ARMANDO ASCATIGNO

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L’UNICO VALORE ASSOLUTO (Romanzo)

L’UNICO VALORE ASSOLUTO
(C) ARMANDO ASCATIGNO
TUTTI I DIRITTI RISERVATI



1


Due fratelli, quasi coetanei, vivevano nelle vicinanze di Liegi nella località più piacevole e boscosa di questa, in un centro residenziale a circa duecentocinquanta metri sul livello della Mosa che scorreva, a valle, impetuosa tra le Ardenne e la pianura ed in mezzo a ville e villette, viali e vialetti dove anche d’Inverno l’aria era salubre e pulita pur tra giornate piovose o nevose ma che diveniva d’incanto tiepide ed amabili verso la metà della Primavera.
Uno aveva diciassette anni, l’altro quindici.
Il primo dei due era il più basso, il meno bello, il solito bravo ragazzo, studente e secchione che praticava diverse attività sportive nella speranza di crescere ancora un tantino e di mettere su un fisico, non certo fenomenale ma da atleta, almeno molto più robusto di quello che possedeva.
L’altro, alto almeno due spanne di più del primo, non aveva la necessità di frequentare palestre dal momento che “ madre natura “aveva provveduto da sola a dargli un aspetto atletico nonché degli occhi scuri ed un sorriso da incantatore, con i quali riusciva a sedurre qualsiasi ragazza anche molto più in là negli anni rispetto a lui.
La cosa maggiormente incredibile era che il più giovane fosse tremendamente geloso del primo e non solo geloso ma anche invidioso.
Victor, questo era il nome del ragazzo studente e secchione, riusciva con estrema facilità ad essere tra i primi della classe ed inoltre a primeggiare nella squadra di calcio giovanile del principale club di Liegi tanto da essere stato selezionato per la squadra nazionale dei giovani talenti del Belgio.
Victor era stato capocannoniere per due anni di seguito, tra i giovani dello Standard Liegi e già erano piovute decine di richieste per lui da altri “club” sia del Belgio che Europei, tanto che per tenerselo ancora lo Standard gli dava mille euro al mese come stipendio più un premio annuo di tremila euro per il titolo di capocannoniere, che da tre anni era sempre ed immancabilmente suo.
Probabilmente Victor sarebbe diventato un grande campione negli anni avvenire ma intanto doveva crescere ancora ed irrobustirsi.
Benché Victor fosse generoso col fratello, passandogli diverse centinaia di euro ogni mese, non riusciva a farselo amico ed anzi questo lo prendeva in giro spesso soprattutto quando usciva con delle ragazze bellocce, che se lo contendevano a furia di telefonate e di S M S.
Nicolas in cuor suo lo ammirava ma faceva di tutto per indispettirlo, specialmente quando, certe volte, Victor usciva con una biondina, l’unica femminuccia che sembrava si fosse innamorata del giovane calciatore.
Gli diceva.
- Quella mi pare un ranocchio. Non ti sembra che potresti pretendere qualcosa di più tra le donne? Io non la toccherei nemmeno con un dito! -
- Che te ne fai dei soldi che guadagni col calcio se quella non la puoi portare nemmeno in una minuscola, miserabile discoteca? -
Non era vero che la biondina, di nome Véronique, fosse poi tanto racchia. Aveva soltanto tredici anni e mezzo ed il suo viso era per Victor il volto più bello del mondo. Occhi azzurri grandi, a mandorla e ciglia ricurve, il nasino all’insù, il mento piccolo con una bella fossetta la facevano sembrare una bambola. Certo non si era ancora sviluppata nelle prevedibili “sinuosità”sia toraciche che del bacino e cosce, ma la forma e l’aspetto delle sue gambe facevano pensare a Victor che negli anni a venire sarebbe diventata una bellissima ragazza.
Véronique gli aveva confidato di essersi innamorata di lui, ma oltre a qualche innocente bacio non si sbilanciava.
Per Victor bastava così, con qualche passeggiata nei boschi vicino alle loro case nella zona chiamata “Boncelles”in cima alla collina, qualche volta in bicicletta altre a piedi, e con quei discorsi fitti, che si scambiavano tenendosi sotto braccia, interrotti da qualche carezza che lei e lui si scambiavano ogni tanto.
Per quanto non sapesse esattamente il perché, Victor si era molto legato a Véronique e lei era pazza di lui.
Specialmente in quella Primavera, verso la fine di Aprile, quando le rondini avevano colmato gli spazi di cielo sopra gli alberi egli se ne era accorto e la cosa si era sviluppata lentamente, tra i prati verdi dei boschi pieni di bianche margherite, con naturalezza, poiché Véronique, pur così giovane, parlava come una saggia donnina e tutto quanto le usciva dalla bocca era pulito e profondo, incredibile per una ragazza poco più di una bambina.
Quando esprimeva i suoi concetti e le sue idee, gli occhi le si illuminavano di una luce splendente e lei lo fissava con tutto il calore che il suo piccolo cuore potesse manifestare.
In quei momenti Véronique sembrava, anzi era, di una bellezza infinita.
Riusciva ad esternare la sua anima candida senza nessuna ombra di pudore nemmeno si trovasse, invece che di fronte a Victor, in un confessionale.
Per questo Victor non poteva fare a meno di lei e degli sfottò del fratello se ne faceva una sonora risata perché Véronique era man mano diventata la sua fatina.
La immaginava di notte, quando non riusciva a prendere sonno, cresciuta e bellissima, dolce ed imprevedibile e ne era ammagliato, felice di essere stato scelto da lei come il suo innamorato.
Véronique gli dava l’energia per continuare ad essere un ragazzo con la testa sulle spalle, studioso e nello stesso tempo pienamente temprato per arrivare a diventare un vero atleta allo scopo di sfondare nel calcio professionistico.


Non era più di un chilometro la distanza che separava la villetta della famiglia di Véronique, figlia unica di due docenti universitari che insegnavano lettere moderne, la madre e matematica e fisica, il padre nella vicina Università, dalla spaziosa villa dei genitori di Victor e Nicolas, ambedue impegnati in uno Studio di Progettazione di macchine innovative elettroniche, di loro proprietà.
Questi ultimi, anche se Victor non la pensava allo stesso modo, davano a Nicolas troppa libertà di passare il tempo libero come meglio ritenesse giusto.
Erano convinti che Nicolas doveva farsi le proprie esperienze e solo su una cosa erano intransigenti. Guai se avessero scoperto che il loro secondogenito si fosse messo con cattive compagnie.
Nicolas sapeva che suo padre non scherzava affatto quando gli diceva che lo avrebbe buttato fuori di casa in caso di suoi colpi di testa ma in compenso, a parte il fatto che alle ventitré doveva essere a casa, non era mai rimproverato quando frequentava ragazze molto più vecchie rispetto ai suoi quindici anni.
Victor gli aveva dato lezioni di patologia sessuale e si era raccomandato fraternamente con lui di stare molto attento a non prendersi qualche scolo o peggio la sifilide oppure l’Aids.
Almeno su questo argomento Nicolas prendeva seriamente il fratello e non avrebbe mai combinato guai di quel genere.
Tuttavia le donne in genere erano la sua passione, attenuata soltanto dalla necessità di studiare sodo per essere sempre promosso.
E proprio perché era stato sempre sufficientemente bravo a scuola, che mamma e papà erano di manica larga con lui, per il resto.
Nicolas sapeva come agire con la mamma, come riuscire a farsi proteggere da lei in ogni circostanza scabrosa, coccolandola con mille pensieri gentili.
Licia era una donna magnifica e suo padre stravedeva per lei tanto che, in buona sostanza, quanto decideva sua moglie era legge nella loro famiglia.
Spesso Licia aveva nascosto al marito dei piccoli segreti riguardanti Nicolas e tra questi il più importante : il fatto che il figlio avesse già rapporti sessuali completi con una sua amica liceale, una vera Vamp, con la quale lo aveva sorpreso in casa senza che suo marito sapesse alcunché.
Lo aveva scoperto un giorno, tornando a casa, verso le undici di mattina, cosa che non faceva mai, abituata da sempre a mangiare un boccone con Alfredo, suo marito in un locale da ristoro vicino allo Studio dove entrambi lavoravano sodo.
Nicolas e quella quasi ventenne, di cui conosceva soltanto di cognome, una certa Flobert, erano sdraiati sul divano del soggiorno beatamente nudi, avvinghiati l’una a l’altro.
- Mamma,- le aveva detto stupito di vedersela tra i piedi inaspettatamente ed imbronciata, -questa mia amica, una studentessa dell’ultimo anno, è una tua ammiratrice ma non sapevamo che tu oggi non avresti lavorato! -
- Quindi non c’è bisogno di presentazioni. Come hai visto facevamo all’amore, niente di male allora! -
La signorina Flobert e Nicolas si erano rivestiti in un baleno mentre quella non aveva fiatato affatto se non per mormorare “buon giorno signora “
Nicolas l’ aveva accompagnata in giardino ed un secondo dopo era rientrato in casa.
Aveva guardato sua madre negli occhi neri e col viso appena sfiorato da un sorriso e le aveva sussurrato, prendendole le belle mani e ridendo.
- Licia , -chiamandola per nome come quando voleva entrare subito in confidenza, -tu sola sei il mio amore e poi quella, come hai potuto constatare, è un tipo che non si può non accontentare, ma solo soddisfare. Per me non conta nulla e tu non mettermi in castigo per una simile banalità!-
Poi concluse, baciandole le guance.
- Fammi un grande piacere, non dirlo a papà. Questo sarà un altro segreto tra noi due.-
Anche quella volta Licia lo perdonò e tra se e se pensò che quel figliolo aveva un potere incredibilmente esagerato su di lei.


Victor invece parlava in un altro modo con la mamma.
Alcune volte i due stavano ore a chiacchierare. Licia amava tutti e due i suoi figli senza alcuna preferenza ma non poteva fare a meno di riflettere su quanto fossero differenti.
Victor era, come lei da ragazza, un sognatore. Amava tanto la sua famiglia ma oltre a ciò era attratto da tutto quanto potesse incantare il proprio spirito sia che fosse immaginazione oppure realtà palpabile.
Anche a lei piaceva molto la ragazzina con cui usciva e che le aveva presentato non senza arrossire, provetta pianista e studiosa al Conservatorio di Liegi.
Aveva conosciuto i genitori di Véronique per caso in una breve visita di cortesia e di buon vicinato effettuata con Alfredo, durante la quale Licia ed Alfredo avevano illustrato un apparecchio elettronico adatto ad amplificare il suono del pianoforte, a muro, che Véronique usava in casa per allenarsi.
Da quel giorno le due famiglie erano divenute amiche e non passava nessuna ricorrenza, degna di questo nome, che non trascorrevano insieme a pranzo oppure a cena.


Erano passati un paio d’anni da quando Victor si era messo con Véronique.
Lei era “la Grazia” materializzata in un essere femminile e spesso Licia l’aveva invitata nella sua villa, concludendo che sarebbe stato molto bello se suo figlio l’avesse, un giorno, sposata perché avrebbe scelto una moglie ed una mamma perfetta.
Victor era soddisfatto per quella perfetta simbiosi tra sua madre e Véronique e tutto ciò lo inorgogliva tanto da spingerlo ad essere sempre più perfezionista di quanto già lo fosse.
Nel frattempo Victor era aumentato di statura diventando alto quanto Nicolas e lo aveva superato per la muscolatura, in particolare delle gambe e delle cosce, tutto merito del preparatore atletico dello Standard Liegi nella cui squadra da quel anno era diventato titolare fisso.
Véronique veniva a tutti gli allenamenti e serviva a Victor per impegnarsi sempre con massimo accanimento e maggiormente esibirsi nel segnare decine e decine di goal come se quella ormai quindicenne, slanciata e formosa come egli aveva previsto in prospettiva quando aveva iniziato a frequentarla e suo fratello la chiamava “cozza”, avesse subito una metamorfosi fisica totale.
Tutti i compagni di squadra li invidiavano perché, a parte le effusioni sempre graziose che i due si scambiavano, Véronique era rimasta la semplice giovane di una volta, sognatrice e poetica in tutte le espressioni che, con semplicità, le sfuggivano di bocca sia fossero rivolte al suo amato Victor che ai suoi amici dello Standard.
Victor con i primi sostanziosi guadagni aveva regalato a Véronique un anello con un bel brillante come segno di fidanzamento e contemporaneamente si era comprato una bella coupè sportiva, italiana.
Era un vero bolide ma Victor la guidava con estrema prudenza e tutto ciò, incredibilmente, non suscitava alcuna invidia tra gli altri della squadra nella quale Véronique era divenuta la mascotte e Victor il loro valoroso alfiere.
Precedentemente, quando Véronique aveva compiuto i quindici anni, Victor le aveva comprato un pianoforte a coda che avevano sistemato in un angolo del salone non così ampio e spazioso come quello della villa di Licia ma dal suono meraviglioso, per il quale aveva speso una vera fortuna, frutto dei suoi goal e del nuovo primato nella classifica dei marcatori.
Véronique ogni tanto invitava tutta la squadra di calcio per un vero e proprio concerto ed estasiava ognuno, con il suo pezzo forte, il concerto per pianoforte, specie il III , di Cajkovskij e con altri pezzi, dai vari balletti come lo Schiaccianoci, il Lago dei cigni e la Bella addormentata nel bosco agli stupefacenti Notturni di Chopin dai quali sapeva estrarre la piena espressione e le risorse melodiche nell’alveo del romanticismo.
Per ultime lasciava l’Ave Maria di Schubert e quella di Gunnot, perché affermava che ci volesse la protezione della Vergine Maria per tutti loro: gli amici veri e fedeli.


L’unico che non apprezzava le esibizioni di Véronique era sempre lui, Nicolas.
Tutto quel sentimentalismo romantico lo urtava ed anche se aveva infine accettato la presenza di Véronique nella loro casa, tuttavia la considerava ancora una bamboccia, sì cresciuta, ma assolutamente immatura.
Si meravigliava di tutto quel affetto che riusciva a raccogliere intorno.
Si stupiva che suo fratello l’amasse tanto e che anche i suoi genitori approvassero quel fidanzamento che non era stato ancora celebrato ma che in realtà esisteva tra Victor e Véronique.
Egli amava tutti e nessuno. Non si commuoveva per nessuna cosa al mondo ed allo stesso tempo credeva di non aver bisogno di alcuno sulla faccia della terra per essere felice.
Molte volte Victor pensava che avesse un fratello totalmente complessato, intelligente ma pieno di recondite manie ed un giorno pensò di fare qualcosa per lui, qualcosa che lo ispirasse veramente ed in modo definitivo.
- Senti, Nicolas, -prendendo da lontano l’argomento che gli stava maggiormente a cuore, -dovrei parlarti seriamente almeno riguardo un solo fatto. Tu hai quasi diciassette anni ma non hai mai detto cosa vorrai fare da grande.
- Credo che sarebbe ora che noi due ci parlassimo da veri fratelli. Sai quanto io tengo a te ma purtroppo non mi hai mai nemmeno accennato, con il cuore in mano, se nella tua mente esiste almeno una idea di quanto ti farebbe piacere, una volta finito il liceo, esercitare una vera professione. -
Nicolas squadrò attentamente il volto e l’espressione di Victor e vide nella luce dei suoi occhi un calore affettivo incredibile.
- Carissimo Victor, -mormorò con voce ispirata, -so bene che mi adori e che io non sono quel fratello di cui saresti orgoglioso. Tuttavia voglio essere sincero con te, pur nel chiaro-scuro della mia vita, farò il medico e vedrai che fiore di medico verrà fuori da questo ragazzo che finora ha cercato soltanto di spassarsela. Sto facendo il pieno di emozioni poiché poi non avrò più tempo per queste amenità. So anche che tu e papà mi aiuterete, se ne avrò bisogno ma adesso lasciatemi divertire come e quando lo desideri. Inoltre devo confessarti che anche a me piace Véronique e che sarò felice se un giorno te la sposerai e diverrà mia cognata. Ma non pretendere da me, e credo mai e poi mai, che io mi metta seriamente con una ragazza! -
- Vedrai che ce la farai, fratellino mio. Adesso ne sono convinto ed approvo la tua scelta.
Ora capisco i tuoi strani comportamenti e per dimostrarti il mio favorevole atteggiamento ti prometto che farò di tutto per farti specializzare in una prestigiosa Università all’Estero. -
















2






A diciassette anni Véronique aveva ottenuto il diploma di pianista dal conservatorio, risultando la seconda classificata dopo una ragazza di origine russa e trapiantata in Belgio a quattro anni, una artista nata, figlia di musicisti.
Aline era la più cara amica di Véronique anche se non si somigliavano affatto.
Bruna di capelli, occhi nerissimi, un viso stagliato da uno scultore più che da un pittore, pareva una icona antica di quelle che si trovano nelle vecchie chiese ortodosse di Mosca.
Sempre silenziosa ma con lo sguardo da sognatrice, un bel corpo alto e slanciato, lentamente ma inesorabilmente aveva fatto presa su Nicolas che soltanto a lei si rivolgeva con estremo rispetto e gentilezza.
Aveva una sola mania, quella di aggiustarsi i capelli in due trecce con fiori freschi ed un solo difetto, quello di essere golosa di cioccolatini che Nicolas le offriva in ogni momento.
Poteva permettersi quel lusso di gola perché non aveva tendenza ad ingrassarsi e ciò era per Nicolas il massimo piacere: di poterla viziare senza causarle eccessivi pentimenti.
Nicolas capiva che quella ragazza, bella e virtuosa, sarebbe stata la sua innamorata e che avrebbe rinunciato volentieri per lei a tutte le stravaganze che fino allora lo avevano completamente ubriacato.
Ormai cominciava a sentirsi uomo. Si era iscritto a Medicina, come aveva promesso e frequentava già l’inizio del terzo anno del Corso di Laurea con grande soddisfazione personale e con gioia sia di Victor che dei propri genitori.
Con Aline si frequentava ormai ogni qual volta fosse libero da impegni universitari e di studio e così in pratica passava tutto il suo tempo libero con lei.
Sentiva che non poteva farne a meno e non per spendere le serate a fare all’amore con quella deliziosa creatura ma soltanto per sentirla parlare di stelle, di luna, di sole, di germogli in fiore ed in maniera semplice, fanciullesca e con quel accento russo che le donava tanto.
Aline aveva per Nicolas un valore assoluto fatto di romantici sogni e di dolcissimi abbracci.
In un certo senso era come se avessero entrambi trovato il vero e più importante scopo della vita, costruito di fantasie e di speranze tanto, che man mano che il tempo passava, il loro legame si stava trasformando in un assoluto bisogno di vivere insieme.
Per quanto la metamorfosi di Nicolas, rispetto ai suoi anni adolescenziali, fosse ogni giorno più profonda e sempre più completa, egli trovava nei genitori di Aline un ostacolo molto serio per la fama di “Don Giovanni” che ancora si trascinava appresso.
Con un cambiamento psicologico profondo si rivolgeva ai genitori di lei chiamandoli mamma e papà, mostrandosi rispettoso ed affermando, con un sorriso ingenuo ma sincero, che Aline sarebbe diventata sua moglie.
I due lo accoglievano in casa, in un quartiere semiperiferico di Liegi, con cortese gentilezza ed affettuosamente, ma quando Nicolas affrontava l’argomento del matrimonio con Aline, essi smorzavano gli entusiasmi del futuro Medico dichiarando che la loro figliola fosse troppo giovane per potere pensare, così presto, ad una simile eventualità.
Del resto la carriera di Aline sarebbe divenuta quella di una artista famosa e non era giusto assolutamente che Nicolas la volesse tutta per sé, poiché le affascinanti e perfette esecuzioni del repertorio di lei erano soprattutto dedicate alle decine di migliaia di appassionati che ormai la cominciavano a conoscere ed apprezzare.
Ma, in privato, quando Aline gli parlava del suo vestito bianco di nozze e della musica che l’avrebbe accompagnata all’altare, come se fosse una piuma leggera e sfavillante con accanto il suo Nicolas, questo ultimo impazziva di gioia ed avrebbe fatto di tutto per non fare svanire nell’anima della sua ragazza quella immensa felicità che le leggeva negli occhi, tutta passione ardente ed amore, con la promessa che mai avrebbe interferito con la sua musica ed il suo pianoforte.


I rapporti affettivi e di amicizia erano mutati con suo fratello, Victor, ed i discorsi che nel frattempo i due si scambiavano, ormai quasi quotidianamente, erano diventati seri e profondi.
Victor era diventato ricchissimo, tra il pallone d’oro che la Federazione internazionale gli aveva assegnato per tre anni di seguito e gli ingaggi che aumentavano di anno in anno c’era una sola eventualità : quella di essere ceduto ad una squadra italiana con introiti annuali almeno decuplicati.
Victor aveva deciso di sposarsi con Véronique prima di accettare un trasferimento da nababbo a Milano e con lui sarebbero venuti, in Italia, Nicolas e la sua Aline.
Costui si sarebbe laureato a Milano e poi avrebbe potuto specializzarsi in cardiochirurgia.
Il matrimonio tra i due fratelli e le rispettive innamorate sarebbe stato celebrato a Liegi, subito dopo il Campionato in corso.
Avrebbero vissuto insieme in una favolosa villa sul Lago di Como e Nicolas e sua moglie non avrebbero dovuto pensare affatto al lato economico ma solo alla loro futura carriera che poi a Milano sarebbe stata splendida e colma di soddisfazioni.
Per non mettere in soggezione Nicolas ed Aline, Victor aprì un conto corrente intestato ai due sposi, di un milione di euro, che dovevano considerare esclusivamente il suo regalo di nozze.
Di questo enorme aiuto economico, Aline e Nicolas non ne volevano sapere, ma fu tanta l’insistenza di Victor e di Véronique e soprattutto il desiderio di vivere i loro amori insieme che, questa ultima coppia riuscì a convincerli dichiarando che senza di loro non avrebbero potuto vivere.
Così, non solo i due matrimoni vennero celebrati contemporaneamente con le due ragazze affascinanti e stellari, ma subito si trasferirono nella fantastica villa sul Lago di Como, messa a disposizione del Presidente della squadra milanese che aveva fatto sottoscrivere a Victor un contratto super miliardario per cinque anni con possibilità di rinnovo.
Il Lago era un incanto. La villa,circondata da un giardino pieno di fiori e cespugli, con un piccolo molo dove si trovava attraccato un motoscafo elegante e comodo per sei -otto persone.
Al pianoterra della grande dimora, due pianoforti a coda facevano bella mostra, destinati a Véronique ed ad Aline che si sarebbero preparate lì per i loro Concerti.
La grande sala era stata divisa in due parti simmetriche da una parete in legno, insonorizzata, comunicante con i piani superiori e spostabile elettricamente e le due cognate le avevano abbellite con gusto personale senza che ciascuna potesse dare fastidio all’altra a seconda dei brani che studiavano anche se molto diversi gli uni dagli altri.
In sei mesi la casa divenne un angolo di fate ed un punto di ritrovo per intenditori.
Ogni tanto, cedendo alle insistenze dei loro mariti, la sala diveniva un tutto unico per le esibizioni delle concertiste con i due pianoforti e con tanti amici che venivano ad ascoltare con estremo piacere quelle musiche interpretate, virtuosamente.
Tra Véronique ed Aline c’era una vera gara per abbellire la villa e le due amiche erano diventate come due sorelle e mai Victor e Nicolas si erano sentiti così felici.


L’uno continuava a mostrare a tutti quanto valesse come calciatore e la campagna di abbonamenti aveva raggiunto il massimo degli ultimi anni con una enorme soddisfazione da parte del Presidente,
L’altro snocciolava un esame dopo l’altro tanto che nell’ Autunno successivo si sarebbe laureato in anticipo e sarebbe passato immediatamente alla scuola di specializzazione in Cardio-Chirurgia che avrebbe frequentato a Milano.
Ma né Nicolas né Aline soffrivano esageratamente dei periodi di lontananza perché anche la bruna russa doveva allontanarsi spesso da casa per i Concerti che il suo Impresario le procurava ora in Italia, ora in Austria, in Svizzera oppure in Gran Bretagna.
Aline stava diventando una stella di prima grandezza e nei primi tre anni di permanenza a Como, gli impegni erano divenuti sempre più numerosi ed impegnativi.
Era quasi sempre seguita da Véronique, condizione assoluta perché lei si muovesse da Como.
Véronique eseguiva dei pezzi solisti con quella sua incredibile capacità di interprete e riscuoteva altrettanti successi degni di quella artista che era diventata.
In fondo nei primi anni sia Victor che Nicolas non si lamentavano eccessivamente se non fosse nato il problema che le due giovani donne non avevano nessuna intenzione di rimanere incinte.
Era per loro sufficiente averle a casa, dolci e premurose, romantiche e piene d’amore ed anche focose a letto dove si scatenavano come due adolescenti eroticamente complete.
Tuttavia ai due fratelli mancava qualcosa ed un po’ erano le distrazioni di Victor, ormai diventato un idolo dei suoi tifosi e tifose cui spesso non potevano mancare inviti a feste ed a cenette intime , un po’ Nicolas non poteva rifiutasi di essere invitato a congressi e meeting inerenti la propria professione con gente che contava molto in Lombardia.
Dove erano finite per Victor le passeggiate tra l’erba e le soavi parole di Véronique quando raccoglieva le fragole dai cespugli ed afferrava le farfalle variopinte con le mani per farle fuggire un attimo dopo, tra i secolari alberi delle Ardenne?
E dove erano finiti i semplici abiti di Aline ed il vezzo di quelle splendide acconciature con cui si adornava i bruni capelli?
Una volta che Nicolas ebbe ottenuto il titolo di Cardio-Chirurgo e che Victor, in vista della scadenza del Contratto, ne aveva firmato uno nuovo per altri cinque anni, raddoppiando l’ingaggio, avvenne ciò che mai nessuno avrebbe potuto immaginare.
Pur rimanendo, come residenza a Como, Nicolas ed Aline decisero di andare a vivere in un appartamento spazioso ed elegante a Monza, dalle parti del Parco.
Così le due coppie di sposi dovettero giocoforza separarsi anche se spesso non mancava occasione per passare insieme delle belle giornate al Lago, dove Victor e Véronique non avevano per nulla modificato l’assetto delle camere e della Villa.
Questa nuova sistemazione si era resa necessaria soprattutto per gli impegni, sempre più assillanti e professionalmente importanti di Nicolas e certamente Aline non lo avrebbe mai lasciato vivere da solo.
I palpiti del suo cuore erano soltanto per suo marito anche se non avrebbe mai abbandonata la propria professione di concertista.











3






Véronique aveva saputo da comuni amici di Como che il suo Victor, approfittando delle proprie frequenti assenze dall’Italia per i concerti molti dei quali indetti da organizzazioni umanitarie tipo FAO od UNESCO per beneficenza, si era presa l’abitudine di cenare fuori casa, in compagnia di gente della Televisione per preparare degli SPOT pubblicitari allo scopo di incrementare, alla grande, i propri guadagni già cospicui, pubblicizzando qualsiasi genere di merce di largo consumo.
Fin qui niente di male.
Ma quando venne a conoscenza che quelle cene di lavoro erano frequentate molto spesso da ragazze ben disposte a concedersi con estrema facilità per essere fotografate con il Campione allo scopo di esibirsi e farsi conoscere dal gran pubblico, al rientro da Ginevra, decise di affrontarlo come mai aveva fatto in vita sua.
- Amore mio,- gli disse freddamente,- non credere che io sia una stupida o che lo sia diventata di colpo. -
- Tu sai bene che sei stato il mio primo ed unico amore da quando ci siamo conosciuti ed io ero una ragazzina piena di speranze e di sogni. -
- Ora che sono cresciuta e sono diventata tua moglie, voglio che ti comporti come quel bravo giovane che non aveva grilli per la testa, nemmeno quando tutta Liegi era innamorata
di te!-
Tutto Victor si sarebbe potuto immaginare tranne quella scenata di Véronique, a brutto muso.
Prima sorrise, ma quando si accorse che Véronique non aveva affatto intenzione di scherzare, esclamò.
- Ma guarda un po’cosa mi stai dicendo, tesoro mio, io non ti farei mai le corna nemmeno se fossi condannato a morte! Tu sola sei la fiamma che fa ardere il mio cuore, l’unica vera gioia della mia anima e del mio corpo ed è la purezza della tuo cuore che amo da quando mi parlavi come un cucciolo. -
- L’importante per me e per te è che di tutte quelle galline che mi girano intorno nessuna è degna di pulirti le scarpe. Io devo badare alla mia coscienza e finché la ruota gira in questo senso favorevole devo accumulare più denaro possibile, con il quale potremo non solo condurre una vita ricca ma potremo fare una quantità di beneficenza che nemmeno puoi pensare. -
Victor si accostò a Véronique e senza aggiungere altro prese tra le mani il suo bel visino, asciugò con un fazzoletto le lacrime che le stavano bagnando le gote e mentre quelle, senza singhiozzi, le uscivano tra le lunghe ciglia degli occhi azzurri, le accarezzò il nasino arrossato e le baciò le teneri labbra.
Poi aggiunse sospirando, -quando sarai pronta desidero dei figli da te e solo da te. -
Soltanto allora Véronique riuscì ad atteggiare la bocca in un semplice sorriso e sedendosi sulle forti cosce del suo uomo gli bisbigliò.
- Tu sei lo spartito che fa vibrare le mie dita, e soltanto tu colui che fin da bambina mi incantavi per la tua pazienza e per la protezione che mi manifestavi in qualsiasi momento.-
- Unicamente questo è Amore, tutto il resto è nulla ed anche la mia amata musica è cosa vuota di significato senza di te.-


Quando Véronique parlava in questo modo non esisteva persona al mondo, dotata di un briciolo di sensibilità, che non fosse affascinata da lei.
Come fosse possibile che una creatura possedesse insieme una tale dolcezza d’animo ed allo stesso tempo sentimenti tanto puri per l’uomo della sua vita?
Era Victor colui che spasimava di gelosia per lei e non il contrario e tanto maggiormente quando passavano alcuni giorni senza che la vedesse.
Véronique gli faceva paura per la sua ingenuità e di tale debolezza se ne era accorta tanta gente.
Tutto al più lei era spaventata di poter essere abbandonata da Victor perché non lo avrebbe mai perdonato anche per un minimo tradimento spirituale o fisico che fosse.
Lei invece, fossero donne oppure uomini, era attratta da tutti coloro che osservavano il mondo non solo da un punto di vista artistico ma con calore umanitario in opposizione ad una folla di gente diventata cattiva e senza cuore, falsa e perfida ma in fondo debole ed estremamente fragile, in cui l’universale concetto della serenità e della pace svaniva ogni giorno di più nelle brutture delle guerre e delle morti provocate da individui crudeli e dimentichi di quanto Iddio avesse regalato all’uomo.
Ma quella era una elucubrazione intellettuale condita dalla Fede che mai aveva perduto nell’anima e nel cuore.
Victor l’aveva avvertita di non essere troppo sempliciotta con coloro che l’avvicinavano, molte volte gente ingannevole ed ipocrita.
Véronique lo ascoltava con attenzione ma facilmente se ne dimenticava poiché il concetto di falsità non esisteva nel proprio lessico e così alcune volte si fidava eccessivamente di amici che le dichiaravano quanto l’ammirassero.
Tra questi non esistevano i compagni di squadra d Victor, tutti veri amici della bella coppia, ma uno spagnolo di nome Omar, un musicista che viveva in una pensione di Como e che lei talvolta invitava.
Era costui un bravo arrangiatore e dal momento che Véronique si dilettava nel comporre musica lo trattava con cortesia ed amicizia anche perché, con il denaro che gli passava per le lezioni, lo aiutava a campare.
Victor avrebbe preferito che quel uomo, elegante, giovanile e signorile, non frequentasse la sua casa anche se questa era colma di cameriere, cuochi e giardinieri.
Victor insomma non lo sopportava per il suo modo di essere troppo gentile e quasi fraterno con Véronique ma, per non dimostrare la propria gelosia, faceva buon viso a cattivo gioco.
Omar, nel complesso, si comportava da bravo maestro e mai Véronique, che pure nella sua semplicità non si faceva passare nemmeno una mosca dal naso, aveva avuto sentore che a quello lei piaceva moltissimo e perciò non poteva lamentarsi per nessuna ragione con il proprio marito.
Anzi,Véronique, quando si metteva a raccontare a Victor del suo professore madrileno di arrangiamento, ne faceva un mucchio di lodi, illustrandone le capacità creative e fantastiche. Inoltre gli faceva piacere dirgli che era un uomo pieno di gentilezza nei suoi riguardi e che dimostrava ogni volta, portandole alle lezioni dei piccoli peluche fatti da lui, come omaggio personale alla bionda pianista belga.
Tuttavia, un giorno piovoso mentre il lago aveva assunto un colore grigio e suonavano a quattro mani una composizione romantica creata da Véronique, Omar le chiese sottovoce.
- Come fa, una donna dotata di tanta arte e per giunta incantevole, ad essersi innamorata ed addirittura sposata con un atleta che a quanto mi consta è del tutto incapace di rabbrividire per la sua incredibile poesia e per la dolcezza della propria musica ed anima? -
E nel dirle queste parole, affettuosamente, le accarezzò i biondi capelli, stringendole le mani affusolate nelle sue.
- Mi deve scusare della mia impertinenza, Véronique, ma mi dica cosa può offrirle un uomo simile, tutto muscoli e gagliardia con i quali si guadagna fior di milioni di euro, se invece il suo cuore incontrasse un poeta, simile a lei, pieno di ardenti sentimenti e di pulizia morale -
- Voglio subito aggiungere che io sono un omosessuale e che quindi non parlo per mio interesse personale anzi le auguro ogni felicità sia per la sua che per la vita di Victor. -
Véronique rimase allibita per quanto le aveva confidato Omar.
Rimase per un attimo in silenzio e gli rispose.
-Mi dispiace perdere un maestro come lei. Ma cosa vuole sapere della mia vita e di quella di mio marito se appena ha avuto la possibilità di conoscerci, non sapendo nemmeno che noi due abbiamo dei legami indissolubili, maturati lentamente ed inesorabilmente e che ci conosciamo da quando io avevo soltanto tredici anni e mezzo? -
- E’ chiaro che da questo momento non potrà più entrare nella mia casa.
Sarò io che troverò una scusa per quanto la riguarda con Victor e voglio aggiungere che il fatto che lei è un omosessuale non influenza la mia decisione. -


Véronique rimase profondamente turbata per quanto fosse successo con Omar anche se, riflettendoci sopra, arrivò alla conclusione che quel individuo si fosse espresso in quella maniera unicamente e soltanto per assoluta incapacità di conoscere il significato reale della parola “Amore”, che aveva un ben altro significato tra un vero uomo ed una vera donna.
Véronique ebbe tempo per farsi una autocritica.
L’amore che le bruciava nel petto per Victor forse non era completo e non poteva essere fatto solo di poesia e dolcezza, di fiabe infantili, di voli di uccelli, di lucciole oppure di fiorellini che trapuntavano l’erba oppure di quelle melodie che riusciva a trarre dal suo pianoforte.
L’amore ora, che si sentiva cresciuta, sapeva bene come potesse diventare immenso, veramente completo unicamente se fosse stato associato non solo al sesso ma anche alle invenzioni dell’erotismo, della passione, cose che non le mancavano assolutamente ad eccezione di un figlio.
Se non fosse stato così, allora tanto valeva dare ragione a Omar che non faceva nessun dramma della propria omosessualità e non se ne vergognava per nulla.
Un terribile pensiero le trapassò il cervello. E se lei, Véronique, fosse stata eterosessuale? Oppure soltanto una ninfomane, colma di soddisfazione per il suo aspetto esteriore e piena di ambiziose prospettive per l’attrazione al suo pianoforte?
Onestamente capiva di non essere come tante altre donne, semplici e bisognose di una maternità almeno di un erede maschio o femmina che fosse.
Solo raramente sentiva il bisogno di fare all’amore pazzamente con Victor ed anche il fatto di non desiderare di deformare il proprio corpo non poteva essere un fatto normale.
Victor la desiderava fisicamente ed era pure un ragazzo dolce e pieno di premure.
Ma perché lei non sentiva lo stesso trasporto irrazionale ed allo stesso tempo non vedeva che se avesse continuato in quella maniera avrebbe rovinato non solo la vita di Victor ma anche la propria?
Véronique decise di mettersi alla prova dopo la partita che suo marito avrebbe giocato la domenica. Avrebbero riposato per tutta la notte e poi, al mattino di lunedì, si sarebbe scatenata nel tentativo di avere quel figlio che Victor tanto desiderava.


Victor tornò nella villa sul lago che erano le due di notte, accompagnato dal suo preparatore atletico con il motoscafo.
Aveva giocato di sera e la partita era terminata verso le ventidue e trenta.
Era riuscito a segnare due stupende reti ed anche in quella occasione, nelle interviste del dopo partita, aveva ricevuto dalla stampa scritta e televisiva decine e decine di encomi per la sua abilità sotto rete.
Aveva messo la sua firma su un guizzo inatteso da tutti e poi su una sua punizione di prima, calciata con incredibile precisione, da oltre trenta metri.
Il pallone era entrato nell’angolino in alto alla sinistra del portiere imprendibile tra le ovazioni degli oltre settantamila spettatori.
Soltanto verso la fine del secondo tempo, mancavano solo dieci minuti di gioco, l’allenatore lo aveva sostituito per una violenta contusione alla parte posteriore della coscia destra causata da una acrobazia, in aerea di rigore, dettata dalla voglia di strafare.
L’immediato controllo radiografico ed ecografico avevano escluso danni seri, tuttavia Victor aveva avuto il permesso di saltare l’allenamento del martedì per tornare in perfetta forma fisica e per una settimana poteva rimanere a casa e riposarsi.
Véronique aveva ricevuto una telefonata dal marito con la quale questi aveva voluto tranquillizzarla anche perché lei, come sua abitudine, aveva seguito l’incontro attraverso le televisioni a pagamento
Véronique abbracciò Victor al molo dove si era attraccato il motoscafo. Lo baciò felice ripetutamente e si informò presso il personal training se c’era da preoccuparsi per l’incidente.
Marco le fece un sorriso e disse.
- Mi dispiace per lei signora Véronique. L’unica cosa che Victor non potrà fare nei prossimi giorni sarà di fare all’amore con lei. Ma che importanza ha dal momento che siete ancora così giovani …!-
Tutto il programma di Véronique saltava in aria ed a pensare che era sua intenzione fare fuoco e fiamme l’indomani per quel bambino che aveva deciso di regalare a Victor.











4






La settimana, che Véronique aveva immaginato stupenda e piena di piacevoli amenità e curiosità, si rilevò infine noiosa e non certo all’altezza dei sogni che aveva pensato e dei momenti di intimità che avrebbe passato con Victor.
La presenza di Marco, il suo preparatore atletico, un vero genio per rimettere in ordine muscoli, tendini ed ossa degli atleti a lui affidati si dimostrò pesante, molto di più di quanto Véronique potesse fantasticare.
Avrebbe voluto, in quei giorni soleggiati di quel inizio di Maggio, vestirsi con vestagliette e costumi da bagno mozzafiato ed oltre a ciò, starsene sempre abbracciata al suo Campione coprendolo di baci, di moine ed ancora provocarlo con baby-doll a luci rosse.
Marco si comportava da Cerbero, invadente e presente in ogni occasione e non faceva altro che raccomandarsi con Victor di mantenersi in perfette condizioni psico-fisiche perché la squadra aveva bisogno della sua presenza nella trasferta a Torino tra due domeniche.
Sarebbe stata quella una partita fondamentale per la classifica e per il primato.
Marco, tra l’altro, aveva obbligato il suo giocatore a dormire in una altra stanza per evitare tentazioni con la sua Véronique e doveva andarsene a letto subito dopo le ventidue e trenta.
Véronique aveva cercato di distrarre Victor in mille modi, un po’con le rose ed i fiori che erano sbocciati quasi insieme nei numerosi vialetti del giardino, un po’ facendogli mille complimenti per l’andamento della squadra.
Ma neppure il fatto che tutti i giornali parlassero di lui riusciva a farlo sorridere.
Il telefono non faceva altro che squillare per le notizie sulla sua salute, la televisione dal canto suo faceva sondaggi riguardo la presenza in campo a Torino del fuoriclasse ed a tutti rispondeva Marco, sornione e sicuro che Victor sarebbe stato sul terreno di gioco per il grande Derby tra la Lombardia ed il Piemonte.
Véronique pensò che non poteva continuare così e che soltanto lei avrebbe detto la parola definitiva sullo stato di salute di suo marito, disubbidendo a Marco e facendo di testa sua.
Quando arrivò il giovedì mattino, Véronique, entrò senza essere notata nella camera di Victor che erano le sei di mattina, silenziosamente e dopo aver passato la nottata in bianco.
Seducente e provocante, profumata con i capelli biondi sciolti sulle spalle nude, vestita soltanto di un paio di mutandine bianche e coperta da un accappatoio rosa, Véronique volle vedere se il comportamento di suo marito fosse quello di un uomo pazzamente innamorato di lei oppure se l’avesse rifiutata, ubbidiente agli ordini dell’allenatore e dei dirigenti della squadra.
Véronique cominciò a baciarlo teneramente mentre lui iniziava a svegliarsi e con mille carezze, in pochi secondi, lo eccitò al punto che la prese per la vita e le strappò le bianche mutandine.
- Ti amo, - le disse, con un sussurro -, ti aspettavo già da ieri sera ed adesso ti voglio dire che non solo mi sento benissimo ma sono il tuo leone ed il desiderio di possederti è talmente grande che non mi importa nulla né del calcio né di Marco, né di tutti i dirigenti del Club.-
- Ti sono stato sempre fedele, mia piccola Véronique, ora voglio averti per una intera giornata ed il personal training me lo farai tu fino allo sfinimento completo.
Marco, da persona intelligente, chiuse ambedue gli occhi e dopo nove mesi nacque una bimbetta cui diedero il nome di Désirée.


Véronique venne seguita durante la gravidanza con la supervisione di Nicolas, a Milano, dal professore Spalletti, Direttore della Clinica Ostetrica.
Non c’erano stati problemi di nessun genere
Sia la salute di Véronique che quella della bimba erano perfette per la gioia e del padre e del cognato.
Aline fu una solerte sorella per Véronique che toccò con un dito la gioia estrema di divenire madre, con l’unico cruccio di non poter più vivere con sua cognata ormai sempre meno presente a Como.
Nicolas, raggiunto lo scopo di essere diventato un ottimo chirurgo, continuava a vivere tra Monza e Milano con Aline ma lentamente e quasi inesorabilmente sentiva allontanarsi quel immenso bisogno di colei che gli aveva rubato il cuore e coperto d’amore e ciò avveniva, sempre più a causa di quella bizzarra vita che i due ormai conducevano quotidianamente.
In più Aline era diventata una vera Diva contesa dai Teatri e dai Circoli artistici e musicali di ogni città, mentre lui era costretto a fare una vita molto ritirata, tra studio e sale operatorie e più ancora le mancava dentro la casa che era rimasta sempre la stessa da quando si erano trasferiti da Como.
Aline era diventata una donna di gran classe, sempre elegante e piacevole, con quella bocca, che ammagliava chiunque anche se la conosceva per la prima volta e quel volto, pieno di sorrisi che le uscivano spontaneamente in particolare dagli occhi neri ed ardenti.
Parlava a tutti senza ombra di superbia divenendo tanto affascinante nella capacità di essere umile e di esprimersi con immensa bonomia e con tanta modesta semplicità.
Ma la famiglia si limitava soltanto a loro due e la nascita di Désirée, che in un batti baleno aveva già raggiunto i due anni, contribuiva a rendere geloso Nicolas nei riguardi della cognata e del fratello.
Di propri figli non ne parlavano nemmeno per scherzo ed a questo punto Nicolas pensò di confidarsi con Victor.
L’occasione fu una cena a Milano.
I due fratelli si videro verso le ventuno nei pressi di Porta Romana in un ristorante che generalmente non frequentavano né amici di Victor né colleghi di Nicolas, approfittando del fatto che sia Aline che Véronique erano andate insieme a Liegi per un breve periodo, dai nonni e dai genitori di Aline perché conoscessero meglio la bimba ora che cominciava a parlare, a sgambettare ed a fare mille moine e che tra pochi giorni avrebbe compiuto due anni e mezzo.
- Spiegami,- disse Nicolas al fratello,- come sia possibile che io non riesca più a sopportare Aline e nello stesso tempo l’ammiri per quello che è riuscita a creare con la sua arte mentre mi diventa in ogni momento sempre più bella ed affascinante? -
- Sto pensando seriamente di separarmi da lei! -
- Io e lei non possiamo più vivere insieme. Credo che mi ami ancora molto ma se questo modo di amarsi significa non avere nemmeno un momento di intimità, non poterla accarezzare quando ho quei pochi momenti liberi, perché un quarto d’ora dopo deve essere presente ad una “Prima” oppure ad una conferenza, allora che razza di Amore può essere il nostro! -
- Se non fosse mia moglie farei carte false per esserle vicino e corteggiarla. La sua grazia è immensa, il suo modo di esprimersi profondo e favoloso ma invece, proprio perché è mia moglie, mi sta uccidendo lentamente mentre nessuno non può né deve immaginare che tra noi due esista oltre che l’amore una perfetta simbiosi di sentimenti che ipocriticamente esterniamo a tutto il mondo.-
- Mi ricordo, come in un sogno, quando la tenevo sulle mie gambe con quella minuscola vestaglia che mi permetteva di toccarle ogni centimetro del suo corpo e di quando si avvinghiava a me non lasciandomi respirare. Tutto è scomparso di quei tempi e se la voglio interessare devo parlare continuamente dei nostri successi! -
Victor se lo guardava incredibilmente ammagliato. Nicolas era pazzamente innamorato della sua Aline ma era troppo orgoglioso per usare termini semplici e cari alla meravigliosa mogliettina che probabilmente non desiderava altro da lui.
Tra l’altro gli sembrava strano che un uomo come Nicolas fosse ricorso a lui per sentirne il parere.
Nicolas era uno di quei chirurghi affascinanti sia per l’aspetto fisico che per il gran carisma che mostrava nell’esercizio della sua professione.
Avrebbe potuto avere tutte le donne del mondo solo se l’avesse voluto, ma era Aline la sua anima gemella, colei che poteva renderlo felice appieno.
Victor conosceva Aline sicuramente meglio del fratello e gli propose una semplice cosa tanto banale ma tanto sicuramente capace di farle perdere la testa.
Dovevano assolutamente prendersi un lungo periodo di riposo e viaggiare, anzi farsi un viaggio intorno al mondo.
Tutti e due erano certamente troppo stanchi. Bisognava dare tempo al tempo e ricuperare quella freschezza che avevano perduto in quei lunghi anni di studio.
Anche lui e Véronique avrebbero approfittato del prossimo mese estivo di vacanze per viaggiare.
Finalmente niente allenamenti e partite. Sarebbero andati assieme alla baby-sitter ed a Désirée a fare una lunga crociera sulla costa orientale degli Stati Uniti nel Maine ed alle cascate del Niagara, poi avrebbero visitato Boston e New-York ma sempre su una stupefacente nave da crociera, fino ai Caraibi.
Anche Victor si doveva fare perdonare qualcosa da Véronique.
Sapeva di averle fatto dei torti durante il periodo dell’allattamento e dello svezzamento. Invece di starle vicino ad incoraggiarla o per lo meno, nel poco tempo a disposizione, ad aiutarla, cercava ogni pretesto per andarsene per i fatti suoi in compagnia degli amici.
Alcune volte invece di tornarsene a casa, appena finito il proprio lavoro di atleta, si era fatto trascinare dai compagni di squadra a passare qualche serata allegra tra le braccia di qualche meravigliosa modella.
Ciò non aveva avuto nessuna conseguenza con Véronique, ignara di questi saltuari inganni, ma piuttosto con la propria coscienza di marito.
Sembrava quasi, che quanto fosse ignorato dalla moglie, non lo fosse da sua figlia che, passando il tempo e crescendo, stava diventando una vera peste, capricciosa, irascibile e sempre maggiormente cocciuta.
Désirée, che si lamentava spesso di improvvise cefalee, sembrava che rimproverasse al padre, nel suo inconscio, i tradimenti che faceva alla mamma. Ed era proprio Véronique che non si raccapezzava di quel modo in cui la bambina, pur con tutte le sue premure, crescesse impertinente e non consona al modo nel quale lei stessa era cresciuta da bambina.
Soltanto una volta Véronique ebbe il sospetto che Victor potesse spassarsela con alcune altre donne.
E fu allora che lo mise sotto torchio sessualmente con la scusa che un solo figlio era ben poca cosa per loro due.
Victor capì l’antifona e per non perderla le promise che avrebbero messo al mondo un altro bambino e proprio in quella crociera che aveva già prenotato per l’Estate.
Véronique raccolse tutte le arti e magie della seduzione per Victor e così la piccola crisi sembrò spegnersi sul nascere.











5





I due fratelli si abbracciarono, perfettamente d’accordo, che tutto si sarebbe svolto nel modo progettato da Victor e mentre si scambiavano tali promesse per l’estate imminente, il cellulare di Victor squillò ripetutamente.
- Amore mio , -supplicò piangendo Véronique, -devi correre immediatamente a Liegi. Désirée non sta bene ed ho dovuto ricoverarla in una Clinica Pediatrica dell’Università per degli improvvisi disturbi neurologici che gli specialisti stanno studiando da questa mattina. La bambina non ha battuto la testa ma è svenuta improvvisamente e quando si è ripresa ha avuto delle convulsioni piuttosto violente. -
Victor che stava per salutare Nicolas, sbiancò in volto e replicò alla moglie.
- Avviso la Società e ti raggiungo con Nicolas entro tre ore. Prenderemo un jet privato e ti sarò accanto in un baleno.-
Nicolas che aveva capito in parte la gravità della situazione aggiunse al telefonino.
- Non allarmarti eccessivamente, Véronique. Ci sarò anche io. Prenderemo l’aereo a Linate tra un ora e nel frattempo cercami al telefono il professore Lindstrom, il mio caro amico neurologo e digli che ho bisogno di lui urgentemente. Venite a prenderci all’ aeroporto di Liegi, a Bierset, dove atterreremo facilmente con l’aero taxi. -
Nicolas avvisò la Clinica che doveva volare a Liegi immediatamente e che lo sostituissero per almeno una settimana.
Nella mente di Nicolas, in quelle poche ore giusto il tempo per giungere a Liegi, ci fu un turbinio di pensieri.
Ricordando il recente passato di Désirée non aveva dato eccessiva importanza a quel modo turbolento di agire della nipotina, ora però stavano subentrando nella proprio cervello di chirurgo, mille idee dalle più banali alle più importanti.
Non fiatò con Victor che si stava dimostrando, al contrario del solito, molto agitato e che aveva cominciato a fare congetture, associate a qualcosa che probabilmente Véronique gli aveva taciuto.
Alle tre e mezza di notte trovarono ad attenderli oltre che Véronique ed Aline anche il professore Lindstrom che appena contattato dalla moglie di Victor, un vero fratello per lui, aveva già visitato la piccola ed in attesa di attenti e profondi accertamenti aveva, di nascosto, fatto cenno a Nicolas che secondo lui si trattava di una Sindrome da Compressione Cerebrale.
Già il giorno dopo, un consulto mise in evidenza la certezza che Désirée fosse affetta da un meningioma frontale, di probabile natura benigna ma che avrebbe implicato un veloce intervento ed un certo discreto pericolo di complicazioni sia operatorie che post operatorie.
Fu Lindstrom stesso che consigliò a Nicolas ed a Victor di fare trasportare Désirée a Stoccolma in Svezia, dove l’equipe chirurgica del suo Maestro avrebbe fatto il miglior lavoro possibile per la guarigione della bambina.
Così avvenne, con l’accordo di tutti i parenti.
L’intervento riuscì magnificamente ma purtroppo Désirée ebbe una convalescenza lunga e difficile e non guarì subito e completamente, dovendosi sottoporre a periodiche intense terapie a causa di un edema residuo nella zona circostante a quella operata che era la causa di sintomi fastidiosi e di qualche disturbo caratteriale.


Per tutti, quanto successo a Désirée, rappresentò un vera tragedia e più avanti nel tempo ognuno si accorse che la ragazzina, oltre a piccoli deficit di memoria e sporadiche mini convulsioni, nel crescere presentava alcune anomalie caratteriali tali da avere bisogno continuamente di una assistenza psicologica continua e programmata.
La stessa vita di Véronique e di Victor cambiò radicalmente e la cosa maggiormente dolorosa fu per Véronique rinunciare ai Concerti per stare il più vicino possibile alla figlia.
Victor cominciò a perdere lo smalto che aveva avuto fino allora.
Era sempre un pezzo pregiato sul mercato calcistico ma da ragazzo intelligente cominciava a capire che alla fine del contratto avrebbe dovuto cambiare squadra accontentandosi di un minore ingaggio e di una squadra meno blasonata.
Anche il carattere di Victor cominciò a cambiare.
Cercava di distrarsi il più possibile quando non era impegnato con la propria squadra e pur restando continuamente con il pensiero vicino a sua figlia, non trascorreva molto tempo assieme a lei quasi avesse ricevuto una profonda delusione dalla sua bambina, amante come era della salute e dell’integrità psichica di chiunque gli fosse accanto.
L’amore di Véronique per Victor era rimasto puro e saldo ma la loro vita era mutata.
Lei cercava ogni scusa per non fare all’amore con lui.
I motivi erano molteplici, spesso era perché le capitavano crisi di mal di testa, mentre altre volte si trattava di momenti di depressione.
Ma il motivo principale era legato ad un senso di colpa immotivata, come se non gli avesse saputo dare una figlia piena di salute ed a questo si era aggiunta, in lei, sia la frigidità mai avuta in precedenza sia un fastidioso vaginismo.
Véronique sapeva che nel tempo lo avrebbe perduto ma questo non era la cosa principale.
Avrebbe voluto maggiore tenerezza e maggiori colloqui, come una volta, ma non glielo poteva chiedere e poi non dargli tutta se stessa, annegando il suo dolore in lui, senza che Victor facesse a meno di fare all’amore con lei.
Véronique avrebbe desiderato che Victor si comportasse come lei, tutta dedizione per Désirée, tutta dedicata alla salute della figlia e preoccupata per il domani di quella ragazzina innocente ed ingenua.
Erano trascorsi quasi otto anni da quando si erano trasferiti a Como, un po’ meno di cinque da quando Désirée era stata operata a Stoccolma, tanti ormai da quando le sue aiole delicate sembravano impoverite di fiori e l’aria del lago non profumava più come una volta ed il cielo ed il vento non le sussurravano la gioia di vivere.
Tutto pareva intristito con quella figlia che Véronique aveva paura di fare frequentare la Scuola elementare del luogo anche se lei ci aveva provato ad accompagnarla in automobile ogni mattina, per poi riprenderla alle sedici e trenta di ogni giorno, dopo il pranzo.
Contro il parere del medico psicoterapeuta, Véronique aveva voluto fare di testa sua e levare la bambina dalla Scuola parificata delle suore, facendole fare lezioni private nella villa per non perderla mai di vista.
Victor non fece alcuna obbiezione ma intanto doveva programmare, per la fine dell’anno successivo quando sarebbe stato ceduto ad una altra squadra, un modo di vivere parecchio diverso da quello attuale.
Non aveva problemi di denaro. I soldi guadagnati li aveva saputi investire in molteplici attività redditizie, non solo, ma aveva acquistato moltissimi immobili sia a Milano che a Roma dove pensava che si sarebbe trasferito.
Forse non avrebbe giocato in un grossissimo Club ma non si sarebbe allontanato dall’Italia sino alla fine della sua carriera di calciatore.
L’anno successivo avrebbe compiuto ventinove anni e certamente sarebbe riuscito a strappare un contratto molto buono per almeno altri quattro anni.
Il più grave problema rimaneva quello di Désirée e quello di Véronique, tanto che molte volte pensava che sua moglie esagerasse troppo le sue preoccupazioni.
In effetti l’unico guaio serio di sua figlia era che non cresceva furba come tutte le ragazzine della sua età ed anzi faceva un grande contrasto la sua intelligenza ben sviluppata con il carattere, rimasto ancora quello di una fanciulla timida e facilmente vulnerabile.
Aveva imparato a suonare il pianoforte egregiamente ma preferiva la musica moderna, inoltre aveva una bellissima voce di cui Véronique ne era orgogliosa.
Spesso Véronique, per non tenerla troppo isolata, invitava mamme e figlie della Scuola Elementare e così riusciva a farla felice per quanto fosse in suo potere.
Erano quelle le occasioni di vedere come si comportava Désirée e di osservarne tutti i miglioramenti compresi quelli dello stare insieme ad altri ragazzini oltre quelli del cantare.
Véronique era stata una grande mamma. Aveva capito da sola, senza l’aiuto di nessuno ma unicamente col suo cuore di madre che, esclusivamente esprimendosi nel canto, la sua bambina si sarebbe comportata come tutte le altre coetanee, sicura di se stessa, non impaurita, né si sarebbe mai più vergognata né intimidita.


Nell’anno in cui Désirée era stata operata, era avvenuto quanto chiunque avrebbe facilmente indovinato.
Durante quella Estate, Nicolas ed Aline avevano fatto un ultimo tentativo di riavvicinarsi, di ricucire il loro pur grande amore e Nicolas si era convinto che portandola in Giamaica, sarebbe riuscito a farle desiderare un figlio.
In quei luoghi incantevoli, dove tutto respirava di vita, l’avrebbe nuovamente sedotta e sarebbe stata Aline a chiedergli quel figlio che egli tanto desiderava.
Il mare cristallino, le palme, l’allegria di quella stessa gente che viveva da sempre in Giamaica l’avrebbero incantata.
Le notti poi erano un incanto, un angolo di Paradiso con quel cielo trapunto di stelle e poi la luna, che nel periodo da loro scelto, era così luminosa e splendente da quando era sorta all’orizzonte come una falce a quando aveva cambiato di forma nei giorni che passavano e che la rendevano sempre più bella.
Aline si era trovata stordita da quel mondo vivo e vero e per un breve periodo di tempo era ritornata ad essere l’Aline tutta dolcezza e carezze.
Nicolas guardandola sulla spiaggia, con quei minuscoli due pezzi che vestiva, la sentiva sua e sognava il momento che lei gli avrebbe chiesto di renderla madre.
Tutto era perfetto ed egli l’avrebbe reso ancora più divino quando Aline venne riconosciuta, da un gruppo di inglesi, per quella grande concertista ormai famosa in tutta l’Europa.
Fu allora, quella notte, che sua moglie gli parlò francamente.
- Non rimarrò incinta fino a che tutto il mondo non mi riconoscerà ed avrò la copertina delle maggiori riviste americane. A Milano parlerò con il mio impresario e farò di tutto per essere lanciata negli Stati Uniti, costi quel che costi. Quando sarò divenuta una Diva anche attraverso i Media oppure meglio, negli Studi Cinematografici di Los Angeles, allora tu, che mi seguirai passo dopo passo in America dove diverrai un famoso chirurgo, avrai tua moglie con tanti figli e quella famiglia che da sempre desideri. -
Nicolas riflettette per pochi minuti senza fiatare.
Aveva sbagliato tutto nella vita. Come poteva esistere una famiglia ed un matrimonio tra due esseri così diversi l’uno dall’altra? Come poteva pretendere di obbligare quel angelo di Aline a rinunciare ai sogni della sua vita e come poteva egli stesso, che aveva scelto per vocazione il difficile mestiere di Chirurgo, continuare ad ingannare se stesso nell’immaginarsi contemporaneamente, medico e marito, padre e solerte amante della Musica Classica, quando era ovvio che tutto sarebbe stato un grandissimo bluff?
Così avvenne che il mese successivo, tra i pianti di Aline e la disperazione di tutti i parenti, Nicolas decise di divorziare dalla bellissima russa.











6





Mentre Nicolas si era gettato, anima e corpo, nel lavoro e nello studio per perfezionare nuove tecniche nel campo specifico della chirurgia toracica ottenendo diplomi ed encomi solenni dalle più prestigiose Università dell’Europa e degli Stati Uniti, Véronique, rinfrancata dai progressi in continua ascesa di Désirée, sia negli atteggiamenti spontanei che nei rapporti interpersonali non soltanto con le coetanee ma soprattutto appassionandosi al canto dove ormai, studiando con una maestra di pop music, era riuscita ad entrare in un piccolo complesso di ragazze dotate di eccellenti capacità vocali e di un particolare stile innovativo, battezzato “ The Little Stars from Italy “, sognava di poter un giorno vederla nuovamente allegra e piena di vitalità.
Da due anni la famiglia di Victor si era trasferita a Roma ed il giocatore era diventato una pedina molto importante del Perugia Calcio.
Vivevano sulla Flaminia, a Formello, in una bella villetta tra il verde degli alberi e le nuove amiche di Dèsirée erano quasi tutte figlie di imprenditori edili e di professionisti, tra i quali diversi piloti, aviatori della Compagnia di Bandiera e colleghi calciatori, amici di Victor.
Désirée frequentava la seconda media nella scuola a cento metri da casa e Véronique non aveva più quelle ansie che l’avevano dominata a Como.
Era proprio lei che si era data da fare per costituire il gruppo di canto ed era ancora lei che volentieri era divenuta la pianista del complesso, buttandosi con tutta la sua vitalità sulle melodie jazzistiche e dei blues americane.
In pratica, Véronique non solo era colei che aveva organizzato la Scuola di Canto ma anche era diventata l’insegnante più popolare di quella scuola media che era frequentata pure da ragazze di età maggiore di Désirée.
Ovviamente Véronique era coadiuvata da una signora negra di St. Louis, giovane e molto bella, moglie di un pilota e che aveva, oltre che un diploma di cantante ottenuto negli USA, anche inciso dei dischi di musica jazz e pop, diventando in breve una discreta voce nel firmamento dei successi americani.
Kim e Véronique lentamente erano diventate delle ottime amiche ed il fatto di abitare l’una vicina a l’altra aveva contribuito a cementare la loro conoscenza ed a dedicarsi a quelle ragazze, tutte meritevoli di un eccellente avvenire.
Véronique era soddisfatta di aver dedicato la vita alla figlia ed il fatto di aver abbandonato la sua carriera di concertista non le pesava affatto, anche se talvolta leggendo i giornali, provava un tantino d’invidia nel seguire i successi della sua ex cognata, Aline, diventata, dopo il divorzio con Nicolas, una della maggiori pianiste mondiali.
Anche di Nicolas aveva soltanto notizie frammentarie fornite a lei da Victor che le aveva raccontato come suo fratello si fosse trasferito, in pianta stabile, a Houston nel Texas in una clinica privata, facendosi conoscere per la propria bravura e professionalità.
Per Véronique, l’avere rinunciato a tutto per sua figlia, per farla guarire del tutto, per farla essere una ragazza normale come tutte le altre era stata la maggiore felicità che il Signore potesse darle.


Victor e Véronique avevano deciso che quella simpatica ed accogliente villetta sarebbe rimasta per molti anni la loro casa anche quando Victor avrebbe smesso di dare calci al pallone.
Véronique continuava ad essere oltre che una mamma perfetta pure una compagna premurosa per il suo primo ed unico amore.
Gli lasciava lo spazio sufficiente per distrarsi con gli amici ed era sicura che, oltre a qualche piccola avventura, Victor le sarebbe rimasto fedele per tutta la vita senza abbandonarla mai anche se avesse conosciuto miss Italia e quella si fosse innamorata pazzamente di lui.
Il loro era un matrimonio vero ma senza tutte quelle furbesche moine e senza esagerazioni erotiche- sessuali di cui sentiva dire in giro dalle mogli di altri calciatori ed in genere da tutte le mamme delle amiche di sua figlia.
Il bene che Véronique sentiva nei riguardi di Victor era immenso, puro come quando erano ragazzi ed anche in mezzo a qualche crisi aveva retto bene ad ogni disillusione prima tra tutte quella della improvvisa e grave malattia di Désirée, pur essendoci stato un momento in cui tutto era sembrato andare in frantumi.
Di una cosa Véronique si era meravigliata tanto ed era avvenuta quando Désirée, a tredici anni, semplicemente disse a cena.
- Vi informo che oggi sono diventata signorina! -
Victor aveva cambiato improvvisamente l’espressione del volto, fino a quel momento sorridente, poi dolcemente si era alzato dalla sedia, si era avvicinato a sua figlia ed aveva esclamato.
- Tesoro mio, devi pensare ogni giorno che io ti amo e che solo tua madre potrà darti tanti consigli utili su come agire con i tuoi amici maschi. Devi ricordarti che nessuno al mondo può volerti bene come noi. Il tuo papà è geloso di te ed anche se ti permetto di fare ogni cosa desideri per essere felice, devi avere in me e nella mamma le uniche persone di cui fidarti senza il minimo segreto e senza la più piccola vergogna. -
Che fosse così geloso della figlia, Véronique non avrebbe mai immaginato, tuttavia il fatto che l’ultimo saluto della giornata fosse per Désirée glielo aveva fatto sospettare.
Quella fu una bella sorpresa per Véronique che quella sera, a letto con Victor, lo strinse e lo accarezzò come non faceva in pratica che raramente.
Gli disse, -guarda che ho scoperto stasera. Il mio Victor teneramente legato a nostra figlia! Mi hai fatto un grande regalo il più bello da tanto tempo. -
Quella notte fu una notte speciale per i due ed avrebbe creato un nuovo essere umano, una creatura, che né Véronique né Victor avevano progettato o programmato ormai da anni.


La gravidanza di Véronique fu seguita da Désirée con una premura unica e con grande felicità.
Désirée si sentiva ormai una donna in “ pectoris “e si era divorata un mucchio di libri e testi che svisceravano l’argomento.
Era anche quello un modo di imparare e perfezionare quanto apprendeva nelle lezioni di educazione sessuale che nella scuola avevano una cadenza settimanale.
Parlava di embrione, feto, placenta, cordone ombelicale, di DNA, di utero, vagina ed ovaie eccetera con Véronique in continuazione.
Un giorno Désirée chiese alla mamma.
- Ma allora anche io potrei fare un figlio già adesso, non ti sembra un miracolo? -
Véronique guardò con amore sua figlia negli occhi chiari come i suoi e pensò che quella bella figliola, bionda, più alta della sua età e con un corpicino già tutto perfetto non le aveva fatto assolutamente una domanda imbarazzante e stupida.
La fece sedere sulle sue ginocchia e le volle rispondere molto seriamente.
- Mia cara Désirée, quello che non ti hanno spiegato a scuola te lo dirò io. Per avere un bambino non è sufficiente che i due genitori possano, anatomicamente e fisiologicamente, compiere gli atti sessuali che sono necessari alla procreazione perché, anche se il fatto capitasse per pura combinazione legata all’ovulazione della donna, quello sarebbe il frutto di una violenza inaudita contro natura. Colui e colei che procreano devono per prima cosa amarsi con tutta l’anima ed il cuore; insomma non basta che si piacciano fisicamente ma è necessario che vivano l’uno per l’altro, con tenerezza e con la certezza che potranno essere una sola cosa per sempre. -
- Bisogna desiderarlo un figlio e volerlo avere soltanto con quel uomo che soltanto tu potrai capire possa essere il tuo compagno per la vita. Quasi sempre sarà tuo marito ma prima di esserne sicura dovrai soffrire e meditare anche se costui potrà sembrarti il tuo Principe Azzurro! -
Véronique accarezzò il nasino della figlia, la baciò teneramente e si sentì felice di averle parlato in quel modo.


In questa occasione gli esami pre-natali e neo-natali della piccola Caroline furono particolarmente dettagliati, ancora più di quelli fatti a Milano durante e dopo la nascita di Désirée, visti i precedenti della primogenita ed i risultati furono eccellenti tanto che Véronique volle recarsi al Santuario del Divino Amore per ringraziare il Signore
Caroline non somigliava affatto alla sorella ed aveva preso il profilo, il sorriso ed il volto di Victor tanto che le due figlie di Véronique non sembravano nemmeno sorelle.
A Désirée piaceva fare da mamma alla piccola e le parlava in continuazione come se quella potesse intendere tutti i discorsi della sorella.
Véronique era felice per questo affiatamento ed in particolare del fatto che Désirée non solo l’accudisse in casa ma che le insegnasse a sgambettare nel giardino e le facesse conoscere tutte le sue amiche ed i loro fratelli e sorelle.
Quando poi si esibiva con il suo complessino, Caroline era sempre in prima fila ad applaudire le ragazze e spesso faceva in modo che quelle la facessero partecipare ai loro blues, magari soltanto con le movenze di danza che aveva appreso velocemente.
In un baleno, Désirée aveva compiuto i sedici anni e Caroline, a quasi tre anni, era diventata la mascotte del gruppo “ The Little Stars from Italy “, tanto che Kim aveva preteso da Véronique di portarsela appresso ogni volta che le ragazze si esibivano nel Lazio oppure nelle Regioni limitrofe.

Con le sue conoscenze Kim era riuscita a pubblicizzare il frutto del lavoro suo e di Véronique ma la vera scoperta, nel campo delle nuove voci giovanili, era stata Désirée.
Il padrone di una Casa Discografica, che fungeva pure da Direttore Generale e che Kim aveva frequentato in America e per la cui Casa aveva prodotto alcuni dischi con un grande successo finanziario, offrì un contratto esclusivo per Désirée che avrebbe lanciata tra i big della canzone.
Ma c’era dell’altro. Anche le ragazze che facevano parte del complesso “The Little Stars from Italy “, Véronique ed altre amiche di Kim che suonavano vari strumenti, sarebbero state messe sotto contratto con laute prebende.
Véronique sarebbe stata felice di accettare queste proposte quando Victor mise un veto assoluto.
Poteva essere d’accordo per quanto concernesse il futuro di Désirée ma mai avrebbe potuto dare il suo benestare né alla moglie né tanto meno alla piccola Caroline.
A dire il vero Victor andò letteralmente in bestia quando venne a sapere delle offerte dell’Impresario degli USA.
Disse alla moglie che quella sarebbe stata l’Autostrada per il loro divorzio se avesse voluto insistere.












7





Véronique e Victor ebbero una violenta discussione assolutamente non abituale tra loro due.
Da un lato, Victor aveva perfettamente ragione riguardo alla posizione negativa riguardante le proposte dell’amico di Kim e non sarebbe stato certo quel uomo che avrebbe potuto disporre della sua famiglia, con l’illusione aleatoria di creare un florido avvenire per quel complesso di ragazze creato da sua moglie e dalla cantante negra soprattutto per distrarre le amiche di Désirée ed in particolare per consolidare il carattere di sua figlia, dopo gli anni bui, durante i quali avrebbe dato ogni cosa in suo possesso per vederla guarita e splendida come la vedeva in quel momento.
Da un altro lato, era stata Véronique colei che, rinunciando veramente a tutta la propria carriera, aveva saputo compiere quel miracolo in pratica da sola con la sua dedizione assoluta alla primogenita e con un amore materno senza fine.
La lite tra marito e moglie raggiunse il diapason nel momento in cui Victor affermò, contraddicendosi, che non avrebbe permesso nemmeno a sua figlia di frequentare Studi Discografici, di cui non poteva fidarsi e dove Désirée avrebbe potuto incontrare il fior fiore di gentaglia abituata a trattare le ragazze come oggetti e non come esseri umani, trascurando i sentimenti e promettendo un cielo trapunto di stelle, intervenne perentoriamente
- Allora tu, -esclamò con rabbia Véronique, -metterai sempre un bastone tra le ruote di nostra figlia per tenertela sempre accanto a te! -
- Possibile che non capisci che la nostra primogenita è diventata ormai una donna ed ha diritto di costruirsi una vita sua, qualsiasi cosa voglia fare? -
Nessuno dei due aveva completamente ragione.
Victor era talmente legato sentimentalmente a sua figlia che nel suo immaginario l’avrebbe voluta tenere ogni giorno con se e poi anche laureata, magari per percorrere la carriera di magistrato.
Véronique invece avrebbe desiderato che la sua primogenita rappresentasse la rivalsa della sua vita.
Una grande artista conosciuta in ogni dove e celebre ma allo stesso tempo non la voleva staccarla da lei come vi fosse ancora un cordone ombelicale tra madre e figlia.
Per questo motivo avrebbe volentieri accettato di diventare sua manager e sua consigliera seguendola ovunque il destino avesse voluto portarla.
E che ne sarebbe stato di Caroline? In ultima analisi Victor aveva ragioni da vendere. La piccola sarebbe rimasta sia senza la sorella che senza la mamma e Victor avrebbe chiesto una immediata separazione, o peggio il divorzio per colpa di Véronique.
Tuttavia Victor non aveva detto tutta la verità.
In quel momento, da quando aveva smesso di giocare, Victor frequentava gente non molto affidabile all’insaputa di Veronique. Erano persone che giravano ai margini della Società di calcio, apparentemente amiconi dei giocatori ma in realtà pronti ad approfittare del denaro di questi offrendo affari non perfettamente limpidi ma certamente lucrosi, partecipazioni in società commerciali, conditi da una continua frequentazione di locali notturni lussuosi dove tra caviale e bottiglie di champagne si conoscevano donne giovanissime e disposte a tutto, pur di fare amicizie utili alle loro grosse ambizioni di entrare nei giri che contavano.
Tutti sapevano quanto fosse ricco Victor ed anche erano ben informati sulla vita privata dell’ex formidabile calciatore, mentre a nessuno importava meno che niente del suo matrimonio e delle sue figlie.
Tra le ragazze più carine che gli giravano attorno ce ne era una che pareva così dolce quanto bellissima.
Era una splendida bruna dalla carnagione olivastra e dagli occhi languidi, molto colta che si era confidata con lui come se Victor fosse un amico fraterno.
- Se tu sapessi, - gli raccontò una notte mentre facevano all’amore appassionatamente, -quanto sei importante per me. Sono nata in una famiglia ricca di commercianti ma sono stata sempre sola senza mia madre che se ne è andata da casa quando io avevo solo sedici anni e frequentavo il Liceo Scientifico. -
- Ho vissuto per altri cinque anni con mio padre e la sua amante, continuando a studiare e frequentando i primi tre anni della Facoltà di Giurisprudenza, tanto che mi mancavano solo quattro esami per laurearmi. -
- A quel punto, un giorno senza nessun serio motivo, l’amante di mio padre mi prese a schiaffi ed io, senza riflettere nemmeno un momento in che guaio mi stavo cacciando, me ne sono andata via ed ho addirittura cambiato città per non vederli più. Ho vissuto con una mia amica per un paio di anni. Poi ho finito quel poco denaro che avevo risparmiato per anni e mi sono trovata nella situazione di avere necessità di lavorare per campare, alla meno peggio, passando da cassiera di grossi bar a cubista in Discoteche. Ho avuto proposte allettanti per prostituirmi ma non sono una puttana. Ora faccio in quel locale notturno l’entraîneuse, uno spogliarello ogni notte e tiro a campare. -
- Sono innamorata di te per la tua gentilezza e per la tua dolcezza e se ho fatto all’amore con te è soltanto perché ti adoro per quel uomo vero che sei, onesto e pulito ed è la prima volta che vado a letto con un uomo. Vorrei essere protetta ma dei tuoi soldi non so cosa farmene.
Ti voglio bene e ti suggerisco di stare lontano da quei ragazzi che ti fanno la corte unicamente per il tuo denaro. -
Victor ebbe fiducia in quella ragazza, talmente sincera in tutte le manifestazioni che aveva nei suoi riguardi e per la schiettezza delle sue parole e le disse.
- Marina io voglio aiutarti ma non metterti in testa che desidero lasciare la mia famiglia per te. Ti assumo come mia segretaria particolare. Avrai un Ufficio a Roma ed uno stipendio ma da questo momento devi abbandonare la vita che conduci. Potrai ricominciare a studiare ed hai solamente un obbligo morale nei miei riguardi che sarà quello di laurearti. Ti presenterò alla mia famiglia come una amica di vecchia data e tu non dovrai interferire nella mia vita privata. -


Marina ebbe un sussulto dentro il cuore quando Victor le mise a disposizione un Ufficio, dalle parti di piazza Mazzini, che aveva il compito di trattare i contratti dei giocatori delle serie inferiori con le Dirigenze societarie. In pratica egli proponeva a Società di serie B oppure C degli elementi che aveva personalmente visualizzato e dei quali garantiva la validità tecnica ed il valore commerciale. Per questo tipo di lavoro riceveva una percentuale dai giocatori che variava a secondo di quanto riusciva a spuntare nelle trattative.
Dato il suo nome e l’abilità consolidata ed ampiamente dimostrata, nel prendersi a cuore gli interessi di questi giocatori, aveva molta gente che si rivolgeva a lui ed il suo Ufficio era spesso pieno di gente.
Il compito di Marina era quello di fissare gli appuntamenti ma al mattino era libera di frequentare i corsi degli esami mancanti per la sua laurea.
Quella ragazza, che Victor remunerava con un lauto stipendio e che perciò si poteva permettere di pagare un affitto per un bilocale abbastanza vicino allo Studio, era entrata di prepotenza nel cuore di Victor e se talvolta egli passava qualche serata con lei non era perché fosse la sua amante ma perché si trovava bene in sua compagnia.
Gli era difficile arginare la passione di Marina anche se qualche volta facevano all’amore.
Gli era molto più facile farle sentire l’affetto e la tenerezza che quella giovane donna gli suscitava, facendogli ricordare i tempi della sua gioventù, quando era pazzamente innamorato di Véronique e non poteva fare a meno delle parole e della sensibilità di colei che sarebbe diventata sua moglie e la madre dei suoi figli.
Véronique aveva conosciuto Marina, che Victor aveva invitato a pranzo nella sua villetta a Formello e sua moglie non aveva fatto vedere, assolutamente, la gelosia che la stava divorando.
Véronique aveva ceduto su tutta la linea pur di tenersi Victor, dopo la discussione che avevano avuto riguardo al futuro della loro famiglia e le proposte dell’impresario americano amico di Kim.
Ora però, quella presenza di Marina la faceva soffrire. Non poteva dire nulla contro suo marito e la sua nuova segretaria ma, nel suo cuore, capiva che la competizione con quella magnifica bruna sarebbe stata difficile anche per la differenza di età tra lei e l’altra.
Véronique era rimasta, pur vicina ai quaranta anche se ancora mancavano un paio d’anni a quella età, una creatura dall’aspetto giovanile e fanciullesco, semplice e sempre pronta al sorriso, comunque una perfetta padrona di casa.
Pur avendo avuto due gravidanze, il suo corpo era rimasto flessuoso ed asciutto e la sua silhouette era da modella.
Marina non aveva potuto fare a meno di complimentarsi con la moglie di Victor per la sua gentilezza ed aveva avuto la sensazione di essere la ragazza più infida della terra, pur non desiderandolo.
Era vero che amava con tutta se stessa Victor ed era anche verissimo che lo aveva sedotto, ma ora che aveva potuto analizzare Véronique e sentirla palpitante d’amore per suo marito, se ne era dispiaciuta tanto che, se avesse potuto tornare indietro, non si sarebbe comportata certamente in quel modo.
Poi, le figlie di Victor erano entrambe un amore e sia Victor che Véronique vivevano tutti e due esclusivamente per quelle.
Marina pensò che sarebbe diventata una cara amica di Véronique e che avrebbe fatto in modo di staccarsi dalla passione che le bruciava dentro per Victor e fare in modo che anche lui potesse soltanto volerle bene e starle in ogni momento vicino, come in realtà era stato dal primo istante. affettuoso e premuroso per la sua esistenza e per il suo futuro.


Véronique non fece cenno a Victor dei suoi timori di essere tradita da lui e Marina. Si comportò come una moglie unica al mondo sempre maggiormente legata alla famiglia ed allo stesso tempo fiduciosa che Victor sarebbe infine rimasto con lei per sempre.
Non poteva essere diversamente.
La conosceva da quando era una bambina un po’ cresciuta e non poteva avere dimenticato le passeggiate e le parole che si erano scambiati nei boschi delle Ardenne, le margherite che coglievano ad ogni Primavera e quando si commuoveva nel sentirla suonare al pianoforte Chopin e Mozart, i primi brani che aveva imparato al Conservatorio.
Nulla avrebbe avuto il potere di spezzare il loro amore né le ambizioni di Kim, né la carriera di Désirée che avrebbe seguito i consigli del padre ed avrebbe cantato per hobby e se a Dio fosse piaciuto, avrebbe potuto divenire anche una famosa cantante.
Nemmeno Marina li avrebbe separati perché lei avrebbe saputo farsi desiderare da Victor come nessuna altra donna sulla faccia della terra.
I suoi trentasette anni e mezzo li avrebbe vissuti e fatti vivere a Victor alla grande e la loro storia d’amore sarebbe durata tanti e tanti altri anni nella fusione dei loro sentimenti e delle loro carezze fino a vedere le loro figliole sposate e mamme felici.
Di tutto ciò Vèronique si sentiva certa e sicura. Il loro matrimonio non sarebbe finito come quello di Nicolas ed Aline in una polvere di stelle.











8





Désirée, pur continuando a prendere lezioni di perfezionamento di canto, aveva ormai compiuto venti anni ed era iscritta al secondo anno del corso di Laurea in Giurisprudenza.
Alcune volte aveva incontrato in biblioteca Marina che, prossima alla stesura definitiva della tesi, seguendo i consigli del Professore di Diritto Civile, si apprestava a laurearsi in Legge con grande soddisfazione del suo Pigmalione cioè di Victor.
Marina avrebbe compiuto venticinque anni a Novembre e tra le due giovani ragazze si era stabilita una sincera solidarietà ed una affettuosa amicizia.
Raramente Marina parlava con Désirée del lavoro di segretaria, che Victor le aveva procurato nel proprio Ufficio in Prati ma mai si era lasciata andare a confidenze riguardanti la sua vita privata.
Ma quando le scappava qualcosa riguardante Victor, Désirée vedeva nei suoi occhi una luce affettuosa e luminosa e molte volte un attaccamento ed una passione difficilmente controllabile.
Erano quegli sguardi che parlavano da soli e la figliola di Victor, in quei pochi momenti moriva di gelosia per suo padre anche se era più che sicura che Marina non avrebbe mai fatto del male alla sua famiglia e che Véronique poteva fidarsi di lei.
Qualche sera, anzi, usciva insieme a Marina che le aveva presentato alcuni amici fidati che vivevano a Roma, gente composta in gran parte di professionisti oppure di artisti.
Tra questi Walter, un ragazzo di ventisette anni, oriundo austriaco, nato a Vienna da madre italiana e da padre nato e vissuto nella stessa capitale, primo violino dell’orchestra filarmonica di Vienna, uomo cementato dallo spirito signorile ed allegro viennese e dalla severità degli studi musicali.
Walter appariva un perfetto miscuglio di questo padre e della madre Fiorella, romana da generazioni e spiritosissima come in generale ogni romano, purosangue capitolino, possiede ed ottima scrittrice ed opinionista di parecchi giornali e riviste.
Una volta Marina era stata invitata a casa dei Weber per il compleanno di Fiorella ed aveva chiesto a Walter se poteva portare una sua amica molto carina e che, oltre ad essere collega di Facoltà all’Università, era pure una promessa del canto blues e delle canzoni country e jazz del profondo sud americano.
Walter, quando vide entrare in casa Désirée, rimase subito stupito della grazia della figlia di Véronique e contemporaneamente fece coppia fissa con lei, interessandosi di tutto ciò che concernesse la sua vita ed in particolare di come avesse imparato a cantare, in Italia, quelle belle canzoni americane che gli piacevano tanto.
Walter, oltre ad essere un giovane atletico ed un ottimo pianista di una orchestra che si era resa famosa a Roma -(cosa che faceva nel tempo libero dal lavoro di funzionario finanziario alla Banca d’Italia e quindi di notte) -pregò Désirée di cantare, in onore di sua madre ed accompagnata da lui, qualche motivo che egli stesso conosceva.
Tutti rimasero sconcertati dalla stupenda voce della figlia di Véronique, compreso il padre di Walter e tutti, finita la non breve esibizione, applaudirono entusiasticamente quella bellissima e dolcissima ragazza tanto che il signor Weber, padre, la incitò di non tenersi soltanto per se stessa quella voce incantevole ed eccezionalmente musicale.
Walter stesso le offrì la possibilità di cantare con il suo gruppo, magari un paio di volte alla settimana e non sarebbe uscita fuori di notte da sola, fino alle due, perché egli stesso e Marina l’avrebbero portata nel locale, dove si sarebbe esibita e riaccompagnata a casa, con il permesso dei suoi genitori.
Questa volta sia Victor che Véronique diedero il loro assenso dal momento che il giovane Weber, presentato da Marina, aveva mille referenze ed era considerato da tutti una brava ed onesta persona.
Victor non si era fidato totalmente di quello che aveva saputo da Marina riguardo a Walter ed aveva fatto una piccola indagine per conto suo cominciando da alcuni amici che aveva alla Banca d’Italia.
Gli dissero che il figlio del famoso violinista viennese era destinato a fare molta strada nel Settore Finanza della Banca stessa e tante altre sue qualità tra le quali, quella che più gli interessava come padre, di non essere un dongiovanni, di non avere una ragazza come fidanzata oppure amante, di essersi sempre comportato in modo corretto con tutti, di essere un ragazzo particolarmente intelligente e di avere mantenuto in ogni occasione la parola data.
L’unica mania per Walter era molto somigliante a quella di Véronique e cioè una grande passione per il pianoforte con l’unica differenza che sua moglie era innamorata della musica classica e lui invece di quella moderna.
Era tra l’altro instancabile dal momento che gli bastavano poche ore di sonno per essere in perfetta forma l’indomani.
Quel ragazzo dai capelli castani e dagli occhi grigi, con gli occhiali dalla montatura d’oro sottile per correggere una lieve miopia, dalle labbra ben disegnate appena carnose, dalle mani affusolate e forti che sapeva usare con eleganza sia al computer che al pianoforte, con quel modo elastico nel camminare, aveva fatto presa senza troppe moine su Désirée la quale attendeva sempre con ansia il momento che egli si presentasse nella sua casa, di sera, molto prima di quanto fosse stato necessario per essere poi puntuali allo spettacolo che il martedì ed il venerdì di ogni settimana Désirée si era impegnata a fare con la sua Band.
Soltanto per un mese era venuto a casa di Véronique con Marina ma poi era stato lo stesso Victor che una sera aveva esclamato rivolto a Marina, a Walter ed a sua figlia.
- Non occorre che ogni volta dobbiate andare insieme al locale. Walter ormai è di casa e tu Marina non dovrai più avere l’obbligo di accompagnare Désirée. -
- Ho capito, caro Walter, che sei un uomo del quale mi posso fidare ciecamente. Quindi potrai venire qui quando e come desideri. -
Victor sorrise dopo quelle parole e Véronique, abbracciandolo, aggiunse con enfasi.
- Ti affido la mia Désirée con la certezza di non commettere il minimo errore, sei diventato, in un breve periodo di tempo un affidabile componente della nostra famiglia e questo è merito esclusivamente tuo. -
Dèsirée si accoccolò allora tra la mamma ed il padre arrossendo.
Si stava innamorando di Walter e questo era così evidente da scommetterci sopra. La fiducia che i suoi genitori le avevano dimostrato, un momento prima, la riempiva di orgoglio ed essi avrebbero potuto essere tranquilli fidandosi non solo di Walter ma soprattutto di lei.
Da quel momento Walter si recava molto più spesso a Formello nella villetta di Victor e cenava da loro abitualmente.
Portava piante e fiori alla padrona di casa e rimaneva incantato a sentirla suonare per delle ore intere. Nello stesso tempo si comportava come un fidanzatino per Désirée colmandola di mazzi di rose rosse e di altri piccoli pensieri ed accarezzandola e baciandola da vero promesso sposo.
Caroline era felice per la sorella ed un giorno, confidenzialmente, le chiese.
- Quando ti sposerai con Walter mi farai fare la damigella d’onore? -
- Certamente, ma dovrai attendere ancora un bel po’ di tempo! -


L’amore tra Walter e Désirée si manifestò nel miglior modo possibile, con la bella figliola di Victor che riempiva di dolcezza la vita di quel giovane uomo, conosciuto per caso e per merito di Marina e con lui che stravedeva per quella tenera e delicata giovane, ancora acerba, ma che prometteva di divenire quanto di più profondo potesse turbargli oppure illuminargli l’esistenza.
Per tre anni interi Walter dovette attendere la laurea di Désirée prima che lei decidesse di compiere il grande passo del matrimonio.
Désirée volle che la loro casa fosse vicina a quella di sua madre e suo padre per non allontanarsi troppo da coloro che l’amavano da sempre e nemmeno da Caroline.
Così pure loro due acquistarono una villetta a Formello a meno di un chilometro di distanza.
Walter volle accontentare la donna di cui era pazzamente innamorato e che desiderava oltre ogni volontà e senza la quale non aveva senso vivere ed i due riuscirono a fare quella grossissima spesa con le loro sole forze unite, cioè col denaro che Désirée aveva guadagnato con alcuni CD incisi e venduti con un notevole successo di pubblico e Walter con operazioni finanziare oculate, senza rischiare il capitale che aveva messo da parte col suo lavoro ormai di dirigente alla Banca d’Italia.
Soltanto l’ arredamento fu un regalo dei rispettivi genitori.
Il giorno prima che Caroline accompagnasse la sorella all’altare, più bella che mai in quel vestito bianco da sposa con un lungo strascico, Désirée prese da parte Walter e con il viso molto serio gli parlò a lungo.
- Tu sai che sei stato il mio primo amore e desidero che tu rimanga per me il principe azzurro sognato da quando ero soltanto una ragazza. -
- Devo però confidarti quanto sia possessiva in questo sentimento, tanto da poterti fare del male se non mi amassi più. Ora ti chiedo se sei sicuro di volermi tanto bene da sacrificarti per me, qualsiasi evento possa capitarci e che non abbiamo previsto. -
- Non parlo di tradimenti perché siamo entrambi troppo intelligenti per fare soffrire l’altro a causa di situazioni che nemmeno posso immaginare ma di quella misteriosa forza data dalla tenerezza, un bene, assieme al rispetto reciproco, che dovrà essere infinitamente profondo da smussare qualsiasi minima incomprensione.-
Walter le prese il viso tra le mani e con le dita le accarezzò quella ciocca di capelli sulla fronte che la faceva ancora maggiormente femmina.
- Perché mi dici queste cose, amore mio, quando sai che non ti farò mai soffrire e non ti lascerò mai per il semplice motivo che il mio amore per te è una vera malattia acuta ma anche cronica, direi quasi genetica? -
Walter guardo il cielo trapunto di stelle e le giurò eterno amore, baciandola con tutto il fuoco che sentiva bruciargli dentro.


Per due mesi, dei quali il primo in viaggio di nozze, Walter fu il più delicato amante che mai Désirée avesse potuto sognare.
Ma quando all’inizio del terzo si accorse di essere rimasta incinta Walter si rabbuiò e fu quella l’occasione del primo screzio tra i due.
- Amore mio, -le sussurrò, ma non con quel solito modo che aveva di ironizzare quando faceva finta di adirarsi ed invece si sentiva felice, -alla buonora signora Weber e chi lo avrebbe detto che fossi così recettiva, se andremo avanti così allegramente, nello spazio di pochi anni potremmo mettere insieme un Asilo infantile! -
Désirée rimase di stucco. Mai avrebbe immaginato che Walter avesse potuto dirle una frase simile ed anzi credeva, in quel momento, che l’avrebbe abbracciata contento di divenire padre in così breve tempo.
- Allora vuoi che io abortisca e poi prenda la pillola? -
- E’ proprio vero il detto che non si finisce mai di conoscere la gente! Te lo dico adesso e non lo ripeterò più, anche se non lo desideri questo figlio nascerà perché io lo voglio e lo desidero e poi levati dalla testa che io, in seguito, prenda dei contraccettivi per farti contento. Farai astinenza e tutto al più provvederai tu ad usare i preservativi! -
Walter capì di averla offesa pur non volendo ferirla e fece di tutto per farle dimenticare quel increscioso episodio ma non fu assolutamente facile.
Anche egli non aveva capito bene di che pasta fosse fatta la sua mogliettina.
Tuttavia, imparò in un attimo quale fosse il linguaggio da usare con Désirée che, pur apparendo piuttosto fragile, aveva un carattere grintoso e non sarebbe stato per nulla facile da gestirla.
Un gran cesto di rose rosse mise fine a quello stupido episodio ma ci volle molto tempo prima che Désirée lo perdonasse e tornasse quella giovane donna che Walter amava perdutamente.


Désirée, un mese prima di sposarsi, aveva superato brillantemente l’Esame di Stato.
Durante la gravidanza ebbe la fortuna di vincere il Concorso in Magistratura e quello fu un vero miracolo considerando il fatto che nessuno vi riusciva al primo tentativo.
Le erano capitati gli argomenti in cui era maggiormente preparata tanto che tra tutti gli altri colleghi ed aspiranti magistrati, che si erano presentati e che la conoscevano, fu l’unica donna vincente e molti pensarono ad una super raccomandazione, inesistente, tanto il fatto aveva dell’incredibile.
Sia la famiglia di Désirée che quella dei Weber fecero una gran festa per augurarle una carriera luminosa e ricca di successi dal momento che si sarebbe specializzata quale Giudice dei Minori anche perché a Roma ve ne era una sostanziosa carenza.
Negli ultimi venti giorni di gravidanza, Walter volle che frequentasse un corso rapido preparatorio al parto e fu consigliato da Victor di farla partorire in una Clinica attrezzata per le donne che desideravano di avere il neonato dentro l’acqua.
Désirée, la quale era stata ed ancora era una ottima nuotatrice, accettò di avere quella esperienza felice e che il suo primo figlio nascesse nell’elemento principe di cui era innamorata da sempre, di quel mondo che non era stato con lei molto generoso facendola nascere con un meningioma sradicato soltanto per l’abilità del prof. Lindstrom e dell’equipe neuro chirurgica di Stoccolma.
Sembrava impossibile ma quel moccioso che aveva appena messo al mondo era la fotocopia di suo padre, Victor, il quale appena lo vide disse.
- Caspita, ne faremo un grande campione di calcio nella speranza che oltre che nel viso mi somiglierà pure nel fisico e nelle gambe. -
- Il nonno Weber dovrà attenderne un altro che prenda le sue mani e le sue dita d’artista! -
Fu quello un grande momento di felicità per tutta la famiglia di Victor e per quella dei Weber, ma chi non potette trattenere le lacrime, accarezzando insieme Désirée ed il piccolo Francesco, fu Véronique che era diventata nonna del più bel bambino del mondo frutto di quella figlia che aveva avuto paura di perdere quando era appena una piccola creatura.











9





In un altro angolo della terra in Giappone e precisamente a Tokio, Aline, sposatasi nuovamente con un famoso direttore d’Orchestra il maestro Katami, proprio in quel periodo era diventata anche lei nonna di un maschietto figlio dell’unica discendente avuta, cui aveva voluto dare un nome prettamente russo, Natasha.
Véronique era rimasta in contatto con Aline da quando lei e Nicolas avevano divorziato e si erano anche viste tre o quattro volte durante le tournée della grande pianista in Italia.
La loro calda amicizia aveva retto alla separazione di suo cognato e per quanto l’amica girasse il mondo, tuttavia aveva sempre avuto un pensiero gentile per Véronique sia inviandole qualche lettera oppure semplicemente delle cartoline illustrate di tutto il mondo, sia rimanendo in contatto con lei attraverso Internet.
Avevano entrambe quarantasei anni ma dalle fotografie, che inviava all’amica periodicamente, sembrava che non volesse invecchiare mantenendosi bella ed asciutta come quando era appena sopra i venti .
Così, Véronique, non l’aveva mai persa di vista ed aveva saputo vita morte e miracoli della sua cara Aline, divenuta una delle più famose pianiste mondiali.
Aline le aveva pure raccontato della sua vita privata, come si fa con una sorella, dei suoi amori e delle sue passioni, senza che si fosse mai dimenticata del suo grande amore per Nicolas, che nel frattempo si era risposato almeno tre volte con delle americane dalle quali aveva avuto non meno di cinque figli.
I favolosi guadagni di Nicolas, emerito chirurgo a Houston, se ne andavano quasi completamente per gli alimenti alle sue ex e per dare un ottima istruzione ai suoi figli tutti universitari in prestigiosi Colleges.
Victor non aveva voluto sapere niente che riguardasse il fratello ed Aline. Aveva detto.
- Non me ne importa assolutamente di tutto quello che ha combinato e nemmeno mi interessa quello che mi racconti di Aline. Lo hanno voluto, meglio così. Quei due non hanno mai avuto il senso della famiglia e quindi si arrangiassero come meglio credano.-
Nel suo cuore, Victor, era stato molto amareggiato per la fine del matrimonio di Nicolas ed Aline. Non avrebbe mai creduto ad una simile eventualità e nemmeno che suo fratello, una volta piazzatosi in America, avrebbe ignorato tutto quanto avvenisse in Italia ed anche in Belgio dove i loro genitori, ormai anziani, avevano più che bisogno, almeno ogni tanto, di un incoraggiamento e talvolta di rivedere e parlare con i loro figli.
Victor, Véronique e le loro figliole si erano recati, fino ad un paio d’anni prima, quasi due volte all’anno a Boncelles per la gioia dei rispettivi genitori e nonni, ma anche loro ultimamente li sentivano soltanto per telefono. Erano venuti a Roma soltanto tre volte.
Quando Caroline aveva fatto la prima Comunione e la Cresima, alla laurea di Désirée ed al matrimonio della stessa.
Victor e Véronique avevano cercato di trattenerli per un mesetto nella loro villetta che, dopo il matrimonio della primogenita, era diventata troppo grande e spaziosa per loro.
Purtroppo la mamma ed il papà di Véronique erano talmente infermi che non avrebbero mai più potuto vedere la loro figliola a Roma, ma a questo sopperiva la moglie di Victor che non lasciava passare nemmeno due mesi senza recarsi lei a Liegi per assisterli almeno una settimana ogni nove e per dare ordini alle due infermiere professioniste che ormai da anni abitavano nella loro casa.
- Un giorno tornerò anch’io in quei posti che non ho mai dimenticato, -disse una sera a Victor avvolta in un velo di malinconia, pensando a quando sarebbero morti, -e forse anche tu vorrai seguirmi quando anche Caroline si sarà sistemata. -
Aveva detto quelle parole ma già sapeva che quel desiderio non si sarebbe mai realizzato.
Avrebbe dovuto tagliare quel cordone ombelicale che la legava alle sue radici per sempre perché il suo dovere di madre e di nonna sarebbe stato sempre quello di stare vicina alle sue figlie ed alla famiglia che bene o male aveva deciso di costruire insieme a Victor, in un Paese straniero, lontano dalle proprie Ardenne.
Victor dal canto suo non faceva molto per consolare Véronique e per farla sentire di nuovo immensamente felice.
Il romanticismo di quella donna era troppo sviluppato in lei per poterlo appisolare con i piccoli diversivi che le offriva.
Soltanto i concerti all’Auditorium, ai quali erano abbonati, riuscivano a sollevarla un poco da quel terra-terra in cui l’aveva, anche se involontariamente cacciata.
Victor sapeva che Véronique aveva abbandonato ogni sogno della sua vita per lui e che veramente aveva sacrificato tutto della sua esistenza per renderlo soddisfatto ed in più era stato il suo amore di madre che aveva fatto guarire prima Désirée e poi egli stesso che, senza sua moglie, si sarebbe abbruttito una volta lasciato il calcio attivo.
Ben altro avrebbe meritato.
Nata per suonare, le aveva tolto pure quel sogno con tutti i problemi che le aveva imposto riguardo ai figli, alla casa, all’educazione di Caroline e poi adesso anche alla protezione di quel nipotino che stava sempre per casa, mentre Désirée e Walter erano impegnatissimi nel lavoro e nella carriera.
Victor pensava che un giorno l’avrebbe ripagata di tutto. Avrebbero girato liberi per il mondo per un anno intero, ma subito dopo rifletteva che quel giorno probabilmente non sarebbe mai arrivato ed un rimorso atroce lo prostrava.
“Carpe diem”, diceva il filosofo. Egli sì aveva girato per il mondo quando giocava ed aveva avuto tante soddisfazioni comprese l’amore dei suoi personali fans, ma sua moglie cosa aveva avuto se non la soddisfazione di aver creato un bella e stupenda famiglia?
Se avesse immaginato un simile pasticcio probabilmente Victor non si sarebbe mai sposato.
Pur contro la sua natura di uomo sufficientemente saggio ed onesto avrebbe avuto una vita spregiudicata forse simile a quella di Nicolas con la differenza che suo fratello amava la chirurgia e che avrebbe continuato ad operare fino a tarda età, mentre egli una volta finita la sua attività era rimasto ai margini di quel mondo, accontentandosi di fare il procuratore di nuovi talenti.
Ciò che non mancava nella loro famiglia era il denaro. Ne aveva guadagnati tantissimi di soldi e non li aveva sprecati ma tutti investiti, tanto che avrebbe potuto vivere di rendita fino alla fine dei suoi giorni oziando beatamente.
Ma non era quello che lo lasciava tranquillo. Le preoccupazioni erano ora tutte rivolte a Véronique, sempre più triste e immalinconita.


L’unico valore assoluto per Véronique era stato fin da bambina tutto ciò che appartenesse alla famiglia, intesa come un nucleo molto ampio, granitico.
Ripensava spesso sia alle proprie radici di sangue sia a quelle culturali e che si erano completate fin dal momento in cui aveva conosciuto e si era innamorata di Victor, sposandolo poi ed avendo con lui prima Désirée e poi Caroline.
Pure i genitori di lui, sentiva che appartenevano al proprio nucleo familiare e non solo loro ma anche il cognato, Nicolas e la bella e cara amica Aline, la sua prima moglie.
A questo nucleo iniziale si era, in seguito, aggiunto suo genero Walter, i genitori di quello e per ultimo il piccolo Francesco.
Véronique faceva spesso un sogno molto strano ed allo stesso tempo assai bello, tanto che si dispiaceva, svegliandosi, che fosse solamente irrealtà e puro frutto della sua fantasia.
Ripetutamente, sognava di vivere in una grande Fattoria piena di querce ed olmi, faggi ed abeti e con enormi spazi di prati verdi colmi di fiori di tutti i colori dell’arcobaleno dove vivevano allo stato brado mandrie di cavalli e di puledrini.
Più in là scorreva la Mosa, dolcemente con tante oche, anatre e qualche cigno elegante nel suo nuotare e più in là ancora scorgeva una enorme casa di legno con un pianoforte a coda posto in un bellissimo gazebo dalle pareti di vetro e lei stessa, assai più giovane di quanto fosse, suonare una musica sconosciuta, divinamente.
Attorno, tutti giovani, i parenti dal primo all’ultimo che la coccolavano con tantissimo amore ed affetto ed in particolare il suo Victor che le accarezzava i bei capelli biondi.
Ma ciò che la metteva in uno stato di agitazione quasi crudele, tanto da svegliarla, era che quella grandiosa costruzione non aveva finestre ed era buia di dentro, tremendamente buia.
Solo il cielo era sempre luminoso, chiaro ed azzurro come mai lo avesse visto ed il sole caldo e splendente come fosse sempre Estate.
Véronique riusciva solo in parte ad interpretare quel sogno.
Ma di una cosa era certa che il destino le avesse riservato un compito per un certo verso ingrato: quello di essere il perno principale ed essenziale della sua famiglia, intesa in senso ampio e profondo e per questo, unico valore che contasse.


Quando Véronique si confidò con Victor e gli accennò di quel sogno, egli già preoccupato per sua moglie, ebbe la misura di quanto lei avesse sofferto in tutti quelli anni.
Véronique era una grande artista ed egli l’aveva costretta a vivere come in una gabbia, troppo stretta per la sua squisita ed enorme fantasia.
Non voleva che il suo angelo biondo andasse incontro ad uno stato depressivo grave ed avrebbe fatto per lei quanto di più non avesse potuto inventare.
Un giorno chiamò, in gran segreto, le sue figlie ed il genero e disse loro che avrebbe portato la moglie, con la scusa di vedere Aline ed il suo figliolo, in un lungo viaggio in Estremo Oriente dove sarebbero rimasti almeno per otto mesi.
Sarebbero stati in Giapppone ed in Cina, avrebbero visitato il Tibet ma soprattutto sarebbero andati in India per rigenerarsi tutti e due e per vedere se qualche Santone fosse riuscito a farle spuntare quel sorriso spontaneo che da anni non vedeva nel suo volto.
Quella strana idea di recarsi in India gli era balzata in mente quando aveva visto come si erano trasformati due suoi ex colleghi della squadra milanese, in cui aveva giocato per molte stagioni, ragazzi di grande talento che avevano perduto improvvisamente il gusto del gioco del calcio e conseguentemente erano diventati inconcludenti, abulici e depressi.
Questi, durante il periodo di vacanze estive, avevamo deciso di far visita, presso Bombay, ad un famoso indù per parlare col quale era stato necessario una prenotazione fatta tre mesi prima.
Victor non sapeva esattamente cosa costui avesse detto o fatto ai suoi amici, ma il fatto fu che essi erano tornati ad essere quei grandi giocatori dei periodi precedenti.
Così, si era fatta strada in lui la convinzione che portando lì Véronique, lei sarebbe tornata ad essere la sua dolce metà e che le sarebbero usciti dal cervello tutti i pensieri cupi che la opprimevano.
Per Victor non fu facile convincerla di intraprendere quel lungo viaggio e meno che meno farle accettare una così lunga lontananza dalle sue figlie e dal suo nipotino.
Tuttavia riuscì ad averne l’assenso e dopo avere avvisato Aline, felice di rivedere la sua cara amica nonché ex cognata, partirono per Tokio in perfetto accordo.


Victor e Véronique rimasero per più di due mesi e mezzo in Giappone e dopo aver girato in lungo ed in largo l’arcipelago, rimanendo incantati per la bellezza di quella Nazione e per la tecnologia di ogni cosa, salutarono Aline ed il grande Katami, Natasha ed il di lei marito, diedero un affettuoso e grosso bacio al figlio di Natasha e partirono per Pechino.
Victor era soddisfatto di avere iniziato col Giappone.
Infatti non c’era voluto molto tempo per accorgersi di quanto avesse fatto bene a Véronique l’aver rivisto Aline ed averne conosciuto a fondo la famiglia.
Era come rinata e tornata ad essere la donna dei primi anni dopo il loro matrimonio e Victor doveva ammettere che quella metamorfosi era stata il frutto della intelligenza di Aline che non l’aveva lasciata sola per nemmeno un attimo portandola, lei stessa, in giro per farle conoscere le sue tante amiche, molte delle quali gravanti nell’ambito della musica classica sia sinfonica che lirica.
Aline aveva addirittura disdetto ogni impegno professionale per due mesi per potersi dedicare anima e cuore a Véronique quando aveva capito come quel viaggio nella Terra del Sol Levante sarebbe stato utile alla sua cara amica per riprendersi spiritualmente, moralmente e fisicamente.
L’aveva portata all’Auditorium, vuoto di pubblico, il più importante di Tokio e le aveva detto.
- Adesso suoneremo un pezzo a quattro mani della nostra gioventù e tu non puoi averlo dimenticato! -
Vèronique si era schernita inizialmente, ma vista l’insistenza di Aline, si era seduta al pianoforte e le due pianiste erano andate avanti per ore.
- Niente male, -aveva esclamato alla fine ridendo, - sei sempre una fine artista e quasi sono contenta che tu non mi abbia fatto concorrenza! -
Erano bastate quelle parole per illuminare di gioia gli occhi di Véronique tanto che, raccontando il fatto la sera stessa a suo marito alla presenza di Victor, il maestro Katami le aveva proposto di rimanere a Tokio per un anno intero mentre egli stesso le avrebbe programmato una serie di concerti assieme ad Aline nelle maggiori città giapponesi.
Non c’era stato bisogno che Victor intervenisse.
Véronique aveva ringraziato i coniugi Katami ma aveva risposto che il loro giro in Oriente
non si sarebbe esaurito in Giappone, che avrebbero visitato in lungo ed in largo e che altre erano le loro intenzioni.
La grande Muraglia li attendeva e poi il Tibet e la sacralità di quei luoghi incantati.
Arrivarono con l’aereo su Pechino verso mezzogiorno e Véronique, seduta vicino all’oblò, rimase a bocca aperta perché non avrebbe mai immaginato quanto sterminata, immensa e gigantesca potesse essere una città.
Ma ancora maggiormente rimase perplessa quando un taxi li portò nel Hotel che avevano prenotato.
Era un colossale grattacielo di nuovissima costruzione e certamente costruito con l’ausilio di architetti e tecnici americani ed europei.
La Hall era una vera piazza elegantissima e modernissima con ogni cosa automatizzata e con centinaia di boutique, molte delle quali col marchio italiano.
Véronique, una volta sistemati in una suite da mille ed una notte al trentanovesimo piano, si rivolse a Victor abbracciandolo e baciandolo e gli sussurrò, cosa che non era abituata a fare, di avere voglia di un regalo speciale da lui e che lo desiderava subito scendendo in quel momento giù nei negozi della Hall, che si estendevano anche al piano sotterraneo oltre che al primo.
Victor sentì di essere felice.
- Cosa vuoi che ti comperi, amore mio?.-
Chiese sorridendo.
- Un vestito da notte cinese, ma non per andare fuori in qualche locale, ma per metterlo stanotte a letto per te! -
Per la prima volta dopo tanti anni Véronique aveva pensato soltanto a loro due, non aveva fatto parola delle figlie e di tutto quanto aveva lasciato a Roma.
Come quando erano giovanissimi ed esistevano unicamente lei e Victor, le carezze ed i baci suoi e quelli del suo uomo.
Della Cina non avevano visto che l’enorme città di Pechino dall’alto e quel Albergo , certamente di lusso ma cinese.
Era bastata l’aria di quel posto tanto lontano e l’atmosfera che sentivano sulla pelle per fare già un mezzo miracolo!
Quale sarebbe stato il loro destino adesso e poi quando avrebbero completato finalmente i il loro viaggio?










10





Nei giorni seguenti si unirono ad una marea di turisti e per una settimana di seguito, accompagnati da un paio di guide, girarono da per tutto l’ enorme regione soffermandosi particolarmente ad ammirare la Grande Muraglia ed infiniti altri cimeli, testimonianza di una civiltà millenaria tanto lontana da quella europea.
L’impressione riportata da Véronique e da Victor fu che soltanto lì si poteva ammirare insieme la tradizione, soprattutto contadina e la civiltà più moderna, opera questa del nuovo corso economico capitalistico con l’apertura ai mercati mondiali ed alle più recenti innovazioni tecnologiche specie giapponesi, americane e tedesche.
Non mancava nemmeno l’amore per l’arte sia quella autoctona che importata.
Numerosi erano, tra gli altri, gli artisti invitati ad esibirsi nei maggiori teatri ed arene e contemporaneamente vedere enormi magazzini anche più grandi ed eleganti di quelli che personalmente conosceva in Italia ed aveva visitatati in Giappone.
Ed anche la merce era di primissima qualità e di una eleganza fuori del comune, tanto che aveva acquistato una quantità esagerata di cose che ancora non sapeva come avrebbe inviato a Roma e che erano soprattutto regali, per le sue figlie ed anche per Francesco e Walter.
Fu Victor che ebbe l’idea di spedire un grande baule a Roma aggiungendo a quanto comprato da Véronique anche una dozzina di racchette da ping-pong di diversa fattura comprese alcune paia piuttosto antiche e pagate una cifra esorbitante.
I rapporti tra lui e sua moglie erano nel frattempo molto migliorati con la sola eccezione che Véronique gli aveva, in un momento di particolare tenerezza, confidato che non riusciva più ad avere un orgasmo pieno e completo come invece le succedeva normalmente fino ad una decina di anni prima.
In un primo momento, Victor, era rimasto perplesso non avendo notato nulla di diverso rispetto al passato.
Egli si sentiva in piena salute sia fisica che psicologica e pure il desiderio di fare all’amore con sua moglie non era scemato ed anzi lo considerava aumentato.
Nemmeno gli anni che erano passati gli avevano ridotto il desiderio che sempre lo aveva attratto nei riguardi della sua donna, bellissima come aveva saputo conservarsi e nel dolce viso e nelle fattezze del corpo, assolutamente ancora giovanile pur avendo avuto due gravidanze.
Il problema era semmai di Véronique, come se fosse distratta da molti altri pensieri in quei momenti assolutamente intimi.
Sua moglie non riusciva più ad abbandonarsi all’amplesso, svuotando la propria mente da ogni preoccupazione ed aveva perduto quella sensazione di abbandono totale quando stava con lui.
Per questo unico motivo le disse.
- Andiamo subito in India, prima di recarci nel Tibet. Ho un asso nella manica e questo si trova dalle parti di Nuova Delhi in un villaggio a duecento chilometri dalla capitale dove ho letto esiste una Scuola di Yoga adatta al nostro caso e diretta da un maestro eccezionale.
Costui si dedicava all’insegnamento delle tecniche Yoga dedicato alle coppie che avessero voluto imparare la tecnica del rilasciamento totale della mente per ottenere infine un super afflusso di sangue agli organi genitali, maschili e femminili, tale che il desiderio sessuale non fosse soltanto un atto erotico bensì un complesso di vibrazioni tali da poter durare una intera giornata e ripetersi in uguale misura ogni qual volta lo si desiderasse, semplicemente usando l’appagamento ed il benessere che derivava da un modo speciale di abbandono frutto dello spirito, il tutto usando la concentrazione ottenuta soltanto respirando in un modo particolare ed unico. -
- Cosa dici mai, -rispose Véronique, sorridendo ed un poco vergognandosi per la confidenza fatta a suo marito, -non devi preoccuparti per me anche di queste cose. Comunque sono molto felice per questa nostra vita ma farò tutto quello che vorrai. Andremo prima in India ma poi non dimenticarti di portarmi nel Tibet. -
Véronique aveva letto in un libro per ragazzi di quel Principe, che al di là del Nepal, aveva fatto costruire un favoloso tempio-castello, ai piedi dell’estesissimo Tibet, che avrebbe dovuto rimanere perennemente a dimostrare il suo Amore per la giovane moglie.
C’erano voluti molto più di venti anni per creare quella magnificenza, testimonianza perenne alla sua donna, che non avrebbe avuto nessuna possibilità di imitazioni in quanto al suo architetto era stata, come raccontava la leggenda, amputata la mano destra.
Il suo eterno romanticismo non sarebbe stato appagato se Victor non gliela avesse fatto vedere e così gli fece promettere solennemente che poi avrebbero attraversato il Nepal con quel treno che era stato battezzato, dall’Unesco, Patrimonio dell’Umanità.


Di stupendi tramonti Véronque ne aveva visti di bellissimi in Europa ma quelli ammirati in India erano speciali, tutti diversi l’uno dall’altro.
I colori non potevano essere più vivaci ed accesi ma erano inimmaginabili quelli sfumati con tinte morbide, dall’ ocra all’arancione, contrastanti spesso col cielo trasparente e con quelle nuvole bianchissime
La gente ovunque, poverissima o ricca, non aveva fretta né puntualità alcuna.
Le strade, colme di un popolo variopinto nel vestiario, erano piene di esseri dagli occhi neri e grandi, profondi nell’espressione che non era mai impaurita ed anche i vecchi, seduti ai margini delle viuzze oppure in qualsiasi angolo a chiedere l’elemosina, avevano le caratteristiche di esseri superiori senza ansia oppure fame.
La maggioranza di questi era ossuta, taluni anchilosati e trasmettevano a qualsiasi essere umano, pure così, una estrema spiritualità quasi si trattasse di immagini soltanto extraterrene senza le normali necessità di sopravvivenza, differenziandosi così da ogni altra persona.
Ma le donne erano tutte dignitose, sia che fossero coperte dalle loro tradizionali vesti oppure da completi eleganti all’europea ed ognuna portava con se, avendoli, i propri bambini con attenzione ed evidente amore.
Bombay fu una vera formidabile sorpresa.
La città più popolata dell’India, alcune stime parlavano di oltre trenta milioni di abitanti tra una decina di anni, non era soltanto quella descritta dai libri ma anche una metropoli moderna con le sue Università, dove centinaia di migliaia di giovani si preparavano con grande serietà ad affrontare una vita dove la scienza e le nuove tecnologie la facevano da padrone, ed al tempo stesso pure un immenso fiorire di istituti all’avanguardia del mondo.
La medicina sfornava studiosi e scienziati di fama, lo studio dell’economia si basava su modernissimi sistemi, originali ed innovativi che potevano non solo essere paragonati a quelli americani ma addirittura li superavano con sistemi di Software che probabilmente erano i migliori del Pianeta.
Tuttavia nelle campagne circostanti a quel enorme agglomerato di esseri umani, i prati erano verdissimi, dono del clima monsonico che al momento opportuno li allagava e poi asciugava permettendo una fiorente produzione di generi alimentari tra cui alcuni, come il riso esportati ed altri più che sufficienti per sfamare oltre un miliardo e mezzo di uomini.
Le vacche che circolavano indifferenti in mezzo al traffico non avevano colpito che in modo marginale l’immaginazione della bionda italo belga tante erano state le volte che aveva visto quelle scene alla televisione oppure al cinema pur nella diversa realtà di quel mondo pieno di vita.
Tutto era circondato da una estrema religiosità e questo era ciò che più aveva maggiormente impressionato l’anima ed il cuore di Véronique.
La permanenza in India e zone limitrofe durò parecchio e Victor accontentò sua moglie in tutti i minimi particolari esaudendo ogni suo desiderio compresa una visita a Calcutta dove desiderava vedere i luoghi in cui aveva prestato la propria opera Madre Teresa, in mezzo agli ammalati ed ai più diseredati della terra.
Soltanto nelle ultime settimane di permanenza in quella grande Nazione insistette ancora nel condurla in quella Scuola di Yoga della quale le aveva parlato tanto.
Col senno “ di poi “Victor capì molto tempo dopo, ma non troppo, di avere commesso il più grave errore della sua vita.
Véronique si dimostrò, per quattro settimane intere, l’allieva maggiormente disciplinata della Scuola imparando perfettamente la tecnica di rilasciamento e di respirazione del Maestro, con l’unico scopo di fare contento Victor riguardo il cosiddetto erotismo cerebrale che secondo suo marito le mancava o per lo meno non era completo.
Il risultato di quelle esercitazioni fu che mentre Victor effettivamente si dimostrava, ogni giorno di più un amante, lei invece si sentiva completamente appagata spiritualmente tanto che il benessere che avvertiva le pareva quasi una droga della quale non poteva più farne a meno.
Fisicamente in uno stato di salute perfetto, era arrivata ad essere molto infastidita quando suo marito era arrivato a pretendere di fare all’amore insistentemente con lei anche molte volte al giorno e non si accontentava dei soliti amplessi ma pretendeva ben altro.
Un giorno Véronique lo prese da parte e gli parlò in maniera chiara, senza mezzi termini.
- Amore mio, sono stufa di questo tuo modo di comportarti. Preferivo il Victor di una volta tenero e dolce, affettuoso e protettivo piuttosto che lo stallone che sei diventato adesso.-
- Voglio tornare subito a Roma e cercare di dimenticare questa parentesi che mi sta facendo del male poiché ho l’impressione di essermi parzialmente adagiata in questo mondo irreale a cui attualmente non so dire di no, prima che io abbia ancora la forza di reagire al canto di queste sirene. -
Victor non disse nulla ma pensò di avere fatto un vero autogol nel portarla in quel luogo.
Ora capiva che la sua Véronique, già così spiritualmente innocente e pura di cuore e d’animo, non poteva ragionare come una comune mortale e seguirlo in quel itinerario induista senza esserne lesa e conseguentemente rovinata per sempre.
Diceva il proverbio che gli ronzava in mente “di buone intenzioni è lastricato l’Inferno “e così era stato.
L’aveva voluta perfetta anche in ciò che non le era congeniale ed ora ne avrebbe pagato il prezzo certamente molto salato.
Victor prenotò il primo aereo disponibile per Roma e due giorni dopo atterravano a Fiumicino al Leonardo da Vinci.


La gioia di rivedere ed abbracciare tutti i suoi cari e specialmente quel passerotto di Francesco, che sgambettava ormai attaccandosi alla sua gonna, illuminò di gioia il volto di Véronique tanto da farle spuntare alcune lacrime negli occhi luminosi e di un azzurro ancora maggiormente intenso di quanto normalmente le dava allo sguardo quel aspetto angelico di un dipinto del “ Cinquecento “.
Désirée e Caroline, trascurando un poco Victor, la strinsero in una morsa di baci e di abbracci mentre Walter dando una pacca sulle spalle robuste del suocero esclamò.
- Ma quanto a lungo volevi negarci la vostra presenza ed in particolare quella speciale di tua moglie! Ci hai privato per mesi e mesi di lei, il nostro punto di riferimento maggiore, colei che sa parlarci prima col cuore e poi con le labbra, che conosce il segreto di tenere in un blocco monolitico le nostre famiglie! -
- E poi sapessi come Caroline, per me una vera sorella, ha patito per la sua assenza! Tutti i suoi piccoli segreti non ce li ha confidati e nemmeno Désiré è riuscita a farla parlare in attesa della sua mammina adorata. -
In realtà i suoi quindici anni erano pieni di problemi adolescenziali con tutti i giovani amici di scuola ed in più aveva iniziato ad innamorarsi spesso, ma non seriamente, ora di qualche studente delle classi superiori, ora di qualche giovane che incontrava a Formello nelle varie feste nelle quali era sempre l’invitata principale.
Ciò che la preoccupava maggiormente era di sentirsi attratta, come una farfalla, ora da questo ora da quel ragazzo ed i motivi erano piuttosto banali e non certo si trattava di sentimenti profondi.
Caroline aveva davvero bisogno di sfogarsi con Véronique e confessarle tutto quanto avesse elaborato durante la sua lunga assenza.
La ragazza avrebbe atteso qualche giorno, poi si era ripromessa di avere un lungo colloquio a quattrocchi con sua madre, cercando con il suo aiuto di venire a capo di quella confusione che le trotterellava per la testa e di mettere ordine nella sua vita che le pareva un vero caos.
Caroline, pur rendendosi conto di essere del tutto diversa da sua sorella sia fisicamente che nel carattere, aveva tuttavia la percezione di essere forse ancora più affascinante di Désirée e di questo fatto ne era lusingata ma allo stesso tempo preoccupata.
Sentiva di non essere una santa e che prima o poi sarebbe caduta nel trabocchetto del sesso tanto i suoi ormoni si erano sviluppati molto prepotentemente e precocemente.
Non avrebbe voluto essere così ma non poteva farci niente.
Probabilmente soltanto sua madre le avrebbe potuto metterle addosso un freno inibitore e questo era un altro motivo per parlarle senza nasconderle niente.


Pochi giorni dopo, approfittando di trovarsi sola con Caroline, Véronique osservandola sdraiata sul letto della sua stanza mentre teneva incollata la cuffia del proprio CD portatile, immersa e beata ad ascoltare le melodie di Baglioni e Battisti, prese la palla al balzo ed accostandosi a quel angelo di figlia, dal visetto tutto acqua e sapone, le chiese sedendosi a sua volta sul bordo del letto.
- Allora dimmi, che gravi problemi hai dal momento che i tuoi fatti sono “top secret “per tutti meno che per me ? -
- Mammina, sono disperata! Non faccio altro che prendermi delle solenni cotte e tutti i miei amorini vorrebbero fare all’amore con me ma non idilliaco ma vero e completo. Io sono attratta fisicamente verso tre giovanotti, tutti attorno ai diciotto anni. Me li sogno di notte e questi sogni sono a luci rosse tanto che mi vergogno moltissimo appena mi sveglio. Dimmi tu come mi devo comportare ora che anche io, come quei ragazzi, ho un grande appetito sessuale.-
- Piccola mia, -sorrise Véronique,-devi controllare i tuoi istinti per due motivi. Il primo è che se ti lasci andare anche una sola volta te ne pentirai amaramente per l’etichetta che sicuramente ti appiccicheranno addosso, quella di una poco di buono. Il secondo è ancora più importante. Un giorno certamente ti innamorerai seriamente e sarà non solo il tuo corpo ma la tua anima che te lo dirà, in modo chiaro ed inequivocabile. -
- Dimmi tu cosa racconterai a questo ragazzo che spero sia pulito come lo sei tu? -
- Pensa a me ed a tuo padre. Lo vedi chiaramente quanto ci amiamo e questo è da quando io ero una studentessa del Conservatorio e lui un giocatore bravo ma non eccezionale come poi è diventato. -
- Io penso che anche tu troverai il grande amore come tua madre e che lo capirai subito. Conserva la tua purezza fisica come conservi intatta la tua purezza di cuore. -
Caroline si butto tra le braccia di sua madre e mentre due grandi lacrimoni le bagnavano le gote riuscì soltanto a dire.
- Grazie mamma. -











11






Marina sentì aprirsi la porta dello Studio con le chiavi e subito capì che Victor era tornato.
Si alzò di scatto dalla poltrona della sua scrivania e gli corse incontro mettendo in mostra i bianchissimi denti in un sorriso smagliante.
Portava indosso un vestitino bianco scollato che metteva ancora maggiormente in mostra la bella carnagione bruna-olivastra, non indossava che un paio di sandali anche essi bianchi ed era completamente priva di trucco.
Victor, prima ancora di proferire una sillaba, l’accolse tra le braccia protese in un gesto affettuoso e la baciò sulle labbra appassionatamente.
L’abbraccio tra i due durò un bel po’ di tempo e mentre lei si era accostata al torace dell’uomo, Victor sentì, attraverso la propria camicia avana parzialmente sbottonata, il cuore di Marina pulsare in un ritmo vertiginoso.
Nessuno dei due parlò e qualche secondo più tardi si ritrovarono seminudi, sul divano di pelle al lato della stanza, avvinghiati mentre a Marina le gambe avevano ceduto in maniera improvvisa e definitiva.
La passione repressa per troppo tempo della giovane era esplosa senza nemmeno che lei si rendesse conto di ciò che stava facendo spinta da un desiderio di lui infinitamente più forte della sua volontà e Victor non fu da meno.
Per quasi un ora di seguito Marina gli dimostrò i propri orgasmi succedersi l’uno vicino all’altro finché sfinita cadde dal divano sul pavimento di legno, abbandonandosi ad un gemito di estrema soddisfazione.
A quel punto Victor, dopo essersi rivestito, prese in braccio Marina e le chiese.
- Lo sai cosa penso di te ? -
- Forse che sono una belva affamata…-
- Non lo credo affatto,- le disse accarezzandole i capelli castano scuri vellutati ,-io penso che tu mi ami con tutta te stessa e che non hai paura di quelle che potrebbero essere le conseguenze del tuo attaccamento a me. -
Victor sorrise, da un lato compiaciuto, dall’altro con un velo di amarezza negli occhi.
- Tu sai quanto sono attaccato alla mia famiglia ed a Véronique. Per loro sono stato via tanto tempo ed in particolare per ricuperare quella donna che ho tanto amato da quando lei portava i calzini corti ed i biondi capelli pettinati in un modo assolutamente ridicolo.
Purtroppo ho fallito completamente con mia moglie e me ne sono accorto soltanto adesso. -
- Per me l’amore è qualcosa di molto complesso e deve contenere una plus valenza e non si può basare soltanto sul rispetto reciproco e sull’affetto oppure esclusivamente sul concetto di una famiglia bella, quanto vuoi, allietata da due splendide figlie. -
- L’amore di una donna lo misuro anche col desiderio che entrambi hanno l’uno dell’altro, pazzo e passionale, bisogno di unione non solo spirituale ma anche fisico, volontà di cercare di essere soddisfatti in tutto e per tutto, ma non solo.-
- E’ primario avvertire che la tua donna ti adora e che anche i tuoi errori vengono perdonati nel nome di una attrazione totale, che partendo dallo spirito giunga ad un bisogno assoluto di stare insieme e ciò vale anche per la parte fisica del matrimonio, come è giusto che sia.-
- Mi sono convinto che Véronique, donna attraente e fantastica fisicamente nonché intellettualmente molto vivace, con una forte carica di sexappeal, ha esaurito la propria carica passionale e di abbandono nei miei confronti.-
- Forse mi sbaglio ma sono convinto che è rimasta con me negli ultimi anni o meglio già appena dopo la nascita di Désiree, unicamente per quel sentimento infantile che credeva vero amore ma che in realtà era soltanto vacuo romanticismo senza una vera attrazione nei miei riguardi.-
Victor si rendeva conto che il concetto principe del pensiero di Véronique non era più lui ma la famiglia concepita come l’unico valore assoluto della sua vita.
Inoltre egli si sentiva ancora giovane e pieno di orgogliosa vitalità ed appena superati i cinquanta voleva con tutte le sue forze essere non soltanto amato ma desiderato come lo avevano amato e desiderato i suoi tifosi per tanti anni.
Victor guardò Marina dolcemente accoccolata ai suoi piedi.
Lei sospirò stringendosi alle sue gambe, pura, nella sua quasi completa nudità. Dal viso traspariva una totale adorazione per Victor.
- Dammi un bacio, -gli disse mentre, languida, si era ricoperta col vestitino bianco candido,- un bacio che mi faccia capire cosa provi per me. -
Victor le prese tra le mani il capo e con tutta l’anima in subbuglio la baciò come mai aveva baciato una donna, sentendola completamente sua.
Fu dopo quel bacio che si convinse che il suo matrimonio con Véronique era finito in modo definitivo.


Due settimane dopo, Marina gli disse che aspettava un figlio e subito dopo Victor chiese a Véronique di concedergli la separazione consensuale senza che il rapporto di affetto tra loro rimanesse incrinato.
Per Victor fu molto difficile prendere una simile decisione, una vera sofferenza ma non ebbe pentimenti. Se non fosse accaduto quanto successo con Marina, egli ugualmente non se la sarebbe sentita di continuare a vivere con Véronique anche se in fondo lei era stata il solo amore della sua vita.
Troppe cose erano accadute e non certo per sola colpa di sua moglie che lo avevano distolto ed allontanato da lei.
Troppe ed importanti modi diversi di vedere la vita quotidiana con quel estremo e severo modo di concepire la famiglia, ineccepibile per lei, ma estremamente gravoso per lui che non voleva assolutamente finire di vivere la propria vita in un anonimato cantuccio, a fare soltanto il marito esemplare, il padre ed anche il nonno.
L’orgoglio di essere stato un grande campione, idolatrato dalle folle, lo sentiva ancora ben vivo nel proprio DNA.
Victor concepiva, pur essendo stato in fondo un bravo ragazzo, che il mondo gli doveva ancora qualcosa di molto speciale ed importante e se Véronique non voleva più abbandonarsi a quello che era stato per tanti anni il suo uomo, forse nel timore di rimanere ancora una volta incinta e quindi aggravando le proprie responsabilità, che concepiva fino all’ultimo briciolo delle proprie forze fisiche e psichiche, non le sarebbe corso in aiuto perché altro pretendeva per il futuro.
Certamente non avrebbe vissuto più in quella casa che con tanto amore avevano riempito di serenità, accanto alle due figlie ed accanto al ricordo di quella donna che in effetti aveva perdutamente amato.
Victor si era posto delle domande a cui difficilmente avrebbe saputo rispondere.
Perché era accaduto tutto questo terremoto tra loro due?
Era troppo intelligente per capire che Véronique non aveva avuto dalla vita quanto fin da fanciulla aveva sognato.
Non aver coltivato la sua passione per una carriera brillante e luminosa, come invece aveva fatto Aline, aveva il suo peso e sicuramente ne attribuiva, seppure inconsciamente, la responsabilità a Victor che l’aveva voluta egoisticamente tutta per se.
Così, come si spegne lentamente una candela, si era consumato il sacro concetto di una felicità che mai più avrebbe potuto riavere e contemporaneamente ed inconsapevolmente aveva preso in lei il sopravvento la disillusione che tutto era stato il frutto di quel matrimonio troppo precoce con Victor.
Boncelles e Liegi erano molto lontani nella sua memoria, Marina invece era lì limpida e serena, semplice e passionale.
Forse gli avrebbe dato quel figlio maschio che non aveva avuto e che tanto aveva da sempre desiderato.


Il mondo di Vèronique andò in un solo attimo in frantumi.
Mai avrebbe creduto che il suo matrimonio sarebbe finito così miseramente, bruscamente e senza possibilità di un appello.
Tutte le belle parole che aveva detto a Caroline, pochi giorni prima, suonavano adesso vuote di contenuto.
Allora non era vero che l’amore fosse eterno almeno per Victor.
“ Panta rei “.
Tutto scorre come il fiume della sua indimenticabile Liegi, la Mosa. Tutto ha un termine e lei cosa aveva suggerito alla sua piccola Caroline?
Avrebbe dovuto dirle ben altro.
- Goditi la tua vita senza remore di sorta, amore della tua mamma, non pensare di farti del male tanto è tutto inutile in questa vita.-
Véronique pensò alla sua vita, ai sacrifici che aveva da sempre fatto per essere quella donna speciale che tutti consideravano tale.
Adesso era convinta di avere sbagliato tutto fin dal principio e, come una farfalla ,Victor se ne stava andando dopo averle succhiato tutto il nettare che aveva avuto e che ancora sentiva di possedere!
Malgrado tutta la religiosità che era nella sua anima, sentiva che non lo avrebbe mai perdonato per quello che considerava un vero atto mortale.
Non avrebbe opposto nessuna resistenza alla richiesta di separazione ma non sarebbe stata una separazione consensuale, piuttosto una vera guerra legale.
Lo avrebbe spolpato di tutti i beni accumulati e se fosse stato possibile si sarebbe vendicata denunciandolo alla Finanza per molte operazioni illecite di cui lei era a conoscenza e di cui possedeva una congrua documentazione.
Lo avrebbe colpito inesorabilmente, senza pietà, dandogli pan per focaccia ed avrebbe fatto di tutto per ridurlo assieme a Marina ad un tenore di vita cui non era mai stato abituato.


Tutto quindi passò nelle mani di avvocati specializzati ed a nulla valse l’intercessione di Désirée che pure si era schierata quale arbitro neutrale e di conciliazione tra sua madre e suo padre.
Aveva detto alla mamma, - fallo per Francesco che è così affezionato a suo nonno. -
Ma non ci furono preghiere sufficienti per convincerla dal momento che Véronique si dimostrò intransigente e le figlie la giudicarono completamente impazzita per il dolore che l’aveva trafitta da parte a parte.
Désirée riuscì solo ad ottenere che la mamma non denunciasse Victor alla Guardia di Finanza affermando che così facendo Véronique avrebbe causato un grave danno economico anche a loro ed avrebbe scalfito la figura morale di lei stessa, Giudice del Tribunale dei Minori, molto apprezzata nella Magistratura romana.











12




Quando vi fu l’udienza, senza alcuna opposizione da parte di Victor, il giudice fu molto duro con il marito di Véronique.
La villa di Formello fu data integralmente a Véronique e cinque appartamenti nella zona della Camiluccia ed in quella di Monte Mario, furono così divisi.
Uno il più grande, un attico-superattico, nella zona di Monte Mario fu assegnato a Véronique ed era quello già intestato alla donna.
Gli altri quattro furono assegnati, due per ciascuna delle figlie, dallo stesso giudice a Déesiré ed a Caroline, con l’obbligo per la primogenita di versare quanto fosse l’usufrutto di uno dei due, a sua scelta, su un fondo destinato a Francesco che sarebbe servito per l’istruzione del piccolo fino alla laurea o quanto altro volesse fare nella vita, fondo incrementato da una somma di cinquecento mila euro, da versare da parte di Victor entro un mese.
Come pene accessorie Victor aveva l’obbligo di pagare gli alimenti a Véronique ed a Caroline: diecimila euro al mese a ciascuna di queste, ma non a Déesiré che si era detta soddisfatta per un attico che diveniva di sua proprietà, situato alla Camiluccia.
La sua primogenita non avrebbe voluto nulla dal padre ma alla fine, per le insistenze di Véronique, accettò la decisione del giudice.
Victor ottenne di poter vedere e stare insieme con Caroline due volte alla settimana per l’intera giornata ed il nipotino ogni volta che Déesiré glielo avesse concesso.
Per quanto Victor fosse molto ricco, la separazione dalla moglie gli costò almeno il sessanta per cento del suo patrimonio.
Egli e Marina trovarono casa a Casal Palocco nei pressi di Ostia in un piccolo villino vendutogli da un giocatore, che era stato ceduto ad una squadra del nord, di cui curava gli interessi contrattuali.
Victor doveva adesso badare soprattutto alla gravidanza di Marina ed a riprendere vigore e serenità dopo la violenta reazione di sua moglie che soltanto in parte aveva previsto.
A lui non importava nulla di quella enorme somma di denaro che gli era costata la propria libertà ma una cosa non perdonava a Véronique : non aver voluto risolvere il problema in amicizia ma ricorrendo alla legge e non solo, ma affermando che soltanto l’intervento di Déesiré lo aveva privato della galera per tutte quelle fatture non emesse oppure fasulle che aveva registrato frodando il Fisco.
In più, il non poter frequentare liberamente Caroline, era stata una cattiveria assurda dal momento che la sua ex moglie sapeva molto bene quanto egli fosse legato alla sua secondogenita e lei a lui.


Marina si era accorta come Victor fosse caduto in un notevole stato depressivo e subito dopo il trasloco nella nuova dimora, una sera gli si avvicinò con tutta la premura e l’affetto di una moglie e sospirò.
- Ti vedo giù di morale ma qui ci sono io che ti aiuterò con tutte le mie forze e subito ti farò un massaggio al collo ed alla schiena che ti farà sentire nuovo di zecca. Victor io ti adoro e ti amo con tutta me stessa. Tu non puoi immaginare come sono felice di vivere con colui che mi ha fatto perdere la testa dal primo istante in cui ci siamo conosciuti. Durante questi anni non ho avuto nessuno altro uomo e Dio solo sa quanto ho combattuto per non intromettermi tra te e tua moglie! -
Victor la guardò con un sorriso stanco mentre lei aveva iniziato a massaggiarlo, poi le sussurrò.
- Non devi darti pena per il mio stato d’animo, questa tristezza è logica e ti giuro che farò di tutto per riacquistare il mio solito buon umore, diamo tempo al tempo e vedrai che sarò di nuovo il Victor che hai conosciuto, pieno di allegria e di vita! -
Il tramonto intanto occupava il cielo come al solito stupendo in lontananza sul mare e già le prime stelle cominciavano a riempire ogni spazio.
Tutto intorno regnava un silenzio quasi irreale, soltanto rotto di tanto in tanto lievemente nel giardino dal fruscio delle foglie di alcune piante, mosse da una leggera brezza da ponente che riusciva a portare a Victor e Marina il profumo marino.
Marina prese la mano destra di Victor e la pose sul cuore di lei.
Questo era calmo e Victor si accorse che era lei quella che gli trasmetteva una nuova carica positiva avvertita come un dono che tradotto in moneta valeva mille volte di più di quanto gli stava costando la separazione da Véronique ed anzi non aveva prezzo quantificabile.
Sarebbero rimasti, sicuramente, insieme per il resto della loro vita.
Marina aveva acquistato, in gravidanza, morbidezza di sguardo e purezza di lineamenti, non si risparmiava affatto dividendosi tra l’ufficio in Prati ed i lavori di casa, in particolare pensando personalmente all’abbigliamento di Victor e cucinando meravigliosi manicaretti per cena che consumavano insieme quasi sempre a casa.
Soltanto raramente uscivano di sera più che altro per limare alcuni risvolti di trattative riguardanti i clienti di Victor.
Non volevano assolutamente che in casa si discutesse di lavoro.
Marina voleva parlare unicamente di loro due e di quel bimbo che cominciava a renderle la pancia prominente e che era effettivamente un maschietto come nei desideri del suo uomo.
Una ragazza peruviana, che aveva già il permesso di soggiorno e che avevano scelto tra tante per le sue referenze, teneva in ordine la casa ed era addetta a tutte le mansioni casalinghe compreso il giardino cui Marina era molto legata.
Era già stabilito che, con la nascita di loro figlio, avrebbe svolto anche il lavoro di baby-sitter per cui era stata assunta a tempo pieno dormendo in una camera ampia che sarebbe stata destinata poi a loro figlio ed a lei stessa.
Era stata Marina a sceglierla attraverso la raccomandazione di Suore cattoliche di un Convento che aveva delle missionarie nella Repubblica peruviana in una cittadina non lontana da Lima.
Giovanna, questo era il suo nome, era arrivata in Italia già da parecchi anni.
Figlia maggiore di una modesta famiglia, aveva tirato su quattro fratellini dal momento che la madre lavorava come operaia in una fabbrica di imbottigliamento di una bevanda analcolica di produzione nazionale ed il padre era emigrato in Florida per poter inviare a casa il denaro necessario al mantenimento dei suoi fratelli.
Non era bellissima ma carina, aveva ventitre anni ed evitava con cura di legarsi a qualche giovane italiano, pur essendo corteggiata da parecchi uomini e ciò perché aveva deciso che sarebbe ritornata nel suo paese di origine una volta messa da parte una somma sufficiente a comprare un negozio di alimentari.
Quello del negozio era un chiodo fisso nel suo cervello poiché affermava che di tutto la gente poteva privarsi tranne che del mangiare.
Victor le dava un lauto stipendio e sapeva che Giovanna metteva via oltre l’ottanta per cento di quanto riceveva e questo la diceva lunga sulla ragazza, senza fronzoli per la testa.
Egli e Marina la trattavano come una di famiglia e le aveva promesso di aiutarla ancora maggiormente quando sarebbe nato il bambino.


Quando Marina aveva ormai oltrepassato l’ottavo mese di gravidanza, ebbe la sorpresa di vedere, una mattina, Véronique piombare nell’ufficio di Victor senza preavviso ed in assenza dell’uomo che aveva dovuto recarsi a Napoli per questioni di lavoro.
- Ecco la sgualdrina che mi ha portato via il marito. -
Proruppe Véronique in un impeto di rabbia tenuta per troppo tempo sullo stomaco.
- Sei una vera puttana, -continuò puntando l’indice della mano destra verso il pancione di Marina che era rimasta stupefatta per quella improvvisa intrusione, -ed è pacifico che hai approfittato di lui scopando come una cagna in calore e senza nessuna precauzione proprio per incastrarlo con un figlio! -
- E pensare quanto bene ti abbiamo fatto, -soggiunse quasi con la bava alla bocca, - prendendoti nella nostra famiglia e levandoti da quei locali notturni dove certamente avrai imparato il mestiere più antico del mondo!-
Marina tentò più volte di interromperla e di spiegarle che lei aveva sempre avuto tanto rispetto per la sua famiglia e che non era colpa sua se la moglie di Victor lo aveva deluso al punto di farlo avvicinare a lei che comunque, come si era ripromessa da anni, non aveva mosso un solo dito per conquistarlo e che pure amava, come amava ancora Déesiré che considerava la sua più cara amica.
Soltanto, con un certo affanno, riuscì alfine a mormorare.
- Véronique, sapessi quanto mi dispiace averti ferita in questo modo ma ti giuro che non ne ho colpa. Non sono assolutamente una rovina famiglie. -
In quel preciso momento, Marina si portò le mani sulla pancia.
Un violento dolore l’aveva di colpo trafitta all’addome e contemporaneamente aveva cominciato a perdere un liquido biancastro dalla vagina.
Era diventata pallida e sudava abbondantemente mentre istintivamente si era buttata sul divano gemendo.
Véronique rimase ammutolita, tutta la rabbia che aveva addosso le era svanita in un lampo, improvvisamente. Il bel volto esprimeva contemporaneamente sorpresa e paura, di essere stata lei la causa del malore di Marina che certamente significava l’inizio del parto.
In un attimo la bionda moglie di Victor era tornata ad essere quella donna che era sempre stata, premurosa e piena di altruismo.
Pensò che quel bambino sarebbe vissuto in ogni caso e che lei già lo amava con tutta se stessa.
Si avvicinò a Marina ed asciugandole il viso madido di sudore, disse.
- Devi restare sdraiata e respirare profondamente mentre io chiamerò la croce rossa e tu da brava partorirai questo angioletto.-
Detto e fatto, in pochi minuti, Véronique attuò il suo programma.
Accompagnò Marina sull’automezzo, inviato dal servizio emergenze, al reparto di Ostetricia dell’Università Cattolica vicino allo Studio di Victor e volle assistere al parto di colei che aveva preso il suo posto nel cuore di Victor.
Quando nacque il bambino di Marina, un maschietto di oltre tre chili,vispo e vitale come non mai, con un vagito impetuoso e del tutto somigliante a Victor, Véronique e Marina furono tutte e due contente come due vecchie amiche che si fossero ritrovate dopo molto tempo e fu proprio Véronique che lo mise tra le braccia della madre, sfinita ma felice.
Come fece Victor, una volta raggiunto sul cellulare, a giungere alla Clinica Ostetrica in due ore da Napoli lo seppe soltanto Iddio.
Sapeva ormai che tutto era andato per il meglio, ma ciò che non si sarebbe mai immaginato fu invece che nella Clinica vi fosse pure la sua ex moglie, sorridente, che lo abbracciò appena lo vide e che gli fece mille complimenti.
- Caro Victor, - disse con voce squillante, -guarda come è curiosa la vita. Non solo hai avuto un maschietto ma sono stata io ad aiutare Marina ed a tenerle compagnia. -
- Non era destino che io ti regalassi l’erede maschio, forse un grande calciatore come te, ma Marina, una donna che per combinazione ti sei trovato sul tuo cammino in un momento di crisi acuta tra noi. Soltanto se tu avessi avuto pazienza molto probabilmente te lo avrei dato io il Principe ereditario . -
Véronique aveva perduto sicuramente ogni razionalità e parlava unicamente col cuore. Si era scordata tutte le motivazioni per cui loro due si erano separati dopo tanti anni di matrimonio ed in che modo!
Adesso Victor aveva una altra priorità cui pensare. Era Manuel, come già lui e Marina avevano deciso di chiamare loro figlio ed egli avrebbe pensato al futuro del bambino come il fatto principale della sua vita ed anche a Marina, così dolce e così cara specialmente adesso tanto bisognosa della sua presenza per sentirsi, anche se non lo era ancora, importante come una moglie.
L’affetto che aveva ancora per Véronique non sarebbe mai svanito nel nulla e neppure l’amore, diverso da quello che lo aveva tenuto vicino a lei per quasi trenta anni, ma sempre pieno di ricordi belli e assolutamente irripetibili.











13





Marina ebbe la soddisfazione ed il piacere di ricevere gli auguri sia di Caroline che di Déesiré accompagnati da bellissimi mazzi di fiori.
Le due figlie di Victor, in ultima analisi, erano molto felici di avere un fratellastro che portasse il loro cognome e poi quel bimbetto era davvero un amore con quei pugnetti chiusi e con quello sguardo profondo quando teneva gli occhi spalancati.
Era ancora troppo piccolo per sorridere ma specialmente Caroline era convinta che, una volta cresciuto, egli avrebbe avuto una particolare simpatia nei suoi riguardi.
Marina non si sentiva più completamente isolata, come era rimasta per quasi nove mesi e precisamente da quando Victor se ne era andato da Formello separandosi da Véronique.
Un minimo di amicizia era rimasta anche con Véronique per merito del nuovo arrivato tanto che questa aveva comprato per il neonato, tre fantastiche tutine, una delle quali era veramente un capolavoro dell’arte del ricamo e poi ancora tre copertine una più bella dell’altra.
Véronique lo chiamava, confidenzialmente, il suo piccolo Manuel e non passava settimana che non lo venisse a trovare.
Qualche volta si incontrava anche con Victor senza dimostrare l’astio che fino a qualche tempo prima l’aveva divorata.
Egli dal canto suo la trattava con gentilezza e le ripeteva che non c’era nessun motivo per
comportarsi come cani e gatti e che era meglio per tutti vivere in modo civile e liberale.
Lentamente Véronique si stava abituando al suo nuovo stato di “ separata “con buone relazioni con la compagna di suo marito.
Tanti erano, ancora vivi per lei, gli interessi che credeva di aver ormai accantonato ma che le stavano crescendo nel cuore e nella mente e tra questi oltre al pianoforte, che aveva ripreso a suonare, quello di recarsi a casa dei suoi a Boncelles per stare con la mamma ed il papà ancora un po’, prima che il tempo inesorabilmente li portasse via per sempre.
Era rimasta profondamente attaccata ai suoi genitori che si erano accontentati di vivere una esistenza semplice e quasi astratta tra i libri e la natura, prima di rimanere malati in balia di quel personale paramedico che lei stessa pagava profumatamente.
Sarebbe dunque andata in Belgio al più presto e questo sarebbe stata la priorità assoluta del suo nuovo stato di donna separata.


Era commossa Véronique, quando durante la manovra di avvicinamento all’aeroporto di Liegi, vide dall’oblò dell’aereo, un bireattore di ultima generazione, i boschi di Boncelles.
Non vide la casa dei suoi genitori né quella dei genitori di Victor ma fu come se le avesse viste nei minimi dettagli e particolari e pensò che il buon Dio avesse mantenuto tutto immutato, compresi i vialetti che si intersecavano tra loro e che lei conosceva a memoria anche se fosse stata bendata e che tante volte aveva percorso a piedi oppure in bicicletta sia da sola che con Victor.
Rifletteva su quanto fosse irreale non essere più la sposa di quello e su ogni ricordo che le riportava in mente la felicità di quei tempi in cui tutto aveva il profumo della gioventù.
Sentiva che le nostalgie che la trafiggevano erano tante.
Quella, in primo luogo, della preghiera che in gioventù recitava nella piccola chiesa di Boncelles sempre con immensa partecipazione e commozione e poi quella per il perduto amore, strappatogli da Victor e che non sarebbe mai più ritornato, nemmeno nell’ipotesi irreale di un ritorno di fiamma da parte sua, così bello e tanto desiderato.
Ma non erano soltanto quelli i pensieri che le procuravano quella nostalgica tristezza che non aveva alcun significato che non fosse l’inutilità dei ricordi non suffragati dalle parole della gente che avevi amato e senza la quale tutto si presentava vuoto.
Tristezza e nostalgia erano nella stessa aria che tra poco avrebbe nuovamente respirato, frizzante anche d’estate, dal profumo speciale ma sempre nuovo e diverso e nel suono inconfondibile del proprio vecchio pianoforte e nella la musica che lei quotidianamente sapeva trarre da quello.
Mancava pochissimo al momento in cui Véronique si sarebbe rifugiata nella sua villetta ed anche questo era motivo di trepidazione.
I suoi due vecchietti ancora vivi, seppure malandati in salute, come l’avrebbero accolta e cosa le avrebbero detto quando avrebbero saputo della fine del matrimonio con Victor?
Certamente sarebbero rimasti stupiti ed addolorati ma non l’avrebbero rimproverata ed invece l’avrebbero consolata pregandola di rimanere sempre vicina alle figlie ed al nipotino Francesco.


Vèronique prese un taxi e pensò alla vecchia macchina di suo padre, ancora dentro il box, se fosse ancora funzionante. Lei aveva dato, in passato, parecchio denaro ad un meccanico perché la tenesse sempre in ordine e pronta per l’uso.
Era strano che si fosse preoccupata anche di quel auto.
Ora capiva che aveva avuto una premonizione. Non c’era più Victor con lei che affittava automobili come se si trattasse di cose di poco conto pur avendo nel box di suo padre ben tre auto a disposizione.
Adesso sapeva che tutte le decisioni sarebbero state le proprie, in ogni cosa e che non poteva fare affidamento sul suo aiuto, in particolare quando si fosse trattato di minime od improvvise scelte.
Il tragitto tra l’aeroporto e Boncelles fu un magnifico regalo per Véronique tanto splendente di sole era quella giornata.
Ogni piccola cosa era come un benvenuto che il Signore aveva pensato di donare a quella sua figlia così pia e così piena di innocenza allo stato puro.
Ogni pensiero triste stava passando e Véronique cominciava a sentirsi particolarmente felice ed allo stesso tempo molto bene in salute.
Le idee negative erano tutte svanite nel nulla ed ogni cosa a lei intorno si era trasformata in qualcosa di fortemente positivo e questo stato d’animo le rimase fino al momento in cui giunse alla casa dei genitori.
- Mamma, -disse commossa ed accarezzandola dolcemente sulla sedia a rotelle che la sosteneva, -sono qui da te e da papà! -
- Piccola mia, -le rispose tremolante nella voce, -fammi toccare i tuoi capelli ed accarezzarli. Sono diventata quasi cieca ma il mio tatto è ancora perfetto. -
Véronique le si avvicinò a portata di mano e mise il capo sulla spalla della donna che l’aveva messa al mondo.
Poi mormorò.
- Dove è papà non lo ho visto ancora ? -
- Tuo padre si trova nel suo Studio, egli sta molto meglio di me ed è quasi autosufficiente a parte il catetere in vescica, che è costretto a portare permanentemente. Credo che stia studiando, questo è il suo passatempo preferito da quando è stato costretto ad andare in pensione, a malincuore, lasciando la Cattedra universitaria.-
- E’ il tuo solito papà pieno di premure per me e sempre affettuoso con tutti. Sarà felice di rivederti. Per lui sei sempre il suo angelo biondo che adora e di cui sente struggente la mancanza.-
Véronique corse nello Studio del padre ed oltre ad abbracciarlo si era proposta di dire a lui della separazione con Victor. Non se la sentiva, per il momento, di dare un dolore simile alla mamma e di quel brutto affare avrebbero parlato in seguito, una volta informato quel saggio uomo che era il suo papà.
Così fece ed egli, dopo averla baciata con infinita dolcezza, la consolò come soltanto lui era capace di fare.
- Figliola mia, capisco adesso il perché sei stata tanto tempo senza telefonarmi. Ne avevi ben donde poverina ma questo non ti deve angosciare. Noi uomini siamo fatti di una altra pasta rispetto a voi donne. In ultima analisi siamo, chi più chi meno, dei farabutti. Devi pensare adesso esclusivamente ed egoisticamente a te ed alle tue figlie, in particolare a Caroline che è ancora molto giovane ed ha bisogno della tua saggezza materna, poi non devi dimenticarti di comportarti da nonna nei riguardi di tuo nipote e dargli tutto l’affetto che possiedi. -
- Qui avrai sempre un posto in cui rifugiarti quando ne senti la necessità e non preoccuparti per noi, siamo sempre più vicini alla fine della nostra vita e nel frattempo siamo contenti di vivere anche se conciati male, specie tua madre. -
- Non abbiamo bisogno di denaro. Il Servizio Sociale può provvedere gratuitamente alla nostra assistenza e per il resto io e tua madre abbiamo una buona pensione. -
Véronique aveva sempre ammirato il papà per la razionalità dei suoi ragionamenti ma lo fermò dicendogli.
- Papà sono ricca e fino a che avrò vita penserò io a farvi avere la migliore assistenza possibile ed inoltre a soddisfare ogni vostro desiderio.-
Il colloquio terminò senza salamelecchi e Véronique, cambiando argomento, chiese al padre se la sua vecchia auto fosse ancora a posto e funzionante.
Alla risposta affermativa gli chiese se la poteva usare per fare qualche giro nei dintorni di Boncelles.
Tra l’altro aveva un pensiero che avrebbe realizzato sicuramente.
Avrebbe acquistato una Tomba monumentale al Cimitero, senza dirlo a nessuno, dove sarebbero stati seppelliti prima i suoi genitori poi, man mano, ognuno della sua famiglia e certamente lei stessa.
Véronique rimase da Giugno ad Agosto nella villetta di Boncelles accudendo i suoi due vecchi genitori ed organizzando ogni cosa per bene per il periodo in cui sarebbe tornata a Roma per farli vivere decentemente e senza pensieri di sorta.
Aveva pensato proprio a tutto pagando in anticipo stipendi a colf e personale infermieristico per un intero anno, perché aveva deciso che sarebbe ritornata sicuramente per la buona stagione dell’anno successivo, per un lungo periodo di tempo.
Probabilmente allora non sarebbe venuta da sola ed almeno per una ventina di giorni avrebbe portato con se sia Carolina che Déesiré ed il nipotino Francesco.
Aveva addobbato due camere per gli ospiti acquistando mobili nuovi e moderni ed in più aveva comprato anche una utilitaria spaziosa, mettendola accanto alla vecchia automobile di suo padre nel grande box.
Aveva parlato con due medici molto conosciuti per fare seguire mamma e papà al meglio della scienza ultra moderna e si era raccomandata di inviarle mensilmente la nota delle spese sostenute che lei avrebbe onorato con bonifici bancari.
Inoltre aveva fatto costruire, su suo disegno, il monumento funebre di famiglia da una Ditta specializzata che era assolutamente quello più bello ed importante del cimitero dove anche lei avrebbe riposato nel sonno eterno, il più tardi possibile se la Madonna l’avesse protetta.
Si era fatta vedere parecchie volte da Licia ed Alfredo, i genitori di Victor anche essi invecchiati ma ancora in ottima salute ed essi, che sapevano della separazione del figlio maggiore da Véronique, mostrarono abbondantemente la loro esecrazione affermando che una donna come Véronique non poteva essere sostituita neppure da miss Mondo anche se quella fosse stata premiata da un Premio Nobel.
Licia ed Alfredo si scusarono con la ancora avvenente biondissima, ex moglie di Victor, di non essere andati spesso a trovare i suoi genitori per non importunarli con le beghe di famiglia e chiesero notizie fresche riguardanti le sue belle figlie che non avevano più visto da quasi due anni.
Lei raccontò tutto delle nipoti ai nonni paterni facendoli felici e soddisfatti ma poi disse loro anche di Manuel, il loro nuovo nipote figlio di Victor e di Marina.
Quella fu una notizia assolutamente nuova per i due che rimasero stupiti del silenzio di Victor a riguardo ed in un certo senso offesi.











14





Durante la permanenza in Belgio, Véronique non trascurò nemmeno di effettuare una visita al Conservatorio dove poco meno di trenta anni prima si era diplomata in pianoforte.
L’edificio era stato ristrutturato ed era diventato molto bello sia esternamente che all’interno dove le sale erano divenute tutte, più eleganti e comodissime.
Fu in quel posto, assolutamente sacro per lei, che incontrò un suo vecchio amico che si era dedicato all’insegnamento dentro quel Conservatorio, da dove in pratica non si era mai mosso in tutta la sua vita.
Si chiamava Alberto ed era coetaneo di Véronique.
Era rimasto quel simpaticone di sempre. Alto e magro, sebbene ora le pareva che avesse messo su una decina di chili in più, aveva l’aspetto di un vero professore.
Vestito di grigio scuro, con una cravatta in tinta rossa a palline gialle, con due baffi appena accennati ed i capelli biondi come i suoi, con degli occhiali da presbite dalle stanghette d’oro che rendevano gli occhi ancora maggiormente verdi di quanto fossero, appena la vide la salutò calorosamente con un sorriso disarmante mettendo in evidenza i denti che aveva sempre avuto bianchissimi e che tutti sapevano come fossero preziosi per lui.
- Guarda chi si rivede, -disse con autentica commozione, -tu qui a Liegi, bella più di una volta e senza il tuo famoso calciatore a farti da guardia del corpo. -
Attese un attimo una risposta ma poi proseguì con una valanga di parole.
- Non puoi immaginare che effetto mi fa la tua persona! Se non ci fosse stato Victor ti avrei fatto la corte e probabilmente ci saremmo sposati. Invece, come è strana la vita…., mi sono sposato con Marianna, sai quella bella ragazza che studiava il violino ma che purtroppo tre anni fa è morta di cancro alle mammelle malgrado tutte le cure ed interventi cui si è sottoposta. Ora sono un vedovo infelice e vivo in modo solitario, del tutto contrario al mio carattere estroverso. -
- Mi dedico con passione all’insegnamento ed in questi giovani trovo quella vivacità che ho perduto forse per sempre. -
Soltanto a quel punto Véronique riuscì a dirgli che si era separata da Victor e che mai più si sarebbe messa con un uomo perché aveva sofferto troppo.
Gli raccontò pure che si trovava in Belgio per i suoi genitori e che a Roma aveva tuttavia una bella famiglia e che era già nonna
Alberto le propose di andare a pranzo insieme, in un vicino ristorante e che avrebbe avuto piacere averla come ospite almeno una volta nella sua vita.
Véronique accettò l’invito con animo giovanile e pensò che Alberto era un uomo davvero caro ed affettuoso.
Durante il pranzo Alberto le raccontò ogni particolare della sua vita e che non era mai andato in vacanza in qualche bel posto all’Estero e che conosceva invece perfettamente ogni luogo, anche il meno noto del Belgio e dell’Olanda.
- Non sono soddisfatto della mia vita, -le mormorò, quasi si vergognasse di confidarle ciò, -e questa giornata diversa, tutto merito tuo, non potrò dimenticarla mai.-
- Se ti fa piacere, -affermò Véronique arrossendo lievemente in volto, -possiamo passare insieme la prossima fine settimana, sarei contenta se andassimo a Brugge e sentite le buone previsioni meteo che affermano l’insistere di una vasta area di alta pressione sia in Francia che in Belgio ed Olanda per ancora parecchi giorni, avremo un bel ricordo da conservare per quando non avremo occasione di vederci più. -
Alberto le prese la mano destra e la sfiorò con un bacio.
- Non credo alle mie orecchie, -le sussurrò sorridendo, -sono un uomo fortunato nell’avere avuto una simile proposta da parte tua. -
Véronique guardò a fondo gli occhi di Alberto e pensò quanto le mancasse in quel momento Victor.
Ma Alberto meritava di avere di lei una impressione migliore di quanto fino allora gli avesse lasciato, un ricordo bello che lo consolasse almeno in parte di quel amore che, da giovane, lei stessa si era accorta che sentiva per lei.
Così, i due presero un appuntamento per il venerdì pomeriggio alle sedici e trenta.
Véronique aveva insistito per usare la sua auto nuova in modo da farle fare un po’ di rodaggio dal momento che era un ottimo “ driver “e che le piaceva guidare.
Alberto la salutò affettuosamente e tornò al Conservatorio per finire le lezioni di quel bellissimo mercoledì.


Quella notte Véronique dormì male, agitatissima.
Fece un lungo e brutto sogno, dai contorni confusi ma dal contenuto preciso e vivace, tanto che al mattino ne ricordava ogni particolare.
C’era un violento temporale, quasi una tempesta, su Boncelles e la villetta dei genitori di Véronique stranamente si affacciava sul mare Tirreno come se quella casa fosse stata costruita, le sembrava, sul colle, a due passi dal Circeo.
Sia Déesiré che Caroline si trovavano su un grosso motoscafo insieme a Victor in mare aperto ed in balia di enormi onde.
Victor tuttavia riusciva a governare lo scafo e sempre più si avvicinava alla costa.
Lei era affacciata alla finestra della camera da letto in ansia e gridava, inascoltata, a Victor di fare attenzione alle figlie spaurite.
Improvvisamente, vide se stessa fuori dalla villetta vicina al muro di cinta, incapace assolutamente ad osservare quel mare e quel motoscafo con a bordo le sue bambine mentre riusciva ad udire chiaramente le urla sia di Déesiré che di Caroline che la chiamavano e gridavano.
- Mamma stai attenta ai fulmini ed alle saette, potresti farti male, molto male e non ti preoccupare per noi perché papà ci porterà in salvo. -
Véronique non aveva paura ma di colpo la violenta fiammata di una scarica elettrica la colpì nella parte bassa dell’addome all’altezza della vagina.. Il dolore fu tale da svegliarla, madida di sudore, mentre appena in piedi scoprì che la sua vagina presentava un forte spasmo che si diffondeva pure alla pelvi.
Véronique era stata dal ginecologo la settimana precedente e quello l’aveva riassicurata che ogni cosa era in ordine e che forse il vaginismo, di cui soffriva saltuariamente, poteva dipendere da un precoce climaterio, quel lungo periodo di tempo che precede la menopausa.
Egli le aveva prescritto una cura di ovuli e creme vaginali e l’aveva congedata dicendole che per i prossimi tre anni avrebbe potuto rimanere incinta se non avesse usato delle normali precauzioni.
Comunque quel sogno l’aveva messa in uno stato d’animo di nervosismo che cercò di placare telefonando subito a Déesiré.
La chiese se stessero tutti bene ed alla risposta positiva della sua primogenita sentì il battito del cuore calmarsi improvvisamente ritornando serena come era stata fino a quel sogno orribile.
Véronique, tuttavia, credeva alle premonizioni e così spostò il suo pensiero alla gita che aveva programmato con Alberto e che certamente non sarebbe stata una semplice passeggiata in macchina.
Cosa mai aveva voluto comunicarli quel sogno?
Avvisarla di un pericolo riguardante lei e della possibile relazione che sarebbe nata con Alberto?
Véronique, in realtà, aveva pensato a questa possibilità ed era stata tentata di mettersi con Alberto anche se l’uomo sarebbe rimasto in Belgio. Alberto le piaceva ed avrebbe avuto con lui, sicuramente, dei rapporti sessuali.


Per quanto avesse rimosso dal cervello le sensazioni sgradevoli del sogno, Véronique non poteva allontanare dal suo subcosciente una paura assurda ma per lei reale che, se si fosse messa con quel uomo, questa situazione non sarebbe stata sostenibile perché le sue figlie l’avrebbero criticata duramente e lei stessa non sarebbe rimasta quella donna senza macchie come era riuscita a mantenersi per tutta la sua vita.
Le frasi di Alberto erano state salutari per lei.
Da quando si era separata da Victor non si era sentita mai importante per qualcuno ed Alberto invece l’aveva ricaricata nel morale ed anche fisicamente tanto che avvertiva la necessità di vederlo nuovamente per sentirsi viva e non già una mummia da museo.
Il tempo sembrava non passasse mai mentre invece volava e quella forse sarebbe stata l’ultima occasione per mettersi con un uomo rispettoso e dignitoso e che tra l’altro, ne era certa, l’amava e di cui condivideva il piacere per la musica.
Nell’ansia di dirimere la questione pensò che avrebbe pregato la Vergine, madre di Cristo perché la illuminasse.
Quella stessa mattina Véronique si recò al Santuario nelle vicinanze di Spa dove, oltre alla Cappella con gli ex voto, nel bosco sorge la Chiesa.
Non c’era molta folla ed anche il piazzale di fronte era piuttosto vuoto di auto e di torpedoni tanto che non fece nessuna fatica a parcheggiare.
All’interno si celebravano contemporaneamente più Messe e tra i confessionali ve ne erano parecchi senza fedeli in attesa.
Véronique ne scelse uno a caso ed inginocchiatasi attese che un prete aprisse la grata e cominciasse a parlare.
- Perché, -chiese con un timbro di voce piacevole e profondo, -vuoi confessarti? -
- Perché, -rispose leggermente titubante la bionda pianista di Boncelles, -non so come comportarmi, forse per la prima volta in vita mia, in una situazione che da un lato mi magnetizza e dall’altra mi provoca un profondo malessere spirituale. -
- Sono venuta qui più per chiedere un consiglio che per confessare peccati che in realtà credo di non avere mai commesso. Mi trovo ad un bivio della mia vita e da ciò che deciderò dipenderà la mia esistenza. -
Véronique raccontò per filo e per segno tutta la sua vita a quel sacerdote senza dimenticare nulla ed alla fine gli chiese.
- Cosa devo fare, padre, e come mi giudicherà il Signore Iddio quando morirò? -
- Devi agire come il tuo cuore e la tua mente ti suggeriscono per sentirti in ordine con la tua coscienza ma, dal momento che sei separata da tuo marito, ciò non significa che tu non sia ancora sposata con lui. Il matrimonio è un sacramento per la Chiesa Cattolica che durerà per tutto il tempo che vivrete o tu o tuo marito. Soltanto la morte può spezzare questo vincolo ed in quel momento voi due sarete liberi e quindi non devi pensare ai figli che hai partorito e che non hanno nessuna responsabilità sulle tue decisioni. Tutte le conseguenze delle tue azioni od omissioni cadranno sul tuo libero arbitrio ma saranno giudicate da nostro Signore per il loro peso morale ed etico religioso. Io ti assolvo da qualsiasi peccato da te compiuto fino a questo momento, il dopo dipenderà da te. -


Ancora una volta, per Véronique, risultò che l’unico valore assoluto della sua esistenza era e sarebbe rimasto quello della famiglia, che aveva creato da giovane con Victor e che aveva fatto crescere come una preziosa pianta quasi per trenta anni e che, senza ombra di dubbio, avrebbe ancora rinvigorito con tutte le sue forze dedicandosi, questa volta, soprattutto a Caroline quella figliola che forse aveva un po’ trascurato specialmente negli ultimi tempi.
Il pensiero di Caroline le era penetrato nella mente prepotentemente specie dopo la sosta al Santuario.
Altroché il bel Alberto! Caroline, con il carattere che si ritrovava, avrebbe potuto perdersi esclusivamente per colpa sua e per la mancanza delle carezze della sua mamma.
Oltre che fisicamente assomigliava a Victor anche nelle reazioni talvolta inconsulte ed irrazionali di cui era pregna e la sorella maggiore non avrebbe potuto badare a lei perché troppe altre cose aveva da fare tra il lavoro e l’educazione di Francesco.
Così Véronique, avendo presa questa decisione irrevocabile, telefonò ad Alberto e mentendo gli disse.
- Alberto, mi dispiace molto di dover modificare quanto avevamo stabilito per venerdì. Ho ricevuto una telefonata questa mattina dalla mia primogenita che mi ha pregato di tornare a Roma al più presto perché martedì della prossima settimana Caroline deve essere operata di appendicectomia. Per questo motivo partirò per l’Italia domenica e quindi la nostra gita a Brugge la faremo ma solo sabato, dalla mattina alla sera. So che questo contrattempo ti dispiacerà moltissimo ma purtroppo non posso che fare così. -
Alberto fece finta di non essere addolorato e non le accennò che ben altre erano le sue intenzioni tra cui, in primo luogo, quella di vivere con lei avendola per compagna fino a quando lei avesse voluto sposarlo, una volta divorziata, innamorato come era.
Durante la gita a Brugge, incantevole città quasi fosse una miniatura di Venezia ma diversa per il gotico ed il barocco imperante ovunque, Véronique si comportò affettuosamente e con delicatezza nei confronti di Alberto ma fece in modo che egli non si avventurasse in speranze che mai sarebbero divenute realtà.
Si scambiarono alcuni baci ma soltanto quelli e lei gli promise che quando sarebbe tornata in Belgio, probabilmente tra uno o due anni, lo avrebbe rivisto volentieri per passare con lui qualche ora deliziosa.










15





Quando il figlio di Marina ebbe compiuto i cinque anni, Victor ottenuto il divorzio da Véronique, pensò che era giunto il momento di sposare Marina dalla quale non aveva voluto, in accordo con questa ultima, avere altri figli.
Il matrimonio fu un semplice matrimonio civile e per quanto a Marina avrebbe fatto enorme piacere che Déesiré e Walter avessero fatto da testimoni vi rinunciò per non mettere i due in imbarazzo.
Caroline si trovava in quel momento a Boston e stava frequentando il secondo anno del corso di Laurea in Giurisprudenza a Harvard, con domicilio nel famoso quartiere di Jamaica Plain, spazioso ed arioso, un ottimo quartiere residenziale nella parte occidentale della città.
Ne’ Véronique né Déesiré avrebbero desiderato che la giovane, divenuta una vera bellezza latina, così estroversa ed in certo senso ingenua, si allontanasse tanto da Roma e per tempi tanto lunghi, per vivere l’esperienza universitaria americana, in una città dove gli individui si presentavano allo stesso tempo a doppia faccia tra il puritanesimo imperante ed un colossale miscuglio di razze e di etnie diverse.
Negri ed irlandesi in primo piano, ma poi chiunque altro che fosse arrivato a Boston ed in seguito avesse voluto inserirsi in quella città, doveva spingersi verso il commercio e l’industria in cui oltre a gente onesta, faccendieri e gente di pochi scrupoli cercavano in ogni modo di arrivare alla ricchezza, costasse questa qualsiasi prezzo o compromesso.
Déesiré poi era al corrente, attraverso l’Interpool, di quanti pericoli, palesi o nascosti associati a falsità ideologiche, potessero invischiare la sorellina e dell’enorme mola di processi, specialmente di stupro, assillassero il palazzo di Giustizia della capitale del Massachusetts.
Madre e primogenita ne discussero molto insieme arrivando però alla conclusione di non ostacolare Caroline, anzi di favorirla, dandole affettuosamente ogni consiglio per evitare di frequentare ambienti che esulassero da Harvard dove la disciplina era considerata ferrea.
Per quanto fossero state tante le raccomandazioni su come comportarsi all’Estero, per Véronique fu assai duro separarsi da Caroline.
Né era valsa la promessa di Caroline di tornare durante le vacanze estive in Italia per rasserenare e la mamma e la sorella.
Da quando Véronique era tornata da Boncelles ed erano passati ormai poco meno di dodici mesi, si era dedicata anima e corpo alla sua seconda e più giovane figliola cercando di trasmetterle quanta maggiore nobiltà d’animo possedeva ed il concetto dei valori morali che erano sempre stati il motivo conduttore della propria esistenza.
Era riuscita sicuramente nell’intento e di questo ne era orgogliosa.
Caroline era in effetti profondamente cambiata.
Da sbarazzina, a giovane equilibrata anche se doveva sempre combattere con i propri istinti pazzerelli, in tutto ma soprattutto in campo sessuale, trovando difficile controllare non soltanto la passionalità del suo carattere ma pure quella dei suoi sensi sempre all’erta e pronti a cedere.
Lei stessa lo aveva constatato molte volte ma l’ultima era stata una cosa molto problematica, esattamente quando aveva compiuto la maggiore età e non avrebbe dovuto più dare retta ai consigli di sua madre.
In quella occasione Caroline era stata sul punto di cedere alle insistenze del suo innamorato del momento.
Si era accorta che non le bastavano i baci di lui e soltanto con un grande sforzo di volontà era riuscita a svicolare da quel abbraccio così seducente ed altrettanto appiccicoso, tale da farle perdere la testa completamente.
Fu proprio allora, ricordando tutti i consigli e le prediche di Véronique a riguardo, che decise in modo inequivocabile di rimanere vergine forse fino al matrimonio e che Roma era troppo piena di bei ragazzi nei riguardi dei quali, se non se ne fosse andata il più lontano possibile, le sarebbe stato impossibile resistere.
Così, presa Véronique in disparte, disse, una settimana dopo il suo compleanno.
- Andrò a Boston a Harvard e mi iscriverò alla facoltà di Legge, viste le mie referenze sia di studio, con un voto di maturità massimo e la perfetta conoscenza della lingua inglese, sia familiari, con una sorella che ormai si è fatta conoscere alla grande nella Magistratura e che mi procurerà delle ottime e pesanti spinte da parte del corpo Accademico Universitario della Sapienza dove è sempre gradita ospite ed amica di molti importanti docenti. Come vedi, cara mamma, ho pianificato tutto e sono certa che l’America mi farà molto bene e mi permetterà di maturarmi più in fretta che in Italia. -
- So che tu ne soffrirai, ma nulla ti impedisce di venire quando vuoi da me, nel bel appartamento che ho già affittato tramite Internet, in una delle zone più eleganti della città.-
Quante volte Véronique, trepidante, aveva sospettato che quel momento sarebbe capitato e quali sentimenti di vero dolore aveva già sofferto nell’attesa che la sua Caroline prendesse la decisione di andarsene da casa a vivere la sua vita.
Era del resto logico che una ragazza come la sua secondogenita volesse provare a temprare il proprio carattere lontano dalla sua mamma.
Ma che volesse addirittura andarsene in un altro Continente a studiare fu un vero colpo allo stomaco di Véronique, un colpo mancino ed assai difficile da assorbire.
Prima che partisse, Véronique, la riempì di affetto e di carezze, trattenne le lacrime con un grande sforzo di volontà, la baciò ed abbracciò mille volte e le diede appuntamento a Roma per l’Estate.


Pur essendo Véronique ormai rassegnata al divorzio ormai passato in giudicato, in un primo momento, ebbe un pensiero di ribellione quando seppe del matrimonio di Victor con Marina ma subito dopo pensò al piccolo Manuel che aveva tutti i diritti di avere un papà ed una mamma regolarmente sposati.
Piuttosto, in quei giorni, senza la presenza di Caroline si sentì veramente sola, triste e senza più uno scopo importante nella vita.
Era stata, alcuni mesi prima, nuovamente dai suoi vecchi a Boncelles ma aveva evitato di rivedere Alberto per non avere ulteriori tentazioni.
Era rimasta in Belgio soltanto una settimana. Aveva constatato che sia sua madre che suo padre non erano peggiorati.
Duri come due querce, continuavano a vivere male ma a vivere.
Questo era già importante per Véronique e quindi, dopo avere ponderato attentamente il daffare , decise di effettuare una visita improvvisa alla sua Caroline a Boston.
Non doveva chiedere il permesso a nessuno ed informò di questo viaggio in America soltanto Déesiré che condivise con simpatia questa iniziativa della mamma.
A Boston, all’arrivo, telefonò dall’aeroporto a Caroline e fortunatamente data l’ora tarda, erano le ventitre, riuscì a trovare in casa sua figlia che sul momento non capì che Véronique fosse a Boston.
Ma fu solo un attimo perché, appena ebbe la sensazione dal vociare nell’enorme sala d’attesa dell’aerostazione che Véronique si trovasse all’aeroporto della maggiore città del Massachusset, urlò con tutta la sua squillante e potente voce.
- Mamma, mamma che bellezza, sei venuta a trovarmi! Prendi subito un taxi e corri da me. -
Véronique rise come non faceva più da tanto tempo; l’esplosione di gioia di quella figliola era stata così improvvisa e spontanea che le aveva fatto dimenticare in un attimo tutta l’amarezza che aveva nel cuore.
Sapeva che Caroline viveva con un'altra studentessa, cui aveva ceduto l’uso gratuito di una stanza, felice di aiutare una compagna meno fortunata economicamente di lei e che, con grandi sacrifici, frequentava ugualmente il secondo anno dello stesso corso di Laurea.
Del resto non le costava nulla essere gentile e generosa con Jennifer Adrian, una ragazza dei dintorni di Lexington nel Kentucky, figlia di uno stalliere di una famosa scuderia di cavalli da corsa e che era stata ammessa a Harvard unicamente per meriti scolastici essendo risultata la più brava studentessa dell’High School del suo Stato, dal momento che l’appartamento di Caroline era veramente grande e spazioso.
Véronique, giunta a casa di Caroline, fu accolta con un calore inimmaginabile.
Caroline non fiatò, prese in braccio sua madre e la buttò sul letto a due piazze della sua bella camera con un grande letto a due piazze e soavemente cominciò ad accarezzarla quasi voluttuosamente.
Mammina, -sussurrò trepida e commossa, -sapessi come sono felice che tu abbia ascoltato il tuo cuore ed allo stesso tempo i miei desideri. Vorrei che tu rimanessi qui fino alla chiusura dell’anno scolastico. Io e te dobbiamo restare insieme il maggior tempo possibile e poi ho tante cose da raccontarti. -
La maggior parte della notte passò tra una chiacchierata e l’altra, fino a che le due donne caddero in un sonno profondo.


Jennifer Adrian conobbe la mamma della sua amica soltanto nel pomeriggio inoltrato del giorno dopo l’arrivo di quella.
Al mattino, avendo capito che Caroline dormiva profondamente con qualcuno della sua famiglia probabilmente sua sorella o sua madre, non volle disturbarla e si recò da sola all’Università.
Jennifer salutò, verso sera, mamma Véronique affabilmente anche se si sentiva leggermente in soggezione di fronte a lei.
Era una ragazza estremamente educata, un po’ più bassa di Caroline ma dai lineamenti totalmente diversi mentre la sua figurina era molto gradevole a vedersi.
Gli occhi di un blu scuro emanavano un magnetismo assoluto tanto che si capiva a volo che era senza alcun dubbio una ragazza assai intelligente. I capelli rossicci e le numerose lentiggini del volto, molto grazioso, la dicevano lunga sulla sue radici irlandesi come del resto le sue caviglie sottili e le mani piccole ma forti facevano intendere, quanto aveva saputo da Caroline, che fosse una abile cavallerizza.
- Signora, -disse in un buon italiano, -come può sentire la vicinanza con Carol mi ha contagiato tanto da farmi dedicare allo studio della vostra lingua che parlo non ancora bene. La descrizione fisica e psicologica fattale da parte di sua figlia non le rende giustizia. Non perché in fotografia io non la conosca già ma perché l’espressione del suo viso è talmente profonda e dolce da dire molto di più di quanto si possa dedurre da qualche foto e dalle parole di una fan come può essere considerata Carol. -
Véronique rimase stupefatta dalla sicurezza dimostrata da Jennifer, dal fatto che avesse modificato il nome a sua figlia e dalla abilità di quella nell’esprimersi nel “ Dolce Idioma della terra del Sì “
- Cara ragazza, -rispose sorridendole, -sono molto felice di conoscerti ed innanzi tutto mi piacerebbe che tu mi chiamassi con il mio nome lasciando perdere quel “ signora “che fa tanto di gente estranea. Se mia figlia ti ha voluto in casa vuol dire che ti considera più di una amica e come tale appartieni anche tu alla mia famiglia. -
- Raccontami, - continuò, -come si comporta mia figlia qui a Boston e quanti ragazzi le girano intorno come api intorno al miele? -
Jennifer pensò un momento, poi esclamò.
- Troppo bene, Véronique! Sono io la pecora nera della situazione, ma lei è di un altro stampo, sembra che non abbia interesse per nessuno tranne che per mio fratello John che tuttavia viene raramente a trovarci. Lo ha conosciuto durante un week-end a casa mia nel piccolo paese dove sono nata vicino a Lexington e dove vivono ancora i miei genitori. Anzi mi piacerebbe tanto se andassimo a trovarli un giorno o l’altro, con un volo potremmo arrivare lì un venerdì sera e tornare a Boston per le lezioni del lunedì che iniziano alle dieci di mattina. -
Véronique guardo il viso di Caroline che era diventato improvvisamente paonazzo.
- Sei innamorata di John, -chiese con grande curiosità, -allora perché non me lo hai detto? -
- Se te lo avessi detto prima, -sospirò Caroline, -ti saresti preoccupata, ma adesso che sei qui te lo avrei presentato e bene ha fatto Jennifer ad anticiparmi. -
Così, in quello strano modo, Véronique seppe che sua figlia era veramente cotta di quel giovane avvocato penalista di Lexington che lavorava in uno Studio discretamente avviato di quella città, che guadagnava al netto dalle tasse non più di trentasei mila dollari all’anno, che abitava in un bilocale vicino al posto di lavoro e che aveva intenzione di sposare sua figlia non appena lei si fosse laureata.


Non fu facile per Véronique digerire una simile notizia che avrebbe certamente sconvolto tutti i programmi che aveva fatto su Caroline e che lei stessa aveva condiviso, di ritornare in Italia una volta ottenuto il titolo di dottore in legge.
Ma non volle fare vedere alle due ragazze la sua delusione mettendo il carro davanti ai buoi.
Ci volevano ancora due anni e mezzo o forse tre prima di arrivare alla laurea e tante cose potevano ancora cambiare,
Per il momento avrebbe accondisceso al desiderio delle due ragazze di fare un salto nel Kentucky ed avrebbe perdonato sua figlia del silenzio che aveva mantenuto sulla sua vita privata pur essendo venuta a Roma, sebbene per appena una settimana alla fine dell’ Estate precedente.
La speranza di Véronique era quella che Caroline avesse avuto soltanto una infatuazione passeggera, forse legata anche alla professione di John ed alla fraterna amicizia con Jennifer.
La sorella di John le era molto simpatica. Era pure avvenente e molto acuta di cervello ma non era il tipo di manipolare una amica e quindi era chiaro che se Caroline si fosse, effettivamente, innamorata di quel uomo ciò non poteva essere altro che il frutto dei palpiti del cuore e dell’anima di quella selvaggia della sua secondogenita.
Probabilmente erano stati gli occhi, dello stesso stupendo colore di quelli di Jennifer, e le sue labbra sensuali a conquistarla come poteva dedurre da una foto che Caroline le aveva mostrato, tirandola fuori dal cassetto del comodino accanto al letto.
In ogni caso Véronique lo avrebbe conosciuto di persona e lo avrebbe giudicato secondo un metro diverso da quello di sua figlia, sperando di trovargli qualche difetto importante sfuggito a Caroline e tale che quel innamoramento americano fosse provvisorio e destinato a passare in breve tempo.


Quando Véronique vide John, all’ Aeroporto mentre abbracciava contemporaneamente Caroline e Jennifer, capì in un attimo cosa avesse di speciale John ed il perché la sua bambina se ne fosse invaghita tanto.
Egli era il classico bravo ed atletico americano, un ragazzone semplice e sorridente, il figlio che ogni genitori avrebbe voluto avere, pieno di premurose attenzioni per gli amici e familiari, duro nei confronti di coloro che si fossero dichiarati nemici e conseguentemente non si comportavano bene non tanto con lui quanto con la gente comune, forte e profondamente credente del Cattolicesimo ma che non aveva l’abitudine di ostentare la sua fede religiosa e nessun timore di essere giudicato un vero oriundo irlandese.
Nei suoi confronti, Véronique, aveva scoperto che John la trattava lealmente e con un rispetto addirittura esagerato ma comunque gradevole e tale da confonderle le idee.
Anche i genitori di John e di Jennifer erano due brave persone. Forse troppo gentili nei suoi confronti che, a dire il vero, era per loro una persona estranea.
Véronique era stata ospitata alla grande nella minuscola Fattoria di Oscar che, oltre allo stalliere di un allevatore importante nel Kentucky, possedeva una dozzina di puledri da corsa che accudiva ed allenava lui stesso nella speranza che un giorno avesse potuto possedere un grande campione di galoppo.
Fin da bambina Jennifer era stata abituata ad essere in contatto quotidiano con i cavalli di suo padre, aveva imparato a trattarli nel modo più giusto in modo che non avessero paura di lei e poi, divenuta una ragazza, a montarli.
Tutte le speranze di suo padre erano, fino allora, svanite nel nulla e tra quei puledri non era mai cresciuto quel campione che avrebbe capovolto la situazione economica sua e della propria famiglia.
Oscar amava perdutamente sua moglie, irlandese di origine e di nome Barbara, una semplice donna senza grilli per la testa e del tutto somigliante nel volto ai suoi figli.
Per loro si era sacrificata tutta la vita, lavorando anche fuori casa in un grande emporio commerciale ed era merito suo se John e Jennifer avevano potuto studiare seriamente.
L’orgoglio che quella donna dimostrava per quei figli erano tutto ciò che possedeva e mai avrebbe potuto immaginare che anche Véronique era della sua pasta con la sola differenza che questa era ricca e lei appena al limite inferiore del benessere
Nel complesso il quadro che si presentò agli occhi di Véronique era idilliaco.
A quella bella famiglia lei non poteva che contrapporre a Caroline che la sua egoistica gelosia materna e soltanto l’amore che Caroline aveva per suo padre Victor avrebbe potuto fare, forse, il miracolo di rispedirla in Italia una volta laureata.
Véronique, appena fosse ritornata a Roma, avrebbe immediatamente contattato Victor, molto difficilmente egli non le avrebbe dato udienza


La domenica mattina, Véronique, si svegliò all’alba mentre il sole sorgeva all’orizzonte lontano nella campagna oltre i confini del Kentucky e di Lexington verso la Virginia.
Era uno spettacolo vederlo salire su nel cielo ad Oriente tra poche bianche nubi tinte di rosa ed illuminare i campi di granturco intorno alla Fattoria degli Adrian ed il grande recinto dove pascolavano liberi i puledri di Oscar.
Dalla finestra della stanza, dove aveva dormito sul lato est dell’abitazione, non vedeva nessuno camminare giù nel giardino che la circondava.
Jennifer e sua figlia erano rimaste con John a Lexington per passare una serata diversa con gli amici e le amiche del figlio di Barbara ed avrebbero dormito a casa di John.
Véronique non aveva voluto chiedere altro ai tre giovani ma le era rimasto il dubbio che la sua Caroline avesse diviso il letto con John.
Véronique trovò Barbara indaffarata nella preparazione del pranzo quando, vestita con il miglior abito che si era portata appresso, scese le scale per recarsi nella grande sala del piano terra dove gli Adrian avevano a disposizione una spaziosa cucina divisa da un arco dal resto del pranzo-soggiorno.
Le chiese in quel poco e cattivo inglese che conosceva cosa pensasse di John e di Caroline.
Barbara squadrò il bel viso di Véronique ed i suoi biondissimi capelli ed esclamò .con un sorriso accattivante.
- Tua figlia mi piace, è bella ed intelligente, non mi metterei il lutto se quei due si sposassero anche perché una laureata in legge di Harvard darebbe un gran prestigio allo Studio legale dove lavora mio figlio ed in ogni caso egli farebbe una brutta figura se non lo facesse. -
Véronique pensò a quanto diversa fosse l’America dall’Europa. Qui non si parlava d’amore ma soltanto di bellezza e di lavoro.
Il loro puritanesimo si limitava unicamente a quello che la gente avrebbe potuto pensare se un uomo ed una donna, pur andando a letto insieme, non si fossero sposati.
La libertà sessuale americana, almeno lì nel Kentucky, era tale che ognuno poteva disporre del proprio corpo come meglio desiderava, ma nessuno avrebbe dovuto sapere i fatti degli altri, anzi questi dovevano rimanere segreti.
Caroline meritava un grande amore e Véronique ancora non aveva capito se quello che la sua bambina sentiva nei confronti di John fosse tale.











16





Oscar spuntò improvvisamente dalla porta d’ingresso.
Era già stanco ed affaticato, disse, parlando lentamente in inglese, per pura cortesia nei riguardi di Véronique.
- Devo farmi una doccia. Anche oggi mi sono alzato alle quattro per fare il mio lavoro di stalliere nell’allevamento di Mr. Carter e devo dire che comincio a sentire il peso della mia età. -
- Che sta dicendo, caro amico, lei se li porta molto bene i suoi anni, -replicò Véronique, -non credo che abbia più di sessanta anni! -
- Un paio di più, - disse alla bionda belga, -non ho certo la sua età che penso non sia superiore ai cinquanta. -
- Cinquantadue, -rispose ridendo la mamma di Caroline, -e non le nascondo che mi sento ancora giovane, forse di più di quanto lei possa immaginare. -
Improvvisamente Oscar, dopo aver baciato la moglie, le disse.
- Cosa ne diresti se noi invitassimo la mamma di Caroline a rimanere qui per qualche altro giorno tanto da farle vedere la nostra Regione con calma? -
Barbara fu d’accordo con il marito e Vèronique accettò quel inatteso prolungamento della sua visita a Lexington senza consultare né Jennifer né Caroline.
All’ora di pranzo sia John che le ragazze furono puntali per gustare il tacchino preparato da Barbara, cibo che riservava per le grandi occasioni, oltre alla gustosissima torta di mele.
Ma Barbara aveva preparato tante altre cose buone, dal granturco arrostito da lei stessa ai gustosi manicaretti a base di formaggi vari che Véronique non aveva mai gustato.
Tutti fecero uno strappo alla dieta, molto più abbondante cui erano abituati, per non dare un dispiacere a Barbara che aveva perduto tutta la mattinata a cucinare.
Soltanto verso le undici di mattina Oscar aveva accompagnato Véronique e la moglie alla messa nella piccola chiesa del paese dove le due donne si erano comunicate con grande devozione.
Tutte e due le donne si erano raccolte in preghiera di fronte all’altare del giovane parroco ed entrambe avevano ricevuto la benedizione di costui. Véronique non aveva capito nulla del sermone pronunciato da quello ma era rimasta assorta nelle sue suppliche alla Madonna perché la illuminasse riguardo a Caroline.
Alla fine della messa, Véronique si era sentita sollevata nello spirito accorgendosi pure che Barbara aveva una altra faccia, più serena di quanto fosse stata a casa.
Quando Véronique, a pranzo, disse ai tre ragazzi che non sarebbe tornata a Boston con il primo volo dell’indomani e che sarebbe rimasta ancora una o due settimane dagli Adrian, su invito di quelli, Caroline e Jennifer rimasero stupiti ma John espresse una grande felicità perché così avrebbe potuto conoscere meglio Véronique
Caroline si avvicinò alla mamma, si appoggiò lieve sulle sue gambe, la baciò e disse.
- Fai pure ciò che ti aggrada e così io e Jennifer faremo un tour de force per preparare gli esami in programma in modo che, quando tornerai a Boston, ti dedicherò tutto il tempo possibile rimanendoti vicina fino alla tua partenza per l’Italia.


Il giorno dopo lunedì, dopo il lavoro mattutino come al solito con sveglia alle quattro, verso le undici Oscar chiese a Véronique se volesse fare un giro intorno alla sua proprietà. Avrebbero poi pranzato a casa dove Barbara, indaffaratissima per le faccende domestiche, stava cucinando una profumata zuppa di pesce che solo lei era capace di preparare cosi gustosa.
Dopo il pranzo egli si sarebbe riposato per un paio d’ore ma Véronique, se lo avesse voluto, poteva prendere la sua auto, una Ford Diesel ed avrebbe potuto girare per la Contea quanto avesse voluto fino ed oltre Lexington.
Véronique rispose che in quella giornata avrebbe volentieri passato molte ore in automobile e quindi tutto quanto Oscar avesse programmato le andava a pennello e che anzi non vedeva l’ora di poter ammirare almeno qualcosa del Kentucky.
Oscar era un abile e simpatico accompagnatore e per prima cosa mostrò a Véronique i confini della sua modesta Fattoria ed i suoi puledri davvero belli ma subito dopo, senza sostare, le fece vedere delle sterminate distese di terreno coltivato a tabacco.
Le disse, sornione..
- L’industria manifatturiera del tabacco è una delle maggiori risorse del nostro Stato ed io, da buon americano, fumo moltissimo per fare incrementare le vendite dei sigari e delle sigarette anche se il Governo centrale vorrebbe che nessun americano fumasse più. -
- Secondo me, -aggiunse ridendo,- lo dicono per fare incrementare le vendite all’Estero e così per migliorare la bilancia dell’import-export. -
Effettivamente Oscar fumava come un turco e lei se ne era chiesta la ragione dal momento che era assolutamente proibito fumare in luoghi chiusi ma anche negli aeroporti, bar, stazioni ferroviarie, ristoranti e così via.
Véronique affermò, -Oscar, non dovrebbe fare così. Ha ragione il Governo degli Usa quando tempesta la gente sui pericoli del fumo, non sono chiacchiere inutili o dispetti per il popolo ma cose estremamente serie. -
Oscar, per tutta risposta, accese una sigaretta dopo aver aperto il finestrino dell’auto dalla parte del guidatore e senza aggiungere altro le fece vedere due fattorie una piena di pecore l’altra colma di cavalli che era poi quella dove egli lavorava come stalliere.
- Mia cara Véronique, -sospirò, -ma perché non ho avuto la fortuna di far crescere un solo vero Campione? Se non avessi due bravi figli chissà che brutta fine avremmo fatto io e Barbara e cosa potrebbe succederci, tra qualche anno, nel momento che nessuno di noi due potrà più guadagnare a sufficienza. -
Véronique commossa replicò supplicandolo, -ci penseranno John e Jennifer a farvi passare una bella vecchiaia ma intanto mio caro Oscar smettila di fumare! -
La sensibilità di Véronique era sempre la stessa. Aveva capito che Oscar soffriva di una grande angoscia depressiva e che quella era la causa del suo vizio incallito.
Intanto erano arrivate le tredici ed un quarto ed Oscar, come se si fosse improvvisamente svegliato da un sogno, le disse.
- Torniamo subito a casa, quella poverina di mia moglie ci aspetta per il pranzo. -


Verso le sedici, Véronique prese la Ford di Oscar e si diresse spedita verso Lexington. Aveva una mezza idea di fare una sorpresa a John e dopo aver fatto il pieno di gasolio puntò dritta allo Studio dove lavorava il figlio di Oscar.
Vide la grande Università della città, che poi era l’Università del Kentucky e con ciò capì che lo Studio di John era lì vicino.
Aveva una cartina topografica di Lexington e con quella impiegò pochissimo tempo per giungere sotto lo Studio Legale che era la sua meta.
Posteggiò la Ford e quindi suonò il campanello che erano appena le diciassette e quaranta minuti
Salì con l’ascensore fino al sedicesimo piano e le venne ad aprire la porta proprio John, l’unico che era rimasto nell’ufficio, essendo uscita già l’ultima segretaria qualche minuto prima dell’ora di chiusura dello Studio.
Véronique, prima di entrare, sbirciò l’orologio da polso. Segnava le diciotto meno dieci e qualche secondo dopo John, sorpreso, l’accolse con entusiasmo facendola accomodare sul divano di fronte alla sua grande e lucida scrivania.
Incuriosito di vederla, vestita di un abitino verde-scuro dall’ampia gonna plissettata, con le lunghe gambe incrociate ed il bel viso curato ancora nel pieno della maturità, incorniciato da quei capelli biondi stretti da un nastrino rosso e la bocca morbida sotto un nasino all’insù capriccioso, pensò per un attimo che Véronique fosse venuta da lui per provocarlo.
- Come mai da queste parti? -domandò arrossendo lievemente.
- Volevo stare con te per un poco, tuo padre mi ha imprestato la sua macchina e mi ha detto che potevo fare tutti i giri che desideravo. -
- Come una maggiorenne posso tornare a casa dai tuoi all’ora che voglio e quindi ho pensato di passare la serata con te. -
John a quel punto si era alzato dalla poltroncina della sua scrivania e si era seduto accanto alla bella mamma di Caroline.
Senza pensarci troppo appoggiò le mani sulle gambe di lei sollevandole la gonna ed accarezzandole le cosce.
John era come ubriacato dalla bellezza di Véronique che era rimasta come paralizzata dalla audacia di colui che avrebbe dovuto essere il suo futuro genero.
John possedeva delle mani morbidissime, calde e sensuali. Véronique era priva di una carezza ormai da anni e così, pur non approvando e facendo una certa resistenza non molto convincente, cedette alle espansioni di quel giovane senza fermarlo o protestare ed anzi con un piacere che mai aveva provato così intenso.
I due fecero all’amore in quello Studio Legale fino a mezzanotte quando Véronique, come se si fosse svegliata da un incubo atroce, con un grido scattò in piedi.
- Cosa hai fatto John, sei stato una carogna approfittando della mia debolezza ed è come se mi avessi stuprata! Ti sei comportato come un maschio affamato di sesso ed io non ho avuto il coraggio di ribellarmi, povera figlia mia, in che mani sei capitata! -
- Adesso come me la cavo con i tuoi genitori, -disse spaventata, -come faccio a tornare alle due di notte a casa loro! -
- Non devi preoccuparti, -esclamò in un attimo John, -ci penso io. Faccio una telefonata a casa e dico loro che non puoi tornare questa notte perché hai avuto un guasto all’auto di papà e che ho pensato di farti rimanere qui fino a domani sera quando il meccanico ti consegnerà la macchina. -
- E tuo padre come farà, poveruomo, ad andare a lavorare alle quattro e mezzo senza la sua Ford? -
- Non pensarci, -bisbigliò John, -mio padre ha anche la mia vecchia macchina che gli ho lasciato proprio nell’eventualità di un guasto alla sua. -
John immediatamente prese il telefono e comunicò alla madre quanto la sua fantasia gli aveva suggerito.
Barbara non fece nessun commento dicendo soltanto che le dispiaceva per la madre di Caroline ma che non era preoccupata perché ora sapeva che bionda signora belga era in buone mani.
John disse buona notte alla la mamma ed aggiunse pure di salutare Oscar anche da parte di Véronique.
Quella notte, tra le proteste di Véronique, l’avrebbero passata in un Hotel a Louisville, quella città che tanto gli piaceva dove il fiume Ohio lasciata la zona montuosa, con una sequenza di cascate, raggiunge la pianura alluvionale non distante dal confine tra il Kentucky e l’Indiana. Non era il caso di rimanere a Lexington dove molta gente lo conosceva e con la sua vettura non avrebbe impiegato che un ora per giungere in quel Albergo , sistemato sul fiume, molto riservato ed allo stesso tempo elegante.
Durante il percorso Véronique non disse più una parola e l’unica cosa che le uscì dalla bocca fu una domanda che le bruciava dentro.
Chiese a John se avesse fatto mai all’amore con Caroline.
Egli,guidando, rise e le rispose con noncuranza di sì con una certa aria di soddisfazione ma aggiunse che era stato difficile convincerla almeno la prima volta e che Véronique era molto meglio di sua figlia, più femmina, più passionale ed inoltre più bella.
Véronique era riuscita a sapere ciò che voleva e se pur disprezzandolo, avesse almeno detto di amare Caroline con tutto se stesso e che non avrebbe potuto vivere senza di lei.
Fu in quel momento che Véronique giurò a se stessa che, anche se sua figlia l’avesse odiata per il resto della vita, non le avrebbe tenuto nascosto che razza di uomo fosse John e questo avrebbe significato la completa rottura fra i due e conseguentemente che egli non sarebbe divenuto mai e per nulla al mondo il marito di Caroline.
Si era dimostrato troppo arrogante e superficiale, non certo quella persona integerrima e seria, quel uomo dolce ed affettuoso nonché protettivo che lei aveva immaginato ed il suo modo di agire avrebbe potuto andare bene forse per lei, a digiuno sessuale da tanto tempo, non per la sua bambina.


Victor chiese a Déesiré, nelle stesse ore che la sua ex moglie si trovava tra le braccia di John, cosa fosse successo a Véronique di cui non aveva avuto notizie da parecchio tempo.
Déesiré rispose.
- Papà, la mamma ha deciso improvvisamente di recarsi a Boston da Caroline, aveva troppa nostalgia di mia sorella. -
- Ma che diavolo di idee vengono a tua madre, -disse un po’adirato, - me lo poteva anche dire perché dovevo comunicare una cosa importante a Caroline, una cosa che non posso dirle al telefono… -
- Qui facciamo i misteriosi, sia tu che la mamma, -esclamò interrompendolo, -quasi quasi mi avete stancato tutti e due, -esplose.
- Ti sei risposato. Dimmi cosa pretendi dalla mamma forse che ti faccia le coccole come ad un cagnolino. Pensa quanto ha sofferto e fatti un esame di coscienza, caro papà! -
La verità era che Victor sentiva molto forte la nostalgia di Véronique perlomeno della sua presenza fisica.
Era molto strano come Victor concepisse una separazione e poi un divorzio quando ancora il pensiero di Véronique gli martellava il cervello pur amando, di un amore diverso, Marina ed il figlio che le aveva fatto concepire.
Molte volte aveva invidiato i mussulmani che potevano avere più mogli, tra cui una era la “ favorita “ e si era domandato all’infinito perché anche lui non avesse potuto fare altrettanto.
Victor pensava queste cose ma non le avrebbe mai dette a nessuno ed era diventato inoltre stranamente geloso non solo di Véronique ma anche di Caroline.
La nascita di Manuel non aveva mutato il profondo amore ed attaccamento che aveva per quella figlia birichina, che tanto gli somigliava fisicamente ed in certo senso anche caratterialmente.
Quali ricordi avrebbe potuto riferire ad altri senza avere un interlocutore che avesse vissuto almeno in parte le sue rimembranze, le sue gioie ed i suoi dolori?
Victor era tentato di riavvicinarsi maggiormente alle sue donne, parte essenziale della sua vita, non solo a Déesiré, che infine era quella che gli pareva parte integrante della sua gioventù, ma anche a coloro che sembrava non avessero più nulla da spartire con lui.
Guardò in profondità lo sguardo di Déesiré incuriosita per lo sfogo inatteso di Victor e decise di allontanarsi da Roma, per un breve periodo di tempo, per recarsi anche lui a Boston come già aveva fatto Véronique.


Per quanto John avesse tentato con ogni mezzo di seduzione di passare tutta la notte nel letto di Véronique, questa, dopo aver avuto il tempo di riflettere nell’auto di John sul male che aveva fatto anche se irrazionalmente a sua figlia, cercò di rimediare almeno in parte negandosi perentoriamente all’uomo.
- Cosa dirai, -chiese, -a mia figlia adesso? Forse che per te non era importante corteggiare e sedurre sua madre? -
- Ti rendi conto che mia figlia era vergine prima di incontrarti e che se è venuta con te ciò è stato per farti capire quanto ti amasse! -
Véronique, riflettendo in silenzio, ebbe una idea istantanea e quasi gemendo urlò.
- Scommetto che sei così imbecille che non hai avuto mai nessuna precauzione né certamente non le ha avute Caroline, povera figlia mia, tanto che non mi meraviglierei per niente se ora fosse incinta! -
L’idea che Caroline potesse aspettare un figlio di John la faceva impazzire e nulla poteva affievolire questa idea che implicava un sacco di problemi non solo morali ma anche pratici.
Fino alle cinque del mattino di martedì Véronique non riuscì a chiudere un occhio.
Era come un chiodo che atrocemente le si era infilato nel cervello.
Véronique si vergognava di non avere saputo tenere a bada i propri più segreti e bassi istinti pur giustificando a se stessa quanto aveva permesso a John, motivandolo con due fatti.
Il primo dei quali era lapalissiano: che lei era libera da qualsiasi legame e di conseguenza non doveva rispondere del suo agire a nessuno ad eccezione della propria coscienza, il secondo maggiormente importante in via assoluta : era che così aveva potuto sapere la verità su John e quindi capire di quale pasta fosse quel uomo.
Alla “reception “, nella notte precedente John, mostrando il suo documento personale di avvocato ma non consegnandolo, aveva dato un nome falso al portiere dell’albergo ed aveva detto che la sua accompagnatrice era sua cugina, la signora Felicia Smith.
Aveva fatto scivolare nelle mani di quello un biglietto da cento dollari sorridendo ed amicando ed infine aveva chiesto la sveglia per le sette del mattino seguente.
Véronique si ricordò di quel episodio mentre si rigirava nel letto ed improvvisamente prese la decisione di sparire.
Il portiere di notte non le avrebbe chiesto nessuna spiegazione e lei si sarebbe liberata di John lasciandogli un semplice biglietto.
Véronique furtivamente si alzò, si vestì, prese la borsetta e con le scarpe in mano entrò nella stanza da bagno. Lì, dopo aver acceso una piccola luce si sciacquò il viso e quindi scrisse su un foglietto di carta.
- Inventati qualsiasi cosa con i tuoi genitori, tanto a te non manca la fantasia. Me ne vado e credo che non ci vedremo mai più. Torno a Boston e non telefonare né fatti vedere, mai più. da Caroline. -
Aveva indovinato. Passò davanti al portiere di notte che disse solamente “ buon giorno signora Smith “
Alle sei in punto prese il primo aereo per New York, poi con un secondo volo raggiunse Boston per recarsi immediatamente ad Harvard, dove avrebbe parlato in privato con Caroline.
Fece chiamare Caroline da un bidello ed attese sua figlia in una delle sale colloqui della Facoltà di Legge, trepidante.











17





- Cosa ci fai tu qui ad Harvard mamma, -chiese Caroline spaventata, -è successo qualcosa di grave ad Oscar ed a Barbara oppure a John. Non tenermi in ansia, per favore parla! -
- Devo chiederti urgentemente una cosa, figlia mia, -esclamò Véronique scrutando il viso di sua figlia e tentando di leggerle nello sguardo stanco, come se non avesse dormito affatto, -mi devi giurare che mi dirai la verità, amore mio! -
- Certamente,- rispose Caroline ancora più pallida, -se è così importante per te, ti prometto che non ti mentirò. Cosa vuoi sapere? -
- Quando devi avere le mestruazioni? -
- Tutto qua mammina! Penso tra una settimana. -
- Ma tu come ti senti, tesoro, hai qualche disturbo? -
- Cosa dici che disturbi dovrei avere,-aggiunse Caroline arrossendo, -sto benissimo. Ma adesso devi dirmi perché sei così preoccupata, un motivo ci deve essere e dovrebbe essere un motivo importante. -
Véronique accarezzo i capelli di sua figlia e titubante, stringendola al seno sussurrò.
- Non devi sposarti con John, è un farabutto. Mi ha adescata ed io sono stata così cretina da cascare nella rete che mi ha teso. Ho avuto un rapporto sessuale con lui e me ne vergogno. Ho saputo che anche tu ne hai avuti, questo dopo che ho fatto all’amore con lui. Quel bastardo mi ha detto che preferiva far sesso con me piuttosto che con te! Speriamo che non ti ha messo incinta, figlia mia! -
Mentre Caroline per poco non sveniva, Véronique si era messa a piangere come una bambina che avesse perduto la cosa cui maggiormente teneva , come se avesse truffato la persona più cara della sua famiglia.
- Non mi perdonerai mai, -singhiozzò straziata, -ti ho levato la più bella illusione della tua vita. Ma lui non ti merita perché non ti ama ed almeno questo lo devi capire. Non importa se mi odierai in eterno ma io ti ho salvata da un lurido individuo! -
Sembrava che Caroline non avesse preso coscienza di quanto sua madre le stava dicendo così concitata ma tuttavia un fatto era inequivocabile : la mamma, colei che l’aveva messa al mondo l’aveva tradita con colui che lei aveva deciso da tempo di sposare.
Véronique era stata abominevole. Non aveva avuto due volte pietà di lei.
Era venuta in America con un progetto ben preciso, per spiarla e poi per farle rompere il rapporto amoroso con qualsiasi uomo di cui lei si fosse invaghita.
Caroline non riusciva più a concepire che quella donna fosse sua madre, non era importante se lei non avesse mai più rivisto John ma era fondamentale che Véronique avesse tradito la sua fiducia, proprio la sua mamma cui era stata legata fino a quel momento in modo assoluto e perfetto e che aveva sempre stimato come la purezza personificata.
Cartoline si divincolò dal suo abbraccio che ora sentiva soffocante e correndo sparì al di là dell’uscio di quella saletta dei colloqui.


Intanto Victor volava in prima classe sull’oceano Atlantico con un reattore che sarebbe giunto a Boston alle diciannove, ora locale.
Quel uomo non poteva immaginare nemmeno lontanamente in che condizioni di prostrazione si trovasse sua figlia ed allo stesso tempo rendersi conto di cosa avesse combinato Véronique.
Era ansioso di stringere a se la sua bella figliola, tanto che aveva chiesto ad una hostess di inviare un telegramma all’indirizzo di Caroline per farla venire all’aeroporto e per darle due bacioni sulle gote.
Sperava che sua figlia ricevesse la comunicazione anche se non sapeva se a quel ora si trovasse in casa oppure all’Università tuttavia, anche se Caroline fosse stata assente, certamente il telegramma sarebbe stato recapitato alla sua ex moglie.
Victor non immaginava che Véronique si fosse trasferita proprio quel giorno in un Hotel a Winthrop, situato sulla penisola più settentrionale della baia da dove poteva ammirare gli innumerevoli fari del porto e la penisola centrale di Tremont con le sue tre colline, né sapeva neppure che Caroline, affranta, fosse andata a casa di una sua amica universitaria a piangere ed a disperarsi.
Il volo arrivò a Boston puntualissimo. Victor guardò nella enorme hall, anzi fece chiamare attraverso l’altoparlante sia sua figlia che Vèronique ma alle reiterate chiamate non vi fu nessuna risposta.
Victor si sentì offeso in un primo momento, poi cominciò a preoccuparsi.
Presa la sua valigia decise di farsi accompagnare da un taxi all’indirizzo di Caroline agitato e molto adirato.
Suonò al citofono del elegante edificio dove era residente la sua seconda figlia e gli rispose una voce che non conosceva. Era la voce di Jennifer che, esprimendosi in inglese, affermò che non sapeva dove fosse Caroline e questo la preoccupava perché mai aveva fatto, senza avvisare, così tardi. Tutto ciò raccontò avendo capito che quel uomo era il padre di Caroline e conseguentemente invitò Victor a salire in casa.
- Signor Victor, -disse questa volta in italiano, -non vedo Caroline da questa mattina quando ci siamo alzate perché mentre lei si doveva recare ad Harvard per una lezione io dovevo recarmi in due librerie diverse per comprare alcuni testi quasi introvabili. -
- Forse, avendo fatto troppo tardi, ha preferito dormire da qualche amica dalle parti dell’Università e prima o poi vedrà che mi farà un colpo di telefono.-
Yennifer aggiunse che Véronique non si trovava a Boston in quel momento e che, avendo accettato l’invito dei suoi genitori era rimasta per qualche giorno nella piccola Fattoria del padre dalle parti di Lexington.
Yennifer osservò l’orologio. Era mezzanotte passata da un bel po’.
- Se lo desidera sveglio Véronique! -
Era quasi l’una di notte e Victor le disse di soprassedere per quella notte. Egli non voleva allarmare la sua ex moglie magari per una stupidaggine.
Victor chiese a Yennifer di suggerirgli un buon Hotel dalle parti della baia e quella gli disse che il miglior albergo della penisola settentrionale di Boston era proprio quello che, a sua insaputa, era stato scelto da Véronique.
- Facciamo così, -le disse ormai rassegnato e stanco, -domani mattina mi faccia sapere qualcosa di Caroline nella speranza che si faccia viva con lei. -
Si scusò con Jennifer per il disturbo e l’intrusione, chiamò un taxi e si fece portare direttamente nel Hotel a Winthrop dove Véronique aveva preso una camera.


Véronique, disperata, si era fatta un bagno caldo ed aveva preso contemporaneamente un tranquillante.
Era come se avesse preso un bicchiere di acqua pura, né il bagno né il tranquillante avevano sortito il minimo effetto.
Il pianto di Caroline le era rimasto nel cuore e nel cervello provocandole uno stato d’angoscia e di paura che non voleva attenuarsi.
Vèronique si guardò intorno.
Quella stanza d’albergo le parve una cella di una prigione dalla quale era impossibile fuggire e così rivestitasi scese nella grande hall del Hotel portandosi al bar ove un pianista suonava e cantava delle famose canzoni americane.
Si mise davanti al bancone ed ordinò, lei astemia, un doppio cognac.
Erano le due e trenta dopo mezzanotte quando, appena portatasi il bicchiere alle labbra, sentì una stretta morsa al polso destro e girandosi di scatto vide Victor in piedi vicino a lei.
Tanta fu la sorpresa di Véronique che lasciò cadere il bicchiere sul pavimento con grande meraviglia del barman, mentre Victor esplose, con rabbia repressa.
- Invece di stare in compagnia di Caroline ti stai ubriacando di cognac! Te ne dovresti vergognare! -
Victor osservò quella donna, trasandata e contemporaneamente emaciata con delle occhiaie terribili: era l’opposto di quanto in passato era stata Véronique tanto che per un solo attimo pensò di essersi sbagliato e che quella fosse soltanto una sosia del suo bellissimo primo amore.
Cancellò dalla mente quella ipotesi incredibile ed assurda in un attimo quando Véronique, di slancio, gli si buttò tra le braccia forti e per lei familiari.
- Sono un demonio, -gli disse concitata, -non merito nessuna pietà da parte tua, mio unico amore. Ho tradito il mio solo motivo di vivere, la mia famiglia ed anche te Victor che ho portato sempre nel cuore malgrado il nostro divorzio. -
Victor la guardò sorpreso a lungo negli occhi stanchi. La confusione totale si era impossessata del suo cervello, le disse.
- Calmati, Véronique, andiamo a parlare in camera tua, piccola mia. Io penso che tu non possa aver fatto del male a nessuno se non ci fosse stata una motivazione assolutamente grave. Sei sempre stata la più dolce creatura che io abbia mai conosciuto e nessuno, né nessuna cosa potrebbe farmi cambiare idea. Ora mi racconterai ogni cosa e poi cercheremo insieme una via d’uscita. -


Per tutta la notte, passata insonne per la seconda volta in due giorni, Véronique raccontò tutti i segreti che solo lei ed in parte Caroline conoscevano.
Il motivo principale che l’aveva spinta a Boston era stato di cercare di conoscere i pericoli che sua figlia avrebbe potuto incontrare in America e che non la facevano vivere tranquilla, lontana da Caroline, continuamente in apprensione per il suo futuro.
Disse a Victor, come davanti ad un confessore, dalla A alla Z tutta la sua vita da quando si erano lasciati, della decisione di Caroline di andarsene via da Roma, dei dolori che lei aveva sofferto per non potere consigliare sua figlia nemmeno un poco, dell’ingenuità di colei che era stata la più sensibile delle sue figlie e tutto questo senza potersi confidare con l’uomo che l’aveva abbandonata.
Con la semplicità che le era naturale aveva cercato di smascherare John, combinando guai peggiori e disilludendo Caroline, l’ aveva perduta definitivamente.
Ad un certo momento del racconto, Victor tappò la bocca di Véronique, le accarezzo i capelli come si fa ad una bambina e riuscì a farla addormentare, baciandole la fronte delicatamente
A quel punto Victor telefonò a Jennifer che erano le sei di mattina.
Questa si scusò con Victor per non averlo avvisato prima, telefonando all’albergo.
Gli comunicò che Caroline aveva passato la notte da una amica, così le aveva detto al telefono verso le due di notte e sarebbe rimasta in quel posto fino a quando sua madre non fosse sparita dalla circolazione. Non le aveva spiegato il motivo di questa decisione ma poi aveva aggiunto che avrebbe volentieri visto suo padre alle sedici, in un famoso bar della Baia sul versante nord della penisola di Tremont.
Jennifer diede a Victor l’indirizzo di quel bar mentre Victor non accennò alla giovane amica e collega di sua figlia che aveva già rintracciato Véronique.


Già prima delle quattro post meridiane, Victor si trovava ad un tavolo del grande bar sul lungomare della penisola di Tremont.
Aveva avvisato Véronique che si sarebbe assentato per qualche ora dal momento che avrebbe visto Caroline e le avrebbe parlato da padre, cercando di farle capire che se la mamma aveva sbagliato, lo aveva fatto per un eccesso di protezione.
Si era anche raccomandato con Véronique perché acquistasse qualche abito ed altri abbigliamenti giù nelle botteghe del Hotel; era veramente combinata male tra l’unico vestito indossato e le scarpe parzialmente rovinate.
Era da tanto che non vedeva sua figlia. Nemmeno l’estate precedente era riuscito a passare qualche ora con lei, trovandosi con Manuel e Marina in un villaggio vacanze al mare all’Estero.
Victor era particolarmente curioso di vedere come sua figlia si fosse maturata fisicamente in due anni e ciò sarebbe avvenuto entro pochi minuti.
Victor sapeva che sarebbe stata cosa durissima farle perdonare Véronique ma ci avrebbe messa tutta la sua abilità di mediatore.
Se non fosse riuscito nell’intento ciò avrebbe provocato la disintegrazione morale di Véronique che non meritava affatto una simile punizione.
Sua moglie era stata una creatura meravigliosa, pulita, piena di romanticismo ed aveva sacrificato tutta la sua amata professione per lui e per le figlie.
Meritava ben altro dopo quella vita che aveva condotto senza un minimo peccato e con tante rinunce e sacrifici, ad eccezione di quello commesso con John.
Victor rifletteva su questi ultimi eventi quando Caroline sbucò improvvisamente tra la gente che affollava il famoso bar.
I capelli castani tagliati corti, alla moda americana, gli occhi da cerbiatta grandi ed a mandorla sotto quelle ciglia lunghe ed arcuate, lo sguardo aggrottato, il passo elastico elegante e le lunghe gambe mostrarono a Victor una Caroline diversa da quella che ricordava, sicura di se e colma di rabbia repressa.
- Papà, disse a voce alta, -baciandolo e commossa per la sua presenza, -penso che hai visto Véronique e che quella, che si dice mia mamma, ti abbia raccontato tutto quanto su quello che mi ha combinato qui in America. Voleva che io lasciassi John e ci è riuscita e non ha nessuna importanza se io sia o meno incinta di un figlio di colui che era il mio promesso sposo. La odio come mai ho odiato nessuno e non voglio sentire nessuna parola che possa essersi inventata per scusarsi. -
Tutto questo disse d’ un fiato senza fermarsi un attimo mentre Victor stringendole ambedue le mani se la guardava orgoglioso per la sua bellezza ed anche per il carattere che stava mostrandogli.
Le offrì una spremuta di arance senza zucchero, l’accarezzò con tutto l’amore che prepotentemente gli era salito dritto dal cuore ed infine mormorò con voce calma e suadente.
- Sei veramente mia figlia, Caroline, hai il mio stesso carattere di quando ero giovane ma io col tempo ho imparato che chi è senza peccato non esiste sulla faccia della terra. Fai bene a dire che non è importante se tu sia rimasta incinta di questo uomo che non conosco ma con tutto il mio amore per te ti dico che tua madre ha un pregio che né io né te possediamo. Lei vuole soltanto che tu sia felice ed innamorata di qualcuno che veramente ti meriti e sei lei si è convinta che John non è l’uomo per te devi credere che ha perfettamente ragione. Possiede una rara qualità per una donna : l’amore infinito per la sua famiglia che non deve crescere nella menzogna di falsi amori né in un falso puritanesimo, cosa comune qui in America. Se avrai un figlio, questo farà parte della nostra famiglia e non devi per nulla preoccuparti; poi questo evento è tutto da dimostrare. -
Victor attese parecchio prima di riprendere il discorso mentre Caroline gli mostrava che i bollori di prima si stavano lentamente calmando.
- Tu, mia cara, devi perdonarla. Quello che ha fatto non è stato per mero egoismo ma soltanto per non perderti fino a quando c’ era ancora del tempo e cioè prima che ti sposassi. - Sia a me che alla mamma è sempre importato il tuo avvenire e non solo riguardo la tua professione futura, ma maggiormente la tua felicità di quando sarai adulta. Dimmi tu cosa sarebbe stata la tua vita con l’uomo che avevi scelto con tutta l’anima ed il cuore se poi avessi scoperto che quello non ti amava perdutamente, tanto da tradirti addirittura con tua madre e sicuramente con qualsiasi altra donna! -
- Per quanto concerne i tuoi studi, continuerai qui a Harvard, se ti farà piacere, se non aspetti un bambino altrimenti verrai a Roma e vivrai con tua sorella dove c’è un altro frugoletto oppure da me con Marina e Manuel. -
- Riguardo tua madre, lasciale almeno l’illusione di continuare a rispettarla ed a volerle bene! E’questo il regalo più importante che potrai mai farmi e deve rimanere un segreto tra me e te. -
Caroline pensò a quando era bambina e con suo padre aveva un rapporto speciale. Pensò anche che Victor le aveva parlato con il cuore in mano e l’amava teneramente come solo un vero papà poteva fare.
Rivolse pure un pensiero a sua madre, le era capitato di tutto nella vita : a partire dal lungo periodo di tempo per fare guarire completamente Déesiré, al suo pianoforte che era diventato un sopramobile quasi inutile mentre lei avrebbe dovuto girare il mondo per fare sentire alla gente quale arte potesse tirare fuori da quello strumento suonando con le sue splendide dita le più belle melodie dei grandi musicisti, alla pazienza che aveva avuto proprio con lei, Caroline, quando le cantava la ninna nanna ed in seguito quando era la sua unica consigliera per i capricci che non le mancavano mai.
Si, aveva ragione Victor quando le aveva consigliato di non abbandonare al proprio destino Véronique e di farle sentire che non aveva partorito una figlia barbara, cattiva, violenta nelle reazioni ed ingrata.
Avrebbe atteso una settimana, il tempo necessario per sapere se fosse incinta oppure se il Signore Iddio le avesse risparmiato l’umiliazione di avere un figlio che non avrebbe né saputo né mai conosciuto suo padre perché di una cosa era sicura, non avrebbe più rivisto John.
Nel frattempo avrebbe pregato Victor di lasciarla libera di pensare e per questo motivo avrebbe continuato ad andare all’Università ed ad abitare insieme a Jennifer. Egli sarebbe rimasto accanto a Véronique a Boston nello stesso Hotel dove lei li avrebbe rintracciati dopo aver saputo quanto la teneva in ansia.











18





- Ho amato tuo fratello con tutta me stessa, -cominciò Caroline con voce rotta da un pianto che ricacciava indietro, nell’anima, con grande fatica non appena giunse a casa dopo il colloquio con Victor, -ma da questo momento non solo non voglio più vederlo ma nemmeno sentirlo. -
Jennifer rimase a bocca aperta.
Cosa stava dicendo Caroline e che voleva significare quella frase non riusciva a comprendere.
Le disse sorridendo.
- Complimenti avete litigato di nuovo perché lui è geloso di te…. -
- Nessun litigio, -continuò Caroline, con voce questa volta alterata ma chiara, soffiandosi il naso per respirare meglio, -il John che ho conosciuto adesso, dalla testimonianza di mia madre, risulta il più perfido individuo che io abbia mai conosciuto ed in più speriamo che non mi abbia messo incinta. -
- Non voglio aggiungere altro, ci sono cose che tu nemmeno immagini e per colpa sua sono in rotta con mia madre! -
Jennifer riuscì a mala pena a dirle.
- Allora tutto è finito tra voi due, cosa farò io adesso? -
- Nulla, - le rispose Caroline, - tu sei la mia più cara amica e lo sarai sempre per tutta la vita. Fai finta di ignorare ogni cosa e lascia che John si cucini nel suo brodo. Tu continuerai a stare con me e se io dovessi aspettare un figlio cuciti la bocca, io andrò in Italia e partorirò lì e se tu lo desiderassi sarai mia ospite a Roma e contemporaneamente potrai continuare i tuoi studi come del resto farò io. Quello che è certo è che non tornerò in America né a studiare né a lavorare. -
- Se invece io non fossi gravida continuerò qui fino alla laurea ma tu devi giurarmi che non permetterai a tuo fratello di entrare in questo appartamento. -
Jennifer ascoltò tutto con estrema attenzione ma non aveva capito cosa sarebbe successo se lei stessa avesse deciso di non seguirla in Italia, nel caso di una gravidanza e dove avrebbe potuto abitare senza l’aiuto economico di quella giovane romana.
Senza giri di parole le chiese questo non indifferente particolare ma Caroline la tranquillizzò, dicendole che avrebbe provveduto a tutte le spese di Jennifer fino alla laurea e comunque fino a che non avesse trovato un lavoro remunerativo.
Quello sarebbe stato il suo regalo di laurea all’amica.
A John, comunque fossero andate le cose, non doveva raccontare per nulla al mondo cosa fosse successo a Caroline.
Jennifer giurò quanto le aveva chiesto la figlia di Victor e promise di esaudire ogni suo desiderio.


La settimana che si era concessa per meditare stava giungendo alla fine.
Caroline, con una tempra tutta da invidiare non aveva perduto un solo minuto ad oziare.
Per lei lo studio era diventato l’amico con cui allontanare ogni pensiero triste dal cervello e contemporaneamente per avere un atteggiamento positivo di fronte alla vita.
Aveva la percezione che nell’ultimo incontro intimo con John, passionale come non mai, si trovava nel periodo maggiormente adatto alla fecondazione.
Se ne era accorta subito, tanto da rimanerne sconcertata immediatamente dopo, ma non voleva soffermarsi sul problema almeno prima di conoscere il verdetto dell’esame ormonale del sangue che avrebbe sentenziato sul suo futuro.
Fisicamente si sentiva bene e l’unico leggero cambiamento era stato quello di alcune gocce di colostro che ogni tanto le uscivano dai capezzoli.
Nemmeno di notte si sentiva nervosa né agitata e riusciva a dormire profondamente un sonno ristoratore che la faceva ancora più bella, di quanto fosse, al mattino seguente.
In pochi giorni i suoi occhi erano diventati dolci e luminosi, la sua pelle vellutata e liscia non aveva nemmeno una minuscola ruga.
Così, il giorno che andò a prendere l’analisi, senza patemi d’anima, già sapeva quanto vi fosse scritto: che avrebbe avuto un figlio, un figlio suo, una cosa meravigliosa.
Non era importante chi fosse il padre, di questo non le importava nulla, ma di quel figlio che avrebbe cresciuto con tutta la sua famiglia non solo si sentiva orgogliosa ma inoltre fiera, per il coraggio che fino a poco tempo prima non poteva immaginare di possedere.
Un bambino completamente suo l’avrebbe resa felice e costui avrebbe avuto una infanzia meravigliosa a Roma, circondato dall’amore infinito di tutti, compresa ed anzi in primo piano, Véronique, quella mamma che ancora non aveva del tutto perdonato ma che tra poco sarebbe tornata ad essere la sua preziosa mammina.


Con la diagnosi in mano, Caroline si precipitò nell’albergo dove in trepida attesa l’attendevano Victor e Véronique.
Per prima vide la madre, assorta in chissà quali pensieri pessimistici, che si trovava fuori del Hotel, seduta su una sedia di vimini ad un tavolino con un paio di occhiali da sole per difendersi dai raggi ultravioletti che colmavano la luce di quel giorno di inizio di Maggio e per nascondere le occhiaie, spuntate sotto gli occhi infossati e stanchi.
Caroline, dal di dietro, le si avvicinò e le posò le mani davanti agli occhiali, dicendo, in modo che sentisse bene la sua voce.
- Mamma, oggi è un gran giorno per me. Tu diventerai ancora una volta nonna e questo figlio sarà per tutti noi l’angelo della pace. -
- Dopo gli esami di Luglio vi raggiungerò, con il mio pancione ancora non completamente evidente, a Roma e non mi muoverò mai più da lì. Finirò i miei studi alla “ Sapienza “dopo aver dato alla luce mio figlio che sarà la gioia di ognuno di noi e che tu, se lo vorrai, educherai alla tua maniera visto che non ha un padre legittimo. -
Véronique ascoltava non credendo alle sue orecchie le parole di Caroline, soavi per lei che s’ immaginava ormai del tutto fuori dalla sua vita, mentre la sua piccola incalzava con delicatezza proseguendo.
- Non devi mai più darti pena per quel animale di John che ti ha sedotto in modo incestuoso, pur essendo conscio di quanto sia stato limpido il tuo passato, tante sono state le volte che io gli ho parlato della tua pulizia morale. Ho molto meditato a questo proposito ed ho deciso che non saprà mai più nulla di me e del bambino e su questo punto ho il giuramento fattomi da Jennifer. -
Un istante prima si era avvicinato Victor che, udite le ultime parole di Caroline, capì in un attimo tutta la situazione e senza dire niente abbracciò stretta sua figlia.
Quella ragazza coraggiosamente lo aveva ascoltato e non solo aveva accettato amorevolmente quel innocente bebè ma, con grande altruismo, si era riavvicinata a Véronique, quella donna che lui ancora amava e che secondo la Chiesa Cattolica era rimasta sua moglie, per la vita.
I tre passarono tutta la giornata insieme e la felicità di essere di nuovo uniti la fece da padrona.
Anche il tempo e l’atmosfera sembravano favorire quel benessere psichico e fisico. Il cielo era terso, il mare calmo, il profumo della salsedine stuzzicante.
Victor prese sotto braccio moglie e figlia ed esclamò.
- Era molto tempo che non mi sentivo così sereno. -
Poi rivolto a Caroline le chiese di informarsi da Jennifer se avesse deciso di seguirla a Roma, anche lei a Luglio , dopo gli esami che completavano il biennio di Harvard o se avesse preferito rimanere in America.
In questo ultimo caso, Victor avrebbe provveduto lui stesso ad affittarle un altro appartamento poco più piccolo di quello attuale che aveva condiviso con Caroline durante gli ultimi due anni ed avrebbe pagato anticipatamente il canone di affitto da Agosto per tre anni, fermo restando l’invito di passare le vacanze estive a Roma.
Victor aveva intenzione di mettere Jennifer a suo agio da subito sia per fare un generoso regalo a sua figlia sia perché aveva avuto una ottima impressione di quella ragazza di origine irlandese con un profitto universitario talmente alto da destare l’invidia di tutti i colleghi universitari.
Jennifer meritava di studiare senza angosce di sorta e non pesare sui suoi genitori, grandi lavoratori ma soltanto autosufficienti.
Già aveva ottenuto una borsa di studio per usufruire della ottima mensa della facoltà e dei buoni acquisto per tutti i testi che le servivano.
Victor inoltre le avrebbe regalato una grossa cifra, sufficiente per vestirsi bene e per le piccole spese mensili, che avrebbe depositato in una Banca da dove Jennifer avrebbe potuto attingere sia per usufruire di un paio di carte di credito che per dei contanti.
E così fece una volta saputo che Jennifer, dopo una vacanza con loro in Italia durante l’Estate, aveva deciso di restare a Boston ed a Harvard.


Negli oltre due mesi che Caroline e Jennifer continuarono a convivere nella stessa casa di prima, John tentò innumerevoli volte di contattare la bella e ricca italiana senza riuscirvi.
Aveva capito di aver combinato il più grande caos possibile e di avere sottovalutato Véronique comportandosi in modo assolutamente vergognoso e tale da screditarlo per sempre agli occhi sia della madre che della figlia.
Tra l’altro non era per niente uno sprovveduto e sapeva che Véronique era una donna raffinata e molto intelligente.
Per un certo periodo ebbe addirittura paura di ricevere da quella una denuncia per stupro, cosa che gli avrebbe distrutto la carriera.
Questo non avvenne malgrado un pensierino, in un certo senso forzato e malizioso, di Véronique per difendere la sua reputazione, ma che mai avrebbe attuato perché lo scopo che contava per lei era stato quello di allontanare per sempre John dalla vita di Caroline.
Del resto lei sapeva che con John c’era stato un coinvolgimento inconsulto che solo una Véronique, in pieno possesso delle proprie ferree facoltà mentali, avrebbe scansato.
Il risultato fu che John per evitare ulteriori guai, dopo un certo periodo in cui aveva tentato di tallonare Caroline, prese la decisione di non muoversi più da Lexington e dal Kentucky e di dimenticare quella ragazza che avrebbe dovuto sposare per la felicità dei suoi genitori e di Jennifer.
Victor e Véronique decisero insieme di fare un bel giro attraverso l’America e di andare a trovare Nicolas di cui entrambi avevano tanta nostalgia.
Sarebbero tornati a Boston a Luglio ed insieme a Caroline sarebbero partiti per l’ Italia.
Marina, tenuta al corrente da Victor di quanto fosse successo a Boston, fece buon viso al desiderio di Victor di distrarsi e gli disse di non preoccuparsi per lei e Manuel dandogli gli auguri di una buona vacanza negli Stati Uniti con Véronique, pur sapendo a che rischi andasse incontro nella competizione a distanza con l’ex moglie di Victor.
Da metà Maggio a metà Luglio , Victor e Véronique girarono per gli “ States “passando dalle cascate di Niagara a Baltimora ed a Washington, da Atlanta a Miami ed ad Orlando e poi girando tutto il Texas dove a Houston si fermarono una settimana da Nicolas sposato con una quarta moglie, da cui aveva avuto due gemelli, una femminuccia ed un maschietto a cui aveva voluto dare il nome di sua cognata e quello di suo fratello.
Victor era rimasto stupefatto per il gentile pensiero di Nicolas che gli aveva detto, ignaro del divorzio con Véronique, come egli fosse stato fortunato di sposarsi con la bionda pianista che aveva anteposto alla carriera la sua famiglia, le figlie ed i nipoti.
Nicolas ignorava tutto delle vicissitudini di quella coppia né quelli vollero informarlo sui loro gravi problemi, lasciandogli l’illusione che il pranzo degli altri fosse migliore del proprio.
Nonostante tutto, Véronique e Victor, erano rimasti soddisfatti di essere considerati moglie e marito perfetti e guardandosi negli occhi ebbero la sensazione di aver dato a Nicolas una grande gioia, visti i suoi numerosi divorzi.
Nicolas, prendendo un album di fotografie, fu felice di far conoscere ai due tutti i suoi figli raccontando di ciascuno la carriera, l’una diversa dall’altra tanto che una sua figlia, la primogenita, era diventata un pezzo grosso del partito democratico, sul punto di diventare senatrice della West Virginia a Charleston.
Era evidente come Nicolas fosse tronfio di tutti i suoi figli mentre disse poco o nulla della sue precedenti mogli.
Malgrado tutto Véronique non dormì mai con Victor né costui fece mai delle avances a proposito.
Nella stessa maniera, come due vecchi amici, continuarono il loro girovagare puntando questa volta verso il Far West, visitando in lungo ed in largo il Nevada, la California e facendo due piccole puntate nell’Oregon e nel Colorado.
In questi posti fu più difficile per i due ex sposi mantenersi distaccati.
Specialmente Véronique si sentiva attratta irresistibilmente da Victor che non aveva mai cessato di amare, mentre Victor faceva di tutto per farla contenta al pensiero che una volta a Roma non avrebbe potuto frequentarla in quella maniera, facendola sentire la più importante donna al mondo, per lui.
- Vorrei che le cose fra noi rimanessero idilliache come sono adesso, -disse con tenerezza Victor alla ex moglie, -in una notte passata a Santa Monica sotto un cielo splendente di stelle mentre erano sdraiati entrambi sulla bianca sabbia. Mi piacerebbe che tu fossi per sempre la mia deliziosa Véronique che noi tutti vogliamo come nume tutelare della nostra famiglia. -
Véronique deglutì una saliva amara. Ciò che aveva sperato da quando Victor era giunto a Boston non si era avverato. A lei non sarebbe rimasto altro che dare corso all’epilogo della sua vita senza Victor.
Roma e Boncelles, quelle due località, sarebbero state gli unici luoghi dove sarebbe rimasta a fare da “tata “ ad una miriade di persone soltanto per quella qualifica che aveva conquistato sul campo di considerare la famiglia l’unico valore assoluto.












VENTI ANNI DOPO…..





19





Il ricordo dell’Italia e di Roma mi era rimasto nella memoria alla stregua di una nebbia sufficientemente spessa ma attraverso la quale potevo rivedere alcuni gesti della mia giovane mamma Caroline, della sorella di lei Déesiré e di quel birbante di mio cugino Francesco.
Non avevo neppure dimenticato, malgrado la mia età infantile, quanto ammirassi mio nonno materno Victor, il famoso e celebre campione di football e tutte le sue fotografie che lo ritraevano mentre segnava reti a raffica nei tanti campionati di calcio nei quali era stato la stella indiscussa, sempre in compagnia di quella donna affascinante e passionale, dalla pelle bruna e quasi olivastra, Marina con il loro bambino Manuel, divenuta la sua seconda moglie dopo il divorzio da Véronique, la nonna materna e sua prima, amatissima moglie, tanto cara ed ancora presente nel cuore e nell’anima di Jennifer.
Più che piccoli particolari non ricordavo altro.
Tuttavia di una cosa ero estremamente curioso, perché Victor e Véronique fossero passati dal più perfetto matrimonio che si potesse immaginare ad un divorzio, atroce per quella donna bionda naturale della quale avevo impressa nella memoria quella piccola fossetta del mento e gli occhi grandi ed azzurri specchio di una anima dolce e pia?.
Venni a conoscenza di che pasta fossero stati realmente i miei nonni materni, improvvisamente ed inaspettatamente, in un giorno freddo e nevoso di Febbraio, quando capitò il compleanno per la mia maggiore età.
Jennifer la sorella di mio padre, passando a cavallo di un purosangue, si era fermata sotto la finestra della mia camera da letto nella casa della Fattoria ricevuta in eredità dai suoi genitori alla loro morte e che lei generosamente aveva voluto donarmi, tenendo per se soltanto le stalle ed i puledri accuditi da un vecchio stalliere e dal figlio di questo abitanti nelle vicinanze.
Mi gridò, senza scendere di sella ed imbacuccata in un giaccone di montone e con in testa un colbacco di volpe, -alzati pigrone, che il sole è già alto all’orizzonte, almeno oggi che fai l’età per cui tutti ti considereranno, anche se per me non lo sei affatto, un maggiorenne.
Jennifer, bella e splendente di gioia di vivere come quando aveva avuto la mia età, mi amava come un figlio da quando ero rimasto solo senza nessuno che si prendesse cura di me, orfano di ambedue i genitori e di tutti e quattro i miei nonni, privo anche del conforto della sorella di mia madre, morti, quasi contemporaneamente nel mio quarto anno di vita, vittime di quella spaventosa epidemia virale che aveva tolto dal pianeta oltre il trentacinque per cento della gente in ogni paese ed in ogni luogo.
Erano sopravvissuti soltanto Francesco e suo padre, il marito di Déesiré ed anche Manuel e sua madre Marina.
Era stata Jennifer quella che era volata a Roma e che aveva provveduto ai funerali di mia madre, la sua più cara amica ed in più colei che le aveva dato la possibilità di laurearsi in legge ad Harvard ed a quelli di Déesiré, Véronique e di Victor, tutti ancora giovani, facendo trasportare le loro salme nella tomba di famiglia a Boncelles in Belgio.
Il Belgio, questo era il ritornello che si era mantenuto nei miei fumosi pensieri infantili e che Véronique parlandomi di Boncelles nei miei primi anni di vita mi aveva ricordato ogni sera come una ninna nanna.
Poi quando Jennifer, nominata dal tribunale di Roma mia tutrice, al suo ritorno in America assistette alla morte anche dei suoi genitori e miei nonni paterni e di mio padre, per la stessa malattia, fu ancora lei che si fece carico di ogni cosa ed in più, di me che aveva portato con se nel Kentucky.
Che John fosse soltanto il mio padre naturale, lo avevo capito da solo quando a scuola venni iscritto in ritardo al primo anno della scuola elementare, a sei anni, con un cognome che non era quello di mia zia risultando invece quello di mia mamma Caroline, tanto che i miei compagni di classe presero a darmi un sopranome che suonava strano in America per un bambino, chiamandomi “ il francesino “ .
Avevo chiesto spiegazioni a Jennifer e lei mi aveva raccontato una storia abbastanza convincente per la mia età.
Mi aveva detto che John era completamente ignaro di aver avuto un figlio da Caroline e che mia madre era partita per l’Italia senza conoscere, nemmeno lei, di essere in attesa di un figlio.
Così, dal momento che sarebbe rimasta in Italia per sempre, lo disse soltanto a Jennifer, la sua amica fedele e non certo ricca come lei, pregandola di mantenere il segreto perché, ingannata dal mio padre naturale, non aveva nessuna intenzione di sposarlo.
Jennifer, che le aveva giurato di rimanere al di fuori delle sue decisioni, non volle infrangere il giuramento e non disse mai nulla al fratello che disperato non potette mai né vedermi né parlarmi.
Ormai, essendo morti tutti e due, poteva dirmi la verità.
Fu quella l’unica volta che seppi qualcosa della storia d’amore tra mia mamma e mio padre e fui io che non volli sapere null’altro.


Mi precipitai giù per le scale, aprii la porta della vecchia casa, ormai mia di fatto e che era stata la dimora dei genitori ma anche di Jennifer e di John quando erano bambini e poi ragazzi ed in camicia di flanella e pantaloni di velluto, senza altro addosso se non un orribile paio di scarpe di camoscio vecchie e rovinate nella tomaia e nella mascherina, spettinato e con una barba incolta di almeno tre giorni, saltai sul cavallo di mia zia con un gran balzo atletico e dal di dietro, la strinsi forte tra le mie braccia baciandole il collo pieno di lentiggini, marchio quelle, della sua origine irlandese.
- Che entusiasmo, -esclamò ridendo, -a cosa devo queste effusioni, caro nipotino mio oppure preferisci che ti chiami unicamente Marlon? -
La presi per la vita sottile e come ero salito sul suo purosangue, scesi giù da quello portandomela appresso.
Legai le briglie ad un palo accanto all’ingresso e dopo essermela caricata sulle spalle, la portai divertita dentro casa, vicino al caminetto.
- Zitellona, -esclamai una volta posatola sul divano di pelle e liberandole i capelli dal colbacco e spettinandole la bella chioma, -lo sai che credo che soltanto tu, al mondo, sei in grado di ricordarti del giorno della mia nascita? -
Sapevo che a Jennifer faceva piacere essere maltrattata così dal suo unico nipote e sapevo pure che per me avrebbe mollato qualsiasi impegno anche se si fosse trattato di un processo per omicidio nel quale avrebbe dovuto condurre la difesa.
- Sei proprio un brigante caro mio, ma sei anche il solo essere al mondo che mi fa soffrire ed allo stesso tempo sorridere! -
Jennifer era il capo di uno Studio Legale di avvocati associati e specializzati in Penale, a Lexington e solo raramente si spostava nella Fattoria e nella Scuderia che era stata di Oscar, suo padre, per vedermi e per fare qualche galoppata su uno dei cavalli che aveva continuato ad allevare, quasi per avere un ricordo vivo del suo papà ed anche di sua madre Barbara.
- Comunque, ti auguro un felice compleanno e che tu possa essere felice. Ora basta con gli scherzi. Lavati, sbarbati e vestiti perché ho intenzione di sequestrarti per tutto il giorno. -


Come facesse a volermi tanto bene, dandomi tutta se stessa in protezione ed anche contribuendo al mio mantenimento economico senza farmi mai mancare niente, qualsiasi cosa mi fosse utile o che desiderassi, dal momento che non volevo in nessun caso lavorare normalmente come invece facevano tutti gli altri esseri viventi, anche se ricevevo dall’Italia con regolarità la rendita affittuaria di alcuni immobili avuti in eredità da mia madre, non ero in grado di capirlo e di apprezzarlo per il suo giusto valore.
Non ero mai stato uno stinco di santo ma ultimamente mi ero accorto di essere diventato apatico ed asociale con un comportamento di inosservanza e di violazione dei diritti di qualsiasi persona che mi stesse accanto, specie della mia età, e contemporaneamente dimostrandomi narcisistico ed istrionico.
Nessuno però poteva immaginare che questi sintomi potessero essere l’inizio di un vero “disturbo di personalità “, né tanto meno io.
Preso il Diploma all’High School non aveva voluto iscrivermi all’Università in nessuna Facoltà ed a nulla erano valse le parole e le preghiere di Jennifer.
Godevo con la mia chitarra che avevo imparato a suonare da solo ed ero felice stando accanto al mio P.C. che padroneggiavo alla grande specialmente usando Internet.
Tutti mi ritenevano un mago del P.C. ed io in realtà mi sentivo di essere tale.
Ero un autodidatta e con l’aiuto di testi di informatica avanzata, spaziavo in ogni campo di Internet, imparando ogni giorno tanti sistemi assolutamente innovativi e tali da permettermi in breve di poter entrare con sufficiente rapidità in qualsiasi Banca Dati.
Non lo sapevo, ma quello sarebbe stato l’inizio di una speciale professione che mi avrebbe completamente preso, portandomi disonestamente a non seguire nessuna norma sociale e tale da rendermi irresponsabile abitualmente, incapace a discernere il bene dal male o di far fronte ad obblighi lavorativi o finanziari tanto da capire come, se avessi continuato così, avrei potuto diventare un cliente fisso di mia zia Jennifer.
Per quel giorno non avrei combinato guai e sarei rimasto con Jennifer verso la quale sentivo probabilmente, unica persona al mondo, qualcosa che fosse la fusione perfetta di un sentimento d’amore e di invidia, condita anche da ammirazione estrema.
Jennifer mi aveva promesso che in quella occasione, speciale per lei, mi avrebbe fatto un lungo discorso per scuotermi e farmi abbandonare la strada che avevo preso con incoscienza adolescenziale e che mi stava rovinando.
Ero molto curioso di sapere di quale altra strada si trattasse e come intendeva che io la percorrersi.
Sapevo che mi aveva confezionato un grande arringa di appello, degna della sua fama di famoso avvocato, al mio buon senso e non vedevo l’ora di rimanere assolutamente solo con lei, dopo il pranzo in un famoso ristorante, nella sua bella casa a Lexington senza la presenza di anima viva.


Jennifer prese il problema alla larga, direi inaspettatamente.
- Sei così giovane, ed hai appena la metà della mia età, ed io non ti ho mai detto nulla riguardo alla tua povera nonna, madre di tua mamma e di quanto quella donna belga, stupenda pianista, fosse vissuta con l’unico scopo di insegnare a tutta la sua famiglia il valore assoluto della famiglia e della morale cristiana. -
Mi accarezzò come se fosse stata mia madre mentre le luccicavano gli occhi di pianto, poi, con tutta la dolcezza possibile s’immerse in un racconto accorato di Véronique, rimpiangendo la sua morte prematura ancora di più di quanto avesse rimpianto quella di Caroline.
Per ore parlò del grande amore di Victor per Véronique, facendomi un quadro idilliaco e dicendomi poi come Victor l’ avesse infine tradita ed il perché si fossero prima separati e poi divorziati.
Mi disse che, se fosse vissuta, sarebbe stata la più brava maestra di vita per me e per Caroline da cui non si sarebbe mai separata.
Accoratamente mi spiegò cosa significasse l’amore per Véronique e che, proprio seguendo il pensiero di quella saggia e soave creatura, non aveva mai avuto la tentazione di mettere su, lei, una famiglia che fosse degna di questo nome.
Per Jennifer non esistevano uomini degni di unirsi a lei con quella serietà che pretendeva per un matrimonio vero ed in prospettiva felice e che preferiva dedicarsi al mio avvenire piuttosto che imbarcarsi in una situazione, in una partita a poker, con qualche uomo di cui era impossibile fidarsi.
Ad un certo punto mi prese le mani e con molta serietà affermò.
- Non credere che io non sappia dei piccoli imbrogli che combini attraverso Internet; stai attento di non oltrepassare il limite del lecito perché, pur volendoti un bene dell’anima, io sono anche capace di rovinarti la vita. Se hai delle qualità come operatore di P.C. e se conosci alla perfezione le regole di mercato, allora dimmelo che un posto te lo posso trovare quando voglio. Penso di passarti un buon mensile e se non ti bastasse quanto ti do, sono disposta ad incrementarlo. -
- Fai il bravo ragazzo e considera che non c’è nel tuo sangue nemmeno una goccia di delinquenza per cui non sarai tu quello che comincerà a comportarsi male almeno fino a quando sarai sotto la mia responsabilità. -
- Jennifer,- replicai immediatamente interrompendola, -non voglio darti nessun grattacapo ma anche se ciò che sto per dirti ti adombrerà, desidero essere sincero con te. Mi rendo conto da tempo che la mia personalità è disturbata da qualcosa che covo dentro me stesso e che ancora non sono stato capace di analizzare ma so che ti provocherà un grande dolore.
Non è colpa mia ma della mia natura, probabilmente di alcuni miei geni fuori posto, se godo della sofferenza degli altri quando li posso fregare con la mia furbizia ed anche con la mia intelligenza e godo tanto, tanto da non interessarmi, se quanto faccio di male possa distruggere una persona, la sua fiducia nella giustizia oppure farlo precipitare in un burrone da cui difficilmente potrà tirarsi fuori. -
Analizzai l’effetto di questi concetti detti a Jennifer con il cuore in mano e mi accorsi della disperazione che le si era dipinta sul bel viso.
Povera zia! Che brutte prospettive le stavo ponendo!
L’impulsività associata ad una certa irritabilità aggressiva senza che mai temessi per la sicurezza mia e degli altri ed in più la mancanza di rimorsi, la tenni nascosta a Jennifer per non ferirla profondamente di più.
Alla fine mi chiesi senza proferire parole, in quel giorno che Jennifer aveva dedicato soltanto a me per il mio compleanno, cosa mi sarebbe successo nel proseguo della mia vita.
Sarei stato capace da solo a districarmi da quella matassa di nodi che mi stringevano oppure avrei fatto una brutta fine, magari nelle carceri degli States?












20





A Jennifer rimase fissa nella mente la mia confessione ed in particolare quanto le avevo detto riguardo alla mia personalità e su questo argomento ritornò, subito, qualche giorno dopo il nostro incontro.
L’aveva impressionata la storia dei “geni fuori posto” come se il mio disturbo di tipo asociale, perché tale poteva essere classificato, fosse ereditario e se potesse essere curato da qualche bravo specialista.
Jennifer mi chiese se mi fossi sottoposto volentieri a quella visita che lei aveva già programmata ed al mio netto rifiuto, esclamò.
- Non credere che la cosa finisca qui! -
Il pensiero le si dipinse in faccia, disperata, avendo a lungo riflettuto su quello che si sarebbe prospettata la mia vita non seguendo i suoi disinteressati consigli, da un lato ed essendo conscia dei guai che avrei potuto avere di ordine legale, dall’altro.


Fino a quel momento. Jennifer sapeva assai poco riguardo alle numerose truffe che avevo già intessuto negli ultimi due anni.
Era però venuta a conoscenza,- senza che io ne avessi mai accennato l’esistenza un bel po’ di mesi dopo il mio compleanno, tramite Felicia Cowper una delle sue segretarie personali, una moraccia tutta seno e curve con la quale passavo spesso il fine settimana,- che ad Atlanta in Georgia avevo un ufficio in affitto dove esisteva una Agenzia che offriva a qualsiasi ragazza, desiderosa di intraprendere la carriera di modella oppure avesse velleità di farsi strada nel mondo della televisione, queste possibilità previo pagamento attraverso Internet di una somma variabile dai duemila ai tremila dollari.
Io pagavo, sotto falso nome, al proprietario dell’immobile tre mesi di affitto anticipato poi, di punto in bianco l’Agenzia svaniva nel nulla e non era assolutamente possibile rintracciarla né rintracciarmi, dal momento che nessuno mi conosceva fisicamente essendo tutte le transazioni condotte da Felicia in giorni prestabiliti.
La sede ed il nome dell’Agenzia cambiavano poi sia nella stessa città oppure altrove, come cambiava l’amministratore da me scelto trai i barboni nulla tenenti ed a cui davo un modestissimo compenso senza che questi sapessero che, di qualsiasi atto amministrativo o contabile, essi sarebbero stati considerati i soli responsabili non conoscendo di me né chi fossi realmente né la dimora.
Spillavo a quelle ingenue ragazze un mucchio di soldi con promesse aleatorie ed addirittura inventate senza farle fare nemmeno un piccola comparsa nel mondo della moda oppure dello spettacolo.
Dovevo molto a Felicia, da me plagiata e sedotta al punto giusto fisicamente, inserita in quel trabocchetto ed illusa di essere diventata la mia donna.
Anche questo particolare era fonte di grasse risate da parte mia che pensavo come fosse facile arricchirsi alle spalle di quelle malate di protagonismo e narcisiste, desiderose di sfondare senza ridursi a fare le puttane.
Felicia mi aveva promesso il suo silenzio e mi teneva volentieri una contabilità in nero, remunerata da me con migliaia di dollari, fino a quando un giorno Jennifer rovistando in ufficio, aveva scoperto tutto del mio giro di truffe e conseguentemente aveva licenziato in tronco Felicia e precipitandosi da me mi aveva insultato dicendomi che ero un vero farabutto e che le dispiaceva che nessuna ragazza mi avesse denunciato.
Su tutte le furie, mi disse anche che in un attimo era crollato tutto il castello di speranze che aveva riposto in me e che da quel momento non mi avrebbe dato più nemmeno un dollaro, né permesso di andarla a trovare al suo Studio se non per problemi riguardanti eventuali denunce penali che avrebbero potuto raggiungermi.
Di quanto fosse successo a Felicia rimasta senza lavoro non mi importava nulla: dovevo soltanto farle credere che l’amavo per tenermela buona.
Io potevo ospitarla a casa mia ma senza però che lei si facesse delle illusioni di sorta. Sarebbe stata la mia amante fissa ma niente di più.
Con i miei imbrogli, di cui quello che Jennifer era a conoscenza non era altro che la punta di un iceberg, ero riuscito a mettere da parte oltre centomila dollari.
Non ero assolutamente pentito e pensai, così, che era giunto il momento di lanciare lo sguardo molto più lontano ed approfondire le mie tecniche di truffa senza tuttavia che avvertissi un minimo segno di dispiacere riguardo all’amarezza di Jennifer.


Avevo il doppio passaporto, italiano ed americano, per cui ritenetti di fare per la prima volta, un sopraluogo a Roma per incontrare Manuel, quasi mio coetaneo e figlio di Marina.
Avrei approfittato di quel viaggio per conoscere anche il figlio di Déesiré, Francesco che appena ricordavo ma che avevo meglio conosciuto attraverso Internet e che sapevo fosse un importante Commercialista della Capitale italiana.
Con me avevo portato anche Felicia, presentandola come la mia fidanzata.
Mi recai subito da Francesco il quale fu ben felice di vedere il suo cugino americano e la sua donna intrattenendomi su molti fatti del proprio lavoro e della sua famiglia.
Con lui e Manuel passammo in allegria diverse serate e senza fare specifiche domande venni a conoscenza della esistenza in Italia di una miriade di Società a Responsabilità Limitata, capaci di sfuggire a qualsiasi trabocchetto civile o penale se alle azioni delittuose, eventualmente commesse da quelle, si potessero opporre cavilli ed una mente altrettanto fine e furbissima.
Quindi lo scopo del mio viaggio, non era di ordine affettivo né nostalgico ma quello di grande curiosità su come funzionasse l’economia italiana etichettata assai strana dagli studiosi di questa materia negli Stati Uniti.
In sostanza era piuttosto difficile capire come la Nazione, che mi aveva dato i natali, riuscisse a barcamenarsi tra le Nazioni più industrializzate e nella Comunità europea fosse osservata speciale in quanto, pur con un forte tasso di disoccupazione, riuscisse tuttavia ad esportare molto ed i debiti dello Stato li avesse addossati quasi tutti sui risparmiatori italiani.
Anche il tenore di vita, in un largo strato delle popolazione, era alto e, tra le cose maggiormente curiose, risultava che gli italiani erano i più grossi consumatori di telefoni cellulari e percentualmente i maggiori gaudenti di ogni fine settimana usando auto di ogni cilindrata e spendendo cifre da capogiro, per i pedaggi autostradali e carburante, al fine di spassarsela nei mille posti incantevoli della penisola, fregandosene se il tempo fosse tempestoso oppure splendido.
Mi era venuta una mezza idea riguardo al modo di spillare denaro una volta inseritomi a Roma, con la mia proverbiale abilità.
Uno dei due appartamenti che possedevo era in quel momento sfitto ed era stato dato, da me stesso ad uso gratuito, ad una società inesistente con sede nelle Barbados.
Lì, avrei messo su una Agenzia retta dal solito ragioniere nulla tenente ed amministrata da un commercialista morto di fame, con doppia contabilità tenuta al solito da Felicia. Approfittando del fatto che l’ubicazione di quel appartamento si trovasse al primo piano di un quartiere commerciale molto affollato e soprattutto abitato da impiegati dello Stato, all’inizio cominciai a fare tutto alla grande, comprando da fornitori conosciuti nel giro ogni genere di strumenti di lavoro e di mobili adatti e soprattutto pagandoli in contanti..
L’idea era quella, di sfruttare la mania del tutto italiana di indebitarsi piuttosto che rinunciare alle vacanze all’Estero.
Messi su una perfetta Organizzazione con tanto di inviti personalizzati per viaggi in luoghi esotici. Avevo preso in affitto saloni di Alberghi dove mostravo filmati incredibili di luoghi incantevoli ed offrivo dei pacchetti di viaggi “ tutto incluso “, dal transito in aereo andata e ritorno, agli Hotel “ tutto compreso “ con colazione, pranzo e cena e gite nei dintorni, a prezzi stracciati.
All’atto delle prenotazioni pretendevo il cinquanta per cento del prezzo stabilito, pagavo gli Alberghi, dove arrivavano i clienti sia dall’ Italia che dall’Estero e le Compagnie aeree che organizzavano voli Charter.
Ero diventato insomma un Tour Operator di una Società S. R. L. molto conosciuta sul mercato, attraverso una campagna pubblicitaria martellante.
I miei fornitori erano tanti ed appartenevano ad ogni categoria e ceto sociale e mentre all’inizio questi erano più che soddisfatti, pian piano cominciai a procrastinare i pagamenti continuando però ad ampliare il mio giro alla grande.
Tra ristoranti, alberghi, aerei e soggiorni, quelli vantavano crediti di miliardi ed il bello era che la gente trovava nei posti prescelti invece di Hotel a tre o quattro stelle e spiagge da sogno, catapecchie e paludi luride oppure capannoni senza letti e bagni.
Molte Compagnie aeree si rifiutavano di riaccompagnare tutti quei turisti ai luoghi di partenza ed era inutile cercarmi perché come improvvisamente ero comparso sulla piazza di Roma con Felicia, altrettanto velocemente eravamo spariti con più di dieci milioni di dollari di utile netto.
A Felicia feci fare una vita da principessa per un bel numero di mesi. Andammo a Monte Carlo nei migliori alberghi, giocammo al Casinò e poi le feci fare un gradevole giro per l’Europa non dimenticando Boncelles dove ebbi la sfacciataggine di visitare la tomba di tutti i miei parenti morti venti anni prima ed in particolare di soffermai davanti a quella di mia madre e di Véronique.
Tuttavia quello fu un breve periodo felice della mia vita che durò fino a quando Felicia, stanca e sempre in apprensione, decise di lasciarmi per un Manager di una Industria Petrolchimica andandosene per sempre dalla mia vita in Australia e sposandolo a Melbourne.
Molti anni dopo seppi che aveva avuto quattro figli, due femmine ed due maschi ed in più che viveva soddisfatta e serena la sua vita diventata, lontano da me, calma e tranquilla come forse aveva desiderato da quando io avevo tentato di rovinarla per sempre.
Volli tornare in America ma non nel Kentucky né da Jennifer andandomene a vivere lontano da quella cara creatura che in fondo amavo come una madre, mettendo su casa prima a New York, poi nel Maine e precisamente a Portland, vicino al Canada, dedicandomi, per tre anni, alla compra-vendita di armi da guerra.
Ogni transazione avveniva, come al solito, via Internet e se non fosse stato per la C.I.A. avrei continuato chissà per quanto tempo quel infame commercio.












21





Fu in quel momento che la mia vita cambiò radicalmente.
Contrariamente ad ogni mia aspettativa, l’Agenzia invece di punirmi e di processarmi mi spedì in un luogo segreto nell’Oregon situato, ironia del caso, in una altra città dallo stesso nome di quella in cui avevo vissuto nel Maine, cioè nella più popolosa dello Stato a Portland, che giace tra le due rive del fiume Willamette ad una ventina di chilometri a monte della confluenza di questo con il fiume Columbia.
Quella, dotata di un ottimo clima temperato e favorita da ottime condizioni geografiche ed economiche con vie naturali splendide e funzionali come le valli dei suoi due fiumi, ricca di energia idroelettrica, ha grande importanza come centro portuale e commerciale tanto da essere fornita di un centinaio di moli, distribuiti lungo le rive del fiume Willamette che può essere risalito anche da grossi piroscafi avendo una profondità, a bassa marea poco inferiore a dieci metri.
Non era tanto il nodo ferroviario né il centro aviatorio quello che interessava alla C.I.A. ma il grande traffico e le linee di navigazione che la uniscono con tutti i più importanti porti del mondo.
Mi avevano fatto fare un corso speciale, unico nel suo genere multiforme, dalle arti marziali alle ultime scoperte nel campo dei P.C., dall’ uso delle armi di ogni tipo, allo studio intensivo dello spagnolo che già in parte conoscevo oltre all’italiano mia lingua materna.
Possedevo una nuova identità ed il mio nome era Pablo Morales, nato a Buenos Aires e nuovi falsi documenti ed il mio compito era quello di supervisore di Internet con l’obbligo di spostarmi ovunque l’Agenzia mi volesse trasferire e fare delle missioni di ricerche, per meglio dire, di spionaggio.
Da me pretendevano molto come analista di Internet ma in compenso avevo avuto il perdono di tutti i reati commessi ed uno stipendio di centomila dollari l’anno più i premi “ una tantum” che mi venivano corrisposti frequentemente e lautamente.
Conoscevamo solo il minimo indispensabile per svolgere il nostro lavoro ed anche poco o nulla di altri agenti come me.
Tra coloro che lavoravano in modo continuativo per la C.I.A. esisteva una giovane donna che mi stava sempre accanto e che riferiva su di me alle alte sfere.
Il suo nome in codice era “Angela” e parlava perfettamente l’italiano.
Poteva avere più o meno due anni meno di me e spesso me la guardavo affascinato dalla sua chioma corvina, dai capelli lunghi fino alle spalle lisci ma alcune volte raccolti in una grossa treccia e dal colore blu scuro degli occhi che sembravano appartenere ad una bambola di porcellana.
Ma lo sguardo era una altra cosa: gelido, mai atteggiato ad un sorriso talvolta crudele.
Non cercavo di farmela amica anche se ne soffrivo, perché oltre al volto anche il suo corpo era da favola, atletico come quello di una ballerina ed allo stesso tempo armonioso come non ne avevo mai visto attraverso le magliette che amava indossare ogni giorno, una più bella dell’altra ed attraverso i blu jeans attillati oppure alle gonne che mettevano allo scoperto la perfezione delle gambe e delle caviglie.
Mi sarebbe piaciuto corteggiarla e per quanto non mi apparisse disposta a nessun cedimento nei miei confronti, avevo deciso di indagare in qualche modo sul suo passato.
L’impresa era però molto ardua. Si trattava di penetrare negli archivi della Agenzia, fatto più facile a dirsi che a farsi.
Nell’appartamento dove abitavo a Portland possedevo il mio personale Computer e tra i vari programmi che gelosamente avevo nascosto, da me creati ed invalicabili per chiunque, ne avevo uno in grado di collegarmi con la banca dati degli agenti della C.I.A. nella quale, conoscendo il nome in codice di ogni loro collaboratore, potevo risalire alla persona lavorandovi sopra per intere giornate nel tempo libero da impegni.
Ci vollero tre settimane ma alla fine ottenni quanto volevo conoscere.
Angela in realtà si chiamava Isabella Rossigni, era nata a Montevideo in Uruguay da madre brasiliana e suo padre era di origine italiana, medico internista e milanese di nascita.
Aveva appena compiuto ventidue anni ed un passato come infermiera professionale.
Si era trasferita presto, appena compiuti diciannove anni da Jessica Morgan una pseudo amica, a San Francisco con un contratto di lavoro in una clinica privata, dove lavorava la stessa Jessica con la medesima qualifica e trovandosi, in breve, invischiata in un furto di morfina di cui si era sempre proclamata innocente e che con mota probabilità era stato perpetrato proprio da quella che si era sempre dichiarata sua fedele amica.
Era stata proprio Jessica che aveva fatto il suo nome alla Narcotici per potersi scansare da quella accusa.
L’FBI, su richiesta della C.I.A., l’aveva consegnata all’Agenzia che in breve era riuscita a proscioglierla da quella accusa offrendole invece un posto delicato nell’Agenzia, vista la conoscenza di diverse lingue da parte di Isabella e la perfetta preparazione atletica della giovane associata alla sua figura, di bella ed avvenente nonché di brava ragazza.
Isabella non aveva avuto e continuava a non avere nessuna relazione con uomini. Era vergine ed aveva dichiarato di non aspirare a sposarsi almeno fino a trenta anni.


Nella piscina di acqua di mare a Punta del Este, a due passi da Montevideo, vidi per la prima volta Isabella in un costume da bagno mozzafiato.
Eravamo arrivati in Uruguay la notte precedente ed avevamo preso posto, per la nostra permanenza prenotata dall’Agenzia, nel Hotel più esclusivo di quel incantevole posto, in una stanza matrimoniale con vista sul mare.
Sul volo ed all’albergo risultavamo, sotto il cognome di Morales per me e Crespo per Isabella stampati sui nuovi falsi passaporti, i signori Omar ed Evita , novelli sposi in luna di miele come ci avevano detto di presentarci al banco della “ Reception”.
Eravamo stati inviati lì per indagare su alcuni individui proprietari di veloci e lussuosi motoscafi d’alto mare, attraccati nel porto e sospettati di essere gli organizzatori di un grosso traffico di droga che facendo base a Punta del Este si estendeva in Argentina, Brasile, Paraguay e lo stesso Uruguay.
Avevamo fatto finta di dormire nello stesso letto ma in realtà io mi ero accomodato su un favoloso divano vicino al bagno, tutto di marmo rosa ed azzurrino.
La mattina successiva eravamo scesi giù, seduti sotto l’ombrellone ai bordi della piscina, io con un paio di occhiali da sole ed un pantaloncino da bagno, lei avvolta nella sua bellezza senza una minima ombra di trucco sul viso.
Fissando il blu dei suoi occhi, mi feci coraggio e prendendo tra le mie, le sue mani le sussurrai, sorridendo.
- Come vuoi che ti chiami, mia bella compagna, Evita oppure Angela oppure ancora Isabella Rossigni?.-
- Sei impazzito Pablo,-disse turbata ed arrossendo leggermente, -come hai fatto a conoscere il mio vero nome? -
- E’ stato abbastanza facile, tesoro mio, anzi da oggi ti chiamerò proprio così “tesoro mio“e non ti sognare di denunciarmi per questa mia intrusione nella tua vita privata! -
Mi alzai in piedi e senza aggiungere altro la baciai dolcemente sulle calde labbra, socchiuse per la meraviglia di vedermi così diverso dal solito.
Non mi respinse ed anzi mi strinse forte le mani, poi avvicinò la sua bocca al mio orecchio sinistro e mormorò.
- Non credere che non mi ero accorta del tuo interessamento. Volevo soltanto sapere fino a che punto saresti arrivato e devo confessarti che hai superato l’esame e te stesso, riuscendo a conoscere i fatti privati della mia vita. -
- Vuoi sapere che cosa farò adesso? - Riprese dopo un attimo di silenzio.
- Lo saprai a notte fonda dopo che avremo lavorato sul programma che dobbiamo svolgere per l’Agenzia. -


Io ed Isabella, nel primo pomeriggio, ci spostammo a Rocha a pochi chilometri dal Hotel dove eravamo alloggiati e lì ci incontrammo con un nostro contatto che ci disse i nomi delle due imbarcazioni ormeggiate nel porto di La Paloma e che dovevamo controllare.
Soprattutto ci raccontò che i sospettati non si trovavano in quella località al momento e che i grossi motoscafi in quelle giornate non erano custoditi.
Noi due avremmo dovuto salire a bordo e raccogliere qualche prova importante sulla droga che si supponeva trasportassero.
Attendemmo il tramonto ed il buio per introdursi negli scafi con molta circospezione e lo facemmo nuotando sotto acqua fino ad accostarci alle rispettive fiancate e salendo a bordo con un sistema di corde a gancio.
Per fortuna l’informazione ricevuta dal nostro contatto risultò esatta e nessuno si trovava a bordo, nemmeno un custode.
Rovistammo tutti e due i motoscafi prendendo ogni impronta digitale e cercando ovunque i segni del passaggio di droga
Soltanto in uno dei due scafi, in un bagno di una cabina, trovammo tre pacchetti di cocaina nascosti dietro un pannello.
Con macchine fotografiche digitali, collegate a telefoni satellitari ed a computer piazzati a Potland, inviammo immediatamente la testimonianza e le prove di quanto ci era stato chiesto.
Dopo aver messo in ordine ogni segno di una nostra intrusione, erano le due di notte, ci allontanammo dalle due barche e tornammo stanchi ma soddisfatti al nostro Hotel.
Guardammo l’orologio, erano le tre e dal balcone della camera matrimoniale vedemmo lontano sul mare il tramonto della luna, in un cielo che man mano si illuminava sempre più di stelle e l’aria che respiravamo era tiepida e profumata di salsedine.
Nessuno dei due aveva sonno ed eravamo troppo eccitati per pensare ancora alla C.I.A.
Le dissi affettuosamente mettendola delicatamente a sedere sulle mie cosce mentre mi ero sdraiato su un lettino di vimini.
- Vorrei raccontarti la mia storia e chi io sia veramente.-
Presi un bicchiere di cristallo riempito di Sambuca e con qualche acino di caffè e lo porsi ad Isabella, bevendone prima un sorso, poi cominciai.
- Il mio vero nome è Marlon ed ho molti peccati da farmi perdonare soprattutto dall’unica donna che amo e rispetto e che mi ha cresciuto, mia zia Jennifer, la sorella del mio defunto padre naturale. Sono orfano di madre ed anche la mia nonna materna, Véronique, è morta ed era una donna eccezionale che mi voleva bene e mi educava con tutta la sua semplice saggezza e con tutto il suo grande cuore di donna, tutta amore per la famiglia cui aveva dedicato integralmente la propria vita. Sono stato un grande truffatore fino a che l’FBI mi ha incastrato ma ora ho deciso che la mia vita la voglio passare onestamente con te Isabella! -
- In Svizzera posseggo un conto cifrato a Basilea dove sono confluiti tutti i soldi che ho guadagnato frodando la gente. Ora voglio che tutto quel denaro vada in beneficenza e se tu lo vorrai diventerai mia moglie. Ho messo da parte più di un milione di dollari guadagnati onestamente, non ho nessun debito con la Giustizia americana e sono innamorato pazzamente di te. -
Isabella mi abbracciò con passione e prese ad accarezzarmi il viso, poi disse.
- Anche se mi sono comportata sempre freddamente con te ora posso affermare che ti amo anch’io tanto da non potermi più nascondere dietro la maschera fredda del mio sguardo. E’ inutile che ti dica chi io sia perché tu sai già perfettamente tutto di me e sai anche che mio padre è un medico ed io una infermiera professionale. -
- Non sono responsabile di quella storia di droga per cui sono stata indagata per colpa della mia più cara amica, Jessica, ma tu già conosci la verità perché sei riuscito a penetrare, per me miracolosamente, nella banca dati del personale che lavora per l’Agenzia.-
- Ho tanta paura degli uomini in genere perché non ho avuto mai un vero amico o amica e soltanto tu mi hai ispirato fiducia fin dal primo momento ed il motivo non lo conosco, pur credendo che dal tuo sguardo sia uscito ugualmente quello che nascondi profondamente nell’anima e cioè che in fondo sei un bravo ragazzo! -
In quel momento Isabella respirò profondamente, come appagata dalle mie carezze e sospirando continuò sorridendomi.
- Ora ne sono certa, è vero : non solo sei bravo ma anche hai l’anima buona e ciò lo ho dedotto per come mi hai parlato ed hai detto di tua zia e di tutti gli altri parenti purtroppo scomparsi prematuramente. Sono contenta che tu sia nato a Roma da madre belga e che in fondo sia cattolico come me e questo è il mio piccolo segreto perché anch’io, a tua insaputa, ho cercato delle notizie sul tuo conto. Tra l’altro so che tu non sei sposato e questo mi ha resa molto felice. -
Quelle poche ore di quella notte ed anche l’intera mattinata la passammo insieme nel gran letto matrimoniale ed io volli solo starle accanto bisbigliandole parole d’amore all’infinito e parlarle di quanti sogni, senza risposte reali, avessimo entrambi bisogno di realizzare per dare un senso alla nostra ancora giovane vita.













22





L’operazione, condotta da noi due in Uruguay, fu il punto di partenza per sgominare la banda di trafficanti di cocaina che da moltissimo tempo imperversava in sud America per intensificarsi poi in Messico, Colombia e negli Stati Uniti.
A me ed a Isabella fu data una sostanziosa somma di denaro, come avveniva sempre in casi del genere ed in più, dieci giorni di vacanza da trascorrere dove avessimo voluto.
Le dissi.
- Se sei d’accordo, vorrei farti conoscere mia zia Jennifer a Lexington che non vedo da anni e che ha ricevuto da me soltanto poche telefonate in occasione del Natale e dei suoi compleanni e così consolarla almeno un poco per tutto il dolore che le ho procurato dalla festa per la mia maggiore età. -
Guardai con amore Isabella, era ancora più bella del solito da quando mi ero dichiarato innamorato di lei. Per un attimo pensai soltanto a non deluderla.
- Ti presenterò come la mia fidanzata, ma non potremo dirle che lavoriamo per la C.I.A. -
- Le diremo solo questa bugia, amore mio, per il resto le racconteremo di essere occupati entrambi nell’industria dei microprocessori a Portland nell’Oregon. -
Isabella era molto curiosa di vedere Jennifer che le avevo descritto sia nel suo carisma che nel carattere, serio e contemporaneamente allegro, estremamente professionale nel suo lavoro di avvocato penalista e gioiosa e felice quando cavalcava nella vecchia Fattoria, cui aveva sempre badato personalmente pur essendo di fatto mia.
La mia Isabella l’aveva unicamente vista in una vecchia foto che custodivo gelosamente e l’aveva salutata quando, telefonandole, l’avevo informata che saremmo andati a trovarla io e la mia ragazza dicendole anche che ero completamente cambiato nel carattere e che non combinavo più guai.
- Bravo il mio ragazzo, -sospirò attraverso la cornetta del telefono con voce squillante, -spero proprio che non mi deluderai una altra volta! -
- Potete venire tutti e due miei cari, -continuò contenta, -quando vorrete e rimanere qui tutto il tempo che riterrete opportuno e farò in modo di sistemarvi e prepararvi la tua casa nella Fattoria, che in realtà non ho mai trascurato, perché una cosa è certa; se me la porti la tua Isabella, vuol dire che finalmente sei innamorato e spero tanto che vi sposiate. -
Volli un tantino smorzare l’entusiasmo di Jennifer.
- Cara Jennifer, possiamo rimanere solo poco più di una settimana, ma vorremmo tanto passare il maggiore tempo possibile insieme a te, - affermai, sollevato di sentirla ben disposta nei nostri confronti.
Ci dicemmo un “arrivederci a presto” ed io ed Isabella ci preparammo per quella gradita gita nel Kentucky.


Dopo quella telefonata Isabella mi disse.
- Mi hai convinto. Ora capisco che tu mi consideri veramente la tua donna per sempre, fino a che il destino ci conserverà vivi e come dice il prete, mi amerai nella gioia e nel dolore, nella ricchezza e nella povertà e mi rispetterai in eterno come io ti rispetterò. -
Non avevo mai visto Isabella stordita e tanto felice come in quel momento. Era come se avesse subito una metamorfosi totale, divenendo fragile e contemporaneamente assumendosi tutte le debolezze delle donne comuni.
Dove era finita “Angela”, l’agente della C.I.A. considerata la migliore del corso preparatorio dell’Agenzia, dai Capi?
La gelida “Angela” stava trasformandosi, anche nel modo di comportarsi e nel pensiero, in una semplice ragazza americana oriunda uruguaiana, innamorata del suo ragazzo e disposta, per lui, a cambiare totalmente la propria vita.
Il contratto, che la legava con l’Agenzia però, prevedeva per lei una ferma giurata fino a trenta anni ed in questo periodo di tempo non avremmo potuto essere altro che degli amanti clandestini e nemmeno Jennifer avrebbe potuto conoscere la verità.
Mentre per me questa situazione sembrava piuttosto di difficile gestione al contrario di quanto pensasse Isabella, volli fare un tentativo, un sondaggio, prima di recarmi da Jennifer, andando a parlare dal solo mio superiore che oltre a stimarmi moltissimo per la mia bravura e per la mia correttezza, era sempre disponibile ad ascoltarmi come un padre.
In codice “Mike” era un omone, un vero armadio per la sua statura ed il suo peso.
Gli raccontai della mia storia d’amore per “Angela” e gli chiesi consiglio su come dovessi agire con quella ragazza che amavo.
- Ascoltami attentamente Marlon, -disse, fumando un avana suo unico vizio, -non fare fesserie. L’Agenzia può chiudere entrambi gli occhi se due suoi agenti vivono come marito e moglie, ma ricordati che le regole non possono essere infrante da nessuno e nemmeno io posso farlo e poi che qualsiasi ordine anche pericoloso deve essere eseguito integralmente. Se vuoi ascoltarmi, continua così che il tuo avvenire e quello di Angela sarà tutto rose e fiori, ma non puoi sposarla fino alla fine del contratto. -
- Avrete pure un grosso ritorno economico ma dovrete vivere in due appartamenti separati ed usarne un terzo per i vostri momenti di intimità. -
Dissi ogni cosa consigliatami da Mike ad Isabella.
Benché immaginasse tutto, Isabella si mise a piangere come una bambina. Le asciugai il pianto dei suoi occhi blu con tenerezza e conclusi promettendole.
- Non sarà questo procrastinare il nostro matrimonio che potrà spezzare il nostro amore. Io ti giuro che sarai per me più che una moglie e ti colmerò di tenerezza e di attenzioni anche se dovremo per qualche anno continuare la nostra solita vita, al fine di avere la stima dell’Agenzia che capirà quali siano i sacrifici che siamo disposti a compiere per la sicurezza della nostra Patria. -


Insieme decidemmo che quanto stabilito non sarebbe stato modificato.
Il giorno dopo, Isabella ed io arrivammo a Lexington su un aereo di linea mentre Jennifer ci stava attendendo allo scalo con grande partecipazione affettiva.
La vidi da lontano. Era talmente irrequieta che prima di riconoscerla per le sue sembianze capii che si trattava di lei per quel andare avanti ed indietro di fronte al Gate, indicante la provenienza dei passeggeri da Portland nell’Oregon.
Corsi da lei e sollevandola da terra l’abbracciai come un figlio, assente da casa per una guerra che non c’era, che vede finalmente la mamma.
Poi posando quel dolce fardello a terra le dissi.
- Sono tornato a casa nella mia famiglia rappresentata soltanto da te, mia protettrice, maturato dalla vita ed ascoltando, se pure inconsapevolmente, i tuoi consigli.-
Isabella, silenziosamente si era accostata a noi ed invece di presentarsi freddamente e con un saluto di circostanza, non potette fare a meno di baciarle le gote morbide e lisce come quelle di una fanciulla.
Sia Jennifer che Isabella erano elegantissime con la differenza che mentre mia zia mostrava con disinvoltura il suo carisma, Isabella faceva sfoggio della sua semplicità come se questa fosse un diadema di grande valore.
Isabella esclamò con grande entusiasmo.
- Sono qui con Marlon desiderosa di conoscerla e per ringraziarla di come ha fatto a crescere il mio fidanzato con l’amore di una madre. So anche quante volte lei gli fatto notare come la vera felicità consista nell’onesta dell’anima col supporto di una famiglia, di una moglie che ti ami perdutamente e dei figli frutto della passione ma soprattutto di un bene infinito che non deve cessare mai. -
Nell’abbraccio tra le due donne ci fu un consenso muto, figliale ed assai tenero.
- Devi darmi del tu Isabella, perché voglio considerarti come una figlia acquisita alla stregua di Marlon che è anche lui il mio unico figlio, seppure non sono stata io a partorirlo. -
Vidi nello sguardo di Jennifer il ricordo lontano più di mia nonna Véronique che di mia madre Caroline e quanto quella avesse contato, sulla coscienza di Jennifer, riguardo a ciò che veramente contasse nella vita di ogni donna e di ogni uomo degno di esistere e cioè il valore unico ed assoluto della famiglia.
Me lo aveva sempre ripetuto durante tutta la mia infanzia ed adolescenza anche se allora non avevo dato molto peso alle sue raccomandazioni.
Isabella era troppo intelligente per non capire, attraverso lo sguardo di Jennifer e le sue precedenti parole, il significato profondo di quanto la zia di Marlon, senza dirlo, le aveva voluto comunicare in silenzio.
La prese per mano amorevolmente e tutti e tre uniti ci recammo alla Fattoria che Jennifer aveva ristrutturato completamente nella speranza del ritorno del figliolo prodigo ed ancora immaturo.


Io ed Isabella decidemmo al momento senza il minimo dubbio, al contrario di quanto avevamo pensato prima di quel incontro, di non nascondere nulla della nostra vita attuale a mia zia ed eravamo certi che quella avrebbe capito il motivo per cui non potevamo sposarci ancora ed in più, che avrebbe mantenuto il segreto sulla nostra attività di Agenti Speciali della C.I.A.
Jennifer ascoltò tutto con attenzione poi rivolgendosi in particolare ad Isabella disse.
- Parlo a te mia cara come alla futura moglie di mio nipote e ti supplico di non abbandonare mai Marlon e di avere con lui molti figli, un giorno non lontano quando sarete sposi e poi mi rivolgo a te Marlon ricordandoti di comportarti sempre da vero uomo. Hai scelto una ragazza bellissima e sicuramente seria perché, te lo posso dire io con tutta la mia esperienza e con l’intuito datomi dalla mia professione, che Isabella è una creatura speciale, cresciuta troppo in fretta ma piena di recondite doti che avrai modo di apprezzare oltre che adesso anche in futuro. -
Passammo, con base alla Fattoria, una vera Luna di miele e non ci facemmo mancare nulla di bello e che avrebbe temprato la nostra determinazione di vivere come due anime gemelle.
Ci giurammo eterno amore e da quel momento seguimmo la strada che avevamo tracciato come una sola persona, tenendo sempre informata di ogni piccola cosa che esulasse dal nostro lavoro, Jennifer.













23





La promessa che Isabella aveva fatto a se stessa, di rimanere vergine fino al matrimonio, fu impossibile a mantenere perché da sola capì l’assurdità di tale posizione dal momento che aveva deciso di amarmi per tutta la vita.
Il resto l’aveva fatto quella mia casa nella campagna del Kentucky, la Fattoria ed i prati verdi, colmi di fiorellini brucati dai cavalli di Jennifer.
I dolci baci che ci demmo mentre facevamo all’amore rimasero fissi nella nostra memoria per sempre ed ancora maggiormente quando, ritornati al nostro lavoro, dovemmo giocoforza vivere l’uno lontano dall’altro anche se l’appartamentino di Isabella a Portland, non era molto distante dal mio.
Ci vedevamo ogni mattina nella sede dell’Agenzia ed il nostro fu, in quei tempi, un amore fatto di piccole cose, di sguardi fuggevoli, di strette di mano, di minuscoli baci rubati negli ascensori quando raramente ci trovavamo soli ed infine di incontri troppo brevi in qualche Motel, lontano dalla città.
Fu una vera fortuna che i nostri capi continuassero a farci lavorare insieme soprattutto quando ci inviavano per qualche missione all’Estero.
Nei vari Paesi nei quali dovevamo indagare, io e lei ci prendevamo qualche rischio in più e quelle erano le notti più felici, più passionali e maggiormente struggenti come se fossero momenti singoli ed irripetibili.
Nel tempo, non vedevo l’ora che ci inviassero più spesso lontano da Portland e non attendevo che i momenti di intimità per abbracciarmela e baciarla per intere ore senza un attimo di sosta.
Isabella si sentiva sempre protetta dalla mia presenza e mi ripeteva all’infinito quanto mi amasse e mi desiderasse.
Senza che ci accorgessimo del passare del tempo erano passati, tra missioni più o meno pericolose, anni ed anni durante i quali eravamo riusciti a nascondere il nostro amore a tutto il personale dell’Agenzia e si stava avvicinando il momento nel quale avremmo lasciato la C.I.A. con un encomio solenne e con un lavoro sicuro io, quale dirigente in una Società di controllo di componenti elettronici aerei ed Isabella, come capo del personale di un Ospedale pubblico a Charleston nel West Virginia, vicini alla mia Fattoria del Kentucky.
I top manager dell’Agenzia si erano comportati veramente bene nei nostri riguardi chiedendoci dove avremmo preferito vivere e lavorare una volta lasciata la C.I.A. e noi avevamo liberamente scelto il posto possibile più gradito, maggiormente vicino a Jennifer ed a Lexington.
Avremmo potuto riacquistare la nostra identità personale oppure sceglierne una a caso e saremmo stati accontentati.
Ma prima di dire addio a quel Ufficio, che era stato la nostra salvezza ed al quale eravamo grati ci chiesero se eravamo disposti di recarci a Bruxelles e fu allora che ebbi una divergenza di opinione, per la prima volta, con Isabella.
- Preferisco dire di no, -esclamò risentita, -io desidero sposarmi subito caro Marlon. -
- Quando le cose sono finite non vedo il motivo per procrastinarle, -continuò sicura di agire per il meglio.
Io rimasi stupito.
In Belgio avrei voluto recarmi per un fatto sentimentale che poi era quello di rivedere i luoghi dove erano vissuti i miei nonni materni e dove erano seppelliti, nella tomba di famiglia, tutti i miei avi compresa mia madre.
Vedendomi in viso una grande delusione, Isabella mi disse.
- Ho un brutto presentimento. Penso che se non ci sposiamo immediatamente non ci sposeremo mai più! In Belgio andremo un’altra volta tra qualche anno e porteremo con noi i nostri figli perché desidero rimanere incinta al più presto ed avere con te tanti bambini. -
Volli ascoltare Isabella e risposi allo Staff dell’Agenzia, anche a nome della mia promessa sposa, che non saremmo andati a Bruxelles almeno che non fosse stato un ordine.
Mi risposero che quello non era un ordine e che ci ringraziavano di cuore per tutti i servizi da noi prestati.
Qualche giorno dopo, mentre io ed Isabella ci trovavamo a Lexington da Jennifer per i preparativi delle nozze, sapemmo da fonti segrete per tutti ma non per noi, attraverso una linea speciale che l’Agenzia ci aveva permesso di usare per tenersi in contatto con noi, che due nostri agenti operanti in Belgio erano stati uccisi da uomini di un Servizio di spionaggio dell’estremo Oriente durante una operazione top secret.
Da quella volta, ascoltai con grande attenzione ogni suggerimento di colei che stava per diventare mia moglie.


Ci sposammo nella piccola chiesa del villaggio nelle vicinanze della Fattoria con una toccante cerimonia celebrata da un vecchio prete, forse lo stesso che aveva celebrato la messa in quella domenica di trenta anni prima tra i cui fedeli c’era anche Véronique.
Jennifer era stata grande nel preparare le nostre nozze.
Aveva portato Isabella nella più esclusiva boutique di Lexington ed insieme avevano scelto un meraviglioso abito da sposa dal design italiano, corto e di un azzurrino quasi bianco tutto pliche e merletti che mettevano in evidenza il corpo flessuoso della mia sposa. Sul capo, una coroncina di rose bianche, dava luce ai suoi meravigliosi occhi blu e le scarpine bianche facevano intravedere i piedini di Isabella piccoli come quelli di Cenerentola.
Isabella era radiosa nello sguardo e dolcissima nel sorriso e provocava una grande sensazione di tenerezza mentre io l’attendevo, non senza l’ansia di vedermela sparire, sulla modesta scalinata della piccola chiesa cattolica.
Impalmavo la più bella creatura del mondo, ma non era la sua avvenenza che mi aveva conquistato semmai la sua anima ed il suo cuore che pulsava per me come il mio per lei.
Non avrei potuto amare nessuna altra nella stessa maniera perché Isabella mi aveva preso anche il cervello dove non facevano più capolino quelle idee antisociali che avevano contraddistinto la mia adolescenza.
Ora amavo il mio prossimo e le mie idee erano piene di carità per gli indifesi, di rispetto per tutte le persone deboli e sfortunate e non avrei ingannato nessuno che si fosse rivolto a me per essere aiutato.
Isabella mi aveva insegnato molte cose ma in particolare che un uomo si deve distinguere per la parola data e che anche una sola stretta di mano aveva il valore di un contratto scritto.
Ero stato fortunato ad incontrarla e probabilmente i suoi racconti sulla povertà del Brasile, da dove era giunta la sua mamma per sposarsi addirittura con un medico internista oriundo italiano, in Uruguay ed ì racconti di quella, sulle miserevoli condizioni della maggior parte dei bambini brasiliani, costretti a prostituirsi già nell’età infantile per sfamare la propria famiglia, avevano trascinato la mia coscienza in una dimensione che non avevo mai conosciuto.
Ed era per questo motivo che avremmo avuto tanti bambini verso i quali avremmo riversato tutta la nostra attenzione ed ogni momento della nostra vita.
La nostra famiglia sarebbe diventata un modello di calore umano, di affetto e di rispetto della dignità di ogni uomo o donna vivente e dal momento che sia io che lei eravamo ricchi ed almeno parte dei miei soldi, depositati nelle Banche svizzere, erano stati guadagnati truffando i poveri di spirito, li avremmo destinati adottando a distanza almeno dieci bambini brasiliani.
Isabella, alla C.I.A. aveva indossato una maschera diversa da ciò che in effetti era e questo unicamente per paura ed era stato il mio indiscusso amore che l’aveva fatta ritornare limpida come l’acqua che sgorga dalle sorgenti di alta montagna, mostrando almeno a me chi in realtà fosse.


A Charleston nacquero i nostri quattro figli, nello spazio brevissimo di sei anni, tutti nel medesimo Ospedale dove Isabella era Capo del personale.
Ne’ le gravidanze né l’allattamento al seno, per i primi tre mesi, modificarono il fisico e la gioia di Isabella che sembrava l’essenza vivente della felicità.
Aveva partorito due maschietti e due femminucce alternativamente, cominciando con Robert, di cinque anni e finendo con Rita, una bambolina di un anno.
Dopo il primogenito nacque Manola, la più birbante del gruppetto e due anni dopo questa, Tony, il mio terzogenito che alla nascita pesava quattro chili e duecento grammi e che aveva tutte le intenzioni di diventare un vero colosso sia in statura che in peso.
Non ci aveva dato nessun pensiero dalla nascita ma ora, prima di iniziare la Primary School, si era messo in testa che dovevamo fare un viaggio in Europa, tante volte Jennifer gli aveva parlato di Roma e dell’Italia e di Boncelles e del Belgio, quando approfittando delle frequenti visite di mia zia a Charleston le diceva di volerla sentire raccontare dei luoghi dove avevano vissuto tante persone a lei care.
Robert dimostrava una intelligenza superiore a quella della sua età interessandosi in particolare di matematica e di geografia.
Anzi questa ultima era la vera passione del mio primogenito che mi aveva spinto a comprargli una miriade di carte geografiche ed atlanti.
Così, Isabella ed io, decidemmo di accontentare Robert portando con noi anche Manola ma lasciando a Lexington, da Jennifer, i più piccoli Tony e Rita.
Avremmo realizzato quel viaggio in Belgio che avremmo dovuto fare prima del nostro matrimonio ma non solo, avrei rivisto la Città Eterna dove ero nato.
Ormai sia la mia vita che quella di Isabella scorreva placida e senza scosse, tutta dedicata al lavoro ed alla nostra famiglia ed i tempi in cui eravamo entrambi quotidianamente in tensione, erano passati.
In particolare sentivo molto profondo in me una strana sensazione che era poi quella di non avere rispettato il luogo dove erano sepolti i miei parenti e dove ero già stato con Felicia, onorando al tempo stesso la loro memoria.
Da quella tomba ero sicuro che avrei tratto nuova energia che lentamente avrei infuso a tutti i miei figli perché crescessero nel nome di Dio e nel ricordo della loro bisnonna materna, quella donna che aveva dato tutta se stessa ad un solo vero valore, unico nel suo genere, la famiglia.



 

VETRINA