloti da guerra e come vedi me la cavo anche nella vostra lingua. E’ stato un periodo stupendo. Avevo soltanto trenta anni e sono stato sempre un grande ammiratore della tua Patria ed anche delle donne italiane. -
Simona ebbe un tuffo al cuore e pensò che il mondo fosse molto più piccolo di quanto uno lo potesse immaginare.
Era arrivata in California per incontrare un americano che non solo era simpatico ma con il quale avrebbe finalmente potuto parlare nella madre lingua.
Era così grande la sua curiosità di conoscerlo meglio che disse continuando a trattarlo come un vecchio amico.
- Che ne dici Bruce di cenare assieme questa sera, non hai la fede al dito e deduco che non sei sposato, almeno in questo momento. Non mi interessa il tuo passato amoroso e ti dico subito di essere venuta in America per vivere un pezzo della mia vita spensieratamente.-
Bruce pensò che quella donna, avesse voglia di una qualsiasi avventura americana e che era pronta per essere una compagna divertente oltre che intelligente escludendo, a naso, ogni rapporto sessuale tanto si presentava, nascondendo la propria natura, seria e piena di problemi che sicuramente desiderava dimenticare.
Bruce non ci pensò due volte.
- OK, -disse ridendo, -ti invito a cena in un ristorante cinese non lontano da qui, io abito in un piccolo appartamento, un monolocale, ad un paio di chilometri da questa spiaggia. Vivo in perfetta solitudine da quando ho divorziato da mia moglie cinque anni fa. Avevo un mucchio di soldi guadagnati con il mio mestiere ma adesso devo arrangiarmi con la mia pensione perché quella, per accordarmi il divorzio, mi ha succhiato il sangue. Qualche volta faccio ancora dei lavoretti con la Boeing a Sant Louis, dove sono conosciuto, ma sono soltanto saltuari e mi sono appena sufficienti per campare alla meno peggio con la mia automobile, pagando le tasse e l’assicurazione. -
Simona comprese che Bruce diceva la verità.
Il suo sguardo era leale ed allo stesso tempo sereno.
- Va bene Bruce, -interloquì, -faremo, come si dice in Italia, alla “romana”, cioè divideremo la spesa per due! -
Nel ristorante cinese, Bruce, tra un piatto di gamberetti e l’altro, tra una trancia di pesce ed un buon bicchier di vino bianco, le raccontò tutto della sua vita e di come fosse stato innamorato di sua moglie quasi alla follia. Era una giamaicana molto più giovane di lui ma col tempo si era accorto che lo sopportava a mala pena adducendo la scusa che era sempre lontano per il lavoro.
In breve, lo tradiva ogni qualvolta egli era costretto ad assentarsi.
Quando se ne accorse litigarono di brutto e lui, senza pensaci nemmeno un minuto, se ne andò di casa portandosi appresso unicamente quanto in quel momento aveva addosso.
Lei chiese il divorzio per abbandono del tetto coniugale ed il suo avvocato, che era anche uno dei suoi amanti, lo spolpò fino alle ossa.
Bruce, completamente distrutto, non fece opposizione e così concluse il suo matrimonio.
Quando furono al dessert, Simona pensò che voleva fare qualcosa per quel uomo che aveva avuto la forza d’animo di non abbruttirsi e che aveva speso la sua vita per una donna falsa ed ipocrita.
Gli disse.
- Da questa sera sarai ospite nella mia villetta a Santa Monica e se faccio ciò non è per secondi fini ma soltanto perché sono certa che sei un bravissima persona.
- Lascerai il tuo monolocale e divideremo solo le spese del mangiare e del bere come tra due amici. Così avrai qualche soldo in più per vestirti e per spassartela un tantino senza bisogno di conteggiare ogni centesimo che spendi.
Bruce vide negli occhi di quella italiana una luce insolita commista ad una grande tenerezza, e le chiese.
- Perché fai questo per me? Non so nemmeno chi tu sia, oltre a quanto mi hai raccontato, ma di una cosa sono sicuro che sei una donna onesta e per bene. So anche che non mi pugnaleresti una altra volta e che sei sufficientemente indipendente da un punto di vista economico. Di una sola cosa ti prego: non farmi del male perché non sono più in grado di reggere ad una altra delusione. Spero di non farti pentire di questa tua generosità e riprenderò per questo motivo a lavorare sodo per noi due. -
Simona capì di non essersi sbagliata sul conto di Bruce, troppo limpido era il suo sguardo, troppo franco il suo modo di parlare ed anche se non sentiva di amarlo fu certa di avere fatta la cosa più giusta che poteva.
Bruce le comunicava quella tranquillità che aveva cercato in ogni momento della sua vita e contemporaneamente quella solidità nei rapporti umani di cui fino a quel momento era totalmente priva.


Simona e Bruce passarono insieme quasi due anni indimenticabili.
Non ci fu mai tra loro uno screzio oppure un diverbio e quando lei decise di raccontargli tutto della sua vita, dei suoi uomini, di sua figlia, delle amarezze e delusioni alle quali era andata incontro ed in un certo senso l’avevano travolta, Bruce le fu ancora maggiormente vicino e le giurò che non si sarebbero mai separati.
Per Bruce non aveva nessuna importanza il fatto che lei fosse più anziana di lui e non gli importava niente che fosse tanto ricca.
Con lei vicina avrebbe vissuto anche in una Roulotte nel Middle-West oppure in un qualsiasi altro angolo del mondo dove ugualmente sarebbero stati l’uno per l’altra.
Simona però aveva fatto una promessa che avrebbe mantenuto ad ogni costo.
Sarebbe andata insieme a Bruce in Spagna per il diploma di Eusebia e Consuelo e per il matrimonio di questa con Guido.
Doveva ringraziare Virginia e suo marito per quanto avevano fatto per la sua bambina, anche se i Lopez non avevano avuto il tempo di recarsi a trovarla in America.
Così, Simona convinse il suo compagno di seguirla a Madrid ed insieme avrebbero fatto festa, tutti uniti, nella gioia di essere finalmente felici e di avere realizzato i loro sogni.
Tutto era stato programmato nei minimi particolari.
Simona e Bruce avrebbero fatto un bel giro attraverso l’Europa ed in particolare sarebbero rimasti molti mesi in Italia.
Simona avrebbe rivisto anche Raffaele con il quale era rimasta una buona amica ed aveva mantenuto rapporti epistolari frequenti.
Insomma mancavano soltanto pochi giorni alla partenza.
Simona non avrebbe lasciato la sua villetta a Santa Monica per la quale aveva già saldato in anticipo l’affitto per i primi cinque anni.
Bruce aveva messo in banca la cifra che avrebbe dovuto versare alla sua ex moglie per i prossimi dieci anni con la clausola di un bonifico mensile non anticipabile con l’aiuto di Simona che gli aveva fatto un prestito senza interessi e che lui avrebbe rimborsato un poco alla volta con il denaro in parte della sua pensione ed in parte con le entrate delle sue saltuarie consulenze.
Era arrivata anche in California l’estate torrida ed umida ed in lontananza si vedeva Los Angeles avvolta da una nebbia mista allo smog in quel inizio di luglio, quando, alle sei di mattina del giorno prima della partenza per Madrid, squillò il campanello.
Due bestioni, che si qualificarono come agenti speciali della F.B.I., chiesero a Bruce. che era andato ad aprire la porta di ingresso, di Simona.
Passarono pochi istanti quando la sua compagna avvolta da una leggera vestaglia di seta si presentò semiaddormentata al loro cospetto.
Il più basso dei due disse in spagnolo, non prima di averla ammanettata.
- Non dica niente se non in presenza di un avvocato. Deve seguirci perché è imputata di avere assassinato in Spagna, secondo un mandato internazionale, più di due anni fa a Siviglia in Spagna un ballerino di Flamenco di nome Miguel per motivi di vendetta personale o per una bruciante passione condita di fatti di droga. -
Simona cadde sul pavimento uccisa da un infarto acuto tra il pianto di Bruce e lo smarrimento dei due agenti, rimasti di sasso.
Bruce pianse tutte le lacrime che aveva in corpo, disperato. La sua bella Simona era morta ed egli pensò che quanto era successo non era giusto per quella creatura dolce e buona e senza peccati.







CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO






In un attimo, Simona raggiunse l’Infinito dell’Universo.
Non c’era nessuna anima ad attenderla, però il posto era meraviglioso. Una bianca luce dalle sfumature azzurro rosee riempiva lo spazio.
Simona, pur sentendosi integra e perfettamente se stessa e pur vedendo le proprie gambe e le braccia, i piedi e le mani, non aveva bisogno di muoverle per spostarsi oppure per accarezzare tutte le immagini che le erano appartenute durante la vita.
Poteva vedere Consuelo sia da lontano che da vicino addirittura poteva sentire i battiti del suo cuore ed i pensieri che le attraversavano la mente, poteva sentirla parlare e nello stesso tempo capire non solo cosa stesse dicendo ma anche quello che avrebbe detto, leggendole il pensiero.
E non solo vedeva ed osservava il frutto del suo ventre e di Raffaele ma qualsiasi persona o cosa desiderasse.
Simona pensò che la sua fosse una condizione di Grazia ma non riusciva a comprendere, né dove fosse, né come avesse raggiunto questa Grazia.
Era chiaro che si trovava in un'altra dimensione ed altrettanto chiaro che era morta.
Avvertiva uno stato di benessere totale e contemporaneamente non sentiva più nessun bisogno fisico mentre si muoveva da un punto all’altro di quel Universo che mai avrebbe immaginato così tranquillo e fantastico.
Soltanto il pianeta Terra nella Via Lattea le appariva il più vicino, quasi come, se lei gli si trovasse nei pressi.
Questo non riusciva a capirlo.
Il Mondo, dove era stata durante la Vita, non la voleva lasciare andare via. Sembrava che la forza di gravità continuasse a tenerla legata con dei fili invisibili.
Simona riusciva a trovarsi in un attimo in un luogo e contemporaneamente in un altro, essere vicina a Bruce ed allo stesso istante davanti a Raffaele, penetrare nella loro mente e leggere tutto dei loro sentimenti ovvero dei loro drammi.
Solo le emozioni proprie erano indecifrabili e come fossero svanite, pur ricordandole, era un mistero.
Poteva pensare, capire ogni cosa, anche le più complicate ma non era possibile decidere nulla ed avvertire gli altri della sua nuova condizione avulsa dalla loro vita.
Simona di colpo, pure nel benessere che la colmava, ebbe la sensazione di non contare nulla, di essere inutile, di non avere nessuna possibilità di comunicare e ciò non riusciva a sopportare.
Era dunque questa la condizione che la Morte imponeva e non solo a lei ma a tutte quelle fiammelle che aveva cominciato a distinguere in quel Universo immenso.
Ed erano tante, miliardi di piccolissime luci, che si muovevano senza sosta come impazzite in un turbinio di movimento incessante come a cercare un luogo dove riposare.
Quello era allora il Purgatorio dei preti, ma il Paradiso dove si trovava oppure non esisteva affatto oppure era riservato a pochissimi eletti, lontani e non visibili?
Simona voleva saperne di più. Avrebbe provato ad interpellare quelle fiammelle in un qualche modo ma non sarebbe rimasta in quella beata ma tristissima solitudine.


Guardò lontano, molto lontano oltre gli orizzonti ed intuì più che vedere una luce bianchissima sagomata come un gabbiano con le ali più grandi, talmente estese che non se ne vedeva la fine.
Simona riuscì a raggiungere quella fonte di luce senza fare un minimo movimento e quando si sentì quasi accecata, per la prima volta dopo la sua morte, parlò senza nemmeno sapere in che lingua.
- Bella Luce, posso chiederti se sarà sempre così, per me? Mi sento così sola che non potrò mai accettare di rimanere tale e se questa è la Morte ed il Purgatorio, preferirei essere totalmente annientata e sparire per sempre. Non posso comunicare con nessuno, non riesco ad articolare i miei pensieri. Ti chiedo se questa è la punizione che merito dopo una vita non certamente serena, colma di angosce e di paure, piena di fatti che mi hanno fatto tanto soffrire ed i ingiustizie?-
- Fammi una grazia, te ne prego! Permettimi di esprimere quello che sento in modo che io sia di insegnamento per tutti gli uomini e le donne. Allora sì che la mia Morte avrà un significato poiché altrimenti sarebbe stato meglio non nascere.-
Infinitamente potente la Figura abbagliante lentamente prese forma comprendibile. Si trattava di un elegante ed enorme Angelo con due ali immense.
Simona ne rimase abbagliata e contemporaneamente udì una voce dolce ed imperiosa.
- Mia cara anima purtroppo non potrai mai trasmettere le tue sensazioni a nessuno, ma questa è la Legge.-
- Questo è il Purgatorio e dovranno passare tantissimi anni prima che tu possa trasformarti in un Angelo come me.-
- Però, quando tutto sarà tornato al Creatore, esisterà soltanto il Paradiso dove tutto è diverso e talmente bello che non puoi nemmeno immaginare.-
- Non esiste nessuna possibile scorciatoia almeno che tu non voglia parlare con il Demonio che ha la possibilità di farti rinascere sulla Terra ma non come tu vuoi. Cosa diverrai, lo decide soltanto Lui. -
- C’è un'unica possibilità di tornare ad essere la Simona che tu sei stata e di vivere ancora fino ad una morte, per consunzione, se venderai la tua anima al Diavolo.-
Simona, che riusciva allo stesso tempo ad esprimersi ed ad udire l’Arcangelo ed ugualmente vedere e sentire anche i sospiri dei suoi cari contemporaneamente, tutti indifesi, tutte povere anime che vivevano e lottavano per quelle povere cose che credevano poter avere un grande significato sulla terra, quasi fossero importanti ed essenziali per l’esistenza terrena, capì che il dilemma propostole da quello stupendo Angelo aveva un profondo significato etico.
Cosa poteva significare rivivere la vita terrena per qualche attimo ancora solo per un egoistico sentimento di continuare a rimanere vicina a sua figlia ed alla sua figlioccia Eusebia oppure prendere tra le braccia qualche nipotino che certamente Consuelo avrebbe avuto dal matrimonio con Giulio oppure accarezzare di nuovo il suo Bruce oppure Raffaele se questo avesse comportato un patto con il Demonio?
Ciò significava la rinuncia ad una beatitudine eterna ma non soltanto per lei quanto per quelle stesse persone che ancora avrebbe saputo proteggere e che sarebbero scomparse per sempre.
Anche gli anni per i suoi cari sarebbero volati in un attimo ed anche per loro sarebbe arrivata la Morte che sì allora li avrebbe divisi per l’eternità senza possibilità di appello.
Essi, inizialmente Angeli senza ali, lei invece senza più un’anima, finita nelle mani del Diavolo che avrebbe fatto del suo spirito qualsiasi cosa gli fosse andata a genio!
Simona vedeva perfettamente, ora, in quella nuova dimensione, sia l’amore che le sgorgava dentro per tutti gli uomini e le donne che popolavano il globo terrestre, sia la vacuità del proprio egoismo e della propria sopravalutazione di essere indispensabile nella e per la loro vita.
Mai, come in quel nuovo Sistema perfetto, le era chiaro che nessun “umano” fosse indispensabile e che tutte le persone della Terra avrebbero dovuto capire questo concetto.
Il suo compito adesso sarebbe stato di pregare per loro per fare comprendere, senza comunicare se non con una vibrazione metafisica, quanto avesse voluto dire se ne avesse avuto la possibilità.
Così avrebbe fatto, continuando a disperarsi per coloro che aveva gioco forza abbandonato, perché in quel modo avrebbe espiato i propri piccoli peccati in Purgatorio.


Simona escogitò un modo per rivedere la sua stupenda Consuelo e per farsi sentire una altra volta da sua figlia e questo avvenne mentre Consuelo era piombata in un sonno agitato e sotto l’azione di ansiolitici, somministratile da Virginia alla notizia che Simona era rimasta uccisa da un attacco di cuore a Santa Monica.
In quel sogno Simona apparve alla sua figliola avvolta da una veste lunga e candida.
Le disse.
- Amore mio, non essere triste.-
- Piccola mia, pensa che la tua mamma ti sarà sempre accanto e non ti abbandonerà mai ed anche se non udirai la mia voce e non sentirai la mia presenza, io sarò vicina alla mia Consuelo in tutti i tuoi momenti di felicità oppure di ansia o di dolori e non ci sarà bisogno che tu mi supplichi poiché ti sarò sempre vicina, di giorno e di notte, quando ti sposerai e partorirai e quando diventerai la più bella e la migliore danzatrice di Flamenco del mondo. Quando sarai donna capirai perché me ne sono andata in America. E’ stato per cercare la serenità che ho trovato in Bruce ed anzi vorrei che tu lo trattassi come un secondo padre. Ho vissuto due anni felici per merito suo. E’ stato un uomo eccezionale, buono e pulito come mai mi era capitato di incontrare. -
Simona vide Consuelo svegliarsi di soprassalto e mettersi in ginocchio sul letto. Il volto era rigato di lacrime che silenziosamente le scorrevano dagli occhi.
Quanto sarebbe stato bello poterle asciugare quel pianto con mille baci! Poterle dire che non era che lei le mancasse soltanto ma addirittura che era stata sul punto di patteggiare col Demonio la propria anima per poterla aiutare a crescere ancora, per un po’ di anni.
Ora doveva riconoscere in Virginia la sua genitrice, confidarsi con lei, volerle bene ed onorarla per sempre.
Così, di volta in volta, Simona faceva capolino nei sogni non solo di Consuelo ma anche di Eusebia tanto che le due amiche spesso si confidavano fra loro e si raccontavano tutte le frasi che indelebilmente rimanevano stampate nelle loro menti.
In un certo senso Simona riusciva ad essere presente nel cuore e nelle anime di quelle due creature che sulla Terra aveva amato maggiormente pur non potendo immaginare che Eusebia, per questo motivo, avrebbe deciso improvvisamente di espiare la colpa dell’uccisione di Miguel entrando in un convento di clausura.
E furono le preghiere di Eusebia quelle che abbreviarono la sua permanenza in Purgatorio.
Prima di molte altre anime, Simona raggiunse gli Arcangeli dalle immense ali, un gradino più in basso del Paradiso godendo finalmente della Pace eterna.
La beatitudine di Simona fu tale da stornarle i legami terreni, continuando allo stesso tempo ad amare tutte le creature, nessuna esclusa.





 

VETRINA